lunedì 28 ottobre 2013

Van Den Bossche Buffalo Belgian Stout

La gamma delle Pater Lieven è quella che ha dato notorietà al birrificio belga Van Den Bossche, ed è stato da loro preso come punto di riferimento anche in internet: www.paterlieven.be
Il birrificio ha comunque da sempre commercializzato anche la gamma "Buffalo", inizialmente pensata esclusivamente per il mercato americano e successivamente resa disponibile anche in Europa. Una Belgian Ale scura, una Stout, una "belgian Bitter", un paio di invecchiamenti in botte  ed una "Extra White".  Cito per forza questo interessante breve articolo di Alberto Laschi per riassumere la genesi di questo "marchio"; nel 1907 il famoso spettacolo circense americano  Buffalo Bill’s Wild West Show fa una tournée in Europa e fa tappa in Belgio, a Ghent. Anche Arthur Van Den Bossche decide di andare allo spettacolo, assieme a tutti i suoi dipendenti; al birrificio lascia solamente un giovane ragazzo a sorvegliare la sala cottura. L'incaricato non svolge il compito con la necessaria cura, lasciando "cuocere" la birra ben oltre il tempo necessario. Al ritorno Van Den Bossche trova un mosto più caramelloso e tostato del dovuto, ma dopo l'inevitabile arrabbiatura si accorge che il risultato è comunque gradevole. La birra venne ugualmente imbottigliata e venduta con il nome Buffalo, a ricordo dell'evento che l'aveva accidentalmente generata.
La Buffalo Belgian Stout è di un bel color marrone scuro, con un discreto cappello di schiuma beige chiaro, cremoso e persistente. Al naso c'è quasi più frutta (prugne ed uvetta) che "nero", visto che caffè, tostature e sentori di pane nero sono rilegati in secondo piano.  Non è una stout cremosa, ma ha consistenza tra l'oleoso e l'acquoso ed un corpo medio che spingono a berla - anche se non con vigore - di buona lena, piuttosto che a sorseggiarla, anche perché l'alcool è nascosto in modo impressionante. Quasi assenti le tostature, anche in bocca c'è soprattutto frutta, in perfetta coerenza con l'aroma; bisogna attendere quasi gli ultimi momenti della bevuta per avvertire le prime tostature ed il caffè, assieme a qualche note luppolata terrosa e ad un'ancora più lieve acidità. Momento davvero breve, perché il retrogusto è di nuovo fruttato, ed abboccato, con prugna ed uvetta ed un lieve tepore etilico. Molto pulita e molto facile da bere, non offre d'altro canto molta complessità e solidità, a dispetto di un alcool importante (9%). Rimane dolce, forse un po' troppo per chi la cerca digitando nel motore di ricerca la parola "stout".
Formato: 33 cl.,  alc. 9%, lotto 1210 10:44, scad. 11/05/2014.

domenica 27 ottobre 2013

Panil Enhanced


Imbottigliata ad Agosto 2012 questa bottiglia di Panil Enhanced  è una delle prime produzioni del birraio Andrea Lui, colui che ha rimpiazzato Renzo Losi, il fondatore del birrificio Torrechiara che ha lasciato l'azienda pochi mesi prima, a Maggio.  Nasce nel 2005, con una ricetta che prevede malti Pils ed una piccola percentuale di Monaco. Due anche i luppoli: Perle per l'amaro e Willamette aggiunto nell'ultima fase della bollitura ed in dry-hopping. Per quanto possibile vengono usati luppoli coltivati nei terreni di proprietà dell'azienda agricola di famiglia. Ma la caratteristica principale della Enhanced è la fermentazione che avviene con l'utilizzo di lieviti da spumantizzazione (Saccharomyces Bayanus). Versiamola nel bicchiere: leggero gushing all'apertura, color arancio con riflessi dorati, velato. La schiuma è poco persistente, un po' grossolana, biancastra. Aroma molto forte, con una bella speziatura (pepe, coriandolo) donata dai lieviti: seguono albicocca, arancia, pesca e miele. C'è un leggera acidità che diviene sempre più evidente man mano che la birra si scalda. In bocca è vivace e spumeggiante, corpo medio, discreta componente watery per renderla scorrevole e facile da bere. Alcool (9%) molto ben nascosto, praticamente inavvertibile. L'acidità lattica caratterizza la bevuta  piuttosto marcatamente, nonostante l'etichetta reciti "gusto piuttosto dolce, di frutta macerata". Biscotto al miele e frutta gialla, per una buona corrispondenza con l'aroma: l'imbocco dolce è stemperato da una seconda parte aspra (uva) ed acida, con una bella chiusura sempre molto effervescente e secca, appena amara (nocciolo di pesca) che sarebbe davvero "spumantina", se non fosse per la presenza di yogurt acido. 
Formato: 75 cl., alc. 9%, lotto 08/08/2012, scad. 08/08/2014, pagata 6.00 Euro (birrificio).

sabato 26 ottobre 2013

BioNoc Staiòn

Pensi al Trentino Alto-Adige, pensi alla birra ed immediatamente la mente va poco più a nord, al confine con l'Austria e la vicina Germania. O pensi alla birra altoatesina per eccellenza, la Forst. Scopri invece che c'è un microbirrificio, di recentissima apertura, che ha scelto la via dell'alta fermentazione, in netta contrapposizione (escludeno le weizen)  con le basse fermentazioni tanto popolari in Austria ed in Baviera. Siamo a Mezzano di Primiero, estremità orientale del Trentino, a pochi chilometri dal confine con il Veneto (Belluno); è qui che apre il Birrificio Bionoc, un nome che è semplice espressione dei due timonieri: Fabio (Bio) Simoni e Nicola (Noc) Simion. Nel loro passato amore e passione per la birra, l'università della birra di Azzate; l'idea di mettere in piedi un birrificio parte nel 2009, si concretizza nel 2012 ma è ufficialmente solamente quest'anno, dopo che tutte le lungaggini burocratiche sono state espletate, che le birre possono essere commercializzate. Quattro le birre che dovrebbero costituire la gamma di partenza: due già disponibili (una Saison ed una Belgian Ale) due ancora in preparazione (IPA e Scotch Ale).
Partiamo dalla Saison chiamata Staión che, immaginiamo, sia l'equivalente dialettale di "stagione". Si presenta di colore oro pallido, leggermente velato: la schiuma bianca e cremosa, dalla discreta persistenza ma poco generosa. Il naso apre con un leggero sulfureo che fortunatamente svanisce quasi subito: troviamo allora miele millefiori, sentori floreali e di arancio. Bevuta che parte un po' timida, ma già in bocca c'è una maggiore intensità: ingresso di crosta di pane, cereali, miele ed una bella parte centrale fruttata di polpa d'arancio ed albicocca. Corpo medio-leggero, snella e carbonata quanto basta per scorrere con buona velocità: la chiusura è abbastanza secca ed amara, con note erbacee, di scorza d'arancio ed un ritorno di cereali. Una Saison dissetante e rinfrescante, dal gusto pulito, che ci sembra però un po' "ingessata" nell'abito del debutto, se ci passate la metafora. Godibile e dalla buona intensità, manca però di quel carattere rustico e ruspante che vorremmo sempre trovare in una Saison; intensità e pulizia sembrano già essere ad un buon livello, ora si tratta di donare a questa Staión maggior personalità e carattere, "sporcandola" nel modo giusto per farle togliere il frac ed indossare un abito più idoneo al lavoro nei campi.
Formato: 75 cl., alc. 5.4%, IBU 30, lotto S313, scad. 02/2015, pagata 9.00 Euro (stand birrificio).


giovedì 24 ottobre 2013

Evil Twin Soft Dookie

L'originalità nello scegliere i nomi delle proprie birre certo non manca a Jeppe Jarnit-Bjergsø, il fratello "cattivo" (Evil Twin) di Mikkeller. Dopo una birra "gialla" chiamata Cat Piss (piscio di gatto), eccone una - marrone - chiamata Soft Dookie, che potremmo tradurre come un "escremento tenero". Pare che l'ispirazione per il nome di questa birra sia infatti venuta a Jeppe nel cambiare il pannolino al figlio. Viene prodotta in Norvegia, alla Amager, visto che Evil Twin è un birrificio senza impianti: è stata di recente rinominata in modo più gentile "DK" e - se non erriamo - offerta in un formato ridotto (33 cl. anzichè 50) con una diversa etichetta. Scelta che non possiamo che condividere, visto che il mezzo litro di questa "Imperial Vanilla Stout" da 10.4% ci è sembrato decisamente troppo. Se il nome è infatti originale, la sostanza di questa birra ricalca purtroppo il cliché delle Imperial Stout scandinave catramose ed asfalta-palato.
Minaccioso il colore, assolutamente nero, che non lascia filtrare nessuno spiraglio di luce; bellissima anche la schiuma, fine e cremosa, color nocciola, molto persistente. L'aroma è pulito ed elegante: la schiuma regala sentori di frutti di mirtillo, ma basta lasciarla dissipare per trovarsi di fronte agli attesi profumi che il colore della birra annuncia: caffè in grani, cioccolato amaro, tostature e leggera liquirizia. Lasciandola invece scaldare è l'alcool (whiskey) a prendere il sopravvento. 
Ottimo aspetto, dicevamo, ed anche ottimo l'ingresso in bocca: birra morbidissima, molto cremosa, poco carbonata, dal corpo massiccio. I primi sorsi sono davvero appaganti e convincenti, con il palato sommerso da una possente ondata fatta di tostature, caffè e cioccolato amaro, il tutto riscaldato da calore etilico importante. Bene anche l'acidità finale che cerca di alleggerirne per qualche istante il peso, prima che prenda il sopravvento un retrogusto molto amaro (tostato e caffè) e leggermente raschiante, con una marcata nota etilica. Una birra solidissima, quasi masticabile, che ammalia per i primi sorsi ma che poi mostra un grandissimo limite di bevibilità; avvicinandosi alla temperatura ambiente l'alcool non fa sconti e diventa difficile anche solo sorseggiarla con una certa regolarità, trasformando lo stupore dei primi sorsi in una sorta di noia. Adatta forse a serate dal freddo siderale, dove senz'altro questa Soft Dookie saprà riscaldarvi e rincuorarvi. Ma per i comuni mortali che la bevono in casa o al pub, 10 cl. mi sembrano essere la quantità idonea per poter godere appieno di questa imponente birra prima di prendere la strada per andare a casa. A dispetto del nome (Imperial Vanilla Stout), di vaniglia non ne abbiamo trovato traccia.
Formato: 50 cl., alc. 10.4%, scad. 12/2015, pagata 7.80 Euro (beershop, Italia).

