tag:blogger.com,1999:blog-38630882195382767352024-03-06T06:32:48.348+01:00UNA BIRRA AL GIORNOIl materiale di questo blog è protetto dal diritto d'autore e non può essere utilizzato altrove senza esplicito consenso dell'autore. Ogni abuso (incluso il copia&incolla) sarà perseguito.UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.comBlogger2545125tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-76146482107310201402021-01-13T10:17:00.002+01:002021-02-05T10:10:03.485+01:00Tutto quello che inizia ha una fine. Tutto quello che finisce ha avuto un inizio da qualche parte. <p></p><div style="text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglkWRYHK9LbpYD5UmZYErNdKzvtUAfYEXO1S0R4WxpsOCSnB7Wwyed_Gn0FFZJj-SQpMlzfFdsoHCCsRAlTubt93HCb3S8DCjgRSeGQ-6r-v5yyCsXoiovsfF0EB4IyAKVuSp4Wf6oVmU/s434/2010+Kozel-Cerny-01.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="399" data-original-width="434" height="184" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglkWRYHK9LbpYD5UmZYErNdKzvtUAfYEXO1S0R4WxpsOCSnB7Wwyed_Gn0FFZJj-SQpMlzfFdsoHCCsRAlTubt93HCb3S8DCjgRSeGQ-6r-v5yyCsXoiovsfF0EB4IyAKVuSp4Wf6oVmU/w200-h184/2010+Kozel-Cerny-01.jpg" width="200" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="font-size: x-small;">Una perfetta Tmavy Lezák <br />a Praga, 2010</span></i></td></tr></tbody></table>No, non è il nome di una birra, anche se pensando alle <u><a href="https://coolmaterial.com/food-drink/the-labels-of-evil-twin-brewing/" target="_blank">stravaganti scelte </a></u>fatte da Evil Twin, ora birrificio a New York, potrebbe benissimo esserlo. Non rammento esattamente quando è nato il blog Unabirralgiorno: l’archivio attuale su blogspot arriva sono all’ottobre del 2009 ma l’avventura era partita un po' prima, nel 2008. Ricordo con certezza che il primo post, poi cancellato, fu sulla <u><a href="https://www.giornaledellabirra.it/grandi-birrifici-italiani/da-terni-birra-magalotti/" target="_blank">Birra Magalotti</a></u> un marchio storico italiano riesumato da un distributore nazionale e fatto produrre in Austria: non un buon inizio, insomma. Avrei voluto riberla per l’occasione ma non sono riuscito a trovarla.<br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Nel 2008 la birra artigianale italiana esisteva già da una decina d’anni (nel 1996 aprirono le porte Birrificio Italiano, Le Baladin, Beba, Turbacci e Mastro Birraio) ma io l'avevo incontrata solo sporadicamente in qualche fiera gastronomica senza peraltro contestualizzarla: per me era solo birra, una bevanda che mi è sempre piaciuta, anche se era industriale. A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 il massimo dell’eccentricità era per me bere una Weiss o una Guinness, trovare la rossa McFarland o la Foster’s alla spina, qualche Leffe in bottiglia. Collezionavo etichette, probabile evoluzione di qualche precedente disturbo da accumulo in età pre-adolescenziale: biglie di vetro, tappi a corona, figurine Panini e, più avanti, dischi musicali. <br /></span><span style="text-align: left;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilbU1MjkCAt8vJDdZZoks_knBbwQuaIdXP0dnupB135l0b6FYc1k7MsWt7nNmwmwmgk7tfn7ezTeXlPuUKoSd5lU8hji466yLNPV6V5S-dJbcTsozUaknX4NcWNtQ6yCg3whnChJxaVjU/s800/Valigia.jpg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="800" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilbU1MjkCAt8vJDdZZoks_knBbwQuaIdXP0dnupB135l0b6FYc1k7MsWt7nNmwmwmgk7tfn7ezTeXlPuUKoSd5lU8hji466yLNPV6V5S-dJbcTsozUaknX4NcWNtQ6yCg3whnChJxaVjU/w200-h200/Valigia.jpg" width="200" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;"><i>Una mia tipica valigia di ritorno<br />da una vacanza</i></span></td></tr></tbody></table>Ero quindi spinto dalla curiosità di provare sempre una birra nuova, quella che non avevo ancora bevuto: ogni vacanza divenne per me occasione di provare birre diverse e di tornare con il baule della macchina carico di bottiglie. </span><span style="text-align: left;">Nel