venerdì 20 febbraio 2015

De Dochter van de Korenaar Crime Passionnel

De Dochter van de Korenaar, ovvero “la figlia della spiga”, uno dei birrifici dal nome più bizzarro, viene fondato nel 2007 da Ronald Mengerink con la moglie Monique de Baat a Baarle-Hertog, exclave  belga  (ma che comprende a sua volta alcuni mini-exclavi olandesi)  in territorio olandese del quale potete leggere qui le divertenti caratteristiche.  Ronald, olandese di nascita (Twente) ma residente in Belgio da quasi vent’anni, ricorda d’aver iniziato a produrre birra dall’età di sedici anni (oggi ne ha quarantacinque) “usando farina d'avena, luppolo selvatico e i lieviti del fornaio”, restando molto contento dei risultati ottenuti; a vent’anni risiede a Groningen (siamo alla metà degli anni ’80)  e  decide di abbandonare l’università per iniziare a vendere la sua birra, a nome Brouwerij De Noorderzon: non sono riuscito a capire se fosse solo un marchio o un vero e proprio microbirrificio casalingo. Un lotto sbagliato di cinquemila litri di birra ed il conseguente dissesto finanziario mettono fine alla sua avventura, costringendolo a ritirarsi per molti anni dalle  “scene”, come riporta il blog Dutch Beer Pages.
La passione mai sopita di fare birra si manifesta dopo qualche decennio, complice un viaggio negli Stati Uniti e l’assaggio della Flying Dog Snake Dog IPA; Ronald decide di vendere la propria casa (di vacanza?) in Bretagna e di tornare in pista, ristrutturandone una a Baarle-Hertog, che come detto è geograficamente in Olanda ma è Belgio;  una scelta strategica dovuta alla più favorevole legislazione belga nei confronti di un birrificio artigianale, ma non solo: la bandiera belga su un’etichetta di birra ha senz’altro maggior appeal commerciale di una olandese. 
Non è tuttavia il Belgio “classico” quello che Roland intende proporre: le sue birre guardano maggiormente nella direzione di birrifici più “moderni” e sperimentali come De Struise ed Alvinne, inclusi gli invecchiamenti in botte. Il nuovo birrificio prende piede nel 2007 nei piccoli locali di una casa di Baarle-Hertog (che ospita anche la tasting room ed il beershop), con il nome che s’ispira ad una frase pronunciata nel 1550 da Carlo V (sì, il Gouden Carolus della Het Anker) che dichiarò di preferire “il succo della figlia della spiga di grano a quello del sangue dei grappoli dell’uva”.  
I riconoscimenti non tardano ad arrivare, a partire dal quarto posto ottenuto dalla Embrasse nella classifica di gradimento popolare allo Zythos 2009; ben presto la capacità produttiva è insufficiente a tenere testa a tutta la domanda, attualmente suddivisa tra un 70% destinato al mercato locale ed un 30% che viene esportato nella maggior parte dell’Europa e negli Stati Uniti.   
Il debutto sul blog di De Dochter van de Korenaar avviene con la Crime Passionelle, definita come una “internatioanlly styled wheat IPA”: si tratta di una IPA prodotta con una percetuale di frumento e luppoli (suppongo) americani.   
Nel bicchiere è di colore ambra velato, con riflessi ramati: la schiuma avorio è compatta, cremosa ed ha un’ottima persistenza. In presenza di una IPA non posso esimermi dal raccontare la solita nenia: sono birre che vanno bevute fresche, freschissime, e questa Crime Passionnel non sembra esserlo. Scadenza 09/2015, nella migliore delle ipotesi (un anno di shelf life) si potrebbe pensare ad un lotto dello scorso settembre, ovvero sei mesi fa: saremmo al limite della (mia) soglia di tolleranza, ma i profumi sono quelli  di una birra un po’ più stagionata. Aroma dolce di caramello e marmellata d’agrumi, polpa di pompelmo, qualche sentore floreale e di frutta tropicale (mango e passion fruit); la pulizia e l’intensità ci sono, peccato per la scarsa fragranza. La bevuta, di conseguenza, risulta un po’ troppo spostata sul dolce del caramello e del biscotto, di mango e pesca, della marmellata d’agrumi. Non so quale percentuale di frumento sia stata utilizzata, ma sinceramente non ne ho avvertito la presenza; l'alcool (7.5%) porta un leggero tepore che accompagna tutta la bevuta, il cui dolce è contrastato dall’amaro vegetale ed un po’ resinoso. Il corpo è medio, le bollicine sono poche, con un mouthfeel morbido che tuttavia pregiudica un po’ la scorrevolezza; la birra (complice la poca freschezza e il molto dolce) risulta un po’ pesante, sebbene pulita ed intensa, e la bevuta potrebbe essere soddisfacente solo a chi ama IPA dolci e poco secche. Sarebbe senz’altro da riprovare in condizioni migliori, per meglio comprenderla ed apprezzarla. 
Formato: 33 cl., alc. 7.5%, scad. 09/2015, pagata 3.90 Euro (beershop, Italia)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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