mercoledì 23 ottobre 2013

Dogfish Head Midas Touch

Non sono molte le Dogfish Head che arrivano in Italia, visto che il birrificio americano già non riesce a soddisfare tutta la domanda domestica. Tutta via Sam Calagione, fondatore di Dogfish, è anche socio della Birreria che si trova all'interno della filiale di New York di Eataly. Grazie a questo canale preferenziale sono arrivate negli ultimi tempi in Italia un paio di bottiglie: la Indian Brown Ale e la Midas Touch. Per introdurre questa birra bisogna fare un lunghissimo salto indietro nel tempo, quando un re chiamato Mida (non quello delle leggenda) governava all'incirca 2700 anni da la Frigia, una regione dell'Anatolia centrale che oggi corrisponde indicativamente alla Turchia. La sua tomba, che fu scoperta nel 1950,  conteneva un numero impressionante di vasi (bicchieri) risalenti all'età del ferro. Una quarantina d'anni dopo il ritrovamento, l'archeologo americano Patrick McGovern dichiarò che i residui contenuti in quei vasi erano di bevande alcoliche: orzo, miele, uva. McGovern cercò un birrificio disponibile a ricreare una birra contenente quegli ingredienti da bere nel corso di una celebrazione di Mida. A Sam piace subito l'idea di produrre una birra che contenesse miele ed uva, ed ecco che la Mida's Touch - commercializzata per la prima volta a Marzo del 1999 - entra nella produzione stabile del birrificio del Delaware. Oltre ai giù citati miele ed uva (moscato), Calagione aggiunge lo zafferano.
Si presenta di colore oro carico, leggermente velato; la schiuma è un po' grossolana, di dimensioni modeste, biancastra e poco persistente. Aroma pulito, dolce, con spiccati sentori di miele d'acacia, zafferano, uva passa, leggera pesca. Rotonda ed avvolgente in bocca, dal corpo pieno e poco carbonata, si mantiene molto dolce con un bel carico di frutta candita, zucchero di canna, miele, biscotto al burro, uva passa ed albicocca sciroppata. Soprattutto quando raggiunge la temperatura ambiente è a tratti reminescente di un vino liquoroso; ha però un finale sorprendentemente secco, che ripulisce il palato del dolce evitando quindi l'effetto stucchevolezza. Chiude morbida, con un retrogusto etilico caldo ed armonioso, di frutta secca (albicocca ed uvetta). Molto pulita, si beve molto bene nonostante una gradazione alcolica importante (9%) ed è quasi naturale pensare ad un suo abbinamento con dei formaggi stagionati o piccanti. Calagione la consiglia inoltre (paragonandola ad un Sauternes) con piatti d'influenza asiatica, risotto, curry, pesce e tacchino al forno. Immancabile il suo contributo video. Palati amanti del dolce fatevi avanti, questa intensa e morbida birra è per voi. 
Formato: 35.5 cl., alc. 9%, IBU 12, lotto 29/06/2012, pagata 4.70 Euro (food store, Italia).

martedì 22 ottobre 2013

Extraomnes Wallonië

Forse il periodo ideale per berla è passato da qualche settimana, ma le miti temperature che quest'autunno ci sta regalando non la rendono così "completamente" fuori stagione. Del resto "Saison" (per i meno esperti) è uno stile birrario tipico della Vallonia, nella regione dall'Hainaut, del  Belgio di lingua francese. Saison, ovvero "stagione" in francese, per indicare appunto una birra con una forte propensione stagionale. Quella dei mesi più caldi, dove le alte temperature non consentivano di fare la birra, quando ancora non era stata inventata la refrigerazione. I birrai belgi le preparavano allora per tempo, con un grado alcolico abbastanza sostenuto ed una abbondante luppolatura per consentire a queste birre di "sopravvivere" sino al termine della stagione calda. Erano le birre che i contadini valloni bevevano per dissetarsi e rinfrescarsi nelle pause del duro lavoro nei campi. Nome dunque estremamente appropriato, quello scelto dal "birrificio più belga d'Italia", Extraomnes, per una saison molto semplice: un solo malto (Pilsener Chateau) e due luppoli (Saaz e Styrian Golding, anche in dry hopping), e ovviamente le "magie" del lievito saison.  Viene ufficialmente presentata lo scorso Maggio al Bere Buona Birra di Milano, in un temibile faccia a faccia con una delle saison più apprezzate al mondo, la Dupont.
Il suo colore dorato carico (velato) rimanda proprio al sole estivo del calar della sera, quando terminato il lavoro nei campi i contadini si godevano la loro giusta ricompensa dissetante: generosa la schiuma, bianca, fine e compatta, molto persistente. Naso leggermente "aspro", rinfrescante, con scorza di agrumi (lime ed arancio), sentori floreali ed erbacei, ma soprattutto una bella nota rustica, agreste o "funky" che dir si voglia. La vivace carbonazione si intuisce dalle minuscole bollicine che risalgono in superficie dal fondo del bicchiere, il corpo è medio-leggero. L'ingresso in bocca è di pane e cereali, ma è di nuovo la frutta a farla da padrone, prima con note dolci di polpa d'arancia (e anche albicocca, ci sembra) e poi amare di scorza. Il finale è un crescendo d'amaro, con note leggermente erbacee e tanta scorza di agrumi (lime, limone, mandarino).  La luppolatura è un po' ruffiana e reminescente di alcune altre Extraomnes di successo, ma questa Wallonië mantiene comunque un bel profilo rustico anche in bocca per sottolineare il suo essere, prima di tutto, una "farmhouse ale". Piacevolmente acidula, e quindi molto dissetante, è caratterizzata da una grande pulizia e da una secchezza che impressiona e costringe alla bevuta seriale. Una birra che quindi non consigliamo ai contadini nelle pause del lavoro nei campi: più che trovarli dissetati, il rischio è di trovarli attaccati al barile di Wallonië senza la benché minima intenzione di riprendere il lavoro.
Formato: 33 cl., alc. 5.7%, lotto 098 13, scad. 31/10/2014, pagata 3.80 Euro (beershop, Italia).

lunedì 21 ottobre 2013

Traquair Jacobite Ale

Traquair è un maniero nel piccolo paese di Innerleithen, 50 chilometri a sud di Edimburgo, Scozia. Pare che sia la casa - ininterrottamente abitata - più antica di tutta la Scozia: le sue origini sono sconosciute, sebbene le prime prove certe dell'esistenza di un fabbricato in quel luogo risalgano al 1107. Nel castello trovava ovviamente spazio un birrificio che veniva utilizzato per le necessità "domestiche" e che fu utilizzato sino agli inizi del 1800. Gli impianti sono rimasti inutilizzati sino al 1965, quando Maxwell Stuart, ventesimo Laird di Traquair, decide di riprendere la produzione. Alla sua morte, nel 1990, gli succedono la moglie Flora e la figlia Catherine; nel 1997 diventa una società a responsabilità limitata. La produzione attuale si attesta intorno ai 600-700 barili l'anno, utilizzando ancora i vecchi tini di fermentazioni di quercia. Sono circa 6 le birre prodotte regolarmente, con qualche birra celebrativa prodotta occasionalmente. Nacque come birra celebrativa anche la Jacobite Ale che andiamo ad assaggiare oggi; fu prodotta per la prima volta nel 1995 per celebrare l'anniversario della rivoluzione dei Giacobiti del 1745, nel tentativo di riportare la dinastia degli Stuart  sul trono di Scozia ed Inghilterra. Viene prodotta sulla base di una ricetta dal diciottesimo secolo, e speziata con coriandolo; ottenne il titolo di World Champion al World Beer Championship del 1997 (categoria Winter Ales) e la medaglia d'oro al Beer Festival di Stoccolma del 1998.
Nel bicchiere è di color ebano scuro, con riflessi  tendenti al bordeaux; di discreta persistenza la schiuma, color beige, cremosa. Tre anni di riposo in cantina, aroma poco pronunciato: domina la prugna (secca e marmellata), liquirizia ed uvetta. Lievissima la presenza di coriandolo. Molto più interessante e variegata al palato: tostature, ritorno di prugna disidratata e liquirizia, Christmas Cake ed uvetta. Il gusto rimane comunque dolce, a tratti reminiscente di vino ossidato ma è però ben stemperato da una leggera acidità finale con note di caffè e cioccolato. Morbido e caldo il retrogusto, abboccato, dove per la prima volta è davvero percepibile l'alcool: è comunque una birra di gustare con calma, anche se si potrebbe bere con grande facilità, dal corpo medio e poco carbonata. Molto piacevole e gradevole, parte con un aroma un po' sottotono ma si riscatta alla grande in bocca.
Formato: 33 cl., alc. 8%, lotto L9248 09:16, scad. 09/2019, pagata 2.65 Euro (supermercato, Francia).

