mercoledì 30 novembre 2016

Stigbergets Amazing Haze IPA

Documenti storici riportano l’esistenza a Göteborg (Svezia) di un birrificio chiamato Stigbergets sin dal 1722  e operativo fino al 1824 nella strada Oscarsgatan.
Nel 2012 il nome Stigbergets ritorna nuovamente attivo senza nessun legame con il passato: le notizie in inglese sono praticamente inesistenti, ma con l’aiuto di Google Translator  riesco a capire  che sa tratti di un microbirrificio fondato dai proprietari del ristorante del teatro Hagabion di Göteborg e dall’ex-homebrewer, ora birraio, Olle Andersson. Il birrificio inizia con un impianto molto piccolo (50.000 litri il primo anno) producendo quasi esclusivamente per il ristorante del teatro e per alcuni altri bar, arrivando a triplicare la produzione nel 2015 grazie alla distribuzione delle bottiglie attraverso il monopolio svedese Systembolaget. Ad inizio 2016 il necessario ingrandimento per far fronte all’aumento della domanda con un nuovo impianto da 20 hl realizzato dalla danese JTM Brew che porta il potenziale annuo a 400.000 litri. E' operativo anche il Bar Kino, un café situato sempre all’interno del teatro Hagadion (Linnégatan 21) dove potete trovare disponibili alla spina almeno nove birre Stigbergets. 
Come detto, il birraio è Olle Andersson, un passato lavorando come sviluppatore di software informatico prima di trasformare l’hobby per l’homebrewing in una professione.  Nonostante lo stile preferito di Olle siano le Porter, è con le IPA che Stigbergets ha iniziato a farsi notare prima in Scandinavia e poi in altri paesi europei. Galeotta fu in particolare la Gbg Beer Week IPA, realizzata lo scorso aprile 2016 per la  Gothenburg Beer Week;  una IPA torbida/juicy che a molti beergeeks ha ricordato le ricercatissime IPA americane del New England. In verità Andersson dice di non essersi dichiaratamente ispirato alle birre di Trillium o Tree House ma alle sue produzioni casalinghe, caratterizzate dall’assenza di filtrazione e dall’utilizzo di cereali non maltati come frumento e avena.  
Da allora la Gbg Week IPA è stata replicata solamente una volta, ovvero quando il birrificio è stato in grado di trovare Nelson Sauvin, Citra e Galaxy di qualità eccellenti: ciò non le ha comunque vietato di scalare le classifiche del beer-rating diventando oggi, secondo Ratebeer, la decima miglior IPA al mondo dietro Trillium, Tree House, Alchemist e Hill Farmstead. 
Lo stesso Andersson si dice quasi incredulo del successo e delle richieste che il birrificio sta attualmente ricevendo.  Il birraio ha anche lanciato assieme ad Olof Andersson il marchio O/O, una beerfirm che opera sugli impianti di Stigbergets. 

La birra.
Amazing Haze, nome che allude sia alle caratteristiche della birra (hazy) che alla omonima varietà di marijuana; debutta lo scorso settembre 2016 e, per gli strani meccanismi del beer-rating, è già diventata secondo Ratebeer la trentottesima miglior IPA al mondo. Va bene così.
Molto torbida ma non "fangosa", nel bicchiere è di colore arancio pallido e forma un discreto cappello di schiuma biancastra, abbastanza fine e cremosa, dalla media persistenza. Il doppio dry-hopping di Mosaic regala un naso intensissimo, esplosivo, un trionfo di frutta fresca: cedro, mandarino, pompelmo, arancio, ananas, mango e, al variare della temperatura, potreste riconoscere molte altre varietà di frutta. Molto pulito, sfacciato ma non cafone, l'aroma anticipa le caratteristiche del gusto: impossibile percepire i malti con un tale carico di frutta succosa, c'è giusto un lieve accenno di crackers. Quello che arriva al palato è praticamente un succo di frutta, ed è sorprendente come utilizzando i luppoli in una certa maniera si possa ottenere un risultato che davvero emula quello della frutta spremuta in un bicchiere. Nello specifico ci sono soprattutto agrumi con qualche intromissione tropicale in sottofondo: la bevuta è agile e molto facile, con l'alcool che regala solo un delicato tepore a fine bevuta. Molto pulita, secchissima, caratterizzata da una sensazione palatale molto gradevole, ammorbidita dall'avena e dalle poche bollicine. L'amaro, zesty e leggermente terroso, non ha velleità di protagonismo ma solamente lo scopo di bilanciare la bevuta: non è in questa birra che lo dovete cercare, qui è il trionfo del succo, del juicy. Il ruttino dice mango e il risultato è una IPA che sorprende e conquista, a patto che vi piacciano i succhi di frutta: sarebbe molto difficile spiegare a chi ha sempre e solo bevuto industriale che anche questa è una birra.
Ma se amate stare dietro alle mode birrarie e sotto sotto vi sentite un po' beer-geeks, per quel che riguarda le IPA Stigbergets è senza dubbio uno dei birrifici che dovete assolutamente provare.
Formato: 33 cl., alc. 6.5%, lotto 435, scad. 19/04/2017, prezzo indicativo 5.50/6.50 euro  (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 29 novembre 2016

Birra del Bosco Pale Whale

Secondo appuntamento con il birrificio trentino  Birra del Bosco, giovane realtà operativa dal 2013 a San Michele all'Adige (Trento) e già ospitata qualche settimana fa con la IPA Froggy Hops. Lo fondano Gabriele Tomasi (birraio) e Marco Pederiva (commerciale), due compagni di liceo che si sono ritrovati dopo aver terminato gli studi universitari scoprendo di avere entrambi la passione per la birra e l’homebrewing. Tomasi ha studiato in Belgio (leggo di esperienze formative presso Dupont e Cantillon) mentre Pederiva, in giro per il mondo per lavoro, scoprì in un locale di Amsterdam che c’era un universo di birre oltre a quelle industriali che affollano gli scaffali dei supermercati. Scoprendo di condividere anche la passione per l’homebrewing, i due ragazzi redigono un business plan e si danno un anno di tempo per elaborare ricette, sperimentarle, affinarle e fare pratica presso qualche altro birrificio.  
Birra del Bosco inizia nel 2013 come beerfirm per testare la ricettività del mercato: i sondaggi sono stati evidentemente favorevoli visto che a metà del 2014 diventa operativo l’impianto di proprietà da 10 HL. L’intento dichiarato è di fare birre  “facili da bere”, ovvero non troppo impegnative e quindi accessibili anche ai palati meno esperti.  Dopo la Froggy Hops IPA è il momento d’assaggiare un’altra birra anch’essa inviatami dal negozio Iperdrink.it  
 Si tratta della golden ale Pale Whale, letteralmente la “balena pallida”; recita l’etichetta: “molto tempo fa un uomo trovò due cuccioli di lupo sulla spiaggia.  Impietosito, li portò a casa con sé e li allevò.  Quando i cuccioli crebbero, nuotarono molto lontano nell'oceano, uccisero una balena e la portarono a riva come dono al padrone.  Fecero questo per moltissimi giorni, ma presto ci fu troppa carne che cominciò a guastarsi.  Quando il Grande Spirito sopra le nuvole vide quello spreco creò un'immensa nebbia che non permise ai due lupi di tornare a riva.  E fu così che i predatori diventarono Orche assassine”

