martedì 28 gennaio 2014

Redchurch Old Ford Export Stout

Torniamo a Londra, città in pieno fermento (non solo in senso figurato) brassicolo; quarto incontro con la Redchurch Brewery, nella fertilissima zona nord-orientale di Hackney, dove in un chilometro o poco più trovate, oltre a Redchurch, anche London Fields, Pressure Drop, Howling Hops e Five Points.  Dopo la ottima Bethnal Pale Ale, e le discrete Hackney Gold e Great Eastern IPA, è il momento di passare allo "scuro" con la Old Ford Export Stout; il birrificio l'annuncia come la prima di una serie di "edizioni speciali", in vendita solamente tramite il negozio on line del birrificio ed il alcuni bar e ristoranti selezionati. Gradazione alcolica da "export" (7.7%), ed impenetrabile color marrone, scurisssimo; la schiuma è sontuosa, compatta e cremosissima, molto fine, color nocciola. Il naso sorprende con un aroma decisamente luppolato (Columbus, dichiara il birrificio) con presenza di agrumi (pompelmo e arancio) che spiazzerebbe qualsiasi persona che avesse ordinato una stout; anche a temperatura ambiente non si avverte nessun elemento “scuro”, nessuna tostatura o sentore di caffè. La sorpresa continua in bocca, in senso assolutamente positivo: la birra è morbidissima e cremosa, dal copro medio-pieno, poco carbonata, molto appagante.
L’ingresso è però ancora luppolato (agrumi) ma è solo un veloce passaggio che conduce poi, finalmente, in territori scuri, con una grande abbondanza ed intensità di orzo torrefatto, caffè e lievi note di cioccolato amaro. Il luppolo, resinoso, torna a fare capolino a fine corsa e, assieme alla lieve acidità del caffè, lasciano il palato pulito; termina lunga ed intensa, amara, ricca di tostature, caffè, cioccolato ed un morbido calore etilico. Solida ma morbida, cremosa ma abbastanza facile da bere, è una stout dalla luppolatura abbondante che tende a minare gli elementi tipici dello stile, a tratti surclassandoli. Anche se annusandola ad occhi chiusi non scommettereste mai di avere nel bicchiere una stout, è una bella bevuta, pulita, ricca, che lascia molto soddisfatti.
Formato. 33 cl., alc. 7.4%, IBU 77, lotto 94, scad. 17/04/2014.

lunedì 27 gennaio 2014

Stone Smoked Porter

Stone Brewing Co., Escondido, California: un birrificio che non ha bisogno di presentazioni, ma eventualmente i meno "esperti" possono dare una sbirciatina qui, al post dedicato alla breve ma ancora indimenticata visita allo Stone World Bistro & Gardens. Il 26 luglio del 1996 il birrificio debutta con la Stone Pale Ale, il cui primo fusto viene ritirato (franco fabbrica) da Vince Marsiglia e spinato al Pizza Port di Solana Beach (San Diego); a dicembre arriva la seconda birra Stone, ed è questa Smoked Porter. Inizialmente è una produzione stagionale (per il "tiepido" inverno della SoCal) ma, ricorda Steve Wagner con un po' di ironia, "quelle tre persone a cui piacque ci convinsero a produrla per tutto l'anno". A quel tempo le Porter non erano un stile molto popolare, ma Wagner rimase profondamente impressionato dalla Alaskan Smoked Porter: "ho ancora oggi un ricordi così vivido del primo sorso... rimasi completamente sbalordito. Amavo la sua intensa affumicatura, era qualcosa che non avevo mai provato prima. Ma sebbene l'adorassi - racconta nel libro The Craft of the Stone Brewing Co. -  non ero sicuro che fosse una birra che avrei voluto bere continuamente, per via di quel suo carattere affumicato così predominante. Nell'elaborare la ricetta per la Stone Smoked Porter, usammo un'approccio diverso: l'affumicato doveva essere uno degli elementi della birra, non la sua caratteristica principale". Una delle prime birre prodotte da Stone, quindi, che nel tempo è stata rivisitata (e barricata) uno svariato numero di volte: le versioni più note sono forse quella del 2010, con chipotle (un peperoncino affumicato, argento al Great American Beer Festival dello stessso anno) e quella con bacche di vaniglia. Per chi si vuole divertire a passarle tutte in rassegna, c’è Ratebeer.
Malti North American Two-Row Pale, Crystal, Chocolate e Peat-smoked, luppoli Magnum e Mt. Hood; questa la spina dorsale della Smoked Porter; se volete provare a replicarla a casa, provate con il lievito WLP007 English Ale o con il WLP002 di White Labs.
Nel bicchiere è quasi limpida, di colore marrone con dei riflessi rosso porpora molto belli;  schiuma da manuale, fine e compatta, molto cremosa, molto persistente, di colore beige. L’aroma è però abbastanza debole: orzo tostato, qualche lievissimo sentore di caffè e di cioccolato al latte e, ovviamente, di affumicato visto che si tratta di una Smoked Porter. Molto meglio in bocca, dove è molto morbida, leggermente cremosa ma scorrevole al tempo stesso; la carbonazione è bassa, il corpo è tra il medio ed il leggero.  Il gusto ha intensità inversamente proporzionale dell’aroma: ci sono le tostature, qualche accenno di caffè e di cioccolato al latte, con una gradevole acidità data dai malti scuri. Molto secca, con un finale luppolato (lievemente resinoso) che lava bene il palato lasciandolo assaporare il lungo retrogusto amaro (tostature, caffè), dove finalmente s’avverte una leggera affumicatura. Non mi è sembrata un mosto di pulizia, ma è una  Porter (delicatamente) affumicata che si beve con grande facilità; l’amaro e le tostature sono abbastanza intense, nessuna “bruciatura”, ma aroma quasi inesistente.  Bottiglia in scadenza, ma considerando la breve shelf-life di (soli) quattro mesi stabilita dal birrificio, si tratta comunque di un esemplare ancora giovane. Non la migliore Porter a stelle e strisce che io ricordi, tra quelle bevute: il confronto “bottiglia su bottiglia” non fa molto testo, ma la stessa Alaskan e soprattutto la Founders mi erano piaciute nettamente di più. Se la gioca sullo stesso piano di Sierra Nevada ed Odell Cuttroath.    
Dimenticavo il video ufficiale di presentazione della birra, che ovviamente Stone non ci fa mai mancare.
Formato: 65 cl., alc. 5.9%, IBU 53, lotto 24/11/2013, scad. 24/01/2014.

