Lo stile che ha maggiormente caratterizzato la cosiddetta "rivoluzione della birra artigianale" è - che vi piacciano o meno - quello delle IPA, le India Pale Ale; cadute nel dimenticatoio dai fasti del diciannovesimo secolo e risorte grazie alla loro reinterpretazione effettuata dai microbirrifici americani a partire dagli anni '80, le IPA si sono poi ritagliate un ruolo da protagoniste nella (ri)nascita della birra artigianale in quasi tutte le nazioni. Italia e Scandinavia, Spagna, Brasile, Francia. Nella loro patria d'origine, l'Inghilterra, sono rinate a suon di luppolature americane ed esotiche; persino in Belgio i birrari sono stati in qualche modo "costretti" ad aggiungere più luppolo a qualche loro produzione e, per finire con il paese più tradizionale di tutti, la Germania, anche qui la "craft bier" ha iniziato a muovere i primi passi con le IPA. E non dimentichiamoci la Repubblica Ceca e la Polonia.
Con il passare degli anni negli USA le IPA sono diventate l'ordinario e con ciò è giunta la necessità di superarle, reinventandole: sono state dapprima raddoppiate o imperializzate (IIPA), poi triplicate (Triple IPA), poi imbastardite con lieviti non "convenzionali" (Belgian IPA, Farmhouse IPA) e poi si è cominciato a giocare con il colore. Ecco il controsenso delle Black IPA e poi le White IPA, queste ultime di recentissima moda; e volendo potreste aggiungere o levare a piacimento gli aggettivi, creando ad esempio una Imperial Belgian Black IPA. Ah, dimenticavo le Rye IPA (con utilizzai di segale).
Per un po' di anni la tendenza, nata ed esportata dagli Stati Uniti (dove "bigger is better"), è stata quella dell'abbondare e del potenziare, creando birre sempre più alcoliche e sempre più luppolate, o dagli IBU teorici sempre più elevati. Esplorato ed esaurito anche questo territorio, a partire dal 2010 qualcuno ha invece iniziato ad andare in senso opposto; non sono ancora riuscito ad individuare quale sia stato il primo esempio nella storia ad autodefinirsi così, ma dopo quello delle Black IPA è nato quello che potrebbe essere un nuovo ossimoro, quello delle Session IPA.
Partiamo dal concetto di “Session beer”, che solitamente identifica quelle birre dalla gradazione alcolica inferiore al 4.5% che potete bere in grandi quantità senza necessariamente andare incontro ad una (pesante) ubriacatura. La storia del termine “session” è abbastanza fumosa; vi segnalo questo articolo di Martyn Cornell per chi volesse approfondire. E va anche fatta una distinzione tra Regno Unito e Stati Uniti; mentre la soglia di una session beer in UK si colloca al di sotto del 4% (è ciò che solitamente distingue una Bitter/Ordinary Bitter da una Best Bitter), negli Stati Uniti il Great American Beer Festival, che nel proprio concorso ha una categoria chiamata “session beers”, indica il 5% come soglia massima [anche se negli USA una modifica al 18th Amendment/Proibizionismo aveva nel 1933 consentito la produzione in alcuni stati di una birra leggera (la “3.2 Beer”) con un ABV inferiore appunto al 3.2%: una soglia "session" che poteva essere presa in considerazione].
Perché, quindi parlare di ossimoro? Perché le linee guida dello stile IPA prevedono un contenuto alcolico decisamente superiore alle soglie elencate sopra: citando di nuovo il GABF, per una English IPA si parla di 5,1-7.1% e per una American IPA di 6.3-7.6%. Realizzare quindi una IPA con un ABV del 4% vorrebbe dire per qualcuno fare semplicemente una (fucking) Pale Ale molto luppolata (cito questo divertente articolo-sfogo). Ma restiamo negli Stati Uniti perché l’idea delle “Session IPA” è principalmente nata qui, dove “bigger is better”; in Inghilterra c’è ampia scelta di birre con un basso ABV, e ci sono già esempi di IPA ben al di sotto della soglia del 5% stabilita dal BJCP (cito ad esempio la Harveys India Pale Ale , 3.2%) senza nessun bisogno di scomodare il termine “session”.