La birra.
Golden Ale che utilizza luppoli americani, si colora il bicchiere di un bel dorato un po’ pallido e velato; la schiuma è cremosa e compatta ma non molto generosa e dalla discreta persistenza. L’aroma è abbastanza sottotono, l’intensità è davvero modesta: a malapena avverto profumi di miele e floreali, qualche nota di crackers. Il birrificio la descrive come “una birra beverina non impegnativa” e direi che queste caratteristiche si ritrovano in pieno al palato: la facilità di bevuta non è però in antitesi all’intensità, e devo dire che il gusto di questa golden ale non è molto generoso. L’aroma viene ricalcato in pieno nei pregi e nei leggeri difetti; crackers, miele, un lieve fruttato che richiama gli agrumi ma anche una leggerissima presenza di quel diacetile che l’aroma aveva annunciato. La secchezza un po’ ne risente, una patina dolce avvolge sempre il palato limitando il potete dissetante di questa birra; la schiuma che quasi non si riforma anche roteando il bicchiere testimonia una bottiglia un po’ fuori forma che non brilla per fragranza e per pulizia, benché fruibile senza particolari problemi. La chiusura è delicatamente amara (terroso, erbaceo) e molto corta, con un ritorno di cereale. 
Capisco che si tratti di una gateway beer che punta a conquistare chi ha sempre ordinato una "bionda" o una "rossa" generica: la bevuta risulta quindi rassicurante per chi è abituato alla birra industriale ma risulta un po' anonima e carente di personalità per chi invece ha già fatto il salto dentro la craft beer revolution.  La bottiglia poco in forma non aiuta certo a valorizzare una Golden Ale che di semplicità, pulizia e fragranza dovrebbe fare la sua raison d'être.
Formato: 75 cl., alc. 5%, IBU 27, lotto 162927, scad, 08/2017.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

lunedì 28 novembre 2016

Evil Twin Imperial Biscotti Break

C'è un pezzo d'Italia dietro a quella che col tempo è divenuta una delle birre più famose e di maggior successo della beerfirm Evil Twin; il gemello cattivo come vi avevo già raccontato in questa occasione è Jeppe Jarnit-Bjergsø, gemello di Mikkel Borg-Bjergsø alias Mikkeller. Entrambi birrai zingari, una rivalità ostentata ma probabilmente funzionale al marketing e due business partiti dalla Danimarca per sbarcare poi negli Stati Uniti. Il primo dei due è stato Jeppe, ormai da tempo residente a New York, che ha iniziato a farsi produrre le proprie ricette da birrifici americani; di recente lo ha seguito Mikkel, superandolo con l'apertura del suo primo birrificio a San Diego, rilevando gli impianti dismessi da Alesmith.
Ma torniamo al 2011, quando Evil Twin è ancora una beerfirm danese e produce la maggior parte delle proprie birre alla Fanø Bryghus, dove lavora il birraio americano Ryan Witter-Merithew. Nel giugno di quell'anno viene realizzata la prima "crociera birraria" italiana: non so se nel mondo ci siano stati precedenti? E' Un mare di Birra, organizzata per festeggiare il decimo compleanno del Ma che siete venuti a fà. Tra i birrifici invitati a dissetare i partecipanti durante il viaggio Roma-Barcellona e ritorno c’è anche Evil Twin:  Jeppe e Ryan Witter-Merithew vogliono realizzare una birra apposta per l’occasione. Per legare la birra al nostro paese si pensa alla parola “biscotti”  e viene realizzata la Biscotti Ale, una porter (7.5% ABV) prodotta con caffè, vaniglia e mandorle tostate che viene poi mantenuta in produzione con il nome Biscotti Break e un ABV leggermente superiore (8.5%). La sua versione imperiale non ci impiega molto a nascere, rimpiazzandola: a marzo 2012 vede la luce la Imperial Biscotti Break, prodotta presso gli impianti della Westbrook Brewing di Mount Pleasant, Carolina del Sud. 

La birra.
Il caffè proviene dalla torrefazione Charleston, mentre il resto della ricetta prevede un base maltata di 2-row completata da un mix di malti Chocolate, Abbey, Melanoidin, Cara e avena. Gli "aromi naturali" di cui parla l'etichetta dovrebbero sempre essere vaniglia e mandorle tostate. Una volta azzeccata la birra, ecco il proliferarsi di varianti barricate e con aggiunta di ingredienti inusuali: ciambelle, peperoncini, prugne e brettanomiceti, amarene, fragole e la lista è ovviamente molto più lunga.
Assolutamente nera, forma una discreta testa di schiuma color cappuccino cremosa e compatta, dalla buona persistenza. Il caffè domina ed è molto elegante sia nella forma di chicchi che di espresso: l'accompagnano profumi di cioccolato al latte e tostature, accenni di vaniglia, fuit cake e liquirizia. Discreta ma percepibile la componente etilica. Morbida e quasi cremosa al palato, l'avvolge con poche bollicine ed un corpo tra il medio ed il pieno: ne risulta una birra solida che scorre bene senza bisogno di essere masticata. Il gusto è ricco di caffè e tostature sostenute da una base di caramello bruciato e liquirizia dolce; più in sottofondo vaniglia, cioccolato al latte e fruit cake sono ben amalgamati da un tenore alcolico (11.5%) che riscalda ed irrobustisce senza eccessi. In chiusura l'alcool accende l'amaro del caffè e delle tostature, della mandorla e del cioccolato con una scia lunga, morbida, molto appagante. Tralasciando l'hype che qualche anno fa questa birra si portava dietro, l'Imperial Biscotti Break è una Imperial Stout bilanciata, elegante e solida che si sorseggia con gusto senza troppe difficoltà: le emozioni non abbondano, ma la soddisfazione è parecchia. 
Formato: 65 cl., alc. 11.5%, lotto e scadenza non riportati, prezzo indicativo in Europa 14-18.00 Euro (beershop).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

sabato 26 novembre 2016

DALLA CANTINA: Struise Pannepot Reserva 2009

Ritorna sul blog dopo un'ingiustificata assenza la rubrica "Dalla Cantina" dedicata al vintage, alle birre che hanno superato la loro data di scadenza, alle birre dimenticate in cantina: chiamatele come più vi piace.    Gli episodi precedenti li trovate qui. Ritorno oggi a parlare del birrificio belga De Struise, del quale qui trovate la storia e qui trovate le birre.  
Il terzo appuntamento con la cantina si collega direttamente al primo,  del quale era protagonista la Pannepot; parliamo infatti oggi della sua versione invecchiata per 14 mesi in botti di rovere francese e denominata Pannepot Reserva. Molto affascinante la storia di questa bier diek raccontata in modo esemplare da Alberto Laschi: la Pannepot prende il suo nome dalla tipica barca che i pescatori di De Panne utilizzavano ogni giorno per navigare il freddo Mare del Nord nei primi anni del '900. A casa, le loro mogli, producevano una birra scura e la conservavano in cantina dentro a piccole botti, dalle quali veniva  "prelevata per essere versata in contenitori di acciaio fatti precedentemente arroventare sul fuoco.  Questa birra senza nome, piatta, arricchita a volte con tuorli d’uova e irrobustita dall’uso non morigerato di zucchero di canna, una volta che entrava in contatto con le pareti arroventate del contenitore di acciaio si caramellizava quasi all’istante, assumendo una caratterizzazione “spessa” e una consistenza altrettanto pronunciata. Perfetta per riscaldare i corpi e lo spirito dei marinai agghiacciati dall’inclemenza del Mare del Nord.". Con la Pannepot gli Struise omaggiano De Panne: quello che un tempo era un piccolo borgo di pescatori vicino al confine francese  oggi, dune escluse, è purtroppo soltanto una delle tante località balneari belghe con lunghe schiere di anonimi condomini rivolti su di una grande spiaggia sabbiosa.

La birra.
Pannepot Reserva 2009: l'anno fa sempre riferimento alla produzione della birra prima della messa in botte. Dopo l'invecchiamento di quattordici mesi in botti di rovere francese avviene l'imbottigliamento, in questo caso datato 2011.
La fotografia al solito la rende molto più scura di quanto non sia nelle realtà: il suo colore è un torbido tonaca di frate, mentre la schiuma beige chiaro è cremosa e abbastanza compatta, benché dalla limitata persistenza. L'aroma è intenso e ricco: fruit cake, pane nero, zucchero a velo, biscotto inzuppato d'alcool, forse pan di spagna. Uvetta, prugne disidratate e datteri vengono accompagnati da note legnose; all'innalzarsi della temperatura qualche nota ossidata (cartone bagnato) ci ricorda che è una birra in bottiglia da cinque anni. In bocca è avvolgente nel suo gusto ricco di frutta sotto spirito che richiama in toto l'aroma e riscalda morbidamente tutto il palato. Le tostature, il caffè e la liquirizia che trovereste più in evidenza in una Pannepot giovane qui sono solo un leggero ricordo che accompagna il dolce del pan di spagna, del caramello e del fruit cake. Corpo tra il medio e il pieno, poche bollicine, morbida e oleosa in bocca, si sorseggia con grande facilità e soddisfazione. Nel finale spuntano accenni di vino liquoroso e di legno a chiudere una bevuta dolce ma ben attenuata e stemperata dal alcool: il retrogusto è lunghissimo e caldo di frutta sotto spirito. 
Sua maestà Pannepot si beve sempre con enorme soddisfazione: certo, anche al palato mostra in alcuni passaggi le inevitabili ossidazioni del tempo ma è ancora una birra potente ed elegante capace di regalare splendidi dopocena, riscaldandoli. Una di quelle birre che, in qualsiasi delle sue declinazioni (versione base, Reserva o Grand Reserva) non dovrebbero mai mancare in nessuna cantina.
Formato: 33 cl., alc. 10%, lotto 32253728050711, scad. 16/08/2016.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