domenica 26 gennaio 2014

Birrificio Italiano Nigredo

Novità 2013 del Birrificio Italiano, la Nigredo viene presentata quasi in contemporanea in due continenti; negli Stati Uniti, dove Agostino Arioli è ospite del Firestone Walker Invitational Beer Festival (qui una interessante video intervista) e, ovviamente, a Lurago Marinone, casa del Birrificio Italiano. Per quel che riguarda la scelta del nome, vi rimando alle parole di Agostino stesso:  "Nigredo è l’Opera al Nero degli alchimisti, la prima fase del processo alchemico. La produzione del malto e della birra sono stati per secoli intimamente connessi all’alchimia, tanto che il simbolo dei birrai tedeschi, due triangoli l’uno nell’altro a formare una stella a sei punte, è proprio un simbolo alchemico. Il primo triangolo rappresenta le tre grandi fasi: Nigredo (germinazione e maltazione), Albedo (saccarificazione) e Rubredo (fermentazioni), le tre grandi trasformazioni. L’altro triangolo indica i tre elementi, acqua, aria (gas) e fuoco. Da Basilio Valentino, alchimista, XV sec.: "quando qualcuno vuol fare da orzo o frumento della birra egli deve osservare la Perfezione dei gradi della natura. Dapprima il cereale deve essere posto a macerazione in luogo chiuso, al buio… E' solo dopo questi preparativi che può avvenire la cottura nell'Athanòr, con la quale dal frutto viene estratto con il fuoco il nobile spirito che si combina con l'acqua di cottura alla base della Fornace, formando in tal modo la Birra". E aggiunge: "Il luppolo che viene aggiunto alla birra, è il suo "Sale Vegetabile" e serve da preservatore affinché la Birra sia protetta da altri nemici e si conservi. Infine, “avviene una nuova separazione col mettere nella Birra appena cotta un po' di lievito che procura alla Birra una infiammazione "Interiore" così che essa comincia a fermentare. La Birra ottiene così il potere di penetrare e di poter svolgere il suo compito predestinato; ciò che lo spirito agente della Birra prima di questa separazione non poteva fare a causa delle impurità che disturbavano ed impedivano il suo operato". Ma l’Alchimia non era solo la proto-chimica, ma anche e soprattutto una ricerca spirituale. Così la Nigredo è il processo in cui ci si dirige verso il ritrovamento dell’autoconoscenza. E’ un viaggio nella materia informe, volto a sciogliere il “miscuglio" e a conoscere gli elementi che lo compongono per tornare all’origine, alla Quintessenza. Ancora: “La fase di Nigredo distrugge la vecchia natura e la vecchia forma e le trasmuta in un nuovo stato dell’essere per dare loro un frutto completamente nuovo". 
La birra in questione è una sorta di Dark Lager (quindi una bassa fermentazione, scura), che rappresenta l’evoluzione di una storica produzione del Birrificio Italiano, chiamata Negra!  La caratteristica più saliente riguarda però la luppolatura, che avviene con le modalità (dry hopping) e le abbondanti quantità tipiche di una Black IPA. Per l’occasione vengono utilizzati solamente luppoli tedeschi, in particolare l’Hallertauer Mittelfrueh.  Parte del dry hopping ha però visto l’utilizzo di pellet di luppolo che sono stati tostati in forno, con la “consulenza” della Lady Cafè Torrefazione. Vi rimando al video sopra citato (in inglese), nel quale Agostino spiega ad un interessato pubblico americano che sono stati necessari numerosi tentativi con diversi tipi di luppolo, diverse temperature e tempi di tostatura prima di arrivare alla ricetta definitiva della Nigredo. La presenza del minaccioso volatile in etichetta mi ha fatto personalmente ricordare la copertina dell’omonimo cd del gruppo tedesco Diary of Dreams, una band molto “di nicchia” che suppongo non sia certamente la  fonte d’ispirazione del disegnatore.   
Marrone scurissima, nel bicchiere, con un perfetto cappello di schiuma, fine e cremosissima, compatta, di colore beige chiaro. Al naso però arriva prima di tutto un “benvenuto” fruttato (agrumi) ed erbaceo. L’aroma non è esplosivo, ma è pulitissimo e davvero molto elegante; bisogna attendere che la birra si scaldi per avvertire le prime tostature, qualche sentore di caffè ed una lievissima affumicatura. Si tratta di un leitmotiv che va a caratterizzare anche il gusto; l'inizio è dolce, fruttato (agrumi), con una bella progressione amara che va in crescendo. Accanto a delicate tostature ed a note di caffè, ci sono tracce di scorza d'agrumi. E' una birra tecnicamente molto ben eseguita, a partire dal "mouthfeel": morbida in bocca, con il giusto livello di acquosità per renderla scorrevole, dal corpo medio-leggero, poco carbonata. L'equilibrio e la pulizia ne caratterizzano ogni aspetto, dall'aroma al gusto: delicata senza per questo sacrificare l'intensità, elegante senza per questo risultare noiosa o un esercizio di stile. Diametralmente opposta a birre muscolose che raschiano il palato (il riferimento è ad alcune IPA/Black IPA, anche se questa non è una IPA), la Nigredo del Birrificio Italiano ha una gradazione alcolica discreta (6.5%) ma si beve come una session beer, ad oltranza. Non ci sono estremismi e fuochi d'artificio, se non quello - fondamentale -  della grande cura di ogni dettaglio di una birra realizzata davvero con grande maestria che risulta godibilissima.
Formato: 33 cl., alc. 6.5%, lotto 268, scad. 31/01/2014.

sabato 25 gennaio 2014

Les 3 Brasseurs - Black IPA

Continuiamo il percorso tra i birrifici francesi; questa volta non si tratta di una nuova leva, ma di una realtà attiva dal 1986. In quell'anno apre infatti a Lille il primo ristorante con produzione di birra annessa chiamato Les 3 Brasseurs. Non sono riuscito a reperire  molte altre informazioni storiche, ma nel corso degli anni i ristoranti si sono moltiplicati, fino ad arrivare ai 35 del 2010, incluse alcune filiali in Canada, Tahiti, Martinica, Isole Reunion e Nuova Caledonia. Nel 2002 entra a far parte del gruppo Agapes Restauration, controllato dalla Association familiale Mulliez; probabilmente il nome di questo gruppo (che riunisce appunto 550 membri e discendenti della familia Mulliez) non vi dirà nulla, ma basta snocciolare alcune delle società e dei marchi da loro controllati (tra parentesi la percentuale) per capire di cosa stiamo parlando: Gruppo Auchan (84%), Oxylane (Decathlon, 49%),  Adeo (Leroy Merlin, Bricocenter 85%). Non siamo quindi davanti ad un semplice catena di brewpubs, ma di una società che ha aperto filiali in tutto il mondo, ciascuna delle quali tuttavia produce birra in loco.  Le birre sono anche disponibili per l'asporto, nel formato da 33, 75 e 5 litri. Interessante è piuttosto il fatto che alla classica gamma di birre per accompagnare il pasto senza troppe pretese (bianca, bionda, ambrata e scura) se ne siano da poco aggiunte alcune meno note ai non-birrofili, come questa Black India Pale Ale.
Prodotta dal brewpub di Echirolles (periferia meridionale di Grenoble) con esclusivamente luppolo Fuggles, secondo le note di etichetta; la mia prima Black IPA francese è di colore marrone scuro, con riflessi rossastri; la schiuma è generosa, abbastanza fine, quasi pannosa, molto persistente. Un ipotetico esame dell'aroma ad occhi chiusi non fa certo pensare ad una IPA, ma senz'altro ad una birra scura: orzo tostato, qualche sentore terroso e di cenere. L'aroma è pulito ed ha una buona intensità, ma non c'è molta traccia di luppolo. Non ci sono grossi cambiamenti al palato: la bevute inizia tra tostature, caffè ed una leggera affumicatura, e bisogna arrivare proprio sino in fondo per avvertire qualche nota erbacea, e lievemente resinosa. Buon livello di pulizia anche in bocca, con un amaro intenso (torreffato ed erbaceo) che però non risulta particolarmente raffinato, ed a tratti tende a raschiare un po' la gola. Il corpo è medio-leggero, abbastanza modesta la carbonazione, la consistenza è acquosa; più che una Black IPA risulta una Porter abbastanza luppolata. Fosse soltanto questo, a far storcere un po' il naso al bevitore, non sarebbe un grosso problema visto  che non siamo ad un concorso: il punto è che si tratta d una birra un po' slegata in bocca, non molto elegante e dall'amaro abbastanza sgraziato. 
Formato: 75 cl., alc. 5.5%, scad. 23/02/2014.

venerdì 24 gennaio 2014

Birrificio La Fenice Superbia

La fenice, uccello mitologico che rinasce dalle proprie ceneri dopo la morte. Non è stata sicuramente casuale la scelta del nome fatta da Emanuele Aimi, fuoriuscito non senza rumore dal Birrificio del Ducato a Luglio del 2011. Ne era stato uno dei soci fondatori, assieme a Giovanni Campari e Manuel Piccoli, occupandosi soprattutto della parte commerciale. Un addio abbastanza amaro, con il comunicato stampa sul blog del sito del Birrificio del Ducato che terminava con una frase abbastanza criptica il cui significato è probabilmente solo noto agli addetti ai lavori: “la nostra  è una qualità che non è mai stata frutto dell'improvvisazione, ma del lavoro di tutti che ci ha permesso di portare alto il nome del Birrificio del Ducato ovunque sia andato. Per questo ricordati Emanuele: di Viaemilia ce n'è una sola…!”. Ricevuta la liquidazione della propria quota societaria, Aimi non è stato per troppo tempo con le mani in mano ed ha lanciato il suo proprio progetto brassicolo, chiamato appunto Birrificio La Fenice. Personalmente non sono ancora riuscito a capire dove avvenga la produzione delle birre la Fenice. Microbirrifici.org indica la sede produttiva a Orzinuovi (Brescia) in via Vittorio Veneto 28.  Secondo invece il sito ufficiale del birrificio, la sede (amministrativa) è a Fidenza in via Ferraris 13/a, mentre l’impianto di produzione sarebbe a Lodi, in un indirizzo imprecisato. Un po’ più di certezze invece sui quattro locali di Aimi, chiamati Tramvai (a Fidenza, Orzinuovi, Asola e Cremona), dove potrete bere alla spina le birre La Fenice. Sono quasi una decina quelle attualmente prodotte, con nomi che rappresentano i vizi capitali.  Si va da una Pils ad una  IPA, da una Blonde ad una Dubbel ("Italian AbbAy", sic), da una Saison ad una Imperial Stout. 
Un po’ fuori dagli schemi è invece la Superbia, una birra che viene definita abbastanza arditamente di stile (o non stile brassicolo) “Metodo Tradizionale Italiano”.  Il richiamo è ovviamente allo spumante e al metodo “classico”  (o méthode Champenoise) che, per farla breve, consiste sostanzialmente in una seconda fermentazione del vino all’interno della bottiglia attraverso l’induzione di zuccheri e lieviti. Nel caso della Superbia, vengono appunto utilizzati lieviti da spumantizzazione (Saccharomyces Bayanus); non mi è ovviamente chiaro se la birra venga anche sottoposta alle altre fasi tipiche del metodo Champenoise, ovvero remuage, degorgement ed aggiunta del liqueur d'expedition, o se si tratti, semplicemente e più probabilmente, di una birra “bottle conditioned”.  Gradazione alcolica importante (12.5%) e bel color oro velato, con schiuma bianca, fine, compatta e cremosa, dalla buona persistenza. Il naso è abbastanza pronunciato, si fa notare subito una bella speziatura leggermente pepata, qualche sentore floreale, di pera e di miele, ma soprattutto molta banana. In bocca c'è una sostanziale corrispondenza con l'aroma: corpo medio, carbonazione vivace, note di crosta di pane, frutta gialla, miele, pera e, di nuovo, una netta presenza di banana. L'alcool è davvero molto ben nascosto, la bevibilità è tutto sommato buna, ma il legame con lo spumante appare davvero flebile; birra dolce, banana un po' troppo invadente e, soprattutto, mancanza di quella secchezza che ti aspetteresti da un sorso di spumante; il palato rimane sempre un po' appiccicoso. Chiude con una lieve nota amaricante di mandorla (amara), ed è solo nel retrogusto, non particolarmente lungo, che c'è un leggero warming etilico. 
Formato 75 cl., alc. 12.50%, lotto e scadenza non rilevati.