frattempo la birra artigianale si stava pian piano diffondendo e l'incontravo sulla mia strada sempre più di frequente. Mi si apriva un nuovo mondo disapori, quelli che poco tempo prima non ero stato in grado di apprezzare: ricordo ancora la reazione disgustata nel bere la mia prima IPA a New York nel 2007. <br /></span><span style="text-align: left;">Quando aprii Unabirralgiorno non sapevo nulla sulla cosiddetta degustazione (termine che ancora oggi non amo) della birra, anche se ero un appassionato bevitore: il mio intento - oltre all’inevitabile narcisismo - era realizzare una semplice raccolta d'immagini. Le mie conoscenze sensoriali sulla birra non andavano al di là del dolce/amaro o del “sapore di malto” e quindi andai soprattutto alla ricerca di notizie storiche sul birrificio </span><u style="text-align: left;"><a href="http://unabirralgiorno.blogspot.com/2009/11/stortebeker-pilsener.html">e sulla birra che mi accingevo a fotografare</a></u><span style="text-align: left;">. I post più vecchi del 2009 ancora presenti su Unabirralgiorno sono solo fotografie: ho da tempo rimosso gli scritti, troppo imbarazzanti anche per la mia autoironia o per il mio black humor. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span><span style="text-align: left;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrDxeU93-7KT7uPrpQX4aDTPZSduITXMICH7FNezOC9jwPtfG8JWFN150qo520mgs8pHguTX5agEtgjCY62mXDHMaO9MyxhEKtDdYXvyodLQvbPNHjbhk6TnwFgcIOhDIOy_goGmxcsDI/s1603/Westy+2015.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1603" data-original-width="800" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrDxeU93-7KT7uPrpQX4aDTPZSduITXMICH7FNezOC9jwPtfG8JWFN150qo520mgs8pHguTX5agEtgjCY62mXDHMaO9MyxhEKtDdYXvyodLQvbPNHjbhk6TnwFgcIOhDIOy_goGmxcsDI/w160-h320/Westy+2015.jpg" width="160" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="font-size: x-small;">Un normale giorno d'estate <br />nelle Fiandre, 2015.<br />Westvleteren 6, la session <br />beer perfetta.</span></i></td></tr></tbody></table>La mia voglia di conoscere la birra aumentava ed internet era un alleato prezioso. Iniziai a spulciare gli archivi del vivace </span><u style="text-align: left;"><a href="https://it.hobby.birra.narkive.com/" target="_blank">Newsgroup It.Hobby.Birra</a></u><span style="text-align: left;"> sul quale scrivevano molti homebrewers diventati poi grandi birrai e soprattutto il </span><u style="text-align: left;"><a href="http://win.movimentobirra.it/forum/default.asp?SID=4621726b85356efd52bz5ce87913444188,6817939815" target="_blank">forum di MoBi.</a></u><span style="text-align: left;">, vera e propria palestra formativa; purtroppo l’archivio storico del forum non è oggi più disponibile e non posso linkarvelo. Ero particolarmente terrorizzato dalla sezione “L’angolo della vergogna” nella quale venivano affondate vere e proprie coltellate nei confronti di birre poco riuscite (cit. “fogna di calcutta”), bloggers impreparati e birrifici imprudenti. </span><span style="text-align: left;">Era il periodo dei cosiddetti “sceriffi del web”: Luigi Schigi D'Amelio, che non era ancora il birraio di Extraomnes, e Stefano Ricci erano implacabili nel punire chiunque avesse sbandierato inesattezze e la paura di finire un giorno in quella sezione mi spinse ad essere prudente e preciso, a verificare le informazioni e ad evitare di fare premature dissertazioni sulle cause dei difetti di una birra, anche se mi era evidente che ci fosse qualcosa che non andava. In quegli anni la birra artigianale italiana stava muovendo i primi passi, la costanza produttiva era per molti ancora un miraggio e non era affatto strano trovarsi tra le mani quelle che venivano definite </span><i style="text-align: left;">bottiglie sfortunate</i><span style="text-align: left;">. Più di una cavolata l’ho sicuramente scritta e se non sono finito nell’angolo della vergogna è probabilmente solo perché il blog non lo notava nessuno. <br /></span><span style="text-align: left;">Seguivo con grande interesse le trasmissioni della BQ TV , il canale televisivo di Paolo Polli, presidente dell’Associazione Degustatori Birra e ricordo ancora con emozione il mio primo Salone della Birra Artigianale e di Qualità a Milano. </span><span style="text-align: left;">Non ho tuttavia mai voluto fare un vero e proprio corso di degustazione: un po’ per colpa della mia indole post-punk ho sempre preferito l’autoformazione alla teoria ed al nozionismo. E’ stato così anche in altri settori, come scrittura, musica e fotografia, con tutti i limiti che la mancanza di un fondamento tecnico/teorico comporta. Anche per questo ho sempre cercato di parlare di birra in termini semplici, comprensibili anche ai neofiti. Non mi è neppure mai interessato sviluppare o migliorare la parte grafica del blog: l'ho tenuto essenziale, rifiutando sempre l'inserimento di qualsiasi banner pubblicitario.<br /><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjiHlUI0GVrQ-5P4gXeeJVboXHUhQga-1xaUZnnT7CN5e-hJNzJoK_uSyxTJB8y3E0GZ3Whh0qN3B5w3yNPcIx7ekUqvjqM-eW9zqXEoSB2GO_1aMlIsy2VxGT5PkLsYQy9xpF8RFpAp20/s700/monti.jpg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjiHlUI0GVrQ-5P4gXeeJVboXHUhQga-1xaUZnnT7CN5e-hJNzJoK_uSyxTJB8y3E0GZ3Whh0qN3B5w3yNPcIx7ekUqvjqM-eW9zqXEoSB2GO_1aMlIsy2VxGT5PkLsYQy9xpF8RFpAp20/w200-h200/monti.jpg" width="200" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;"><i>Anche sottozero... sole, birra<br />e sei in pole position!</i></span></td></tr></tbody></table><span style="text-align: left;">Non posso negare l'importanza che hanno avuto siti come Ratebeer e Beer Advocate, oggi surclassati da Untappd: per molti anni mi sono stati alleati preziosi, le loro classifiche hanno alimentato le mie liste dei desideri e ogni volta che bevevo una birra confrontavo le mie impressioni con quelle di altri utenti, alla ricerca di conferme sulle mie note gustative. Poi arrivò una manna dal cielo: il libro Tasting Beer di Randy Mosher, a quel tempo disponibile solo in inglese. <br /></span><span style="text-align: left;">Era il periodo in cui mi entusiasmavo per la </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2010/03/baladin-elixir.html" target="_blank">Elixir di Baladin</a></u><span style="text-align: left;">, per la </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2011/03/birra-del-borgo-re-ale-extra.html" target="_blank">Reale di Birra del Borgo</a></u><span style="text-align: left;">, per la </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2013/03/birrificio-italiano-tipopils.html" target="_blank">Tipopils</a></u><span style="text-align: left;">, </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2011/03/toccalmatto-zona-cesarini.html" target="_blank">la Zona Cesarini di Toccalmatto</a></u><span style="text-align: left;"> e la </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2012/05/birrificio-del-ducato-via-emilia.html" target="_blank">Via Emilia del Ducato</a>,</u><span style="text-align: left;"> giusto per citare le prime che mi vengono in mente. In questi dieci anni la birra artigianale italiana ha fatto dei cambiamenti impressionanti: è fortunatamente tramontata del tutto quell'idea della birra come alternativa al vino sulle tavole dei ristoranti ed è quasi scomparso l'odioso formato 75 centilitri. La birra è tornata ad essere birra, anche se i prezzi sono purtroppo rimasti simili a quelli del vino. Ci siamo fortunatamente lasciati alle spalle il periodo degli ingredienti inusuali che tanto piacevano alla stampa italiana: la birra al tartufo, al basilico, al carciofo. In compenso abbiamo iniziato con le birre <i>pastry </i>e <i>milkshake</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span><span style="text-align: left;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj15VkPQM8xndOQ3TBs1RYsHTSfUveVORulLMToLzBUdWVNHZ72UEVLRbTpUofvQoETIeFuhWi5kNE0-31xrds8ifTWG7MU4BLA1NW2oHEAzhgxXOuBAA69HDV0IglkgIucQNOFnkSkDcg/s624/San+Diego+2012.