venerdì 25 novembre 2016

Tennents India Pale Ale,Tennents Super & Tennents Scotch Ale

La storia del marchio Tennent risale al 1740 quando Hugh Tennent fonda a Glasgow la Drygate Brewery, rilevando il birrificio che produceva ininterrottamente dal 1556 sulle rive del ruscello Molendinar e rinominandolo Wellpark Brewery. I figli di Hugh, John and Robert, continuarono il business di famiglia con il nome di J&R Tennent facendolo diventare il più grande esportatore di birra in bottiglia del Regno Unito; l’ultimo membro della famiglia a possedere il birrificio fu Hugh, pronipote del fondatore, che lo guidò dal 1827 al 1855. Fu lui ad attrezzare il birrificio per la produzione di birre a bassa fermentazione ed iniziò a commercializzare la Tennents Lager: fu un incredibile successo ed ancora oggi la birra è la lager più venduta in Scozia, con all’incirca il 60% del mercato.  Nel 1963 la J&R Tennent fu acquisita dalla Charrington United Breweries di Londra che nel 1967 si unì alla Bass dando vita al Bass Charrington Group, a quel tempo il più grande produttore di tutto il Regno Unito. Nel 2000 il gruppo passò nelle mani di Interbrew, dal 2008 divenuta Anheuser-Busch InBev. 52 miliardi di dollari la cifra che Interbrew aveva sborsato per acquistare Anheuser-Busch: la necessità di ridurre il debito la porta ad elaborare un piano strategico di dismissione assets e marchi. Il  27 agosto 2009 AB-InBev cede per 180 milioni di sterline  il marchio Tennents e la Wellpark Brewery di Glasgow al gruppo irlandese C&C; l'accordo comprende anche la cessione dei diritti per la distribuzione dei marchi  Budweiser, Beck's e  Stella Artois in Irlanda e in Scozia. 
La Wellpark Brewery, dove ancora oggi vengono prodotte quasi tutte le Tennents, viene rinominata Tennent Caledonian; tra i marchi posseduti dal gruppo C&C di Dublino ricordo il sidro Magners, le birre Caledonia Best ed Heverlee. 
Ammetto di non aver mai bevuto in vita mia una Tennent: non per snobismo, semplicemente non mi è mai capitata l’occasione neppure quando la birra per me era solo quella industriale. Apprendo quindi ora con sorpresa che le Tennent non sono tutte uguali: una in particolare, la diffusissima Tennent’s Super, pare sia stata esclusa dal passaggio di consegne avvenuto nel 2009 tra AB-InBev e C&C; questo marchio è infatti rimasto di proprietà AB-InBev e, come riportato in etichetta, non viene prodotta in Scozia ma in Inghilterra.

Pongo quindi oggi rimedio alla mia mancanza recuperando terreno e stappandone ben tre. Partiamo dalla ultima nata in casa Tennent’s, e parliamo del birrificio scozzese. Tennent’s IPA, disponibile in Italia dallo scorso febbraio e realizzata per cavalcare la diffusione di quello stile che la craft beer revolution ha reso così popolare. Perfettamente limpida, ambrata, genera un cappello di schiuma biancastro compatto e molto persistente. L’etichetta recita “rich aroma” ma in verità il naso è quasi assente: profumi dolciastri di caramello, qualche accenno floreale e di “luppolo vecchio”. Il gusto recupera in intensità ma non in gradevolezza: la bevuta inizia e prosegue dolce di caramello e biscotto, toffee, esteri fruttati che richiamano quasi la ciliegia. Dalla dolcezza si passa bruscamente all’amaro, con una chiusura sgraziata e poco gradevole che mette insieme note terrose, erbacee e di frutta secca; la percezione dell’alcool rispecchia quanto dichiarato in etichetta (6.2%), il palato rimane sempre avvolto da una patina dolciastra che va a caratterizzare anche il retrogusto. Non è una birra disastrosa, alla fine forse è appena meglio di altre IPA industriali (Ceres, Poretti ?) ma se volete bere bene andate a cercare altrove. Inizia dolce, lieve intermezzo amaro, ritorna il dolce: questa in poche parole la descrizione della Tennent’s IPA.

Passiamo alla Tennent’s Super Strong Lager, una vera delizia per chi vuole ubriacarsi in fretta spendendo poco più di un euro per la bottiglia/lattina da 33 cl.  Come detto sopra, questa birra non è prodotta in Scozia dalla Tennent Caledonian ma è rimasta di proprietà AB-InBev. Nel bicchiere si presenta di color oro antico, perfettamente limpida e con un bel cappello di schiuma bianca, cremosa e dalla discreta persistenza. L’aroma, di discreta intensità, affianca qualche nota di cereale al dolce del caramello;  alcool, esteri fruttati, qualche leggera puzzetta da “colpo di luce”, forse granoturco/mais. Il peggio tuttavia deve ancora arrivare: il palato è invaso da una massa dolciastra ed alcolica di caramello/toffee, forse miele, con una chiusura amaricante terrosa appena accennata ma sufficiente da risultare terribilmente sgradevole. L’alcool si sente proprio tutto, senza nessuno sconto:  forse una delle birre peggiori (escludendo quelle difettate) che mi siano mai capitate nel bicchiere. Affrontabile a temperatura frigo, assolutamente improponibile appena s’avvicina alla temperatura ambiente: impossibile (per me) andare oltre un paio di sorsi.

Di livello indiscutibilmente superiore è invece la Tennents Scotch Ale: dimenticate AB-InBev, qui torniamo in Scozia. E’ di un bel color ambra carico, limpido ed accesso da intensi riflessi rosso rubino: la schiuma è leggermente "sporca", cremosa ed ha una discreta persistenza. L'aroma non è tuttavia la sua caratteristica principale: quasi assente, a fatica si scorgono profumi di caramello, ciliegia e frutti rossi dolci. Con poche bollicine al palato è morbida e scorre piuttosto bene, risultando forse un po' leggera per la propria gradazione alcolica (9%). Biscotto, caramello, frutta sotto spirito (ciliegia, prugna, uvetta) caratterizzano un gusto che non è particolarmente intenso ma ha tuttavia un senso compiuto e non risulta affatto sgradevole. L'intensità non è di certo elevata, l'alcool è morbido e ben amalgamato con i sapori, contrariamente alla Tennents Super: nel finale la componente etilica spinge sull'acceleratore risultando meno morbida ma risultando efficace nel asciugare un po' il dolce della birra. Costa circa il doppio rispetto alla Super ma se proprio volete bere una Tennents almeno mettete nel carrello della spesa questa.
Ricapitolando: assolutamente inutile la Tennents IPA, senza infamia e senza lode la Scotch Ale. Per quel che riguarda la Super, la bottiglia da me bevuta non la augurerei neppure al mio peggior nemico.