domenica 20 ottobre 2013

Aecht Schlenkerla Rauchbier Märzen

Quasi non ce n'eravamo accorti della sua mancanza su queste pagine: poco male, recuperata una bottiglia ed eccoci a colmare la lacuna di una birra bevuta molte volte ma non ancora "ufficializzata" sul blog. Il birrificio è la Brauerei Heller, nella splendida Bamberga (Franconia), ma per tutti lei è semplicemente Schlenkerla, la birra affumicata per eccellenza o, se preferite, il benchmark per ogni Rauchbier. Tappa obbligatoria, almeno una volta nella vita per qualsiasi birrofilo, è il brewpub nella bella casa a graticcio della centrale Dominikanerstraße 6, un locale molto frequentato nel quale personalmente non sono mai riuscito a mangiare seduto ad un tavolo, nonostante diversi tentativi sia a pranzo che a cena, causa sovraffollamento (mi sono perso qualcosa d'eccellente?). La più nota e la più diffusa è la Märzen che vi presentiamo oggi, ma esiste anche una Weizen ed altre sei versioni (Helles, Urbock, Doppelbock, etc..), tutte affumicate. Numerosi i proprietari che si sono succeduti al timone del birrificio, trovate qui la lista completa. Da sei generazioni nelle mani della famiglia Trum, ma il proprietario più famoso rimane senza dubbio Andreas Graser (1877-1906): dobbiamo a lui il nome Schlenkerla, indicativo della sua andatura zoppicante a causa di un incidente. Schlenkern è una vecchia parola tedesca che indica una camminata non esattamente diritta, simile a quella di un ubriaco, alla quale si aggiunge il suffisso "-la" del dialetto della Franconia. Il tipico affumicato di questa birra viene ottenuto grazie all'affumicatura di malti con legno di faggio.
Il suo colore è un bel mogano con riflessi rosso rubino; la schiuma, di colore beige chiaro, è fine e cremosa, dalla buona persistenza. Il naso è ovviamente il palcoscenico ideale per il trionfo dell'affumicato; restando in Germania, l'impressione è quella di annusare una fetta di Schwarzwaldschincken (il prosciutto affumicato della Foresta Nera). In Italia il paragone, più che con lo speck, è con una più grassa fetta di pancetta affumicata. Più in secondo piano ci sono sentori di tostatura, cenere, terra e pelle, cuoio. Gradevolissima e morbida in bocca, poco carbonata, corpo medio. L'affumicato si fa per un attimo da parte, lasciando la scena al caramello, alle tostature e ad un bel finale amaro dove c'è anche spazio per una nota di caffè e di cioccolato amaro; solo quando il cerchio si chiude, nel retrogusto,  c'è un ritorno di affumicato e di terroso. Un classico senza tempo, birra pulitissima, sempre gustosa, facile da bere e godibilissima. Bottiglia prossima alla scadenza, ma ancora in buona forma. Estremamente versatile, potete fare di lei (quasi) una session beer da conversazione, una birra da tavola o anche gustarvela più lentamente dopocena. 
Formato: 50 cl., alc. 5.1%, IBU 30, scad. 12/2013, pagata 3.29 Euro (supermercato, Italia).

sabato 19 ottobre 2013

Stradaregina Dubbel

Poco più di un anno di vita, il Birrificio Stradaregina di Vigevano è stato fondato nel 2012 dal birraio Alessio Sabatini (tredici anni di homebrewing alle spalle, leggiamo) e da Andrea Brachini. Entrambi hanno abbandonato le loro precedenti attività (Alessio lavorava come meccanico in un'azienda, mentre Andrea è un ex grafico). Il nome scelto (Stradaregina) è un omaggio alla prima sede in cui si trovava l’impianto (autocostruito) del birrificio, a Vigevano, che ha poi traslocato in Via Manara Negrone, con un nuovo impianto da da 6Hl a vapore, realizzato dall'azienda S.im.at.ec di Vaie (TO). Il debutto ufficiale avviene a Febbraio 2012 presso la Pazzeria di Milano. Al momento la gamma include sei birre, equamente divise tra ispirazione belga ed anglosassone, più una weizen, una natalizia e una barricata “one-shot”. Ampia possibilità di acquistare le birre direttamente dallo spaccio del birrificio, che è aperto dal lunedì al sabato dalle 9 alle 18. Alla prima categoria (belga) appartiene ovviamente questa Dubbel  che andiamo a stappare. Bel colore tonaca di frate/marrone opaco, con una schiuma beige cremosa ma poco persistente. Il naso non è particolarmente intenso, ma c’è una buona pulizia: uvetta, prugne ed una leggera speziatura da lievito è quello che riusciamo ad annotare.  Meglio in bocca,  più che per quel che riguarda l’intensità che l’eleganza, dove troviamo note di biscotto, frutta secca, prugna ed uvetta sultanina, liquirizia e un leggero carattere tostato. 8% il contenuto alcolico dichiarato sul sito del birrificio, solamente 6.7% quello in etichetta: ipotizziamo dunque un qualche cambiamento in itinere, che ha “alleggerito” la birra per favorirne la bevibilità: ed effettivamente è una Dubbel che si beve molto bene, dal copro medio-leggero e con una carbonazione bassa. Chiude con una bella secchezza lasciando un retrogusto nel quale domina la liquirizia con un leggero tepore etilico.   
La nostra memoria è ancora fresca dell’esperienza St. Bernardus Prior 8  (guarda caso 8% ABV) di qualche sera fa, ed onestamente il confronto è abbastanza spietato; non che le nostre aspettative fossero quelle di eguagliare l’esperienza, ma sebbene questa Dubbel di Stradaregina sia gradevole e priva di off-flavors, paradossalmente la facilità di bevuta risulta anche un po’ il suo limite,  non lasciando un grande ricordo di sé nonostante al gusto ci siano diversi elementi in gioco. La loro somma non restituisce una complessità armonica, una birra rotonda, risultando – almeno in questa bottiglia - piuttosto come una somma di singoli elementi isolati, un po’ slegati tra di loro. Birrificio comunque ancora molto giovane, c’è tutto il tempo per (r)affinare le birre e crescere. Curiosità: etichetta che include note gustative, lotto di produzione e IBU, ma che risulta priva dell’indicazione del formato: 33 cl. 
Formato: 33 cl., alc. 6.7%, IBU 29, lotto 11 12 A, scad. 30/12/2015, pagata 4.50 Euro (gastronomia, Italia)

venerdì 18 ottobre 2013

Millevertus La Mère Vertus

Nel 2004 Daniel Lessire lascia il suo lavoro in una banca in Lussemburgo per aprire la Brasserie Millevertus; due sono i fattori concomitanti: il piano di ristrutturazione della banca, che invita alcuni dipendenti ad andarsene e, secondo quanto racconta Daniel, la pressione di sua moglie Jocelyn che lo invitava da tempo ad aprire un birrificio. Nessuna formazione tecnica alla spalle come birraio (immaginiamo un passato almeno da homebrewer?), ma  grande passione e voglia di fare. Sono queste gli strumenti che guidano i primi passi di Daniel che, lentamente ma costantemente, dal 2004 al 2012 passa da 10.000 a 40.000 litri prodotti. Birrificio situato a Breuvanne, nel Lussemburgo belga, non lontano da Arlon. Tante le birre prodotte (troppe, secondo Tim Webb nella Good Beer Guide Belgium) che però iniziano a racimolare premi in alcuni concorsi in Francia ed in Belgio. Il più prestigioso è forse quello del 2012, quando La Douce Vertus viene eletta miglior birra "bruin" della Vallonia. Un trasloco già alle spalle, quello del 2011, quando gli impianti si spostano dalla natia Toernich all'attuale Breuvanne: sono circa 30 chilometri. Divertenti e poco serie le etichette, delle quali trovate qui una breve panoramica.
Ironiche anche le descrizioni delle proprie birre, come quella di questa La Mère Vertus che ci accingiamo a stappare: "l'amaro è il suo credo. Farete meglio a convertirvi, prima di mettervi nei guai con lei. Prima di ogni sorso direte 5 "Padre Nostro" di luppolo e 5 "Ave Maria" di Malto. Sarete illuminati dal suo perfetto equilibrio e dal retrogusto. Un gusto davvero celestiale.. con cinque tipi di malto e cinque di luppolo, questa è la nostra creazione più complessa".
Si presenta di color arancio, con qualche riflesso ramato; splendida la schiuma, biancastra, fine e cremosa, molto persistente. L'aroma è molto dolce, con una leggera speziatura da lievito: albicocca sciroppata, zucchero a velo, scorza d'arancia candita, miele e scorza di limone. Pronunciato e pulito. In bocca solida base maltata (crosta di pane e biscotto), ed un percorso che ricalca in buona parte le orme del naso: miele, zucchero candito e frutta sciroppata (pesca ed albicocca), polpa d'arancia. Molto dolce e sciropposa, con una buona presenza etilica che irrobustisce la bevuta e la rende calda; il corpo è medio-pieno,  con una carbonazione vivace che tuttavia non pregiudica la morbidezza al palato. Necessario (per evitare la stucchevolezza) a questo punto un finale secco e "ripulente" che arriva infatti puntuale, con una leggera nota amaricante erbacea e di scorza d'agrumi. Terminata la pausa, ecco il retrogusto: abboccato, morbido, caldo, leggermente etilico con note di frutta sotto spirito. 
Al di là delle dichiarazioni di facciata "l'amaro è il suo credo" è una tripel ovviamente dolce che riesce comunque a non eccedere mai il limite. Alcool abbastanza ben nascosto, buona facilità di bevuta, buon livello di pulizia. 
Formato: 33 cl., alc. 9%, scad. 09/2014, pagata 1.95 Euro (beershop, Belgio).