giovedì 23 gennaio 2014

Siren Sound Wave Aussie IPA

Secondo appuntamento con il birrificio inglese Siren Craft Brew, attivo dal febbraio 2013 e quindi ormai prossimo al primo compleanno; fondato da Darron Anley e guidato dal birraio americano Ryan Witter-Merithew (ex Duck Rabbit, USA, ex Fanø, Danimarca, ed ex-socio del progetto Grassroots).  Dopo la Liquid Mistress (una Red IPA), è la volta di una India Pale Ale prodotta esclusivamente con luppoli australiani, come il nome stesso della birra indica. Sound Wave Aussie, ovvero la base della American IPA prodotta tutto l’anno da Siren  (chiamata Sound Wave) ed i luppoli australiani (Aussie) Summer, Galaxy,  Vic Secret ed Ella. Se i primi due luppoli dovrebbero essere abbastanza noti agli appassionati di birra o ai beergeeks, è personalmente la prima volta che incontro Vic Secret ed Ella. Il primo è una varietà nuova, commercializzata ufficialmente per la prima volta nel 2013, anche se è stata già usata da alcuni birrifici in via “sperimentale” per alcune birre stagionali a partire dal 2011.  Seminato per la prima volta nel 2000, è considerato una sorta di versione più “delicata” del Galaxy; gli alti livelli di alfa acidi lo rendono, secondo la  Hop Products Australia, particolarmente adatto all’uso in Whirpool ed al dry hopping, donando alla birra eleganti sentori di ananas e di aghi di pino. La genesi dell’Ella risale invece al 2001; deriva dal  luppolo (nobile) Spalt ed è stato utilizzato da alcuni birrifici selezionati per la prima volta nel 2007. Originariamente chiamato Stella, ripropone ovviamente le caratteristiche floreali e leggermente speziate dei luppoli nobili. Usato in quantità generosa o in dry-hopping, dovrebbe impartire alla birra note che ricordano il pompelmo ed i frutti tropicali.  
La Sound Wave Aussie è di color ambrato, con riflessi ramati, molto opaco;  forma una bella testa di schiuma ocra, fine e cremosa, molto persistente.  Davvero ottimo l’aroma, molto pulito e raffinato, ancora fresco, evidentemente prodotto di un abbondante dry-hopping:  in sequenza transitano per le narici pompelmo, mango, ananas, passion fruit, lampone e fragola. Un bel mix quasi balsamico di frutti di bosco e tropicali.  Le grandi aspettative che immediatamente si formano vengono però abbastanza deluse sin dal primo sorso. L’imbocco è ancora convincente, con note di crosta di pane e una leggera presenza di pompelmo e dolci frutti tropicali, ma la bevuta si guasta non appena arriva l’amaro, invadente, pesantemente vegetale con qualche nota resinosa. In bocca la birra sarebbe gradevole, con un corpo medio,  una buona morbidezza ed il giusto ammontare di bollicine; a rallentarne pesantemente il ritmo di bevuta (l’alcool è solo 6.5%) è piuttosto l’amaro, che raschia il palato e lo satura. Diventa quasi istintivo, prima di ogni sorso, soffermarsi qualche secondo in più ad annusare la birra per godere dei suoi ottimi profumi e poter poi affrontare la meno gradevole bevuta. Ha comunque una bella secchezza finale, ma è solo un lieve istante di pausa prima del retrogusto, molto amaro, ricco di note vegetali, di erba appena tagliata e di resina. Non ho provato la Sound Wave “standard” (luppoli americani) ma questa versione australiana è una birra che mi sembra spaccata a metà; tanto invitante ed elegante l’aroma, fresco e gradevole, quanto eccessivo e logorante per il palato l’amaro che rende la bevuta una sbilanciata spremuta (amara) di luppolo.  Formato: 33 cl., alc. 5.6%,  scad. 30/04/2014, pagata 3.27 Euro (beershop, Inghilterra)  

mercoledì 22 gennaio 2014

Pleine Lune Aubeloun

Altro nuovo birrificio francese che arriva sulle pagine del blog, e ce ne saranno altri in questi primi mesi dell’anno. Si trattta della Brasserie Artisanale de la Pleine Lune, con sede a Chabeuil, un centinaio di chilometri a sud di Lione, quasi alle pendici di Monti dell'Ardèche; viene inaugurata nell’estate del 2011 da Benoit Ritzenthaler, dopo una decina d’anni di produzione casalinghe. Una quindicina le birre prodotte, secondo Ratebeer, tra leggere varianti (mix di luppoli) della stessa ricetta e qualche collaborazione con altri birrifici. Se apparentemente la storia del birrificio non offre particolari spunti d’interesse, almeno per quello che è reperibile in Internet, un po’ più interessante è l’adesione del birrificio al  Front Hexagonal de Libièration, un collettivo attualmente formato da otto birrifici: L’Agrivoise,  Fleurac, La Franche, Garrigues, Matten, le Paradis, Correzienne e La Pleine Lune.   Il fronte è ispirato al già esistente svizzero  Front Helvétique de Libièration. Il nome gioca ovviamente con l’assonanza del neologismo LiBIERation alla parola “Liberation”, mentre “Hexagonal” si riferisce al nome della forma geometrica (l’esagono, appunto), con il quale i francesi chiamano informalmente la propria nazione.  Il manifesto è stato pubblicato a Marzo 2011, e qui sotto trovate la traduzione (più o meno accurata) dei punti: 
1)  Produrre birre di qualità che siano in grado di competere con quelle dei produttori internazionali 
2)  Avere riguardo sia per la tradizione che per le innovazioni che avvengono all’estero, per andare oltre i gusti standardizzati e la classica offerta al pubblico del tris di birre “bianca/bionda/ambrata” 
3)  Evitare l’uso di aromatizzazioni ed ingredienti tanto pittoreschi quanto improbabili 
4)  Produrre birre sfruttando al massimo il potenziale aromatico delle varietà di luppolo disponibili 
5) Opporsi alle verità ed ai luoghi comuni che vengono generalmente considerati tali riguardo agli uomini, alle donne, etc etc. 
6) Commercializzare birre senza difetti ed impegnarsi a ritirare i lotti difettosi, se necessario 
7) Riconoscere il merito e la competenza dei colleghi birrai quale che sia la loro formazione o provenienza 
8) Trasparenza riguardo al luogo di produzione ed agli ingredienti usati 
9) Promuovere la collaborazione, la fiducia e la trasparenza nei confronti dei colleghi birrai 
10)  Resistere alla tentazione di salire in cattedra e di considerarsi dei professori della materia   
Il “fronte” nutre apparentemente un amore per il luppolo, visto che rilascia anche una specie di “bollino” con una scala graduata che identifica gli IBU di una birra. 
Terminata la lezione, è il momento di bere. Aubelon (il nome ha una buona assonanza con il termine francese “Houblon” = luppolo) è una India Pale Ale brassata, se le informazioni recuperate in rete sono corrette, con Simcoe, Amarillo, Citra ed il neozelandese Green Bullet.
Si presenta di colore ambrato scarico, con riflessi ramati, molto velato. La schiuma, biancastra, è abbastanza cremosa anche se un po' grossolana; discreta la persistenza. Il naso non è molto pronunciato ma abbastanza fresco: pompelmo, arancio, leggeri sentori di frutta tropicale, aghi di pino, ma anche qualche lieve difetto (gomma bruciata). Discreta pulizia anche in bocca: base di biscotto, con alternanza di pompelmo e qualche nota di frutta tropicale. La prima parte della bevuta è gradevole, convince invece meno l'amaro, erbaceo e resinoso, che non brilla di eleganza. Finisce secca, con un retrogusto amaro che, nel bene e nel male, torna sui passi dell'aroma: un po di gomma bruciata, erba e resina. Corpo medio-leggero e discreta carbonazione.  Ben lontana dall'eccellenza,  una  IPA facile e discreta, che è meglio bere a temperatura un po' più bassa di quella consigliata (8-10 gradi), per attenuare un po' i lievi off-flavors. C'è ancora bisogno di lavorare, per completare almeno il primo punto del manifesto sopra riportato.
Formato: 75 cl., alc. 6.7%, IBU 59, lotto LI 11, scad. 15/08/2014.