Ma si può “sessionare” una IPA ? No, una IPA fedele alle linee guida, non sarà mai sessionabile e non riuscirete a berne molte pinte senza poi accusarne il peso (alcolico). Per farlo è stato quindi necessario creare una versione “ridotta” di una IPA: "la sfida di luppolare "come" una normale IPA una birra dalla bassa gradazione alcolica consiste nell'evitare un carattere eccessivamente erbaceo e vegetale, in quanto il basso contenuto alcolico cambia il modo in cui si sviluppa il profumo ed il sapore dato dal luppolo", scrive Mitch Steele nel libro "IPA". Grande attenzione quindi al dry-hopping, capace di regalare complessità ad una birra nata per essere semplice e per essere bevuta con estrema semplicità. Dicevo, è all’incirca nel 2010 che negli USA appaiono le prime “Session IPA”, ma è solamente nel 2012 che iniziano a fare tendenza, soprattutto dopo la nascita della All Day IPA realizzata dalla Founders in Febbraio. Una sua ricetta sperimentale aveva già vinto la medaglia d'argento al GABF del 2010; disponibile prima in bottiglia e poi in lattina (ora anche nel succosissimo “family” pack da 15 lattine, una vera goduria se acquistata al prezzo americano), la birra ottiene un clamoroso successo, e nel 2013 occupa già il 27% dell’intera produzione del birrificio del Michigan sorpassando nei volumi anche la storica Centennial IPA.
Ma non perde tempo nemmeno il geekissimo sito Ratebeer, che crea una categoria apposita, quelle delle Session IPA: il termine Session IPA identifica una categorie di birre caratterizzate da un profilo dominante luppolato ed un livello di alcool "sessionabile". Sebbene questo sia di solito tra il 3.2 ed il 4.6, alcuni hanno un po' allargato i confini. Si differenzia da una American Pale Ale per il minor tenore alcolico e per avere un profilo più luppolato. Le migliori Session IPA del mondo secondo i beer-raters ? A guidare le danze sono due birrifici molto sulla cresta dell’onda e dalla distribuzione alquanto limitata, una condizione che spesso fa aumentare i “voti” anche solo per il piacere di essere riusciti a “berle”: Hill Farmstead in Vermont (Walden, 3.7%) e il nuovissimo Arizona Wilderness (Little Guy Rye, 3.7%) che con soli 29 voti (!!) è già al secondo posto in classifica. Nella Top 10 c’è ancora il Vermont (Lawson’s Finest) e poi tanta California: Stone, Lagunitas, Pizza Port, Firestone Walker. Avevo in mente di fare una sorta di “orizzontale” di Session IPA negli Stati Uniti, ma purtroppo non sono riuscito a recuperare tutte quelle che volevo. Il post di oggi si “limita“ quindi a tre: Lagunitas DayTime, Stone Go To IPA e Firestone Walker Easy Jack. Andiamo in ordine cronologico.
La DayTime di Lagunitas (Petaluma, California) segue di pochi mesi la All Day di Founders, debuttando ad Agosto 2012. Con un ABV di 4.65%, si presenta nel bicchiere di color dorato, un po' pallido ed una bella schiuma bianca, cremosa e dall'ottima persistenza. Difficile determinare l'età di questa bottiglia, visto che la supposta data d'imbottigliamento (stampa a laser sul collo della bottiglia) è malridotta e Lagunitas utilizza (ma perché?) il calendario giuliano. L'aroma è comunque fresco e pungente, con un bel bouquet di agrumi, pompelmo ed aghi di pino, con qualche sfumatura dolce di frutta tropicale e di crackers. In bocca è leggera, scorrevole e morbida, non sfugge mai, mediamente carbonata; il gusto è un fedele specchio dell'aroma con una leggera presenza di malto/crackers e di dolce frutta tropicale che fanno da partner all'abbondante presenza di agrumi (lime, limone, pompelmo). Il risultato è una birra semplice ma molto ben costruita, secca e rinfrescante, dal finale amaro e zesty, ricco di scorza d'agrumi con qualche traccia di resina. Quanta ne potreste bere? Praticamente una vasca da bagno: pensate di trovarla sugli scaffali al prezzo di 1.39 dollari, che al cambio attuale fanno 1,05 Euro. Che fareste? Altro che le "artigianali del discount"...