Nel dettaglio:
Tennent's India Pale Ale,  formato 33 cl., alc. 6,0%, lotto L6082, scad. 30/06/2017, 2.29 Euro.
Tennents Super, formato 33 cl., alc. 9,0% , lotto L6 100MK, scad. 01/10/2017, 1.29 Euro.
Tennents Scotch Ale,  formato 33 cl., alc. 9,0%, lotto L5279, scad.  31/01/2017, 2.09 Euro.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

mercoledì 23 novembre 2016

The Bruery Autumn Maple (2015)

Volendo potremo iniziare oggi con un po’ di poesia. La magia dell’autunno e dei colori delle foglie che mutano:  fall foliage; questo il termine anglosassone con il quale si indica quel periodo che, a seconda della posizione geografica, va dalla fine di settembre ad inizio novembre. L’acero da zucchero o Acer Saccharum con le sue foglie che si colorano di rosso intenso è uno dei principali contributori di  questo spettacolo cromatico e del turismo ad esso collegato; migliaia le persone che si recano soprattutto nei boschi di Wisconsin, Michigan, Vermont, New York, New Hampshire e Western Massachusetts ad ammirarlo.  In Canada spettacoli forse ancora più gratificanti ravvivano le foreste dell’Ontario, dell’Québec, dell’Alberta, e della Nuova Scozia. 
In Giappone esiste il termine Momijigari che – leggo qui -  "significa letteralmente “caccia all’acero giapponese”:  Momiji significa acero (ma anche più in generale tutte le foglie autunnali, giacché l'etimologia della parola "momiji" risale all'antico termine "momizu", che significa "tingere di rosso"), mentre "gari" deriva dal verbo "karu" che vuol dire "cacciare".  Il Momijigari inizia nell'isola di Hokkaido a partire dalla fine di settembre e poi tocca tutto il paese, per concludersi solitamente all'inizio di dicembre, quando le foglie cadono completamente (…)  Ogni sera, come per le previsioni meteo, i telegiornali forniscono un rapporto sullo stato dei momiji, con tanto di mappe dettagliate che mostrano il grado di colorazione raggiunto e le percentuali in ogni singola area”. 
La foglia d’acero è anche il simbolo scelto dal birrificio Bruery per rappresentare la propria produzione autunnale anche se la California meridionale, con le sue palme, non consente ovviamente di apprezzare i cambiamenti cromatici. Autumn Maple, questo il nome scelto per una robusta belgian strong ale che Patrick Rue, fondatore di The Bruery, ha scelto di proporre al posto delle tradizionali “pumpkin beers”: i primi freddi autunnali ed i sontuosi  pranzi del Thanksgiving Day sono le occasioni perfette per poter condividere questa generosa bottiglia da 75 centilitri.

La birra.
Gli ingredienti utilizzati sono 6,80 chili di patate dolci (yams) per ogni 158 litri prodotti, malti 2-row, Monaco e Caramunich, un mix di spezie che include cannella, noce moscata e pimento (pepe di Giamaica o garofanato), sciroppo d’acero, melassa e baccelli di vaniglia tahitiana. Venne commercializzata per la prima volta nel 2008 ed è oggi disponibile anche in edizione invecchiata in botti di bourbon e in versione acida,  100% fermentata con brettanomiceti.
Il suo colore ricorda effettivamente quello delle rosse foglie autunnali; ambrato molto carico e luminoso, appena velato, intensi riflessi rubino, schiuma ocra compatta e cremosa, dall’ottima persistenza.  L’aroma è piuttosto intenso e pulito, quasi opulento nella sua dolcezza dei profumi di zucchero candito e vaniglia, sciroppo d’acero, banana matura, caramello, biscotto al burro, arancia candita;  le spezie (chiodo di garofano, cannella e noce moscata, zenzero) suggeriscono quasi un’atmosfera festiva e celebrativa. La bevuta prosegue in linea retta con un gusto molto dolce e avvolgente nel suo calore etilico, ricco di melassa e  caramello, biscotto al burro, banana e sciroppo d'acero, pera, frutta candita e, effettivamente, accenni di patate dolci. Le spezie danno il loro contributo in modo delicato, facendo ogni tanto capolino risultando tolleranti anche a chi (mi includo nella categoria) non le ama troppo. Poco carbonata, oleosa e morbida al palato, ha un corpo medio-pieno e si sorseggia senza sforzo. Non c'è percezione d'amaro, il dolce viene bilanciato da un'ottima attenuazione, da una lieve acidità e dal calore dell'alcool che lo asciuga ad ogni sorso: lungo, lunghissimo lo strascico finale, ricco di alcool, melassa e canditi ben amalgamati da un sostenuto e morbido calore etilico. 
L'autunno in bottiglia? Autumn Maple di The Bruery regala una bevuta pulitissima ed elegante, con un sapiente dosaggio delle spezie e dell'alcool: riscalda, rincuora e soddisfa, appagando anche chi non ha la fortuna di poter assistere allo spettacolo degli aceri in autunno.
Formato: 75 cl., alc. 10%, IBU 15, lotto 220, imbott. 22/06/2015, prezzo indicativo  in Europa 13/18.00 Euro.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 22 novembre 2016

CRAK - HOP Series - Nelson Sauvin, Amarillo / 24.OTT.2016

Eccoci ad una nuova Hop Series di CR/AK, dopo quelle assaggiate poche settimane fa. Birre sulle cui etichette è messa ben in evidenza la data d’imbottigliamento in modo che il consumatore riesca immediatamente a conoscere la freschezza della birra. La Hop Series racchiude birre prodotte occasionalmente con un diverso mix di luppoli selezionando “i migliori a disposizione”. Oltre a data d’imbottigliamento e shelf-life a sei mesi, CR/AK s’impegna a garantire la catena del freddo, ovvero a far sì  che la birra  “sia sempre refrigerata, da quando lascia il nostro birrificio fino alla vostra pinta”; benissimo il trasporto refrigerato, essenziale nei mesi estivi, più difficile fare in modo che i rivenditori mantengano sempre fusti e bottiglie in frigorifero. La Hop Series viene inaugurata a giugno 2015 con una Hoppy Saison ed è poi continuata anche per tutto il 2016 con svariate declinazioni dello stile IPA (Session, Double). 
Le ultime due nate sono la HS11  24.10.2016 / Nelson Sauvin, Amarillo IPA e la  HS12  07.11.2016 / Motueka, Hallertauer Blanc e Hallertauer Mittelfruh Session IPA; molto pulite e minimali le etichette, con una grafica semplice ma efficace ad opera dello studio Dry Design, curatore della visual identity di CR/AK sin dagli esordi. 
Tra le ultime novità annunciate da CR/AK c’è la decisione di iniziare ad utilizzare bottiglie di vetro nero, quindi ancora più scure di quelle attualmente in uso, allo scopro di proteggere ulteriormente la birra dai colpi di luce.

La birra.
Tutto quello che c’è da sapere è lì sull'etichetta: si tratta di una IPA (al confine con il “Double”, 7.5% ABV) prodotta con luppoli Nelson Sauvin e Amarillo, messa in bottiglia da un mese.
La fotografia la rende un po' più scura, ma all’aspetto è di color dorato carico, con riflessi arancio e un bel cappello di schiuma bianca, compatta e cremosa, dall’ottima persistenza. L’aroma è ovviamente fresco, non c’è un’esplosione di profumi ma c’è comunque un buon livello di pulizia: le tipiche note del Nelson Sauvin (uva bianca) si mescolano a quelle floreali ed a quelle di cedro, mandarino e frutta tropicale. Bene la sensazione palatale, morbida e gradevole: IPA poco carbonata che scorre bene e che nasconde la sua gradazione alcolica. I malti regalano note di biscotto ed accenni di caramello, ma la freschezza della bottiglia li mantiene in secondo piano rendendo protagonisti i luppoli: il gusto mi sembra meno definito rispetto all’aroma, con un generale impressione di frutta tropicale (papaia, maracuja?) che s’affianca alle note leggermente aspre del Nelson Sauvin e a quelle degli agrumi. La convivenza non è a mio parere delle meglio riuscite e un discorso analogo riguarda anche il finale, nel cui l’amaro anziché optare per la sicurezza del cliché resina/agrumi si sviluppa abbinando insolite note vegetali e (forse) terrose. La chiusura è abbastanza secca, la pulizia al gusto non è impeccabile anche se la birra è ovviamente valorizzata dalla sua grande freschezza.  
Una IPA abbastanza ben fatta anche se meno precisa e meno pulita rispetto alle altre due Hop Series bevute qualche settimana fa; il mix di sapori ottenuto non si colloca esattamente in cime alle mie preferenze personali, ma ovviamente a voi potrebbe fare tutt’altro effetto. 
Formato: 33 cl., alc. 7.5%,  imbott. 24/10/2016, scad. 24/04/2017, prezzo indicativo 4.00/4.50 Euro (beershop).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

lunedì 21 novembre 2016

Victory Storm King Imperial Stout (2013)