giovedì 17 ottobre 2013

Russian River Supplication

Cerchiamo di mettere insieme i tasselli del puzzle, per chiudere il cerchio. C'è un'azienda produttrice di vini californiana (Korbel Champagne Cellars) che ha creato un birrificio in mezzo ai vigneti; l'attività viene ad un certo punto rilevata dal loro birraio, tale Vinnie Cilurzo, ex-homebrewer figlio di una famiglia di viticultori. Ne avevamo già parlato in questa occasione. Dal vino alla birra, dunque, ma con il tempo inizia anche il lento viaggio di ritorno; il tempo è quello delle maturazioni in botti, che Vinnie acquista direttamente dai grandi produttori vinicolo della contea di Sonoma. Gli esperimenti iniziano nel 1999, ovviamente ispirati dall'amore di Cilurzo per le fermentazioni spontanee belghe. Nel nel 2003 Vinnie acquista il birrificio dalla Korbel Cellars e nel 2005 sono già sul mercato le prime birre. Si parte con la Temptation, fermentata con brettanomiceti ed invecchiata in botti che avevano ospitato Chardonnay. Segue la Supplication, leggiamo quanto scritto nel retro dell'etichetta: una brown ale invecchiata in botti di Pinot nero. Nel corso della maturazione in botte, vengono aggiunte marasche (sour cherries), brettanomiceti, lactobacilli e pedicocchi, batteri che qualsiasi produttore di vino deve evitare come la peste. Eravamo partiti da un figlio di viticultori che si mette a fare birra, ed ecco che ora Cilurzo realizza birre che si avvicinano al mondo del vino.
Nel bicchiere è di colore ambrato carico con intensi riflessi rossastri; schiuma biancastra e grossolana, di piccole dimensioni e poco persistente. Naso molto complesso: netto acetico, al quale s'affianca una vivace speziatura (pepe), sentori di legno, marasca, prugna acerba, uva . Man mano che la birra si scalda emergono alcuni lievi sentori tipici dei brettanomiceti, con una bella sensazione di rusticità. Superba in bocca, leggera, vivace e perfettamente carbonata, quasi spumeggiante. Il gusto è miracolosamente in equilibrio tra note acetiche e lattiche, con note aspre di uva, marasca, prugne acerba. La sensazione è quella di bere un prosecco (qualcuno potrebbe dire champagne) ma la facilità di bevuta è di molto superiore: estremamente dissetante e rinfrescante, preferiamo comunque sorseggiarla per apprezzarne la complessità e per gustarla lentamente. In secondo piano troviamo lamponi, legno ed un bel carattere rustico/brettato, con una chiusura secca e leggermente amaricante (mandorla amara). Morbido e delicato il retrogusto, leggermente etilico, tannico e legnoso. Difficile spiegare a parole una birra che regala grandissime sensazioni e soddisfazioni. Pulitissima, complessa ma al tempo stesso semplicissima da bere: una vera goduria. Tutto perfetto, dunque? No: purtroppo Russian River non riesce a soddisfare tutta la domanda statunitense, e  all'esportazione non ci pensa nemmeno. Non la troverete in Italia: per berla dovrete prendere l'aereo, o farvela portare da qualche amico o, mi dicono, c'è il beer-trading.
Formato: 37.5 cl., alc. 7%, lotto 22/06/2012, scad. consigliata 3 anni dall'imbottigliamento, pagata 10.83 Euro (beershop, USA).

mercoledì 16 ottobre 2013

To Øl Reparationsbajer

Dopo una serie  di bevute abbastanza intense e “scure” (Alaskan Smoked Porter, Samuel’s Smith Imperial Stout e St. Bernardus Prior 8), è il momento di una birra quasi defaticante, da bere senza troppi pensieri. Casca a fagiolo questa  Reparationsbajer della beer-firm danese To Øl.  Non è il caso di prenderli sul serio, ma i due allievi di Mikkeller (vedi qui) dichiarano esplicitamente di aver passato qualche anno nel ricercare la ricetta per la perfetta “birra del recupero”, dove per recupero s’intende il riprendersi da un tour de force etilico del weekend ed essere pronti ad affrontare la settimana lavorativa. Studi empirici hanno dimostrato ai due danesi come la birra perfetta per “riprendersi” è un’American Pale Ale con Amarillo, Centennial e Nelson Sauvin; la ricetta, tra l’altro, prevede anche l’utilizzo di fiocchi d’avena. Il risultato viene messo in pratica dal solito De Proef (Belgio) ed ottiene per due anni consecutivi (2011 e 2012) la medaglia d’oro al Beer & Whisky Festival di Stoccolma. Parecchio brutta l’etichetta, meglio versare subito nel bicchiere: color rame/ambra chiaro, opaco e schiuma ocra dalla buona persistenza, cremosa.  Ancora fresco il naso, pulito, con un bel mix di pompelmo e frutta tropicale (mango, papaya, passion fruit), con qualche tocco di lampone. Niente sorprese in bocca, ci aspettavamo una di quelle birre un po’ ruffiane, molto secche e ricche di scorza di agrumi, e così è. Leggera base maltata (biscotto) bell’equilibrio fruttato che richiama l’aroma (agrumi e tropicale), intenso e pulito, e un finale amaro, di media intensità, quasi completamente “zesty” con qualche leggera nota erbacea. Molto gradevole al palato, scorrevole e morbida, senza nessuna deriva acquosa; mediamente carbonata, è un'American Pale Ale che si beve con grande facilità. Non si differenzia molto da tante altre sue sorelle "contemporanee": poco corpo (in questo caso un po' di più della media), tanta scorza d'agrume, grande secchezza, naso ruffiano ed elevato potere dissetante. Non ci sorprende più di tanto, non ci emoziona, ma è comunque un gran bel bere se non stappate birre simili da qualche tempo o se siete in cerca di refrigerio in una calda giornata estiva.
Formato: 33 cl., alc. 5.8%, scad. 24/01/2015, pagata 5.00 Euro (beershop, Italia).