Esce invece un po' in ritardo, a Marzo del 2014, a causa della capacità degli impianti produttivi che non ne consentivano la realizzazione nella quantità desiderata, la Go To IPA di Stone Brewing Co. (Escondido, California del Sud). 4.5% l'ABV, ed una ricca lista di luppoli (Mosaic, Citra, Ahtanum, Cascade, Crystal, 06300, El Dorado, Magnum, Sterling) che credo siano utilizzati "a rotazione" a seconda della disponibilità. Ben riportata la scadenza sulla bottiglia (Settembre 2014) stabilita a 90 giorni dall'imbottigliamento; la bevo quindi a circa due mesi dalla "nascita"; anche qui il colore è un dorato pallido, con la schiuma bianca, cremosa e molto persistente. Il naso è fresco e pulito, solletica con pungenti note di mandarino, limone, lime e pompelmo; qualche traccia di ananas, di crosta di pane. Poco carbonata, il corpo è leggero ma al palato risulta un po' sfuggente rispetto alla Lagunitas. Nessun cambiamento in bocca; leggero ingresso di pane e crackers, un accenno di dolce tropicale e poi abbondanza di agrumi amari come pompelmo, cedro e limone che danno come risultato una birra molto rinfrescante e secca, che sparisce dal bicchiere in pochi secondi. L'intensità è ottima come la pulizia, con un lieve calo solo a fine corsa dove la birra dà - di nuovo - la sensazione di correre un po' troppo in fretta.
L'ultima nata è invece la Session di Firestone Walker, a Paso Robles (California); il nuovo membro della famiglia "Jack" (Union Jack è la loro IPA, Double Jack la IIPA e Wookey Jack una Black Rye IPA) arriva per la prima volta sugli scaffali lo scorso Aprile. Ancora un ABV da 4.5%, malti American Pale Malt, Munich Malt, English Carmel-35, Cara Pils, frumento maltato ed avena. I luppoli sono Bavarian Mandarina, Hallertau Melon, ed un blend di Mosaic americano e neozelandese. Anche questa bottiglia ha un paio di mesi di vita sulle spalle: dorata, praticamente limpida, forma un'impeccabile schiuma bianca e cremosa. L'aroma è quasi una fotocopia della Go to IPA: lime, limone, pompelmo e mandarino, con una lievissima suggestione di crackers e di tropicale. Fresco e pulito, elegante. La sensazione in bocca è forse la migliore tra le tre Session IPA bevute: corpo leggero ma una morbidezza (immagino anche grazie alla percentuale di avena utilizzata) sorprendente e quasi cremosa che non intacca assolutamente la scorrevolezza. Le bollicine sono poche. E' anche la meno amara tra le tre IPA e quella meglio bilanciata: il gusto predilige la polpa degli agrumi piuttosto che la scorza, con sfumature dolci di frutta tropicale, di crosta di pane e di crackers. Il finale è comunque amaro, in equilibrio tra note erbacee e la scorza di lime, limone e pompelmo: pulita e fragrante, elegante e dissetante, la versi, è già finita ed hai già l'apribottiglie in mano per aprirne un'altra.
Conclusioni? Che abbia senso chiamarle o no Session IPA, sono tre birre molto ben fatte e facilissime da bere, che non tralasciano assolutamente l'intensità; il loro profilo è per necessità ruffiano, con tanti agrumi e tanta frutta e pochi "muscoli". Sono indubbiamente birre quotidiane, da bere in qualsiasi momento della giornata o da portarsi appresso in spiaggia o ad un barbecue all'aperto. Chi vince ? I miei appunti danno a pari punti Lagunitas e Firestone, con la Stone, un po' sfuggente, che rimane un passo indietro. Il rapporto qualità prezzo di Lagunitas (e non vale solo per questa birra) le dà quel mezzo punto in più nell'ipotetico ballottaggio con Firestone Walker.
E in Italia? Si trova la All Day IPA di Founders, anche in lattina, ma non ho ancora osato assaggiarla a causa della mia sfiducia verso le birre molto luppolate che attraversano l’oceano. Certo, il prezzo americano moltiplicato per tre (o per quattro) non la rende esattamente una birra da bevuta seriale. Tra le produzioni nostrane mi vengono in mente anche la Violent Shared di Opperbacco e la Victoria Session IPA del Birrificio del Ducato: c'è dell'altro? Forse… ma, di nuovo, il problema è sempre il prezzo.
Nei dettagli:
- Lagunitas DayTime, 35.5 cl., 4.65% ABV, 54 IBU lotto illeggibile, pagata 1,05 Euro ($ 1.30).