martedì 21 gennaio 2014

Bristol Beer Factory Ultimate Stout

Ancora Bristol Beer Factory  ed ancora una stout, dopo la Mocha bevuta poco tempo fa. Uno stile molto amato dal birrificio, che ogni anno, prima di Natale, è solito preparare una serie di Stout, dodici per la precisione, che vengono vendute in un unico cartone presso lo spaccio del birrificio o spedite direttamente a domicilio dei clienti del Regno Unito. La Ultimate Stout fa parte di questa serie, ma è anche prodotta regolarmente tutto l’anno; non è una classica stout anglosassone, visto che utilizza un ceppo di lievito belga. 
Bottle conditioned, ovvero rifermentata in bottiglia, è di un bel color marrone scurissimo, con una piccola schiuma color nocciola, un po’ grossolana ma comunque abbastanza  cremosa, non molto persistente.  L’aroma non è particolarmente intenso, ma comunque pulito ed elegante:  oltre agli attesi sentori di caffè e di orzo tostato ci sono leggere note di liquirizia, fruit cake al cioccolato ed una morbida presenza etilica. Il percorso continua in linea retta anche in bocca, dove questa Ultimate Stout arriva molto morbida, poco carbonata,  dal corpo medio ma dalla buona scorrevolezza. Di nuovo tostature e caffè, prugna disidratata, leggera presenza di cioccolato amaro e fruit cake; nessun elemento tende a dominare sugli altri, e c’è piuttosto un bell’equilibrio generale tra tutte le componenti. Termina con una lieve l’acidità finale, tipica dei malti scuri, ed un bel retrogusto lungo, leggermente etilico e tostato, con dei gradevoli rimandi – di nuovo – al chocolate fruit cake.  L’alcool (7.5%) è sempre ben nascosto, portando solo un lieve warming finale; solida, pulita e ben fatta, una bella bevuta. Formato:  50 cl., alc. 7,5%, scad. 30/05/2014.

lunedì 20 gennaio 2014

Gladium 1059 O.G.

Primo debutto italiano del 2014 sulle pagine del blog; si tratta del Birrificio Artigianale della Presila, che commercializza le proprie birre con il marchio Gladium. Aperto nel 2012 da Anselmo Verrino, si trova a Zagarise, ad una trentina di chilometri da Catanzaro, ed è quindi uno degli otto birrifici attualmente attivi, secondo il database di Microbirrifici.org, in Calabria. Un birrificio quindi ancora molto giovane che, come viene molto ben documentato da Birramoriamoci, parte con impianto cotta da tre ettolitri e due fermentatori da sei; sul blog di Matteo trovate anche una breve storia del birrificio, un'avventura iniziata nel 2009 ma concretizzatasi solo tre anni dopo grazie alla burocrazia italiana. Realtà giovane, dicevo, che ha già fatto alcune modifiche al proprio portfolio di birre; le prime produzioni, chiamate semplicemente Bionda Doppio Malto, Rossa ed Hefe Weizen, sono state (fortunatamente!) rinominate come White Lady (Weizen) 1059 OG (Belgian Blond Ale), Symphony (Strong Dark Ale) e in arrivo c'è anche una Golden Ale chiamata Hera.
Purtroppo non mi capita spesso di assaggiare birre dai birrifici "artigianali" italiani delle regioni più meridionali; a parte qualche produttore, che si riesce a reperire anche al nord, la maggior parte dei birrifici meridionali (ma non solo) hanno sopratutto una distribuzione locale. Per fortuna stanno aprendo molti beershop on-line che in futuro potranno mettere una pizza a questo problema.
Stappiamo questa bottiglia di 1059 O.G (il nome fa chiaramente riferimento alla Original Gravity, ossia la quantità di zuccheri presenti all’inizio della fermentazione nel mosto, misurata con il densimetro), che in etichetta viene definita una "Belgian Blond Ale".
All'aspetto è effettivamente di color oro antico, velato; molto bella la schiuma, bianca, compatta e fine, cremosa e dalla buona persistenza. Una Belgian Ale in cui onestamente di Belgio vi ho trovato molto poco; a partire dall'aroma, poco pronunciato, che offre qualche lieve sentore di banana e soprattutto di miele millefiori. Lo scenario non muta di molto in bocca; qualche note di crosta di pane, ancora miele, lievie diacetile. L'intensità del gusto è discreta, la pulizia meno, il corpo medio; la consistenza è abbastanza watery, ma la bevuta appare un po' pesante e la birra non scorre veloce come dovrebbe. La carbonazione media cerca di dare un po' di vigore, ma quello che manca è l'apporto del lievito, quella delicata speziatura e quegli esteri che una Blond Ale dichiaratamente Belga dovrebbe avere. Manca anche della necessaria secchezza, lasciando il palato un po' troppo appiccicoso dopo ogni sorso. Chiude con una lieve nota amaricante erbacea, corta ma gradevole, ma il retrogusto è di nuovo dolce, un po' burroso, appiccicoso. Anche tralasciando l'aderenza allo stile dichiarato, rimane una Blond Ale un po' grezza e poco scorrevole, che si beve con più fatica del dovuto; il birrificio è nuovo, e la gioventù sembra trasmettersi in questa bottiglia, ancora da levigare e da mettere a punto.
Formato: 33 cl., alc. 6.5%, lotto 14B, scad. 30/09/2014, pagata 2.50 Euro (stand birrificio)

domenica 19 gennaio 2014

Moor Hoppiness

Dopo oltre un anno ritorna su queste pagine la Moor Beer Company, il birrificio del Somerset fondato nel 1996 da Freddy Walker e rilevato  nel 2007, quando stava per chiudere, dai californiani Justin e Maryann Hawke; ereditata la passione delle birra e del beer-hunting dal padre, avido lettore di Michael Jackson, ha iniziato con l'homebrewing nel 1995. Il lavoro lo ha poi portato prima in Germania ed in Inghilterra, dove non si è fatto scappare l'opportunità di aprire finalmente un proprio birrificio. La produzione in bottiglia avviene nell'insolito (per il Regno Unito) formato da 66 centilitri: "economicamente sconveniente quello da 33, troppo piccola una birra da 50 per essere goduta a pieno, troppo grande quello da 75, finisci sempre per bere più di quanto dovresti", dice Justin per motivare la sua scelta.  La gamma Moor è costituita da molte session beers (con alcool in percentuale inferiore al 4.5%), soprattutto Golden Ales; poco alcool, ma grande intensità nel gusto e nell'aroma, come la splendida Revival che rappresenta il mio primo incontro con questo birrificio.
Hoppiness non è forse un nome particolarmente originale (Ratebeer elenca 28 birre che contengono questa parola) ma è la sola American IPA che Moor produce, sorella minore della JJJ IPA e sorellastra di altre due IPA: una English-style, chiamata Empire Strikes Back, ed una Black, chiamata Illusion. Dal 2009 la Hoppiness fa incetta di premi, anche se soprattutto nei concorsi locali indotti dal CAMRA del Somerset. Nel 2009 e nel 2010 viene eletta "Supreme Champion" del CAMRA Somerset Festival, nel 2012 "Runner Up" dello stesso festival.
E' abbastanza velata nel bicchiere (in numerose interviste in Internet si percepisce una netta avversione, da parte di Justin, per le birre filtrate e chiare), di un bel colore che ricorda la West Coast americana: oro con sfumature arancio. La schiuma è biancastra, cremosa, ed ha una buona persistenza. Il bouquet aromatico è quello atteso, quello che resteresti ad annusare per parecchie ore:  niente frutta caramellata o marmellata, qui c'è pulizia, eleganza e fragranza, la stessa che trovereste nello spaccare a metà un frutto: pompelmo, mandarino ed aghi di pino, con qualche nota più dolce di frutti tropicali (ananas e melone). Gli elementi si compongono in maniera splendida, con equilibrio, senza mai stancare le narici.  In bocca è molto morbida e scorrevole: corpo medio, poche bollicine, molto scorrevole nonostante un ABV (6.7%) poco "sessionabile". Il gusto allontana subito gli ammiccamenti e le ruffianerie alle quali molte birre dei birrifici inglesi nati in questi ultimi anni spesso ricorrono. Non c'è nessuna spremuta di frutta, ma un gran bell'equilibrio solido, pulito, godibilissimo. Base di biscotto, bell'alternanza di pompelmo e di dolci frutti tropicali con una ben riuscita progressione amara che parte dalla scorza di pompelmo per intensificarsi in toni resinosi e leggermente pepati. E' secca, lascia il palato pulito e soddisfatto, con un bel retrogusto amaro ed intenso che riassume tutto quanto è appena passato dalla bocca: scorza di pompelmo e resina, pepe, con un tocco di dolce tropicale.
Profumata, pulita ed intensa, poche cose, ma tutte nella giusta dose ed al punto giusto: IPA molto ben riuscita. Si scrive Moor, ma si legge (quasi) esattamente come "more", ovvero "ancora, un'altra".
Formato: 66 cl., alc. 6.7%, scad. 31/07/2014, pagata 6.56 Euro (beershop, Inghilterra).