martedì 15 ottobre 2013

St. Bernardus Prior 8

Dopo Wit,  Pater 6, Grottenbier  e Tripel, è arrivato il momento della Prior 8 della St. Bernard Brouwerij. Sorella maggiore della Pater 6, è anch'essa una Dubbel che origina direttamente dai giorni (1946) in cui  al birrificio fondato a Watou da  Evarist Deconinck  viene concessa la licenza di produrre le birre per conto dell’abbazia trappista di St. Sixtus/ Westvleteren.  Dopo un primo rinnovo, il trentennale contratto non viene più prolungato e termina nel 1992. Da quell'anno in poi, la produzione delle Westvleteren ritorna dentro St. Sixtus, mentre a Watou le birre prendono il nome di St. Bernardus. Non solo; mentre a partire dagli anni 90 le Westvleteren subiscono un cambio di ricetta, dovuto all'utilizzo di un ceppo di lievito proveniente dalla Westmalle, la St. Bernard Brouwerij, continua invece ad utilizzare il lievito originale di St. Sixtus. La Prior 8 si può dunque considerare la parente più prossima della Westvleteren 8. Chiaramente il birrificio non può fregiarsi del marchio "birra trappista", riservato a partire dal 1997 solamente alle birre prodotte entro le mura di un monastero trappista. Ma date un'occhiata a questa foto, oppure a questa pagina: le Westvleteren  (St. Sixtus Prior 8) che erano un tempo prodotte a Watou avevano praticamente la stessa etichetta della St. Bernardus Prior 8 attuale, ed il tappo azzurro che oggi identifica la Westvleteren 8.
Beviamo, dunque. Il colore forse non è il suo punto di forza: mogano torbido, con qualche riflesso rossiccio. Perfetta invece la schiuma: beige chiaro, fine e cremosissima, praticamente indissolubile, visto che una leggera patina di schiuma rimane sempre nel bicchiere. Naso complesso ed intrigante: pera al cioccolato, amaretto, speculoos (biscotti alla cannella), zucchero candito, marzapane, mou. Facciamo una pausa e scopriamo in secondo piano leggeri sentori aspri di frutti rossi (ribes?) e dolci di uvetta e di prugna disidratata. Morbida e rotonda in bocca, ha corpo medio ed una discreta presenza di bollicine. C'è una buona corrispondenza con l'aroma: caramello, marzapane, canditi, prugna ed uvetta sotto spirito, biscotto al burro. La prima parte è decisamente dolce e (dolcemente) etilica, calda, ma il tutto è stemperato da una leggera asprezza finale di frutti rossi e, appena avvertibile, una nota amara di frutta secca. Sontuoso il retrogusto, lungo, morbido ed etilico, riscalda il corpo con note di frutta sotto spirito. Dietro ad un'apparente facilità di bevuta si cela un gusto complesso che invita a sorseggiare la birra con calma, assaporandone ogni boccata. Rifuggiamo sempre dall'abusato concetto di "birra di meditazione", ma se state cercando una degna conclusione di una stressante di giornata di lavoro, aprite una Prior 8 e mettetevi comodi in poltrona. Il mondo vi sembrerà molto più lento e silenzioso, e con un po' d'immaginazione vi sentirete trasportati in quei dieci chilometri di tranquilla campagna belga che separa Watou dall'abbazia di St. Sixtus.
Formato: 33 cl., alc. 8%, lotto 2010, scad. 12/03/2015, pagata 1.75 Euro (negozio alimentari, Francia). 




lunedì 14 ottobre 2013

Samuel Smiths Imperial Stout

È il più antico birrificio dello Yorkshire inglese, fondato nel 1758  dalla famiglia Hartley e rilevato poi nel 1847 da John Smith, figlio del ricco macellaio Samuel Smith (senior), che passò poi le redini a Samuel Smith (junior) nel 1886. Non è cambiato molto da allora: la famiglia Smith è ancora proprietaria, l'acqua proviene sempre dal pozzo (26 metri) scavato nel 1758, il lievito utilizzato proviene dallo stesso ceppo utilizzato senza sosta dal 1900 e le birre fermentano ancora in grandi vasche rettangolari formati da blocchi di ardesia. Dei tre birrifici ancora in attività a Tadcaster, la Samuel Smith è il più piccolo, con una quota del 5% di birra prodotta rispetto a quella della Tower Brewery (ex Bass, di proprietà della Coors) e della John Smith. Nella Imperial Stout della Samuel Smith manca l'aggettivo "Russian", ma è comunque una birra che si ispira a quelle che venivano prodotte verso la fine del diciottesimo secolo per essere esportate alla corte degli Zar di Russia, che molto apprezzavano queste birre intense e dal contenuto alcolico importante. Uno stile che non ha invece trovato mai grossi consensi  nella propria terra d'origine; Samuel Smith produsse infatti questa birra per la prima volta nel 1986 per il mercato americano. La craft beer revolution ha poi definitivamente riportato in vita le Imperial Stout, grazie all'apprezzamento dei consumatori statunitensi e scandinavi, e paradossalmente le decine di microbirrifici che sono spuntati in Inghilterra negli ultimi anni annoverano quasi sempre una Imperial Stout nella loro gamma. Si tratta però per la maggior parte dei casi di birre ispirate non tanto dalla loro progenitrice inglese, ma piuttosto dalle interpretazioni molto alcoliche fatte dai colleghi statunitensi e del nord europa.
Tra i pochi esemplari che ancora guardano alla tradizione c'è proprio lei, la Imperial di Samuel  Smith; a partire dall'etichetta, splendida nella sua grafica  vittoriana, dalla bottiglia stretta e lunga, serigrafata, e dall'insolito formato (per l'Inghilterra d'oggi) di 355 centilitri. Sontuoso anche l'aspetto: marrone scurissimo, ai confini del nero, e schiuma color nocciola morbida e cremosa, fine e molto persistente. L'aroma non è forte ma raffinato e molto pulito: orzo tostato, caffè, cioccolato amaro, sentori di fruit cake. Man mano che la birra si scalda emerge una piacevole note etilica che, abbinandosi al cioccolato, dà quasi l'impressione di annusare i profumi di un cioccolatino al rum.  Sensuale e morbida in bocca, poco carbonata ed avvolgente, con una consistenza cremosa ed un corpo da medio a pieno.  Il gusto è complesso: si parte da un imbocco torrefatto e di caffè, seguito da un passaggio dolce di fruit cake e frutta sotto spirito (prugna, uva sultanina, ciliegia), caldo, ed un ritorno del caffè nel finale, caratterizzato da una leggera acidità che stempera il dolce ed introduce, in maniera pressoché perfetta, il lungo retrogusto morbido e caldo dove convivono note amare di caffè e dolci di prugna ed uvetta sotto spirito. Una Imperial Stout pulitissima ed elegante che concentra in relativamente poco alcool (7%) un'intensità di sapori che moltissime sue cugine dall'ABV in doppia cifra solamente sognano. E' molto semplice da bere, ma dietro questa apparente semplicità si cela una complessità tutta da assaporare e da sorseggiare in tranquillità, seduti in poltrona. Il birrificio la consiglia in abbinamento con caffè espresso (sic), formaggio Stilton e noci, cheesecake di limone ed uvetta, zuppa inglese (trifle) al caffè e mandorle tostate, bistecca al pepe, caviale. Ma è semplicemente meravigliosa, e gloriosa, bevuta in solitudine. Se non l'avete ancora provata, uscite di casa, trovatela e colmate questa imperdonabile lacuna.
Formato: 35.5 cl., alc. 7%, lotto 13073, scad. 06/2014, pagata 3.00 Euro (beershop, Italia).


sabato 12 ottobre 2013

Alaskan Smoked Porter 2012

Di birrifici americani ne abbiamo ospitati davvero molti sulle pagine di questo blog, ma è la prima volta che ci rechiamo virtualmente in Alaska; il quarantanovesimo ed il più vasto degli stati americani fu visitato per la prima volta dagli europei a metà del 1700 e divenne in seguito parte dell'impero russo. Nel 1867 gli Stati Uniti l'acquistarono al prezzo di circa 5 dollari per chilometro quadrato; quella che all'epoca sembrò un'operazione assolutamente inutile dal punto di vista economico, si rivelò poi un grande successo grazie alla scoperta di giacimenti auriferi e petroliferi, che rimpiazzarono rapidamente il commercio di pellicce di animali, sino ad allora l'unico motivo che poteva spingere qualche avventuriero in cerca di fortuna in quel territorio freddo ed inospitale. Diverse invece le motivazioni che hanno spinto Geoff e Marcy Larson a trasferirsi in Alaska; si conoscono, nel 1979, quando entrambi lavorano al Glacier Bay National Park. Lui è un ingegnere chimico - novello homebrewer -  mentre lei è una ragioniera in cerca d'avventura; decidono di andare a vivere assieme nella vicina città di Juneau dove Geoff  lavora come ingegnere in una miniera (d'oro) e Marcy viene assunta dalla pubblica amministrazione. Tra le loro aspirazioni future c'è anche quella di aprire un microbirrificio in proprio, e la decisione scatta nel momento in cui la società dove lavora Geoff chiude. Due anni di preparativi, grandi idee in cantiere che si scontrano con la recessione e la mancanza di fondi; gli investitori non sono molto interessati a finanziare un business plan che prevede l'apertura di un birrificio in una città che - all'epoca - ha a malapena delle strade asfaltate che la raggiungono.  E' così che solo grazie all'aiuto economico di 88 concittadini nasce la Alaskan Brewing Company, sessantasettesimo birrificio americano e primo birrificio in Alaska dopo la fine del proibizionismo. Sono dodici gli amici volontari che nel dicembre 1986 passano 12 ore ad imballare le prime 253 casse di birra che vengono distribuite in città. Da allora Geoff e Marcy hanno collezionato oltre un centinaio (la metà sono ori) di medaglie in diverse manifestazioni americane. 
Una sessantina le birre listate su Ratebeer, tra le quali spicca senza dubbio la Smoked Porter. Una ventina di medaglie raccolte (qui la lista), tredicesima miglior American Porter al mondo secondo Beer Advocate e quarta miglior birra affumicata al mondo per Ratebeer. Prodotta per la prima volta nel 1988, viene commercializzata ogni anno il primo Novembre. Una birra che non si rifà alla tradizione tedesca delle rauchbier, ma a quella americana; Geoff e Marcy scoprono alcune ricette della fine del diciannovesimo secolo. In Alaska era tradizione affumicare il salmone con il legno dell'ontano, ed era anche tradizione produrre delle porter affumicando i malti. Malto (cinque i tipi utilizzati) che viene affumicato dal birrificio stesso. Quasi nera, con un piccolo cappello di schiuma nocciola, cremosa ma non molto persistente. L'aroma è semplice ma forte e molto pulito: netto l'affumicato (molto raffinato), che nello specifico ricorda la pancetta affumicata, e più in secondo piano sentori di cioccolato amaro e di mirtillo. Ottime le prime impressioni in bocca: birra molto scorrevole ma morbida, mai acquosa, quasi perfetta. Corpo medio-leggero, poche bollicine, gusto intenso di tostature, caffè e cioccolato amaro, che si alternano tra di loro con estrema pulizia e grande equilibrio. L'affumicato torna ogni tanto a fare capolino, ma in modo molto più discreto rispetto all'aroma. Gradevole acidità finale, con retrogusto amaro mediamente intenso di caffè e - di nuovo - affumicato. Porter  elegante e raffinata, elogio della semplicità che si beve con impressionante facilità senza nessun sacrificio a scapito dell'intensità.  Il birrificio la consiglia in abbinamento a pesce affumicato, formaggi e "piatti robusti", dolci (gelato alla vaniglia e fragole) e, ovviamente, come dopocena. Nonostante la gradazione alcolica abbastanza modesta, sembra essere una birra che si presta all'invecchiamento; il birrificio organizza spesso delle degustazioni verticali notando come dopo 3-4 anni dall'imbottigliamento l'affumicato tende a lasciare il posto a note di sherry, frutti di bosco ed uvetta, per tornare poi come protagonista (quasi per magia) al quinto anno.
Formato: 65 cl., alc. 6.5%, IBU 45, lotto 18/09/2012 8:58, scad. 26/12/2026, pagata 14.00 Euro (enoteca, Italia).