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="624" height="193" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj15VkPQM8xndOQ3TBs1RYsHTSfUveVORulLMToLzBUdWVNHZ72UEVLRbTpUofvQoETIeFuhWi5kNE0-31xrds8ifTWG7MU4BLA1NW2oHEAzhgxXOuBAA69HDV0IglkgIucQNOFnkSkDcg/w200-h193/San+Diego+2012.jpg" width="200" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="font-size: xx-small;">Birra con vista 1: Ocean Beach a <br />San Diego e Alesmith IPA, 2012.<br />Mancava giusto il sole.</span></i></td></tr></tbody></table>Un'altra tappa fondamentale della mia formazione fu il Salone del Gusto di Torino del 2010. Il mio primo incontro consapevole con le birre acide in un laboratorio di Kuaska: sino ad allora le avevo assaggiate in autonomia ma non le avevo capite e ben mi guardavo dallo scriverne sul blog: per farlo ne ho dovuto bere molte altre ed ho scelto di aspettare </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2013/07/panil-divina-barrel-aged.html" target="_blank">sino al 2013</a>,</u><span style="text-align: left;"> quando mi sentivo un po' più confidente sull'argomento. E ancora oggi evito di parlare di quegli stili birrari che conosco solo marginalmente: consiglio che vorrei dare a tutti gli aspiranti beer-writer. </span><span style="text-align: left;">Ma a quell'edizione del Salone del Gusto c'era anche un angolo di paradiso, almeno per me: lo stand dell'American Brewers Association. Per la prima volta potevo bere IPA americane fatte arrivare in perfetta forma, refrigerate: quello stand era sostanzialmente un bancone dietro al quale vi erano degli enormi frigoriferi. Mi fu consentito anche di portare a casa qualche bottiglia , mi diedero una enorme lista ma io non sapevo bene cosa scegliere, conoscevo pochissimi nomi, mi affidai ai loro: </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2011/01/stone-ruination-ipa.html" target="_blank">Ruination IPA</a></u><span style="text-align: left;">, </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2010/12/lagunitas-hop-stoopid-ale.html" target="_blank">Lagunitas Hop Stoopid</a></u><span style="text-align: left;">, </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2010/11/smuttynose-ipa.html" target="_blank">Smuttynose IPA</a></u><span style="text-align: left;">, </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2011/02/ballast-point-sculpin-ipa.html" target="_blank">Sculpin IPA</a></u><span style="text-align: left;">, Si raccomandarono di tenerle in frigorifero, ma io non capivo il perché. </span><span style="text-align: left;"><br /></span><span style="text-align: left;"><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifkz1w_75HX_Sfb1gBSoqYmZubtI9NTipXgzj17ulMOHU8KFGd_6ycx1b7WdzlCRtKJxOlhNdNOu5vVHRyBCID6bJPgPFEeKiGUP3GfoR4r1UNCUtbmO5mm3j3DLtS52mcXsZvJKFEulM/s802/2017+Michigan.jpg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="802" data-original-width="800" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifkz1w_75HX_Sfb1gBSoqYmZubtI9NTipXgzj17ulMOHU8KFGd_6ycx1b7WdzlCRtKJxOlhNdNOu5vVHRyBCID6bJPgPFEeKiGUP3GfoR4r1UNCUtbmO5mm3j3DLtS52mcXsZvJKFEulM/w199-h200/2017+Michigan.jpg" width="199" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="font-size: xx-small;">Birra con vista 2: Big Red Coq di Brewery Vivant <br />e </span></i><span style="font-size: xx-small;"><i>Old Mission Peninsula, Michigan, 2017.