sabato 18 gennaio 2014

El Cantero Imperial

Ammetto di non conoscere approfonditamente la scena brassicola spagnola, ma anche nella penisola iberica è in corso una piccola rivoluzione con diversi microbirrifici che faticosamente cercano di affacciarsi in un mercato in mano ai grandi nomi che vi vengono in mente se associate Spagna alla parola birra. Del resto, la distribuzione ha portato BrewDog e Mikkeller anche là, ed alcuni pub e bar, beershop e beershop online hanno iniziato a proporre, oltre a queste, anche le prime birre locali. Devo ancora una volta citare Stefano Ricci, e questo suo articolo su il Cucchiaio d'Argento: in Spagna sta in un certo senso accadendo quello che accadde in Italia circa 15 anni fa, ma a velocità molto più sostenuta grazie ai social network e, perché no, ad una distribuzione europea molto più organizzata che spinge i prodotti alternativi. Al contrario dell'Italia, dove i fondatori del movimento artigianale avevano iniziato ispirandosi alla Germania ed al Belgio, in Spagna mi sembra che le partenze siano avvenute soprattutto a colpi di luppoli americani e d'amaro.
La birra di oggi è prodotta dalla Cerveza Artesanal El Cantero, di Puerto Lumbreras (Murcia); pochissime informazioni disponibili, solo un profilo Facebook dal quale attingere qualche informazione. Dovrebbe trattarsi di un birrificio e non di una beer-firm,  ma non ne ho la certezza; la pagina Facebook mostra foto di un impianto Slow Beer, che a sua volta conferma di aver sviluppato un impianto anche per loro.  Lo sviluppo rapido di un nuovo movimento non sempre ben si sposa con la cura e l'attenzione per la qualità del prodotto che viene proposto; sembrerebbe un luogo comune, ma questa Imperial è qui apposta per confermarlo. Molto avara d'informazioni e poco memorabile l'etichetta, che per lo meno dà un'indicazione su cosa aspettarsi nel bicchiere, abbinando la parola Imperial ad un edificio indiano.
Si presenta di color oro antico, leggermente velato; la schiuma, bianca, è molto persistente, a trama fine e cremosa. Fin qui tutto bene, ma già al naso le cose iniziano a peggiorare; aroma molto scarso, soprattutto per una Imperial IPA. Quasi a fatica si tira fuori un po' di pompelmo, marmellata d'arancia, qualche ricordo di frutta tropicale e di aghi di pino. In bocca le cose non migliorano di molto, anzi: l'alcool (8%) è molto, troppo in evidenza, fastidioso. Il gusto è abbastanza latitante, si passa dall'ingresso (biscotto) all'amaro resinoso ed un po' pepato; c'è quasi più alcool che gusto, con una inaspettata nota leggermente salina a fine corsa. Il finale è corto, amaro di media intensità, resinoso. Corpo medio-leggero, discretamente carbonata e dal mouthfeel watery. Birra abbastanza mediocre, dalla bevibilità molto limitata e soprattutto dalla bassa gradevolezza. Probabilmente un birrificio che sta muovendo i primi passi, ma la strada da percorrere, a giudicare da questa bottiglia, è in salita. 
Formato: 33 cl., alc. 8%, lotto 01, scad. 05/2014, pagata 3.00 Euro (stand birrificio).

venerdì 17 gennaio 2014

Extraomnes Kerst Reserva 2013 vs. 2011


Chiudiamo la sessione natalizia 2013 in bellezza. Kerst Reserva, Birrificio Extraomnes di Marnate (Va), tra l’altro fresco vincitore del titolo di Birraio dell’Anno 2013 attribuito a Luigi D’Amelio. La Kerst Reserva esiste solo dal 2011, ed in soli due anni di vita è già diventato oggetto di piccolo culto tra gli appassionati italiani;  e la sorella barricata  dell’altra birra natalizia di Extraomnes, la Kerst. Ai birrofili navigati sarà già evidente la similitudine - non casuale - con le due birre natalizie del birrificio belga De Dolle: la Stille Nacht, e la Stille Nacht Reserva. Oggi mettiamo a confronto in una “mini verticale” l’edizione 2011 con l’ultima nata, quella 2013. Non ho informazioni di prima mano, mi si scusino quindi eventuali inesattezze derivanti da quanto si trova in rete. 
L’edizione 2011 invecchia per nove mesi in botti che avevano contenuto la Barbera d’Alba di Elio Altare;  la 2013 si fa invece circa sette mesi in botti di Barolo di Dogliani. Leggermente diversa l’ABV finale ottenuto e dichiarato in etichetta: 13% per la 2011, 12% la 2013; per entrambe viene utilizzato in bollitura uno zucchero candito “bio” proveniente dal Trentino, fatto con succo concentrato di mela. Partiamo dall’aspetto, di colore ambrato con riflessi arancio/rame; nessuna sorpresa nello scoprire la 2013 un po’ più chiara, anche se la foto non rende giustizia, mentre qualche grosso fiocco di lievito fa capolino dal fondo della 2011.  Quasi uguale la quantità di schiuma che si forma: impeccabile quella della 2013, finissima e cremosa, leggermente più grossolana e scomposta quella della 2011. Più elegante che forte l’aroma della 2013, molto complesso, che abbisogna di qualche minuto di riposo nel bicchiere per aprirsi completamente; è davvero un piacere cercare di coglierne tutte le diverse sfumature. Naso zuccherino con canditi (cedro, arancio), marzapane, miele, uvetta, mela al forno, lieve vaniglia; in sottofondo qualche leggero sentore legnoso e vinoso. Prorompente da subito, invece,  l’aroma della Reserva 2011: ancora canditi, marmellata d’arancio, caramello e miele, uvetta, zucchero candito, e sentori vinosi che ricordano in maniera lieve vini liquorosi come marsala o sherry;  molto più sottili le note legnose, per un naso che risulta meno elegante ma più potente di quello della sorella giovane. 
Pieno il corpo della 2011, appena un po’ più sottile quello della 2013; in entrambe la carbonazione è modesta e la consistenza oleosa, per una birra morbida che riempe il palato senza mai “intasarlo“. Partiamo dalla più giovane, dove il gusto ha una buona corrispondenza con l’aroma: ritorno di canditi (cedro e arancio), datteri, albicocca disidratata, caramello, lievi note di vaniglia; l’alcool c’è e si fa sentire da subito. La bevuta è molto calda, avvolgente; se l’alcool stempera la dolcezza iniziale, è una lieve acidità finale ad attenuare il warming etilico; la Reserva 2013 chiude con una secchezza sorprendente, un finale legnoso e tannico, preludio ad un lungo retrogusto di frutta sotto spirito che scalda e rincuora. La Reserva 2011 si muove su binari simili; ancora più potente e dolce, ricca di frutta candita, uvetta e datteri, con note vinose più marcate che rimandano, come nell’aroma, ai vini liquorosi. Il finale è molto meno secco della 2013, ha una leggera nota salina (che mi è sembrata di avvertire, sebben in modo lievissimo, anche nella 2013) ed anche qui c’è una lieve acidità finale a stemperarne l’opulenza; ancora presente qualche lieve residuo legnoso, lascia un caldo e lunghissimo retrogusto etilico ricco di frutta sotto spirito, morbido ed appagante. 
Due birre importanti, con l’alcool che non si nasconde e che rende obbligatorio un lento sorseggiare;  ideale un dopocena di una fredda serata d’inverno, ma le note vinose rendono la Kerst Reserva comunque ottima anche per abbinamenti gastronomici. Ovviamente giovane e fresca la 2013, ancora molto vigorosa ma più "assestata" la 2011 che mostra di poter reggere altri anni di cantina e di poter evolvere in maniera molto interessante.  Anche l’Italia ha finalmente la sua birra da mettere in cantina e conservare per gli anni a venire; dopo il Belgio anche l’Italia ha adesso la sua birra che ogni anno, con un po’ d’irriverenza nei confronti della Stille Nacht,  ti può far dire: “adesso è Natale”.   
Kerst Reserva 2013, formato 33 cl., lotto 231 13, bott. Nr. 1091, scad. 31/08/2018, pagata 5,29 Euro (Beershop, Italia) 
Kerst Reserva 2011, formato 33 cl., lotto 214 11, scad. 08/2016, pagata 5.90 Euro (Beershop, Italia)