Ritorna Victory Brewing Company, birrificio fondato nel  1996 a Downingtown, Pennsylvania, da Ron Barchet e Bill Covaleski. I due erano compagni di scuola negli anni '70 e rimasero amici anche quando furono costretti a separarsi per frequentare college diversi sulle due coste opposte degli Stati Uniti. Bill Covaleski ereditò dal padre la passione e gli strumenti per l'homebrewing, regalando poi un kit anche a Ron. Terminati gli studi, Ron inziò a lavorare come analista finanziario per poi passare, dopo poco tempo, a fare un anno di praticantato come birrario alla Baltimore Brewing Company; diplomatosi birraio in Germania all’università di Weihenstephan, fece ritorno in patria per lavorare alla Old Dominion Brewing Company in Virginia; nel frattempo il suo ruolo di birraio alla Baltimore Brewing Company era stato preso da Bill. 
Acquisita la necessaria esperienza, i due amici decidono che è giunto il momento di tornare assieme, mettersi in proprio e inaugurare a febbraio del 1996 la Victory Brewing Co. con annesso ristorante da 144 coperti ed una produzione iniziale che guarda alla tradizione tedesca: Victory Festbier e  Victory Lager fanno compagnia all’American IPA HopDevil che diviene in pochi anni la loro birra più venduta, occupando il 60% della produzione. Dai 1725 barili per anno si è arrivati a 126.000 barili; nella primavera del 2014 è stata inaugurata la nuova sede di Parkersburg, ad una ventina di chilometri di distanza, che si affianca a quella storica raddoppiando la capacità produttiva del birrificio.

La birra.
Storm King nasce nel 1998: una Imperial Stout molto luppolata  (quasi una Imperial Black IPA come leggo da alcune fonti) disponibile soltanto nei mesi più freddi dell’anno e, a grande richiesta, è poi entrata in produzione regolare. Il nome fa riferimento alla “tempesta” creata dall’incontro delle dosi massicce dei luppoli (dovrebbero essere Centennial, Cascade and Amarillo) e dei malti utilizzati. Storm King fu anche la prima birra di Victory a finire dentro ad una botte: era il 2011 e dalle botti ex-bourbon nacque la Dark Intrigue. 
Sapendo che si tratta di un’Imperial Stout molto luppolata, ho preferito lasciare qualche anno in cantina una bottiglia del 2013 per farla un po’ ammorbidire: ripensandoci a posteriori non è stata una buona idea.  Nel bicchiere è completamente nera e forma una bella testa di cremosa e compatta schiuma color nocciola, dalla discreta persistenza.  Al naso non ci sono le attese tonalità “scure”, non ci sono caffè o tostature ma domina il dolce, a tratti liquoroso, dell’uvetta e della prugna sotto spirito; c’è anche un odore poco invitante di “luppoli vecchi” a non renderlo particolarmente attraente. La bevuta risulta un po' slegata tra le sue componenti: si parte con il dolce (caramello, uvetta e prugna sotto spirito) per poi virare bruscamente in territorio amaro dove finalmente appare qualche reminiscenza di caffè e di tostature. L'elemento dominante a tre anni dall'imbottigliamento è tuttavia ancora il luppolo ed il suo amaro vegetale, un tempo resinoso, che si porta dietro anche qualche ossidazione. La sensazione palatale è invece buona, morbida e oleosa, con poche bollicine ed un corpo medio-pieno; l'alcool si fa sentire senza disturbare il sorseggiare di un'imperial stout con poche tostature che non è invecchiata bene, collocandosi in una terra di mezzo tra quello che era una volta (generosamente luppolata) e quello che potrà diventare quando i luppoli saranno del tutto svaniti. Trasformatasi quasi in una robusta American Strong Ale, lascia un retrogusto dolce, rincuorante e riscaldante di frutta sotto spirito. Birra da ritrovare e da bere con qualche anno d'anticipo.
Formato: 35,5 cl., alc. 9.1%, lotto 1143, scad. 24/04/2018, prezzo indicativo 5,00 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

domenica 20 novembre 2016

Ritual LAB Nerd Choice

Terzo appuntamente con Ritual LAB, birrificio - ma non solo - nato a Formello (Roma) nel 2013; fondato innanzitutto come centro didattico di formazione per chi si vuole avvicinare alla produzione della birra, Ritual Lab ha iniziato a commercializzare le proprie birre dapprima come beerfirm e, dal 2015, con il proprio impianto da 12hl gestito dal birraio Giovanni Faenza. 
I corsi di formazione si svolgono sia a livello amatoriale che professionale e sono tenuti da Emilio Maddalozzo (birraio con 30 anni di esperienza tra Pedavena e accademia Doemens di Monaco di Baviera); oltre alla parte teorica vi è anche le possibilità di effettuare una cotta su di un impianto di produzione professionale seguendo l'intero processo, dalla macinatura del malto sino all’imbottigliamento. 
Ma Ritual Lab vuole anche essere sperimentazione, ovvero ricerca "di differenti metodi di produzione, maturazione e gestione" della birra nonché la coltivazione in proprio di luppolo. 
La Double IPA Tupamaros e la American Pale Ale Super Lemon Ale , entrambe di ottima fattura, sono già transitate la scorsa estate sulle pagine del blog, illustrate dalla minimali, metafisiche, splendide etichette realizzate dall'artista e tatuatore romano Robert Figlia.

La birra.
Nerd Choice, se non erro la ultima nata in casa Ritual Lab, debutta lo scorso settembre e - in versione juicy/cloudy - allieta anche i partecipanti all'ultima edizione di Eurhop 2016: più in concreto, una Session IPA abbondantemente luppolata con Simcoe, Citra, Amarillo ed Equinox. 
Velata, di colore oro pallido, forma un discreto cappello di schiuma bianca, cremosa e compatta, dalla buona persistenza. L'aroma è freschissimo, pungente, quasi esplosivo: un golosa macedonia di frutta tropicale (mano, papaia, un tocco di ananas) alla quale partecipano anche agrumi (pompelmo, cedro, limone, polpa d'arancia). Ruffiano, pulitissimo, ben equilibrato tra il dolce del tropicale e l'aspro degli agrumi. Difficile resistere alla voglia di portare subito il bicchiere alle labbra e scoprire se il gusto conferma gli ottimi presupposti creati dall'aroma. Nessuna delusione al palato, si procede dritti e spediti su di un percorso straordinariamente intenso per una session beer (4.3%): i malti sono leggeri come devono essere (crackers, giusto un accenno di miele) per supportare, senza velleità di protagonismo, il carattere fruttato e succoso (o juicy, se preferite) di questa Session IPA. L'aroma viene fotocopiato nel gusto; ripassano in rassegna mango e papaia, arancia e pompelmo, valorizzati da una grande fragranza/freschezza. Si chiude in grande secchezza ed territorio amaro, tra note zesty ed erbacee ed un lieve ritorno di cereale; il livello d'amaro è quello giusto, necessario a bilanciare il dolce della frutta senza eccedere in estremismi che potrebbero rallentare il ritmo di bevuta. 
Session IPA di nome e di fatto, leggera e delicatamente carbonata, scorre veloce senza nessun scivolone acquoso: livello davvero molto alto per pulizia e per intensità, la Nerd Choice di Ritual Lab entra per me di diritto tra le migliori Session IPA italiane.
Formato: 33 cl., alc. 4.3%, lotto 17, scad. 04/2017, prezzo indicativo 4.50/5.00 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

sabato 19 novembre 2016

Wiper and True Porter Pink Peppercorns

Debutto sul blog per il birrificio inglese Wiper and True, fondato nel dicembre 2012 come beerfirm da Michael Wiper ed Alexander True e, da marzo 2015, operativo con il proprio impianto da 5 barili nella periferia nord-est di Bristol. Alcuni anni di appassionato homebrewing, all'insegna della sperimentazione, hanno convinto Wiper a testare il mercato appoggiandosi ad impianti terzi prima di fare il grande passo e mettersi in proprio.
Già 150 le etichette prodotte in quasi quattro anni di attività,  sotto la spinta creativa di Micheal Wiper che ammette "ci sono così tanti ingredienti da esplorare e io non riesco a stare fermo, preferisco provare a fare cose nuove piuttosto che ripetere le stesse ricette, anche se ci sono piaciute"; il target sono gli abbinamenti gastronomici, per portare la birra in un territorio dove è tradizionalmente il vino a dominare. A gestire il birrificio viene chiamato il birraio William Hartley, mentre le sobrie e pulite etichette, molto ben riuscite e complete d'informazioni, sono opera dei grafici dello Studio Makgill di Brighton.