</i></span></td></tr></tbody></table>A quel tempo le IPA americane erano già di moda e in Italia se ne importavano molti esemplari, anche se arrivavano tutte con almeno quattro mesi di vita sulle spalle. Il frigorifero lo vedevano solo a casa del consumatore finale. Erano inevitabilmente scariche, ossidate, spesso prive di quella meravigliosa componente fruttata che doveva contrastare l'intenso amaro resinoso. A noi comunque piacevano e le prime IPA italiane si ispirarono proprio a quelle "vecchie" bottiglie: drammaticamente ambrate, caratterizzate da un bel caramellone dolce subito incalzato da un violento amaro resinoso. Bere quelle IPA fresche al Salone del Gusto fu per me una sconvolgente rivelazione sensoriale ed un punto di non ritorno: dovevo assolutamente pianificare una vacanza negli Stati Uniti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span><span style="text-align: left;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLbIHZwkep88CM_3EB-Ix_btQYKzj4ZP2WMI58JcybOT9Vq1lJy7FKCT7BTlDSrqEqVZ5FfrXsPxxREYOLa-imYfS9pvIPTO0hwnRaDvJ8PhZGgX0QOri4fWb2fR0oRwh8SasSPXMhS5E/s800/Lille+2015a.jpg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="800" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLbIHZwkep88CM_3EB-Ix_btQYKzj4ZP2WMI58JcybOT9Vq1lJy7FKCT7BTlDSrqEqVZ5FfrXsPxxREYOLa-imYfS9pvIPTO0hwnRaDvJ8PhZGgX0QOri4fWb2fR0oRwh8SasSPXMhS5E/w200-h200/Lille+2015a.jpg" width="200" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="font-size: xx-small;">Birra con vista 3: i tetti di Lille e Lager<br />di Kronenbourg.<br /><br /></span></i></td></tr></tbody></table>Nel 2011 i blog birrari in Italia erano diventati più numerosi, </span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.cronachedibirra.it/notizie/4623/sono-i-blog-birrari-lobiettivo-della-prossima-caccia-alle-streghe/" target="_blank">con tutti i pregi e i difetti del caso</a></u><span style="text-align: left;">. Io leggevo avidamente i post quotidiani di Cronache di Birra, la cui sezione commenti era in quegli anni un affollato luogo di scambio di idee e polemiche; ammiravo i racconti di Mattia Simoni (oggi publican nel suo </span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.facebook.com/birrlandina" target="_blank">Birrlandina</a></u><span style="text-align: left;">) su Pinta Perfetta, </span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.tyrser.com/" target="_blank">le ricostruzioni storiche </a></u><span style="text-align: left;">di Marco Pion, ma tra le mie letture non posso non citare </span><u style="text-align: left;"><a href="https://hoppyhourdotorg.wordpress.com/author/hoppyhour/" target="_blank">The Hoppy Hour </a></u><span style="text-align: left;">di Alessio Leone (</span><u style="text-align: left;"><a href="http://www.byvolume.net/" target="_blank">Byvolume</a></u><span style="text-align: left;">) e </span><u style="text-align: left;"> <a href="http://losinghopegrowinghops.splinder.com/" target="_blank">Losing Hope Growing Hops</a></u><span style="text-align: left;"> di Eric Novielli (oggi beerwriter su riviste di settore e beergeek nazionale) che già allora mi faceva venire l’acquolina in bocca raccontando birre mostruose come la BORIS The Crusher di Hopping Frog. La reperibilità di birre sul nostro territorio è ormai vastissima, ma dieci anni fa un vero appassionato avrebbe probabilmente scambiato un rene per delle birre che oggi si trovano sugli scaffali del supermercato, come la </span><u style="text-align: left;"><a href="Centennial IPA di Founders" target="_blank">Centennial IPA di Founders</a></u><span style="text-align: left;">, le IPA di Avery, Oskar Blues e Lagunitas.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span><span style="text-align: left;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbYjUTk_a-GgYIV6ZY26t9g7T4Doty5nUfwp8K-Js9p6mMxEm_PEiG_FLm0-LhKAj8zxcApu2gMsYrLUGFVT6Ca2fxJIGskRfZwjQFEeER55uRKtm5oAD3y2Tf7nJHvR8fAWyC4nf5ZZk/s1491/chantillon.