giovedì 16 gennaio 2014

Dauphiné Mandrin Biere de Noel

Ultimi fuochi natalizi, e questa volta ritorniamo in Francia, per un debutto sul blog; si tratta della Brasserie Artisanale du Dauphiné a Saint Martin d’Hères, una cinquantina di chilometri a sud di Chambéry. La ricerca d'informazioni su questo birrificio (i siti internet dei microbirrifici francesi sono solitamente di gran lunga peggiori di quelli italiani) deve partire differenziandolo dalla Brasserie artisanale du Val d'Ainan che, a soli cinquanta chilometri di distanza, produce una gamma di birre chiamate La Dauphine.  Non so chi delle due sia nata prima, fatto sta che la Brasserie du Dauphiné ha scelto di chiamare le sue birre Mandrin, e per trovare la loro presenza in internet bisogna ingegnarsi un po' ed arrivare al sito della Fabrique Bières Mandrin. Formata nel 2002 da Vincent Gachet, homebrewer che è partito nella cantina e nella cucina del proprio appartamento di Seyssins, prima periferia di Grenoble; nonostante la giovane età, è stato il primo birrificio di tutta la Val d'Isére ad aprire le porte dopo la chiusura, avvenuta nel 1955, della Brasserie Grenobloise de la Frise, nella quale lavoravano tra gli altri anche i nonni di Vincent. 
Le birre chiamate Mandrin sono un omaggio al brigante e contrabbandiere Louis Mandrin, il cui profilo è stilizzato in etichetta e che, trent'anni prima della Rivoluzione Francese, si ribellò agli esattori della Ferme; organizzata una fiorente attività di contrabbando tra Savoia, Svizzera e Francia, vendeva (tax free) pellami, spezie e tabacchi nei villaggi; fu condannato a morte nel 1755. Qualche lettore forse ricorderà uno sceneggiato televisivo dal nome Mandrin in onda in Italia negli anni '70.  
Il birrificio utilizza ovviamente l'acqua delle vicine Alpi, ma anche altri prodotti locali come miele e le famose noci di Grenoble per caratterizzare le proprie birre. Segnalo anche un video che in pochi minuti ben illustra l'attività produttiva del birrificio.
Passiamo alla birra, una stagionale natalizia chiamata semplicemente Biére De Noël, una strong ale prodotta con miele e spezie, che il birrificio definisce una specie di Pain d'Epices liquido. Nel bicchiere arriva opaca, di color ambrato con riflessi ramati; schiuma "croccante", molto fine e cremosa, biancastra. Ottimo. Al naso c'è una chiara impronta di lievito belga, qualche nota di pepe, ma soprattutto una generosa speziatura di zenzero, chiodi di garofano, cardamomo, cannella. Più in sottofondo qualche sentore fruttato (arancia) e di amaretto. L'intensità dell'aroma è discreta, le premesse sembrano interessanti ma purtroppo in bocca c'è un drastico crollo. Molto carbonata, pochissimo corpo (8% ABV), consistenza watery; molto astringente e poco pulita, con note di biscotto, burro, miele e soprattutto una speziatura (zenzero) un po' fuori controllo che tende a sovrastare ogni cosa. L'alcool non è pervenuto, e tuttavia è una birra che si beve (e si finisce) a fatica per la marcata astringenza e per la poco gradevolezza. Per avere un po' di warming bisogna arrivare proprio in fondo ed aspettare il retrogusto, ma è un contentino che non genera nessun sollievo da una birra troppo sbilanciata e con qualche difetto di troppo. Va bene il natale, vanno bene la spezie, ma in etichetta c'è scritto "biere" e non "tisana allo zenzero". 
Formato: 33 cl., alc. 8%, lotto 674, scad. 11/2015, pagata 2.15 Euro (supermercato, Francia).

Staffordshire Cheddleton Christmas Ale


Secondo appuntamento con la Staffordshire Brewery dopo la Snowmans Meltdown di ieri, prodotta per la consociata Cottage Delight, produttore e distributore di "delicatessen". Cheddleton Christmas Ale è invece la birra natalizia che viene commercializata a nome Staffordshire. Più classica l'etichetta, elegante, che sbandiera però per ben due volte un "triple filtered (for a clean crisp finish)", come se la mancanza di filtrazione fosse un male assoluto da evitare. Ad ogni modo, anche questa è una natalizia dal grado alcolico contenuto (4.6%), che Ratebeer classifica come ESB/Premium Bitter.
Nel bicchiere è di colore ambrato, molto carico, quasi tonaca di frate, con riflessi rossastri; ovviamente limpida (tripla filtrazione!) con schiuma generosa, molto cremosa e persistente, di color ocra. Il naso di non è certo un'esplosione di profumi, ma c'è un buon livello di pulizia; leggere tostature, toffee, qualche sentore che ricorda il caffellatte. Al palato è gradevole e morbida, il corpo più verso il medio che il leggero, discreta carbonazione; gusto un po' meno pulito dell'aroma, anche se più intenso e sfaccettato. La bevuta procede principalmente sul territorio del torrefatto e del terroso, con qualche interessante sfumatura di cioccolato e di caffè e, più lieve, di cenere. Il risultato sarebbe abbastanza soddisfacente, la birra è secca e facile da bere, peccato per il finale dove c'è un'evidente nota di gomma bruciata che rovina un po' la festa, rendendo il suo ricordo meno bello di quanto poteva essere.
Formato: 50 cl., alc. 4.6%, lotto 871, scad. 09/2014, prezzo 3.16 Euro (foodstore, Francia).

mercoledì 15 gennaio 2014

Staffordshire Snowmans Meltdown

Nasce nel 2002 come The Leek Brewing Company, fondata da Adrian Corke and Susan Carline, ex homebrewers che birrificavano in  giardino ed imbottigliavano in cucina. Pian piano le cose si traformano in qualcosa di più professionale, ovvero in un impianto da 6 barili in un magazzino di Cheddleton, un paese equidistantemente a sud di Manchester quanto ad Ovest di Nottingham. Il grosso cambiamento avviene però nel 2010, quando in società entra con un cospicuo investimento Nigel Cope, già fondatore e proprietario della Cottage Delight, produttore e distributore di marmellate, chutneys ed altre specialità gourmet.  La Leek si trasforma in la Staffordshire Brewing & Bottling Supplies, con la decisione di non produrre più birre rifermentate in bottiglia e di passare alla filtrazione e pastorizzazione, (sembra) per ovviare a qualche problema qualitativo. Gli investimenti di Cope ampliano l’impianto a 20 barili e portano all’installazione di una moderna e veloce linea d’imbottigliamento; la Staffordshire, oltre a produrre le proprie birre ed altre che vengono distribuite con il marchio la Cottage Delight, opera anche come imbottigliatore per altri birrifici. 
Fa parte della linea di “fine food” di Cottage Delight and questa “smooth dark stout” chiamata Snowman’s Meltdown, ovvero lo “sciogliersi del pupazzo di neve”. Una birra che – si scopre a bottiglia vuota -  di natalizio ha solamente l’etichetta: per il resto, si tratta di una stout di color ebano scuro; forma “due dita” scarse di schiuma, cremosa e discretamente persistente, di color beige. L’accoglienza non è delle più calorose: aroma abbastanza sottotono, si avverte qualche timido sentore di orzo tostato, mirtilli, caffè. Non che in bocca ci sia un’improvvisa impennata verso l’alto; è tutto molto leggero, a partire dal corpo, per continuare con la carbonazione e per terminare con l’intensità. Un po’ troppo acquosa, regala qualche debole tostatura e qualche ricordo di caffè, con una leggera acidità finale. Si beve, intendiamoci, ma con grande noia e un po’ di rimpianto per altre bottiglie che avresti potuto stappare al suo posto.  Archiviate l’etichetta in collezione, non rimane un gran ricordo. Formato:  50 cl., alc. 4.5%, lotto 834, scad. 04/2014, pagata 3.16 Euro (foodstore, Francia).