La birra.
Pink Peppercorn Porter, una ricetta che prevede malti Pale, Brown, Monaco, Chocolate, Crystal, Black, avena e frumento; i luppoli utilizzati sono Phoenix, Mt Hood e Columbus, lievito YS020; come il nome suggerisce, vengono usati anche grani di pepe.
Si presenta di color ebano scuro e forma nel bicchiere un generoso cappello di schiuma cremosa e compatta, dall'ottima persistenza. Al naso, pulito, emergono profumi di caffè e tostature, una lieve nota pepata ed un accenno fruttato che richiama i frutti di bosco rossi (lamponi, fragole?). La sensazione palatale è abbastanza morbida e la birra scorre piuttosto bene con poche bollicine ed un corpo medio; caramello, caffè e tostature costituiscono la spina dorsale di una porter dalla gradazione alcolica contenuta (5.1%) che non rinuncia assolutamente all'intensità. Bilanciata e pulita, impreziosita da richiami al cioccolato amaro, chiude con un delicato warming etilico enfatizzato da una lieve nota pepata che riscalda il retrogusto amaro nel quale convivono tosature, caffè e cioccolato amaro. 
Una bella sorpresa questa porter di Wiper and True: facile da bere, molto godibile, non reclama particolare attenzione ma prendendoti per mano è in grado d'accompagnarti per tutta la serata senza mai stancarti: presenza del pepe molto discreta, dà un piccolo valore aggiunto a quella che sarebbe ugualmente una porter ben fatta.
Formato: 50 cl., alc. 5.1%, imbott. 18/02/2016, scad. 18/02/2017, prezzo indicativo 5.00 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

venerdì 18 novembre 2016

De Ranke Noir De Dottignies

Del birrificio Da Ranke vi avevo già parlato in occasione della Saison De Dottignies e, più recentemente, della Cuvée De Ranke; homebrewer sin agli anni ’80, Nino Bacelle ha iniziato nel 1994 a commercializzare la sua prima birra, la Guldenberg, a quel tempo prodotta presso gli impianti della Deca e venduta a nome di "Brouwerij Nino Bacelle” ; nel 1996 avviene l’incontro con un altro appassionato, Guido Devos, e dall’unione delle forze nacque la Brouwerij De Ranke, operante sempre presso la Deca sino al 2005, anno in cui sono stati inaugurati gli impianti a Dottignies. Il birrificio, pochi chilometri a sud di Kortrijk, non si trova distante dalla regione di Poperinge, nota per la coltivazione del luppolo; il nome scelto (De Ranke) fa per l’appunto riferimento ai filari (rank) delle piante di luppolo. Nomen omen,  De Ranke è stato tra i primi in Belgio a offrire birre amare come ad esempio  la splendida XX Bitter, divenuta rapidamente la loro flagship beer: quasi la totalità dei luppoli  utilizzati proviene da un coltivatore di Warneton, vicino a Poperinge. 
E di luppolo ne è stato previsto tanto anche nella formulazione della ricetta della strong dark ale di casa, chiamata Noir de Dottignies e che attualmente rimane la birra più alcolica prodotta da De Ranke:  Challenger, Northern Brewer e Styrian Golding quelli utilizzati  e supportati da sette diverse varietà di malto.

La birra.
Molto bella nel bicchiere, si presenta di un intenso color tonaca di frate leggermente velato e impreziosito da intense venature rosso rubino; da manuale la schiuma, compatta, cremosa, fine e dalla lunga persistenza. L’aroma è intenso e pulito, ricco di esteri fruttati come pera, prugna, uvetta, frutti rossi; ad accompagnarli troviamo profumi di frutta secca (nocciola, forse mandorla), biscotto, zucchero candito, caramello e una delicatissima speziatura. Il percorso prosegue in linea retta al palato, dove la Noir De Dottignies riesce a nascondere il suo contenuto alcolico (9%) come forse solo i belgi sanno fare: la bevuta è quasi agile, ben carbonata e scorrevole: a due anni dall’imbottigliamento la luppolatura ha ovviamente perso parte del suo vigore ed il gusto viaggia sui binari dolci di biscotto, caramello, uvetta e prugna sciroppata, zucchero candito, pera. Un’ottima secchezza ed una leggera acidità la bilanciano perfettamente, mentre la chiusura è delicatamente amara, terrosa e lievemente tostata. L’alcool accompagna i sorsi riscaldandoli delicatamente per poi emergere con maggior evidenza nel retrogusto dolce di frutta sotto spirito. 
Una Strong Dark Ale un po’ atipica nella quale l’amaro – soprattutto se la bevete giovane – gioca un ruolo molto più rilevante rispetto ad altre birre simili che vengono prodotte nelle Fiandre Occidentali: pensate a Van Eecke, St.Sixtus/Westvleteren, St. Bermardus, De Struise. Intensa e solida, pulita, ma una bottiglia lontana dall'eccellenza: esteri molto in evidenza, forse persino troppo, bevuta che non risulta nel complesso del tutto amalgamata tra le sue varie componenti, benché ugualmente godibile.
Formato: 33 cl., alc. 9,0%, IBU 46, imbott.  21/07/2014, scad 01/07/2019, prezzo indicativo  3.50/4.50 Euro (beershop).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

giovedì 17 novembre 2016

Brasseria della Fonte - Robust Porter & English Pale Ale

Ritorna sul blog la Brasseria della Fonte, ospitata per la prima volta ad inizio ottobre con ben tre produzioni. Birrificio giovanissimo, attivo dallo scorso giugno all'interno di un agriturismo con piscina e ristorante annessi che si trova a soli tre chilometri da Pienza, nella splendida cornice della Val d'Orcia. La produzione è attualmente divisa tra birre disponibili tutto l’anno (American Pale Ale, Porter, Scotch Ale e Rossa di Pienza) e  produzioni stagionali; per quel che riguarda quest’ultime, alla estiva Summer Ale ed alla settembrina Freshoops! si sono di recente aggiunte una English Pale Ale e una birra natalizia.  
Post interamente dedicato all’Inghilterra oggi, della cui tradizione brassicola Samuele Cesaroni, birraio di Brasseria della Fonte, è un grande appassionato.

Partiamo da una Robust Porter, la cui ricetta prevede malti Pale, Brown, Café, Peated, Carafa III, Whisky Light, Roasted e fiocchi d’avena; il luppolo utilizzato è il Columbus. Praticamente nera,  forma un cappello di schiuma nocciola cremoso e compatto, quasi indissolubile. L’aroma, privo di difetti, è pulito ma d’intensità piuttosto bassa: vi trovano posto tostature e caramello bruciato, accenni di cioccolato e una lieve nota torbata. Al palato ci sono un po’ troppe bollicine per  una “tranquilla” porter inglese:  il corpo è medio con una sesnsazione palatale che trova un buon compromesso tra facilità di scorrimento e una timida morbidezza conferitale dall’avena. Morbidezza che contrasta con l'interpretazione stilistica: ruvida e ricca di tostature, riporta idealmente nella Londra sporca e fumosa di fine ottocento quando le porter erano le birre più popolari. Una porter schietta, con un buon livello di pulizia e senza troppi fronzoli: un tocco di caramello bruciato e di esteri fruttati (mirtillo?) supportano l'intensità del caffè e del torrefatto, del cacao amaro. Nera di colore e nera di fatto, si lascia bere con buona facilità e chiude ovviamente nell'amaro del caffè e delle tostature con una nota luppolata a ripulire il palato: nel retrogusto, una carezza torbata.