- Stone Go To IPA, 35.5 cl., 4.5% ABV, 65 IBU, imbott. 21/06/2014, scad. 21/09/2014, pagata 2.59 Euro ($ 1,96)
- Firestone Walker Easy Jack, 35.5 cl., 4.5% ABV, 45-50 IBU, imbott. 26/06/2014, scadenza 120 giorni, pagata 2.59 Euro ($ 1,96)
Con il passare degli anni negli USA le IPA sono diventate l'ordinario e con ciò è giunta la necessità di superarle, reinventandole: sono state dapprima raddoppiate o imperializzate (IIPA), poi triplicate (Triple IPA), poi imbastardite con lieviti non "convenzionali" (Belgian IPA, Farmhouse IPA) e poi si è cominciato a giocare con il colore. Ecco il controsenso delle Black IPA e poi le White IPA, queste ultime di recentissima moda; e volendo potreste aggiungere o levare a piacimento gli aggettivi, creando ad esempio una Imperial Belgian Black IPA. Ah, dimenticavo le Rye IPA (con utilizzai di segale).
Per un po' di anni la tendenza, nata ed esportata dagli Stati Uniti (dove "bigger is better"), è stata quella dell'abbondare e del potenziare, creando birre sempre più alcoliche e sempre più luppolate, o dagli IBU teorici sempre più elevati. Esplorato ed esaurito anche questo territorio, a partire dal 2010 qualcuno ha invece iniziato ad andare in senso opposto; non sono ancora riuscito ad individuare quale sia stato il primo esempio nella storia ad autodefinirsi così, ma dopo quello delle Black IPA è nato quello che potrebbe essere un nuovo ossimoro, quello delle Session IPA.
Partiamo dal concetto di “Session beer”, che solitamente identifica quelle birre dalla gradazione alcolica inferiore al 4.5% che potete bere in grandi quantità senza necessariamente andare incontro ad una (pesante) ubriacatura. La storia del termine “session” è abbastanza fumosa; vi segnalo questo articolo di Martyn Cornell per chi volesse approfondire. E va anche fatta una distinzione tra Regno Unito e Stati Uniti; mentre la soglia di una session beer in UK si colloca al di sotto del 4% (è ciò che solitamente distingue una Bitter/Ordinary Bitter da una Best Bitter), negli Stati Uniti il Great American Beer Festival, che nel proprio concorso ha una categoria chiamata “session beers”, indica il 5% come soglia massima [anche se negli USA una modifica al 18th Amendment/Proibizionismo aveva nel 1933 consentito la produzione in alcuni stati di una birra leggera (la “3.2 Beer”) con un ABV inferiore appunto al 3.2%: una soglia "session" che poteva essere presa in considerazione].
Perché, quindi parlare di ossimoro? Perché le linee guida dello stile IPA prevedono un contenuto alcolico decisamente superiore alle soglie elencate sopra: citando di nuovo il GABF, per una English IPA si parla di 5,1-7.1% e per una American IPA di 6.3-7.6%. Realizzare quindi una IPA con un ABV del 4% vorrebbe dire per qualcuno fare semplicemente una (fucking) Pale Ale molto luppolata (cito questo divertente articolo-sfogo). Ma restiamo negli Stati Uniti perché l’idea delle “Session IPA” è principalmente nata qui, dove “bigger is better”; in Inghilterra c’è ampia scelta di birre con un basso ABV, e ci sono già esempi di IPA ben al di sotto della soglia del 5% stabilita dal BJCP (cito ad esempio la Harveys India Pale Ale , 3.2%) senza nessun bisogno di scomodare il termine “session”.
Ma si può “sessionare” una IPA ? No, una IPA fedele alle linee guida, non sarà mai sessionabile e non riuscirete a berne molte pinte senza poi accusarne il peso (alcolico). Per farlo è stato quindi necessario creare una versione “ridotta” di una IPA: "la sfida di luppolare "come" una normale IPA una birra dalla bassa gradazione alcolica consiste nell'evitare un carattere eccessivamente erbaceo e vegetale, in quanto il basso contenuto alcolico cambia il modo in cui si sviluppa il profumo ed il sapore dato dal luppolo", scrive Mitch Steele nel libro "IPA". Grande attenzione quindi al dry-hopping, capace di regalare complessità ad una birra nata per essere semplice e per essere bevuta con estrema semplicità. Dicevo, è all’incirca nel 2010 che negli USA appaiono le prime “Session IPA”, ma è solamente nel 2012 che iniziano a fare tendenza, soprattutto dopo la nascita della All Day IPA realizzata dalla Founders in Febbraio. Una sua ricetta sperimentale aveva già vinto la medaglia d'argento al GABF del 2010; disponibile prima in bottiglia e poi in lattina (ora anche nel succosissimo “family” pack da 15 lattine, una vera goduria se acquistata al prezzo americano), la birra ottiene un clamoroso successo, e nel 2013 occupa già il 27% dell’intera produzione del birrificio del Michigan sorpassando nei volumi anche la storica Centennial IPA.