venerdì 11 ottobre 2013

Mikkeller Sort Gul

Non poteva certo mancare nella vasta, ormai quasi sterminata gamma di Mikkeller (date un occhiata qui per rendervi conto)  una Black IPA.  Lacuna che viene colmata con un po’ di ritardo, a metà del 2012, quasi quando la Black IPA Mania sta un po’ scemando; singolare comunque che una beer-firm molto attenta (anche perché non deve preoccuparsi del processo produttivo) al marketing, al beer-rating ed al geekismo sia arrivato sul mercato abbastanza in ritardo rispetto ai concorrenti. Etichetta un po’ sotto tono (a mio parere), produzione affidata al solito De Proef, e nome (Sort Gul) che significa semplicemente “Nero Giallo”; non un granchè, ma quando si hanno già commercializzato ben più di un centinaio di birre è forse accettabile avere un po’ la creatività in riserva.  Impeccabile l’aspetto: black IPA davvero nera, lucida con una generosa testa di schiuma nocciola, compatta e cremosa, molto persistente.  Al naso il benvenuto lo danno sentori di pompelmo e mandarino, con qualche inatteso accenno di frutta rossa (lampone); man mano che la schiuma si dissipa e la birra si scalda inizia ad emergere la parte “black”:  pane nero, tostature, sentori terrosi. L’aroma è pulito e di discreta intensità. Convince un po’ meno in bocca. Al di là di un sontuoso ingresso, molto morbido, quasi cremoso, questa Sort Gul si rivela molto meno “IPA” del previsto mandando in prima linea i malti; torrefatto, caffè, e leggere note di cioccolato sono gli elementi più in evidenza, con la frutta (pompelmo) che agisce da comprimaria anziché menare le danze. L’amaro non si fa attendere, in un mix di terroso, resinoso e torrefatto, con un risultato ai confini della (robust) porter molto luppolata. Corpo medio, una bella secchezza ed una carbonazione medio-bassa, finisce con un lunghissimo retrogusto amaro tostato/terroso/resinoso. L’alcool (7.3%) è quasi non pervenuto, e tuttavia questa bottiglia non è affatto un mostro di bevibilità. Se la prima parte della bevuta aveva una controparte fruttata, l’ultimo tratto di strada batte troppo e  troppo a lungo sullo stesso tasto dell’amaro e tende a saturare il palato, invitando a sorseggiare piuttosto che a bere, prendendosi le necessarie pause.  Sort Gul è una birra pulita e solida, abbastanza sbilanciata verso il “black”, rispetto all’IPA, che non ci ha regalato molte emozioni, se non un pochino di noia.
Formato: 33 cl., alc. 7,3%, scad. 07/06/2016, pagata 5.00 Euro (beershop, Italia).

giovedì 10 ottobre 2013

LoverBeer Marche'l Re 2010

Periodo poco fortunato per le Imperial Stout italiane che stappiamo in questi giorni autunnali; dopo la sfortunata Imperial di Maltus Faber di qualche giorno fa, ecco un altro incontro sfortunato con la Marchè'l Re del (solitamente) ottimo birrificio piemontese Loverbeer guidato da Valter Loverier. Ma procediamo con ordine, con la spiegazione dell'inusuale nome che vi viene data da Valter stesso: "Marchè'l Re è un gioco di carte piemontese e il suo significato è "segnare (marcare) il re". Nei locali dove ancora oggi si gioca non è raro vedere che la consumazione è il caffè con fernet. Questa birra si ispira a quel sapore".  Base di partenza è l'altra imperial stout di Loverbeer, l'ottima Papëssa (vedi qui) che viene messa in barrique per dodici mesi con l'aggiunta di spezie; oltre a queste, la ricetta cita tra gli ingredienti malto d'orzo, luppolo, zucchero, avena, caffè (0,3%) e china calissaia (0,1%). Si autodefinisce una IICSS, ossia un'Italian Imperial Coffee Spiced Stout. Edizione 2010. Non è senz'altro l'aspetto il punto di forza di questa birra; marrone scurissimo molto torbido, quasi "paludoso", niente schiuma e nessun pizzo ai bordi del bicchiere. Al naso un mix di profumi abbastanza insolito: più che cuoio ci viene da pensare all'odore di pelle artificiale, china, salsa di soia, alcool, qualche remotissimo sentore di caffè e legnoso. In bocca si presenta completamente piatta, con un corpo medio-leggero. 
Nettissimo il profilo salmastro, con salsa di soia a sostituire caffè e tostature. A metà bevuta appare qualche nota acetica ed aspra (frutti rossi), mentre il finale è di nuovo salmastro e molto astringente. Birra molto slegata, priva di retrogusto, che ci limitamo solamente a descrivere. Davvero difficile finire la bottiglia; alla prossima occasione, se mai capiterà.
Formato: 37.5 cl., alc. 8,5%. lotto PMER 02-1111, scad. 12/2016, pagata 7.50 Euro (foodstore, Italia).

mercoledì 9 ottobre 2013

St Feuillien Grand Cru

La Brasserie St Feuillien ve l'abbiamo brevemente introdotta in questa occasione, praticamente un anno fa. Oggi assaggiamo quella che, da quanto leggiamo, è l'ultima nata a Le Roeulx, il comune belga della regione dell'Hainaut dove il birrificio ha sede. La Grand Cru di St. Feuillien, al contrario di quanto la foto sembra indicare, si presenta di colore oro pallido, leggermene velato; impeccabile la schiuma che si forma: generosa, compatta, quasi pannosa, ottima persistenza. Il naso apre dolce di frutta gialla, pesca ed albicocca; in secondo piano troviamo polpa d'arancia, miele, ed una leggera speziatura pepata. L'aroma è forte e pulito. Molto bene anche le prime sensazioni in bocca: birra solida ed alcolica (9.5%), dal corpo pieno, con una carbonazione elevata che la rende vivace pur senza intaccarne la morbidezza palatale. Dolce anche il gusto, con una base maltata di biscotto e crosta di pane, poi miele e frutta gialla, per una coerenza quasi totale con l'aroma. La marcata dolcezza della prima parte viene stemperata dalle vivaci bollicine e dalla secchezza finale, con una chiusura leggermente amara (mandorla, nocciolo di pesca) che ricorda un po' un prosecco, giustificando così il nome derivato dell'enologia (Grand Cru) che il birrificio le ha dato. L'alcool è sempre ben nascosto, facendosi notare solamente nel morbido e caldo retrogusto ricco di frutta sotto spirito. Birra molto pulita, solida e ben fatta, si beve con sorprendente facilità e mostra anche un ottimo potenziale per gli abbinamenti gastronomici. 
Formato: 33 cl., alc. 9.5%, lotto C 15:20, scad. 24/05/2014, pagata 1.90 Euro (beershop, Belgio).