Passiamo ora ad una English Pale Ale, stile poco frequentato non solo dai microbirrifici italiani ma anche da tutti i quelli europei, inglesi inclusi, che hanno preferito seguire i luppoli della craft beer revolution americana. La ricetta elenca malti Maris Otter e Pale, e frumento Munich, luppoli E.K. Golding ed Endeavour (entrambi anche in dry-hopping), cassonade. 
Il suo colore velato è si colloca tra il dorato ed il ramato; compatta, cremosa e dotata di un'ottima persistenza è la bianca schiuma. Il naso è pulito, delicato e fragrante (un mese circa l'età di questa bottiglia) ed ospita profumi floreali, di cereali e di biscotto; in secondo piano sentori di agrumi e un tocco di miele. La gradazione alcolica (5%) è quasi da session beer ma l'intensità è di ottimo livello: la base maltata è fragrante e ricca di cereali e di biscotto, accenni di caramello e frutta secca. Un lieve passaggio di marmellata d'agrumi introduce l'amaro finale terroso ed erbaceo, di buona intensità. Il mouthfeel è morbido: in questo contesto la sensazione palatale un po' pesante (caratteristica che avevo riscontrato in alcune delle birre bevute lo scorso ottobre) ben si sposa con la struttura della birra che risulta morbida e accomodante, ricordando con la fantasia l'atmosfera rilassata di un vecchio pub della campagna inglese. L'unico "difetto" che ci trovo è una presenza di cereale un po' troppo invadente che fa capolino più volte nel corso della bevuta, presentandosi persino nel retrogusto: nel rispetto della tradizione inglese, avrei dato maggior enfasi al carattere biscottato. Ma per il resto si tratta di una English Pale Ale molto ben fatta, pulita e bilanciata: una di quelle birre - ormai sempre meno facili da  trovare -  che ti possono accompagnare, pinta dopo pinta, durante le conversazioni di una serata intera senza reclamare nessuna attenzione, se non quella di essere bevute. 

Nel dettaglio:
Robust Porter, formato 75 cl., alc. 6.6%, IBU 52, lotto 21 2016, imbott. 24/07/2016, scad. 24/07/2018.
English Pale Ale, formato 33 cl., alc. 5%, IBU 33, lotto 35 2016, imbott. 10/10/2016, scad. 10/06/2017.

NOTA:  la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio della bottiglia in questione e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

mercoledì 16 novembre 2016

Bell's Special Double Cream Stout

Eccoci ad un nuovo appuntamento con Bell's, birrificio del Michigan fondato a Kalamazoo nel 1985 da Larry Bell che ha spento la sua trentunesima candelina lo scorso settembre.  Larry naque nell'area di Chicago ma alla fine degli '70 si trasferì a Kalamazoo, a 200 chilometri di distanza, per lavorare alla Sarkozy Bakery. Un collega di lavoro lo introdusse all'homebrewing, che Larry portò avanti con grande passione arrivando ad aprire qualche anno dopo un minuscolo negozio di homebrewing, dal quale nacque poi la Kalamazoo Brewing Company, rinominata Bell's nel 2005. Potete leggere maggiori dettagli sulla loro storia qui e anche qui.
Che alla Bell's amino le stout non è un segreto: ne producono cinque, tra regolari e stagionali, ogni anno: Expedition Stout, Special Double Cream Stout, Java Stout, Cherry Stout e Kalamazoo Stout. Ma ogni giugno, dal 2008, si tiene presso il birrificio anche l'All Stouts Day: troverete almeno una ventina di spine tutte dedicate a questo stile. Oltre alle cinque birre sopracitate. l'offerta include alcuni vintage di Expedition Stout e alcune produzioni occasionali come ad esempio la Trumpeter’s Stout, la Sweet Potato Stout, la Bear Hug Imperial Stout (sciroppo d'acero e miele) e la Milchkaffee (lattosio e caffè); la lista completa dell'edizione 2016 la trovate qui.
Dopo aver assaggiato le ottime Expedition e Kalamazoo, è il momento di passare alla Double Cream Stout; contrariamente a quanto il nome potrebbe far pensare, non si tratta di una milk stout prodotta con lattosio per renderla morbida e cremosa al palato. La ricetta prevede infatti solamente acqua, lievito, luppolo ed un mix di dieci diverse varietà di malto.

La birra. 
Colore il bicchiere di nero, formando un modesto cappello di schiuma nocciola cremoso e compatto che rivela un'ottima persistenza. Il naso è pulito e non particolarmente intenso ma c'è un elegante presenza di caffè alla quale s'affiancano tostature, note di mirtillo e qualche accenno di cioccolato. Cream Stout di nome e di fatto, delizia il palato con una sensazione palatale morbidissima, per l'appunto cremosa, aiutata dalle poche bollicine e dal corpo medio. 6.1% l'ABV dichiarato ed un'intensità al gusto che compensa la carenza dell'aroma: eleganti tostature, caffè, ricordi di liquirizia e cioccolato il cui amaro è contrastato dalla leggera presenza di caramello bruciato. La bevuta è amara di torrefatto e di caffè ma risulta comunque agevole e nel complesso bilanciata, grazie all'acidità finale che ripulisce bene il palato ad ogni sorso. Chiude ricca di caffè, cioccolato e tostato che vengono riscaldati da un delicato ma avvertibile tepore etilico.
Bevuta essenziale ma sostanziosa, pulita, elegante, intensa: in poche parole, un altra ottima stout da Bell's.
Formato: 35.5 cl., alc. 6.1%, L15113, imbottigliata 01/12/2015, scad. 01/12/2016, prezzo indicativo 4.50/5.00 Euro (beershop).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

lunedì 14 novembre 2016

Craig Allan Psychedelia

Nel 2010, quando assaggiai quasi per caso la sua Agent Provocateur la beerfirm Craig Allan fu per me quasi una rivelazione; reduce da un paio di settimane di vacanza tra Bretagna, Normandia e Nord-Passo di Calais – piuttosto deludenti dal punto di vista birrario – trovare una birra pulita, ben fatta e abbondantemente luppolata risultò la luce alla fine di un lungo tunnel di delusioni. 
Craig Allan è uno scozzese che ha studiato Malting, Brewing and Distilling a Edimburgo ed ha poi lavorato per diversi microbirrifici inglesi prima che l’amore lo spingesse a trasferirsi in Francia in una casa di campagna a nord di Parigi; un paio d’anni passati a lavorare per alcune cantine e poi il richiamo della birra lo porta, in assenza dei fondi necessari, a farsi produrre una ricetta presso l’infallibile (o quasi) De Proef in Belgio. Nacque così la Belgian Ale Agent Provocateur ,generosamente luppolata con Cascade ed Amarillo;  a quel tempo (2010) mi augurai che la birra di Allan potesse essere il fattore scatenante (l’agent provocateur) di una micro-rivoluzione brassicola francese e sei anni dopo possiamo dire che le cose sono effettivamente andate in quella direzione. La qualità dei microbirrifici francesi è ancora alquanto discontinua, ma per lo meno si sta superando la classica e anonima offerta (biere blanche/blonde/rousse/noir) che caratterizzava quasi ogni produttore transalpino. 
Gli anni sono passati e la famiglia Allan si è ampliata con l’arrivo della  Cuvée d'Oscar (una dunkelweizen con dry-hopping di Nelson Sauvin), della “pale ale” Psychedelia e, in tempi più recenti della stout Black Market, della saison La Saint Jean e di una serie di IPA prodotte ogni volta con diverse luppolature. Nell’ottobre 2015 Allan ha anche finalmente messo in funzione il proprio impianto casalingo da 10 ettolitri sul quale vengono effettuate le cotte sperimentali e anche qualche produzione limitata; il resto della produzione continua ad essere appaltato presso De Proef.