Ma non perde tempo nemmeno il geekissimo sito Ratebeer, che crea una categoria apposita, quelle delle Session IPA: il termine Session IPA identifica una categorie di birre caratterizzate da un profilo dominante luppolato ed un livello di alcool "sessionabile". Sebbene questo sia di solito tra il 3.2 ed il 4.6, alcuni hanno un po' allargato i confini. Si differenzia da una American Pale Ale per il minor tenore alcolico e per avere un profilo più luppolato. Le migliori Session IPA del mondo secondo i beer-raters ? A guidare le danze sono due birrifici molto sulla cresta dell’onda e dalla distribuzione alquanto limitata, una condizione che spesso fa aumentare i “voti” anche solo per il piacere di essere riusciti a “berle”: Hill Farmstead in Vermont (Walden, 3.7%) e il nuovissimo Arizona Wilderness (Little Guy Rye, 3.7%) che con soli 29 voti (!!) è già al secondo posto in classifica. Nella Top 10 c’è ancora il Vermont (Lawson’s Finest) e poi tanta California: Stone, Lagunitas, Pizza Port, Firestone Walker. Avevo in mente di fare una sorta di “orizzontale” di Session IPA negli Stati Uniti, ma purtroppo non sono riuscito a recuperare tutte quelle che volevo. Il post di oggi si “limita“ quindi a tre: Lagunitas DayTime, Stone Go To IPA e Firestone Walker Easy Jack. Andiamo in ordine cronologico.
La DayTime di Lagunitas (Petaluma, California) segue di pochi mesi la All Day di Founders, debuttando ad Agosto 2012. Con un ABV di 4.65%, si presenta nel bicchiere di color dorato, un po' pallido ed una bella schiuma bianca, cremosa e dall'ottima persistenza. Difficile determinare l'età di questa bottiglia, visto che la supposta data d'imbottigliamento (stampa a laser sul collo della bottiglia) è malridotta e Lagunitas utilizza (ma perché?) il calendario giuliano. L'aroma è comunque fresco e pungente, con un bel bouquet di agrumi, pompelmo ed aghi di pino, con qualche sfumatura dolce di frutta tropicale e di crackers. In bocca è leggera, scorrevole e morbida, non sfugge mai, mediamente carbonata; il gusto è un fedele specchio dell'aroma con una leggera presenza di malto/crackers e di dolce frutta tropicale che fanno da partner all'abbondante presenza di agrumi (lime, limone, pompelmo). Il risultato è una birra semplice ma molto ben costruita, secca e rinfrescante, dal finale amaro e zesty, ricco di scorza d'agrumi con qualche traccia di resina. Quanta ne potreste bere? Praticamente una vasca da bagno: pensate di trovarla sugli scaffali al prezzo di 1.39 dollari, che al cambio attuale fanno 1,05 Euro. Che fareste? Altro che le "artigianali del discount"...
Esce invece un po' in ritardo, a Marzo del 2014, a causa della capacità degli impianti produttivi che non ne consentivano la realizzazione nella quantità desiderata, la Go To IPA di Stone Brewing Co. (Escondido, California del Sud). 4.5% l'ABV, ed una ricca lista di luppoli (Mosaic, Citra, Ahtanum, Cascade, Crystal, 06300, El Dorado, Magnum, Sterling) che credo siano utilizzati "a rotazione" a seconda della disponibilità. Ben riportata la scadenza sulla bottiglia (Settembre 2014) stabilita a 90 giorni dall'imbottigliamento; la bevo quindi a circa due mesi dalla "nascita"; anche qui il colore è un dorato pallido, con la schiuma bianca, cremosa e molto persistente. Il naso è fresco e pulito, solletica con pungenti note di mandarino, limone, lime e pompelmo; qualche traccia di ananas, di crosta di pane. Poco carbonata, il corpo è leggero ma al palato risulta un po' sfuggente rispetto alla Lagunitas. Nessun cambiamento in bocca; leggero ingresso di pane e crackers, un accenno di dolce tropicale e poi abbondanza di agrumi amari come pompelmo, cedro e limone che danno come risultato una birra molto rinfrescante e secca, che sparisce dal bicchiere in pochi secondi. L'intensità è ottima come la pulizia, con un lieve calo solo a fine corsa dove la birra dà - di nuovo - la sensazione di correre un po' troppo in fretta.