martedì 8 ottobre 2013

Rittmayer Annual Reserve Edition #6 2012

La Rittmayer Brauerei è il birrificio più antico di tutto il comune di Forchheim; siamo nel sobborgo di Hallerndorf, per la precisione (una ventina di chilometri a sud di Bamberga), dove la omonima famiglia lo fonda nel 1422. Oggi tocca a George Rittmayer portare avanti una tradizione multisecolare, senza però rinunciare all'innovazione. Nel 2012 sono stati infatti inaugurati i nuovi impianti produttivi, nella periferia di Hallendorf, adiacenti ad un altro edificio, sempre di proprietà dei Rittmayer, dove vengono imbottigliate (alla capacità massima di 18.000 bottiglie l'ora) non solo le birre di Rittmayer ma anche di altri birrifici della Franconia. Il nuovo birrificio Rittmayer ha una capacità di circa 35.000 ettolitri l'anno; per assaggiare le birre potete recarvi presso i locali originali del vecchio birrificio, in pieno centro di Hallerndorf (Trailsdorfer Straße 4) o, poco fuori città, alla Kreuzbergkeller che nella bella stagione offre anche, secondo il sito del birrificio, uno dei più bei Biergarten di tutta la Franconia. Ma l'innovazione alla quale accennavamo poco fa non riguarda solamente l'ammodernamento degli impianti produttivi. Accanto ad una ventina di birre prodotte, quasi tutte assolutamente rispettose della tradizione brassicola tedesca, il birrificio propone ogni anno alcune edizioni speciali (Rittmayer Annual Reserve) o maturate in legno (Rittmayer Oak Reserve). Alla prima categoria appartiene questa Annual Reserve Edition #6 2012, commercializzata in una generosa (per gli standard tedeschi) e pesantissima bottiglia da 75 centilitri. Molto ricca d'informazioni e di note gustative l'etichetta, purtroppo tutta in tedesco, che riusciamo a decifrare appellandoci ai ricordi scolastici.
Prodotta con malti Vienna e Pilsner e solamente luppolo Tettnanger. Imbottigliata ad Ottobre 2012, il birrificio ne stabilisce la maturazione ideale due anni dopo, ovvero alla data del "consumarsi preferibilmente entro". Quindi in teoria l'abbiamo stappata con 12 mesi d'anticipo (ci siamo accorti dell'indicazione in etichetta troppo tardi). Ma passiamo alla sostanza: la birra, leggermente velata, è di colore dorato con riflessi arancio. La schiuma è biancastra e cremosa, compatta e croccante, ma non molto persistente. Naso molto fruttato con sentori di arancia e pompelmo, pesca, albicocca, miele acacia ed una leggera nota pepata; aroma fresco e pulito, invitante. Nessun grosso cambiamento al palato: ingresso malnato (biscotto) poi qualche nota di miele ma soprattutto un ritorno della stessa frutta dell'aroma, con una corrispondenza pressoché totale. Ottima pulizia e buona intensità, in una birra che dà il meglio di sè abbastanza fresca, in relazione alla temperatura. Scaldandosi aumenta in dolcezza, con il miele molto più in evidenza, e con il palato che rimane un po' appiccicoso dopo ogni sorso. La chiusura è leggermente amara/erbacea, con qualche nota terrosa e un retrogusto abboccato di frutta gialla. Unica nota dolente riguarda il prezzo, molto poco  tedesco; pensavamo di averla pagata cara a causa dei soliti rincari che avvengono sul suolo italico, ma spulciando il sito del birrificio ci siamo accorti che anche in Germania viene venduta intorno ai 19 Euro/litro.
Formato: 75 cl., alc. 6,2%, lotto 2012, scad. 10/2014, pagata 14,90 Euro (fiera, Italia)

lunedì 7 ottobre 2013

Maltus Faber Imperial

Doveroso iniziare con una premessa, oggi; non sono un bevitore "seriale". Il poco tempo libero a disposizione mi permette spesso di concedermi solo una bottiglia di birra a fine giornata, dopocena; la passione per il beer hunting ed il costo della birra in Italia (nonchè la reperibilità spesso difficoltosa) mi spingono più che altro a destinare i fondi ($$) a disposizione più che altro per l'acquisto di birre ancora non provate piuttosto che a ricomprare quelle che mi sono piaciute. Questo vincola ovviamente le impressioni che riporto su questo blog a, spesso, l'unica occasione in cui mi capita di bere la birra. La costanza produttiva dovrebbe essere una priorità per ogni birrificio, al di là delle inevitabili tolleranze dovute alle caratteristiche delle materie prime utilizzate che possono sensibilmente variare di raccolto in raccolto. Quando bevo un'ottima birra di solito ne parlo con entusiasmo, elogiandola, senza lasciarmi sfiorare dal dubbio che si tratti di una bottiglia "miracolata" (ovvero il contrario del tanto abusato concetto di "bottiglia sfortunata"). Dopotutto la bottiglia "in forma" dovrebbe essere la norma, non l'eccezione, pur non dimenticando i diversi fattori (distribuzione, stoccaggio) indipendenti dal controllo di chi la birra l'ha prodotta. Viceversa, quando ciò che verso nel bicchiere ha degli evidenti problemi o difetti, il primo pensiero che mi viene in mente è quello della "bottiglia sfortunata". Soprattutto se hai comprato quella bottiglia proprio perché altre persone ne hanno parlato bene, te l'hanno consigliata, o magari ha raccimolato qualche premio in qualche concorso (qui il discorso sarebbe da ampliare, ma non è questa la sede adatta). La scelta "editoriale" di questo blog è di scrivere comunque di quello che c'è nel bicchiere in quella specifica occasione, nel bene e nel male. Dopotutto la birra l'ho pagata (spesso anche ad un prezzo non esattamente economico) e questo blog, dal numero di lettori tutto sommato modesto, non ha lo scopo di pubblicizzare o promuovere gratuitamente o a pagamento nessun prodotto. 
Premessa necessaria per parlare della Imperial del birrificio genovese Maltus Faber. Biglietto da visita: numerose stellette nelle diverse edizioni della Guida alle Birre d'Italia di Slowfood, 5° miglior birra italiana secondo Ratebeer 2012, ed in ottava posizione se guardiamo la classifica attuale. E (ed è questo che conta per me, soprattutto), tanti elogi da parte di "fidati" e noti (per chi bazzica sui forum e sui blog) appassionati birrofili italiani. Una birra che avevo da lungo tempo sulla mia "wishlist" e che sono finalmente riuscito a trovare, lo scorso anno, al Salone del Gusto di Torino. Un anno di cantina e finalmente il momento di stapparla, con grande delusione. Marrone scurissimo, praticamente nera; più che di schiuma, è più corretto parlare di una leggera patina cremosa color beige che si forma sulla superficie della birra, e che scompare abbastanza rapidamente lasciando un leggero pizzo intorno al bicchiere. L'aroma è tutto sommato discreto, abbastanza pulito ma non molto pronunciato: sentori di nocciola, caffè e cacao, mirtillo e liquirizia. I problemi iniziano invece al palato: la birra è piatta, scarica, con un corpo medio ed una buona viscosità ma completamente slegata. In bocca è praticamente una tisana di liquirizia; nessuna traccia di quelle caratteristiche che ti aspetteresti in una Imperial Stout; torreffatto, caffè, cioccolato. Liquirizia ed alcool (non fastidioso, in verità) da capo a coda. La rimettiamo sulla wishlist sperando di tornarla ad incontrare, la prossima volta, in condizioni migliori. Formato: 33 cl., alc.7,8%, lotto 153, scad. 01/2014, pagata 5.00 Euro.

domenica 6 ottobre 2013

Bouillon La Noire Fontaine

Noirefontaine è un piccolo villaggio che si trova a nord del paese di Bouillon, nella provincia del Lussemburgo belga. Nel 1994 Nathalie e Jacques Louis Pougin vi aprono il  Marché de Nathalie, un negozio di frutta, verdura e formaggi; la vicinanza al confine con la Francia e l’afflusso di turisti li spinge a tenere sugli scaffali anche qualche birra (soprattutto trappista) da offrire assieme ai formaggi. L’idea è vincente, e nel giro di un anno l’assortimento in vendita passa da 50 a 150 bottiglie. Sempre più interessati alla birra, Nathalie e Jacques decidono di approfondire la conoscenze degli stili e delle  tecniche produttive per meglio poter consigliare i propri clienti; la visita a numerosi birrifici si conclude con l’idea di far produrre una propria birra (la Cuvée de Bouillon) da un birrificio della provincia di Namur. La Cuvée ha un grosso successo di vendite, e convince nel 1997 i due proprietari ad aprire un loro proprio microbirrificio. L’ultimo birrificio a Bouillon aveva chiuso i battenti nel diciannovesimo secolo. Nel frattempo, frutta e verdura spariscono dagli scaffali del negozio per lasciare il posto a circa 250 etichette di birra. In Giugno 1998 nasce ufficialmente Le Marché de Nathalie - Brasserie de Bouillon, con gli impianti produttivi sistemati nel retro del negozio: le due prime birre sono La Médiévale e  La Bouillonnaise Brune. Dopo sei anni d'attività, nel 2004 è il momento di affrontare i problemi di capacità produttiva, giunta ormai al massimo ed insufficiente a soddisfare tutta la richiesta del mercato. I locali del birrificio non permettono l'aggiunta di ulteriori fermentatori, e così i coniugi Pougin optano per spostare gli impianti produttivi in uno stabile più capiente, che diventa operativo dal 2005. Da allora si sono moltiplicate le etichette, ed al momento Ratebeer ne elenca circa una sessantina; da notare che il sito ufficiale della Brasserie de Bouillon ne presenta solamente quattro; fra queste manca quella che ci è capitata, ovvero La Noire Fontaine. Ratebeer la classifica come una Schwarzbier, a noi sorge più di un dubbio che si tratti di una bassa fermentazione. Ad ogni modo, è di un bel color ambrato carico con intensi riflessi rubino; la schiuma, molto persistente, è fine e cremosa, di colore beige chiaro. Aroma poco pronunciato ma pulito e molto dolce; pane nero di segale, caramello, cereali, prugna e ciliegia, leggeri sentori di zucchero candito. In bocca risulta meno dolce di quanto il naso lasci temere; corpo medio, carbonazione abbastanza vivace, e consistenza watery.  C'è un variegato profilo maltato di caramello, biscotto al burro, pane di segale e qualche traccia di cacao in polvere, non troppo elegante (ricorda il Nesquik) con qualche accenno sciropposo di frutta (uva e prugna). Siamo sempre nel territorio del dolce, ma c'è un bel finale abbastanza secco che ripulisce il palato e lascia un retrogusto abboccato di frutta secca e frutta sotto spirito, appena riscaldato da una leggerissima nota etilica. L'alcool dichiarato è 8%, ma se non leggete l'etichette difficilmente gliene attribuirete più di 6. Birra pulita, dolce ma non stucchevole, di discreta intensità ma non di particolare eleganza in alcuni passaggi (Nesquik, sciroppo di frutta). Formato: 33 cl., alc. 8%, scad. 05/2014, pagata 1,85 Euro (beershop, Belgio).