La birra.
Terza  birra prodotta da Allan, Psychedelia è secondo la descrizione del produttore una “generica Pale Ale” che alla prova d’assaggio mi sembra incastrarsi perfettamente tra Belgio e luppolature extra-europee; la ricetta prevede malti Pale e Biscuit, luppoli Simcoe (amaro), Tomahawk e Moteuka (late hopping) e un dry-hopping finale di  Simcoe  e Moteuka. Il risultato? Davvero sorprendente. 
Di colore arancio pallido, velato, forma un perfetto cappello di schiuma bianca, cremosa e compatta, dalla lunghissima persistenza. Profumi floreali (a richiamo dell’etichetta “flower power”) e fruttati si diffondono nell’aria con una pulizia ed una eleganza davvero notevoli: ananas, mandarino, arancia, accenni di frutta tropicale. Il ceppo di lievito utilizzato non è dichiarato ma io scommetterei sul Belgio, con una delicata speziatura, di quelle che non riesci ad identificare, ed esteri che richiamano il “bubble gum”.  Il palato continua in linea retta al palato con un mouthfeel perfetto: corpo medio-leggero, vivaci bollicine e una scorrevolezza da record. Crackers ed un tocco biscottato supportano un gusto delicato ma al tempo stesso ricco di frutta: ananas, mandarino, arancia guidano la bevuta, impreziositi da note (anche in bocca!) floreali e di bubble gum. Delicatamente speziata, impeccabilmente secca, chiude con un bell'amaro di discreta intensità che vede la sinergia di note terrose, erbacee e zesty. Livello di pulizia molto alto, facilità di bevuta impressionante, difficile resistere ad una birra profumata, bilanciata  e molto ben curata in ogni dettaglio: luppoli ed espressività del lievito convivono in un equilibrio che non è  facile da incontrare. Questa volta nel bicchiere non c'è solamente la solita precisione tecnica di De Proef, ma anche un bel po' di emozioni.
Formato: 75 cl., alc. 5%, IBU 37, scad. 16/03/2018, prezzo indicativo 6.00/8.00 Euro (beershop).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

domenica 13 novembre 2016

Stone 20th Anniversary Encore Series: 12th Anniv. Bitter Chocolate Oatmeal Stout

Nel luglio del 2008 alla Stone Brewing Company di Escondido (California) si festeggia il dodicesimo compleanno con la consueta birra celebrativa.  Ma il 2008 viene anche ricordato come l'annata della grande carenza di luppolo, o Hop Shortage: il risultato fu un aumento dei prezzi dei luppoli e la difficoltà ad ottenere alcune varietà, sopratutto per quei birrifici che non avevano sottoscritto dei contratti a lungo termine con i produttori.
"Per il nostro dodicesimo anniversario scegliemmo di fare una birra scura per alcuni motivi, uno dei quali la carenza di luppolo; non ci colpì particolarmente affermano alla Stone - ci toccò sostituire alcune varietà e chiederne ogni tanto qualcuna in prestito ad altri birrifici. Ci sembrava comunque poco carino, vista la situazione, celebrare il nostro compleanno con una bomba luppolata mentre c'erano alcuni birrifici amici che facevano i salti mortali per recuperare il luppolo necessario a produrre le loro birre. Era inoltre da un po' che pensavamo di fare una birra scura; dopo aver assaggiato il lotto pilota di una Oatmeal Stout del nostro birraio Jeremy Moynier e una Imperial Stout al cioccolato prodotta in casa dal nostro responsabile della logistica Jake Ratzke, decidemmo di mettere assieme le due cose e realizzare la nostra 12th Anniversary Bitter Chocolate Oatmeal Stout". La ricetta prevede l'utilizzo delle varietà di luppolo Ahtanum, Summit, Willamette e Galena ma sono ovviamente i malti, in questa birra, a guidare le danze. 
Nel 2016 Stone ha festeggiato il suo ventesimo compleanno e, per l'occasione, sono state riprodotte alcune birre che in passato erano state commercializzate solamente in un'occasione; parliamo quindi di alcune Anniversary Ales e anche di un paio di Vertical Epic Ales. Ricetta e serigrafie delle bottiglie, giurano alla Stone, sono identiche a quelle originali.

La birra.
Assolutamente nera nel bicchiere, la replica del dodicesimo compleanno di Stone forma un cremoso e compatto cappello di schiuma color cappuccino che ha un'ottima persistenza. L'aroma è un ricco e ben riuscito assemblaggio di cioccolato, caffè ed orzo tostato mentre in secondo piano si scorgono note di fruit cake, alcool, liquirizia e cenere. La sensazione palatale è morbida, quasi cremosa ma forse leggermente carente di corpo per una birra dal contenuto alcolico del 9.2%: ne guadagna la scorrevolezza, agevolata dalle bollicine che si mantengono a livelli medio-bassi. Il gusto segue quasi fedelmente l'aroma: non c'è una grossa complessità ma quello che c'è è molto ben disposto. Caffè, cioccolato amaro e tostature guidano la bevuta supportate da un tocco di caramello bruciato; la presenza alcolica è quella giusta, non disturba ma fa comunque sentire la sua presenza ed il suo calore per tutta la bevuta. C'è pulizia ed eleganza nelle tostature, la chiusura è abbastanza secca e prepara il palato al retrogusto caldo ed etilico nel quale s'incontrano per l'ultima volta caffè, cioccolato e tostature; in sottofondo, un'accenno di anice.
Imperial Stout semplice nella sua impostazione, bilanciata nel suo essere amara, ben eseguita e molto soddisfacente, anche se un po' avara di emozioni: è comunque questo il livello di Stone che vorrei sempre trovare nel bicchiere e che per il momento nella filiale di Berlino non sono ancora riusciti a replicare, almeno per quel che riguarda le lattine.
Formato: 65 cl., alc. 9.2%, IBU 55, imbott. 15/01/2016, prezzo indicativo 14.00/16.00 Euro (beershop, Italia).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

sabato 12 novembre 2016

Schneider Weisse Tap X Mein Aventinus Barrique (2014)

Con Tap X  la bavarese Weissbierbrauerei G. Schneider & Sohn identifica una serie di produzioni limitate, sperimentali e/o occasionali; s'iniziò nel 2012 con la Tap X Mein Nelson Sauvin, una weizenbock caratterizzata dal luppolo neozelandese e da un ceppo di lievito belga per la rifermentazione in bottiglia,  seguita l'anno successivo dalla Tap X Meine Sommer Weisse, prodotta con "nuovi" luppoli tedeschi, e dalla TAPX Mein Aventinus Barrique. Nel 2014 nacque la Tap X Meine Porter Weisse e nel 2015 la Tap X Mathilda Soleil che utilizzava un mix di luppoli nel quale era presente il Cascade; quest'anno è arrivata la Tap X Marie’s Rendezvous, una potente (10%) weizenbock che vuole festeggiare i 500 anni del “Reinheitsgebot”. Con questa serie di birre il birraio di Schneider,  Hans-Peter Drexler, intende dimostrare che è possibile innovare e sperimentare anche nel pieno rispetto dell'editto di purezza. 
Ma torniamo a dicembre 2012, quando Drexler ha a disposizione un centinaio di barili che hanno contenuto Chardonnay (rovere francese), Pinot Nero e Cabernet Franc (rovere americano); le botti vengono riempite con la splendida (e atipica) weizenbock di casa Schneider e con la sua versione "potenziata" Aventinus Weizen-Eisbock. Otto mesi d'attesta e il risultato viene sapientemente blendato nelle bottiglie della nuova birra Tap X Mein Aventinus Barrique, di recente più appropriatamente rinominata  Tap X Mein Cuvée Barrique, visto che si tratta di un blend di birre e di barili differenti. 

La birra.
Millesimo 2014, birra che si presenta di una splendido color ambrato carico, limpido e impreziosito da brillanti venature rossastre; la schiuma ocra è effervescente e piuttosto rapida nel dissolversi. Al naso c'è una bella complessità composta da note lattiche e aspre di amarena, ribes, uva acerba; la controparte dolce chiama in causa la prugna e la ciliegia sciroppata, il mosto d'uva cotto; profumi floreali, note di legno e un deciso carattere vinoso completano un quadro aromatico molto pulito e interessante. Al palato c'è una buona corrispondenza con l'aroma ma, sopratutto, c'è l'alcool (9.5%) nascosto davvero molto bene: all'acidità lattica e asprezza di ribes, mela acerba, uva spina ed amarena risponde un sottofondo dolce di ciliegia, caramello e frutti di bosco. L'acetico ogni tanto fa capolino, andando un po' oltre le righe solo quando la birra s'avvicina alla temperatura ambiente. Chiude molto secca, con l'asprezza che viene stemperata da un retrogusto quasi accomodamente nel quale il caramello viene accompagnato da un lieve tepore etilico; la bevibilità è tutto sommato buona, come da scuola tedesca.  Netta la caratterizzazione vinosa dovuta al passaggio nelle botti che hanno trasformato, grazie ai batteri in esse presenti, due birre in origine dolci (molto dolce, nel caso della Eisbock) in una Sour Ale nel quale comunque l'acidità è sempre contrastata da un residuo dolce. Molto pulita, complessa, pecca un po' di eleganza in alcuni passaggi ma si rivela comunque una bevuta che soddisfa e che regala più di un'emozione. 
Formato: 37.5 cl., alc. 9.5%, IBU 16, scad. 05/05/2019, pagata 3.00 Euro (birrificio)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.