L'ultima nata è invece la Session di Firestone Walker, a Paso Robles (California); il nuovo membro della famiglia "Jack" (Union Jack è la loro IPA, Double Jack la IIPA e Wookey Jack una Black Rye IPA) arriva per la prima volta sugli scaffali lo scorso Aprile. Ancora un ABV da 4.5%, malti American Pale Malt, Munich Malt, English Carmel-35, Cara Pils, frumento maltato ed avena. I luppoli sono Bavarian Mandarina, Hallertau Melon, ed un blend di Mosaic americano e neozelandese. Anche questa bottiglia ha un paio di mesi di vita sulle spalle: dorata, praticamente limpida, forma un'impeccabile schiuma bianca e cremosa. L'aroma è quasi una fotocopia della Go to IPA: lime, limone, pompelmo e mandarino, con una lievissima suggestione di crackers e di tropicale. Fresco e pulito, elegante. La sensazione in bocca è forse la migliore tra le tre Session IPA bevute: corpo leggero ma una morbidezza (immagino anche grazie alla percentuale di avena utilizzata) sorprendente e quasi cremosa che non intacca assolutamente la scorrevolezza. Le bollicine sono poche. E' anche la meno amara tra le tre IPA e quella meglio bilanciata: il gusto predilige la polpa degli agrumi piuttosto che la scorza, con sfumature dolci di frutta tropicale, di crosta di pane e di crackers. Il finale è comunque amaro, in equilibrio tra note erbacee e la scorza di lime, limone e pompelmo: pulita e fragrante, elegante e dissetante, la versi, è già finita ed hai già l'apribottiglie in mano per aprirne un'altra.
Conclusioni? Che abbia senso chiamarle o no Session IPA, sono tre birre molto ben fatte e facilissime da bere, che non tralasciano assolutamente l'intensità; il loro profilo è per necessità ruffiano, con tanti agrumi e tanta frutta e pochi "muscoli". Sono indubbiamente birre quotidiane, da bere in qualsiasi momento della giornata o da portarsi appresso in spiaggia o ad un barbecue all'aperto. Chi vince ? I miei appunti danno a pari punti Lagunitas e Firestone, con la Stone, un po' sfuggente, che rimane un passo indietro. Il rapporto qualità prezzo di Lagunitas (e non vale solo per questa birra) le dà quel mezzo punto in più nell'ipotetico ballottaggio con Firestone Walker.
E in Italia? Si trova la All Day IPA di Founders, anche in lattina, ma non ho ancora osato assaggiarla a causa della mia sfiducia verso le birre molto luppolate che attraversano l’oceano. Certo, il prezzo americano moltiplicato per tre (o per quattro) non la rende esattamente una birra da bevuta seriale. Tra le produzioni nostrane mi vengono in mente anche la Violent Shared di Opperbacco e la Victoria Session IPA del Birrificio del Ducato: c'è dell'altro? Forse… ma, di nuovo, il problema è sempre il prezzo.
Nei dettagli:
- Lagunitas DayTime, 35.5 cl., 4.65% ABV, 54 IBU lotto illeggibile, pagata 1,05 Euro ($ 1.30).
- Stone Go To IPA, 35.5 cl., 4.5% ABV, 65 IBU, imbott. 21/06/2014, scad. 21/09/2014, pagata 2.59 Euro ($ 1,96)
- Firestone Walker Easy Jack, 35.5 cl., 4.5% ABV, 45-50 IBU, imbott. 26/06/2014, scadenza 120 giorni, pagata 2.59 Euro ($ 1,96)
ho assaggiato un'IPA (birrificio grand ducato) davvero buona alle isole eolie e una artigianale prodotta al Browerij'tj di Amsterdam e mi è piaciuta un sacco! anche se preferisco le weiss o le amber ale!
RispondiEliminabirrificio del ducato, sorry XD
EliminaOttimo articolo, davvero.
RispondiEliminaHo bevuto una all day ipa in bottiglia (eataly) ed era in forma, stranamente, ottima.
grazie.
Eliminacon le americane è un po' un terno al lotto. qualche volta va bene, a me spesso è andata male.
Quoto: ottimo articolo!
RispondiEliminaHai riportato qualcosa?
Valigia in aereo oppure pacco postale?
tutto in valigia, fin'ora mai avuto nessun problema
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