sabato 5 ottobre 2013

Bristol Beer Factory Independence

Dopo oltre un anno torniamo finalmente ad avere nella pinta qualcosa della Bristol Beer Factory, l'interessante birrificio inglese che vi abbiamo presentato in questa occasione. Dopo le positiv(issm)e Acer e Southville Hop, ora tocca alla Independence, che il birrificio la descrive come una "heavily hopped American Pale Ale"; nessuna informazione sul mix di malti e luppoli utilizzato, quindi tuffiamoci subito nella pinta.  Il colore è un nebuloso arancio con riflessi ramati; la schiuma, biancastra, è abbastanza fine ed ha una buona persistenza. Bottiglia con diversi mesi di vita sulle spalle ma con un aroma ancora in buona forma, pulito e sorprendentemente fresco, con monopolio di agrumi: mandarino, arancio, pompelmo. In sottofondo leggeri sentori di caramello e, ancora più remoti, di frutta tropicale (passion fruit, ananas). Molto scorrevole e leggera in bocca, mantiene comunque una buona rotondità e la sensazione al palato è morbida e molto gradevole senza risultare troppo acquosa, nonostante una base di malto appena percepibile (pane e cereali). C'è qualche leggera nota di caramello ma soprattutto polpa (dolce) d'arancio seguita da un amaro "zesty" ricco di pompelmo e di lime. Finale molto secco e pulito, retrogusto amaro di buona intensità con lime e qualche nota erbacea. Birra dissetante e divertente da bere, session beer che si candida a tenervi compagna per un'intera serata estiva. Non esattamente un'American Pale Ale, ma piuttosto una English American Pale Ale, se ci passate il nonsense; un'altra ottima birra da uno dei nostri birrifici inglesi preferiti, ancora mai ufficialmente importato in Italia, per quanto ne sappiamo. Peccato.
Formato: 50 cl., alc. 4,6%, scad. 15/01/2014, pagata 3,95 Euro (beershop, Inghilterra).

venerdì 4 ottobre 2013

Birrificio del Forte Regina del Mare

Debutta ad inizio del 2013 quella che – escludendo la  Mancina XL, disponibile solamente nel generoso formato da 150 cl. – è la birra più “forte” del Birrificio del Forte (concedeteci il gioco di parole): una Belgian Strong Ale da 8% di ABV. A due anni dal debutto (Agosto 2011) il birrificio di Pietrasanta (Lucca) annovera ancora “solamente” sette birre in produzione, quasi una rarità rispetto alla tendenza attuale che vede i birrai sempre più rincorrere le novità, le collaborazioni, le, one-shot, le edizioni barricate ed innumerevoli varianti di una stessa ricetta. Non possiamo comunque che approvare la scelta di  Carlo Franceschini e Francesco Mancini di continuare a perfezionare un numero limitato di ricette lavorando sulla costanza produttiva piuttosto che inondare il mercato di birre che si differenziano l’una dell’altra solamente per un luppolo o per la varietà di caffè utilizzato. Ed in effetti una Strong Ale mancava nella gamma del Forte.  Regina del mare, questo il nome scelto per una birra che, secondo la descrizione ufficiale,  “incarna lo spirito di una divinità delle acque: femminile ma decisa, morbida ma energica, potente ma mai violenta. La sua forza si manifesta come l’abbraccio di una marea sensuale ed avvolgente. Belgian Ale bruna e sontuosa: sovrana della tavola nei pranzi principeschi, accompagna al meglio le pietanze più ricche, formaggi stagionati, dolci alla frutta ed il meritato relax del dopocena”.  Si presenta di un bel colore ambrato carico, con riflessi rossastri; non dà molte soddisfazioni invece la schiuma: color ocra, piccola, poco persistente. Il naso, dolce e ricco, dispensa zucchero candito (a tratti quasi zucchero filato), caramello e molta frutta secca: uvetta, prugne e datteri, scorze d'arancio candite. Il percorso gustativo procede in linea retta, con una corrispondenza pressoché perfetta con l'aroma; anche in bocca c'è frutta (sotto spirito) in quantità, uvetta, prugne e datteri. La bevuta è ammorbidita ed intensificata da un diffuso calore etilico, che non deborda mai, confortando e quasi "cullando" il bevitore. Non c'è quasi amaro, ma troviamo piuttosto qualche nota di caramello ed un finale, un po' appiccicoso, che continua nella stessa rassicurante direzione: morbido calore etilico e frutta sotto spirito. Strong Ale molto ben fatta e molto dolce, e per una volta ci sentiamo di condividere la descrizione che ne fa il birrificio: potente ma mai violenta, morbida ma energica, accompagna il meritato relax del dopocena. Formato: 75 cl., alc. 8%, lotto L123332, scad. 06/2014, pagata 9,50 Euro (foodstore, Italia).

giovedì 3 ottobre 2013

By the Horns Lambeth Walk

Ritorniamo a Londra, città in pieno fermento brassicolo, e ci spostiamo questa volta verso sud; siamo ad un paio di chilometri da Wimbledon e dai famosi campi da tennis. Ad agosto del 2011 Chris Mills ed Alex Bull fondano il birrificio By the Horns e debuttano l'ottobre seguente al London Brewers Alliance Beer Festival. Alex ha qualche anno di homebrewing alle spalle ed un grande amore per le birre americane. Perfettamente coerente con molti dei birrifici che sono spuntati a Londra negli ultimi anni, così come non sorprende il fatto che in due anni vita Ratebeer elenchi giù una trentina di birre, anche se si tratta per lo più di leggere variazioni (luppolo) della stessa ricetta. Lo stesso Ratebeer non dispensa tuttavia giudizi troppo positivi per le birre di By the Horns, fatta eccezione per questa Lambeth Walk, una porter che ottiene un dignitoso 96/100. Non conoscendo per nulla il birrificio, ci siamo fidati di Ratebeer. Semplice ma convincente l'etichetta, che offre una piacevole sorpresa; un riquadro dell'etichetta è staccabile e, sollevandolo dal corpo della bottiglia, potete trovare un piccolo annuncio pubblicitario che vi invita a provare anche le altre birre.
Difficile da spiegare a parole, probabilmente l'immagine qui a fianco risulta più convincente di qualsiasi altra cosa. Birra nel bicchiere: colore ebano scurissimo, forma una schiuma non troppo generosa ma fine e cremosa, color nocciola. Sorprendente l'aroma: forte, pulito e raffinato, con un netto dominio di caffè macinato, brownie ( o torta Barozzi, secondo le abitudini del nostro naso), cioccolato, leggeri sentori di cenere. Man mano che la birra si scalda emerge anche una nota di mirtillo. Nessuna delusione delle aspettative al palato: corpo medio, poche bollicine, più oleosa che "watery". La sensazione in bocca è molto positiva, c'è morbidezza anche se non ai livelli del "velluto" che viene invece sponsorizzato in etichetta. Sorprendente l'aroma, dicevamo, ma il gusto non è da meno, anzi: caffè in grande evidenza, molto pulito ed elegante, con in contorno di tostature e di cioccolato amaro. Una leggera acidità stempera per qualche secondo gli animi, poi chiusura abbastanza secca ed abbandono al lungo retrogusto di caffè, molto amaro, con una leggerissima nota di cenere.
Una porter "pompata" o robusta, che mette in mostra un'intensità davvero notevole di aroma e gusto nonostante una gradazione alcolica (5,1%) abbastanza modesta; molto sbilanciata verso il caffè, ma se vi piacciono questo tipo di birre vi consigliamo di annotarla sulla vostra lista dei desideri. Si beve bene ma non è una birra da bevute seriali. Meglio sorseggiarla in abbinamento ad un dolce o, se preferite, durante un tranquillo dopocena. Abbinamenti gastronomici consigliati in etichetta: carne alla griglia affumicata, ostriche, l'arrosto della mamma della domenica (sic), e la Lambeth Walk Cake, una ricetta di dolce alla birra che trovate proprio sul sito del birrificio.
Birra molto interessante, birrificio di recente apertura che terremo d'occhio. Formato: 33 cl., alc. 5,1%, lotto 144349, imbott. 20/03/2013, scad. 03/2014, pagata 4,25 Euro (beershop, Inghilterra).