martedì 14 gennaio 2014

LoverBeer A Renna Glüh 2012

Facile pensare al Natale ed immaginarsi una tazza (o bicchiere) calda di vin brûlé; meno facile pensare invece ad una birra calda, soprattutto per chi sta muovendo i primi passi nell’affascinante universo della birra.  Inutile tornare a scrivere quanto non sia già stato scritto in maniera molto approfondita, e vi rimando quindi a questo interessante articolo di Alberto Laschi per chi  volesse meglio approfondire l’argomento. Non è rimasto molto della tradizione della birra calda di Natale; l’esempio commercialmente più facilmente reperibile rimane tutt’oggi la Glühkriek della Liefmans, storico birrificio belga fondato nel 1679,  fallito ed acquisito nel 2008 dalla Duvel Moortgat.  Cercando, tuttavia, qualcosa ancora si trova, sia nella tradizione belga che in altri paesi europei; in Italia ne ho trovato tracce da uno dei pionieri del movimento “artigianale”, il Birrificio Italiano di Agostino Arioli, che una decina di anni fa proponeva, nel periodo invernale, una versione "calda" della Prima.  Non sono a conoscenza di altri esempi in suolo italico al di fuori della A Renna Glüh, una creazione del birrificio Loverbeer di Valter Loverier. La base di partenza è l’acida D’uvaBeer alla cui ricetta, che già prevede il 20% di mosto d’uva, sono state aggiunte le spezie. L’etichetta non ne riporta l’elenco esatto, ma dovrebbero essere (sempre secondo il sopracitato articolo di Laschi)  cannella, chiodi di garofano, anice stellato e scorze d’arancia dolce. La A Renna Glüh può essere quindi bevuta sia alla temperatura consigliata in etichetta (8-12 gradi) che riscaldandola a circa 70° gradi. Quale migliore occasione per “smezzare” una generosa bottiglia da 75 cl.  e provare entrambe le opportunità.  
L’etichetta del collo bottiglia indica il millesimo di produzione (2012); molto intenso il colore, un ambrato rossastro con una vivacissima e spumeggiante schiuma biancastra, molto generosa ma altrettanto evanescente.  Il naso è aspro (lattico) con note di frutta acerba ma soprattutto di spezie: chiodi di garofano, noce moscata, anice sono le più evidenti, ma sono sicuro che chiunque abbia un’approfondita conoscenza delle spezie si divertirebbe ad assaporare i profumi di questa birrra.  Snella, leggera e vicace in bocca, acida (lattico) con abbondanza di uva e prugna acerba; ritroviamo anche al gusto le spezie dell’aroma, per una bevuta facile molto secca, anche se l’ABV dichiarato in etichetta è l’8%, che vede un finale quasi rinfrescante (considerando che si tratta di una birra natalizia!) nel quale ho trovato – forse suggestionato - delle note di cumino.
Passiamo invece alla versione calda, che potete ottenere sia riscaldando la bottiglia a bagno maria che versando direttamente la birra in un pentolino sul fornello. Bicchiere fumante in mano, e spezie ancora più in evidenza rispetto alla temperatura di cantina. Quasi invadenti i profumi di cannella, chiodi di garofano e noce moscata che s’accaparrano la scena. Scompaiono quasi del tutto le bollicine al palato, ed il corpo sembra essere leggermente più robusto; le note lattiche non sono più presenti nell’aroma, ed anche in bocca sono solo lievemente percepibili.  Non che la birra sia diventata dolce, ma senz’altro calda è molto meno aspra.  Il gusto è ricchissimo di spezie, cannella e chiodi di garofano, ad occhi chiusi si è idealmente trasportati all’aperto, in una fredda giornata d’inverno, magari nella piazza di un mercatino natalizio, con una tazza calda di vin brulè in mano. Quasi un peccato berla in casa, dove la temperatura non permette di godere appieno dell’effetto riscaldante.
Formato: 75 cl., alc. 8%, lotto PGLU02-0612, scad. 12/2015, pagata 10.80 Euro (food store, Italia).

lunedì 13 gennaio 2014

St Feuillien Cuvée de Noël

Appuntamento natalizio anche per la Brasserie St. Feuillien della famiglia Friart, presentata in questa occasione. Cuvée de Noël il nome scelto per questa Belgian Strong Ale di un bellissimo color marrone quasi limpido, con intensi riflessi rossastri; molto generosa la schiuma, beige chiaro, a trama fine e molto persistente, quasi pannosa. Naso fresco, che regala un bel mix di spezie e frutta: il bouquet speziato non è facilmente identificabile, ma ugualmente godibile. Sentori di anice, forse di ginepro, assieme a banana matura, zucchero candito ed una leggera asprezza di frutti rossi. La gradazione alcolica è sostenuto (9%), ma in bocca è davvero impercettibile;  in una degustazione alla cieca, sarebbe impossibile tirare ad indovinare ed azzeccarci; il corpo medio e la consistenza molto leggera la rendono molto scorrevole, la carbonazione sostenuta la rende vivace. Caramello/tofee, liquirizia, anice, note di biscotto e di zucchero di canna vanno a caratterizzare il gusto, con pulizia ed equlibrio ed una buona secchezza finale; chiude leggermente amara di liquirizia e qualche lieve tostatura.  Una natalizia pulita e ben fatta che non riscalda molto dal freddo invernale (la discreta ma percepibile speziatura è l’unico elemento che richiama un po’ le feste),  ma che si beve con pericolosa facilità, rendendo facilmente digeribile in solitudine anche la bottiglia da 75 cl. Una volta terminata, la  festa ha davvero inizio. Formato: 75 cl., alc 9%, lotto 5144 09:59, scad. 29/07/2015, pagata 10.00 Euro (beershop, Italia).


domenica 12 gennaio 2014

Revelation Cat KillerCat

Piccola pausa defaticante dalle birre natalizie, sulle quali torneremo però già a partire da domani; per chi è in astinenza di luppolo e di amaro, dopo tutti dolcioni natalizi, una buona scelta potrebbe essere Revelation Cat. Il birrificio di Alex Liberati non nasconde certo l'amore per il luppolo facendone, piuttosto, la propria bandiera. Numerose le IPA d'ispirazione americana prodotte, ma questa volta optiamo invece per quella che il birrificio definisce una "Czech IPA", ovvero prodotta solamente con luppoli provenienti dalla Repubblica Ceca.
Molto torbida nel bicchiere, di colore arancio chiaro; la schiuma, biancastra, è un po' grossolana, abbastanza cremosa, discretamente persistente. Aroma interessante e forte, più rustico e ruvido piuttosto che elegante: ci sono agrumi (mandarino ed arancio), sentori di erba fresca, appena tagliata, ma soprattutto di tè. Mi ha ricordato sia il tè verde che il meno nobile Estathé. Molto gradevole al palato, morbida e scorrevole, mediamente carbonata, corpo medio-leggero. C'è una leggera base di crosta di pane e cereali, supporto necessario allo "showcase" dei luppoli utilizzati. Non ci sono né preamboli nè mezze misure, qui si va dritti al sodo, ovvero al luppolo: l'inizio è leggermente agrumato, ma in breve la bevuta vira decisa nel territorio vegetale/erbaceo/tè verde e non torna più indietro. Intensa ma non particolarmente pulita, anche in bocca è più rustica che elegante, battendo con ossessione sullo stesso tasto, quello dell'amaro. Ai confini della tisana di luppolo, o del tè verde, chiude molto secca con - ovviamente - un retrogusto molto amaro che non si discosta di una virgola. Una birra forse didattica, sicuramente più interessante che godibile, almeno secondo il mio gusto. Contrariamente a tutte le altre Revelation Cat assaggiate, manca stranamente, in etichetta, il conteggio delle IBU.
Formato: 33 cl., alc. 6%, scad. 16/05/2014.

sabato 11 gennaio 2014

Mont Salève Bière de Noël

Ammetto di non avere un buon rapporto con la Francia e le sue birre; sul blog ce ne sono circa una settantina (molte bretoni), ma se dovessi elencare quelle che mi sono davvero piaciute me la caverei con le dita di una sola mano. Ricordo solo un piccolo miracolo, questa Cuvée des Jonquilles, acquistata grazie al prezioso consiglio del proprietario del beer shop di Parigi La Cave à Bulles. E' anche probabile che non abbia scelto quelle giuste, e che la colpa sia in parte mia. Negli ultimissimi anni, qualcosa sta cambiando anche nel paese che, come l'Italia, vive soprattutto per il vino e che relega alla birra un ruolo decisamente secondario. I distributori hanno iniziato a portare nei Pub BrewDog, Mikkeller e le americane; gli amanti della birra, più che a guardare al confinante Belgio (forse troppo vicino e comodo) hanno iniziato a scoprire i luppoli americani e, inevitabilmente, le IPA. A Parigi sono spuntati negli ultimi mesi diversi beershop e locali focalizzati sulla birra, una cosa impensabile fino a pochi anni fa quando i posti dove bere bene birra non si contavano neppure sulle dita - di nuovo - di una mano. Grazie a questi locali, sta aumentando la probabilità di bere buone birre francesi. In scala più ridotta, lo stesso sta accadendo in altre città; sono nati nuovi microbirrifici e, al tempo stesso, quelli già esistenti sono stati costretti a dare una ringiovanita alla propria gamma, andando un po' oltre la solita offerta bionda/ambrata/scura che caratterizzava la maggior parte dei micro francesi. Rimane qualche buona Bière De Garde, certo, ma a memoria non ricordo nessuna birra francese in stile belga (paese confinante !) degna di nota; stanno invece inziando a spuntare come funghi le IPA, le APA e le Imperial Stout. Qualcuno potrà anche  obiettare che è più facile fare una buona IPA o APA che una buona Blond Ale Belga; vero. Non credo si possa dire che in Francia stia accadendo, con una decina di anni di ritardo, quello che è accaduto in Italia con le partenze di Birrificio Italiano, Baladin e Lambrate; in Francia da sempre ci sono microbirrifici, che lavorano principalmente con un mercato locale. Quello che sta accadendo è un po' diverso: stanno aprendo nuovi birrifici, ma soprattutto quelli già esistenti si stanno finalmente rinnovando.
Mi è bastata un sola bottiglia per innamorarmi per la prima volta di un birrificio francese: la Brasserie du Mont Salève. Apertura non recentissima (2010), splendida identità visiva, elegante e retrò: qualsiasi delle loro etichette potrebbe essere appesa ad una parete come poster decorativo.  Il birrificio si trova al confine con la Svizzera, a soli dodici chilometri dalla città di Ginevra; l''uomo in questione è Michaël Novo, un chimico con la passione per l'homebrewing che ha trasformato in professione, forse. Molto avaro d'informazioni sul sito ufficiale; devo cercare informazioni in francese, le trovo invece su sul blog svizzero del Front Helvetique de Libieration: il birrificio pare si trovi al piano terra di un edificio che ospita principalmente una sala riunioni dei testimoni di Geova. Impianto piccolo, 400 litri a cotta, impianti, tini di fermentazioni ed un piccolo bar per gli assaggi dei clienti: tutto concentrato in circa sessanta metri quadrati. Già diverse birre in produzione, come elencato dal sito ufficiale.
Acquisto la loro Bière de Noël in un beershop di Lione, senza nessuna aspettativa ed informazione a riguardo, ma già all'apertura del tappo mi rendo conto di trovarmi davanti ad una India Pale Ale: stile poco natalizio, ma già l'aroma promette molto bene. Chiedo in prestito un bicchiere decente al bar dell'hotel:  ottengo un bicchiere da champagne, non è l'ideale, ma meglio che berla nei bicchiere che trovi sul lavandino del bagno. Il colore è molto West Coast: dorato, con qualche sfumatura arancia, leggermente velato. La schiuma è biancastra e cremosa, ed ha una buona persistenza. Naso pulitissimo, fresco, molto raffinato; il mix è il solito, atteso, ma non per questo meno invitante: pompelmo, mandarino, mango, melone retato, ananas, passion fruit e qualche sentore di aghi di pino. Al bouquet non manca praticamente nulla. Bene così e molto bene anche in bocca: corpo medio, carbonazione quanto basta, scorrevole e morbida al tempo stesso, mai sfuggente. Nessuna sorpresa al palato, soltanto delle conferme: ingresso di leggero biscotto, poi alternanza di pompelmo e frutta tropicale, per una bella partita tra dolce ed amaro che si risolve a favore di quest'ultimo nel finale, quando a subentrare sono le pepate note di resina. Ben attenuata e facilissima da bere (7.2% !), con una pulizia che raramente ho trovato nelle produzioni francesi e, soprattutto, nessuna presenza dello spauracchio "caramelloso/marmellatoso" che infesta purtroppo molte IPA. Non ha niente che faccia pensare al Natale, ma è fatta davvero come si deve, con tutti gli elementi al posto giusto: è forse questo che la collega alle festività, è un piccolo miracolo francese di Natale. Bravo.
Se mai capiterò a Ginevra, una deviazione di dieci chilometri in territorio francese per far visita alla Brasserie du Mont Salève sarà un "must".
Formato:  75 cl., alc. 7.2%, lotto 1, scad. 10/2014, pagata 8.30 Euro (beershop, Francia).

venerdì 10 gennaio 2014

Birrificio Dada Tripel Natal 2013

Dopo la prima di colore scuro del 2011, negli ultimi due anni la natalizia del Birrificio Dada si è tinta di giallo ed ha messo i due "Dada" Enrico Bartoli e  Roberto Ferrari in etichetta. Tripel Natal, nel nome una chiara indicazione  di cosa aspettarsi nel bicchiere; il colore è però molto torbido, arancio, con un bel cappello di schiuma biancastra, compatta e dalla buona persistenza. Al naso, non particolarmente pronunciato, banana matura, miele d’acacia, una leggera speziatura che però risulta difficile da identificare nei singoli elementi; all’apertura una leggera presenza di zolfo che fortunatamente svanisce dopo qualche minuto. Man mano che la birra si scalda emergono sentori di frutta candita, arancia e albicocca.  Corpo medio e poca vivacità in bocca, con una carbonazione modesta:  il gusto ha quasi perfetta corrispondenza con l’aroma: crosta di pane, banana matura, miele ed una speziatura leggermente più identificabile (coriandolo, chiodi di garofano ?), canditi (albicocca ed arancio). Marcatamente dolce, riesce comunque a mantenere un buon equilibrio grazie ad una leggera acidità finale ed a una buona attenuazione; quasi impercettibile la presenza d’amaro nel finale (scorza d’arancia, curacao) con un retrogusto abbastanza appagante di frutta sotto spirito caldo e morbido. 
C’è una buona intensità nel gusto, l’alcool è molto ben nascosto per tutta la bevuta, ma è una Tripel che non brilla di pulito; si beve bene e riscalda la serata ma lascia anche un po' di nostalgia per le migliori rappresentanti, belghe, della categoria d'appartenenza.
Formato: 75 cl., alc. 8.4%, lotto NT04, scad, 04/2015, pagata 10.00 Euro (beershop, Italia).

giovedì 9 gennaio 2014

Mikkeller Santas Little Helper 2010

Santa’s Little Helper. E’ sicuramente la più nota delle diverse birre natalizie che il birraio zingaro Mikkeller immette sul mercato ogni anno; a memoria mi vengono in mente la Hoppy Lovin Christmas e la Red/White Christmas Ale, ma ce ne saranno sicuramente altre nello sterminato portfolio della beer-firm danese più famosa al mondo, un portfolio che ormai inizia ad assumere dimensioni inquietanti.  Dovrebbe anche essere la prima Mikkeller natalizia, nata nel 2007 con un occhio di riguardo (e di rispetto) per la tradizione delle birre natalizie belghe; non a caso, viene prodotta negli impianti del belga De Proef. Leggere modifiche alla ricetta di anno in anno, forse per migliorarla o forse per finalità più commerciali ed invitare quindi i beer geeks ad acquistarla ogni Natale; non bastasse, la Santa’s Little Helper finisce inevitabilmente ogni anno in qualche botte (2009 vino rosso, 2010 Rum, 2011 Vino bianco, 2012 Cognac, Grand Marnier e Tequila). Dedicata al “piccolo aiutante di Babbo Natale” ossia  un personaggio (cane) dal cartone animato I Simpsons.   Recuperata dopo tre anni di cantina l’edizione 2010, nata con un ABV del 10.1% e prodotta con malti Maris Otter, Special-B, Biscuit, Pale Chocolate, sciroppo di zucchero candito scuro, luppoli Northern Brewer, Hallertauer, Styrian Goldings  e, se la traduzione dal danese è corretta, scorze d’arancia dolce ed amara, noce moscata. 
All’aspetto è di color marrone scurissimo, vicino al nero; molto persistente la schiuma, nocciola, compatta, fine e molto cremosa.  Al naso, nonostante gli anni passati dall’imbottigliamento, c’è ancora un bel bouquet di spezie ancora identificabile: noce moscata, anice, cannella, zenzero che affiancano sentori più “tradizionali” di uvetta e di prugna disidratata. A completare, caffè e zucchero candito. Aroma natalizio, che rimanda ai tradizionali dolci o biscotti speziati.  In bocca le spezie sono invece molto meno nitide, a vanno a formare una “generale” speziatura gradevole ma difficile da dissezionare;  c’è il ritorno di uvetta e di prugna secca, qualche nota di zucchero di canna, cioccolato amaro e caffè. Una lieve acidità bilancia molto bene il dolce dell’imbocco e pulisce il palato; il corpo è pieno, con il giusto livello di bollicine;  molto gradevole al palato, calda e morbida senza mai andare oltre le righe, finisce in crescendo: retrogusto abboccato ricco di frutta sotto spirito e una nota di cioccolato amaro.  Bevuta molto soddisfacente, speziata al naso e fruttata in bocca; birra molto solida e complessa ma relativamente semplice da bere, sembrerebbe avere ulteriore potenziale per passare altro tempo in cantina. Peccato non averne qualche altra bottiglia. Formato: 75 cl., alc. 10,1%, scad. 18/08/2016, pagata 9,15 Euro (beershop, Italia).