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1491" data-original-width="700" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbYjUTk_a-GgYIV6ZY26t9g7T4Doty5nUfwp8K-Js9p6mMxEm_PEiG_FLm0-LhKAj8zxcApu2gMsYrLUGFVT6Ca2fxJIGskRfZwjQFEeER55uRKtm5oAD3y2Tf7nJHvR8fAWyC4nf5ZZk/s320/chantillon.jpg" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;"><i>Brasserie Cantillon, 2015</i></span></td></tr></tbody></table>Ma devo ricordare soprattutto il blog di </span><u style="text-align: left;"><a href="http://inbirrerya.blogspot.com/" target="_blank">Inbirrerya</a></u><span style="text-align: left;"> tenuto da Alberto Laschi, vera e propria fonte d’ispirazione, il giusto mix tra notizie storiche sulla birra e note di degustazione: bevevo e leggevo i suoi scritti cercando conferma dei miei appunti di bevuta. Decisi che Unabirralgiorno doveva assolutamente prendere quella direzione e mi piace pensare d’aver un po’ colmato il vuoto provocato dalla chiusura improvvisa di quel blog avvenuta nel 2013, se non erro. </span><span style="text-align: left;">Nel 2012 la maggior parte dei partecipanti al forum di Mo.Bi. traslocava su Il Barbiere della Birra: io iniziavo a sentirmi un po' più sicuro di quel poco che sapevo sulla birra ed </span><u style="text-align: left;"><a href="https://ilbarbieredellabirra.forumfree.it/?t=64196330" target="_blank">iniziai a partecipare</a></u><span style="text-align: left;"> alle discussioni. Nell'estate dello stesso anno mi recai in California: la birra riuscì a farmi innamorare di una nazione e di una cultura che avevo sempre considerato "inferiore" rispetto alla tradizione Europea. Mi riferisco sopratutto all'Ovest degli Stati Uniti: i suoi sconfinati spazi aperti, i suoi deserti e i suoi canyon furono per un misantropo come me una rivelazione, potevi vagare per ore senza quasi incontrare un anima viva. Il tutto accompagnato da luppolo fresco, IPA dorate (e non ambrate!) come il sole della California del Sud: ricordo ancora come fosse ieri l'emozione di scorgere una bottiglia di </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2012/09/russian-river-pliny-elder.html" target="_blank">Pliny The Elder</a></u><span style="text-align: left;"> in un food store a San Diego: era la birra che avevo sempre sognato di bere. <br /></span><span style="text-align: left;">Mi soffermo volutamente sugli Stati Uniti perché dopo tutto sono la nazione che ha dato il via alla Craft Beer Revolution che si è poi espansa in quasi tutti gli altri paesi. Che vi piacciano o no, le American IPA hanno cambiato per sempre la birra, arrivando a contaminare anche tradizioni birrarie secolari come quella belga, tedesca o inglese: quanti birrifici vi sono nel Regno Unito che ancora oggi producono una English IPA?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span><span style="text-align: left;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhW2aR12WZmvTEnLe_PvL9PhYK0uBa-RrGXTJz3YLHv7H1xCvnzo75OwvieQ6_FDXrqekq03kyxchDFlXmD_WV6bj-BODWaHRG0mZAigmKokKflVJjwNwEfaaTQ5vOoHJX13Av2TqEaeUA/s800/Monument+Valley+2012.jpg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhW2aR12WZmvTEnLe_PvL9PhYK0uBa-RrGXTJz3YLHv7H1xCvnzo75OwvieQ6_FDXrqekq03kyxchDFlXmD_WV6bj-BODWaHRG0mZAigmKokKflVJjwNwEfaaTQ5vOoHJX13Av2TqEaeUA/w150-h200/Monument+Valley+2012.jpg" width="150" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: xx-small;"><i>Birra con vista 4: Dogfish Head <br />90 Minutes IPA nella Monument <br />Valley, 2012.</i></span></td></tr></tbody></table>Non ho mai fatto molto caso alle statistiche della piattaforma Blogspot di Google ma è a partire dal 2013 che Unabirralgiorno ha iniziato ad avere una discreta visibilità, con una fase di crescita lenta ma costante. In quell'anno le visualizzazioni mensili delle pagine iniziarono a raggiungere quota 15.000 per poi superare 30.000 alla metà del 2016 e arrivare a 50.000 nel 2017, anno record. Nel 2018 si stabilizzarono tra le 30 e le 40.000 e nel 2019, anche a causa della ridotta frequenza dei post, sono scese a quota 25.000. L'anno che si è appena concluso ha visto una media di circa 500 visualizzazioni al giorno, ma se prendo in considerazione solo i nuovi post noto che sono visti/letti da solo 150 persone di media: nel 2018 venivano visualizzati da una media di circa 700-800 persone. Del resto su Unabirralgiorno ogni birra viene presentata solamente una volta, tranne pochissime eccezioni: dopo aver passato in rassegna tutti i classici è inevitabile finire a parlare di birre poco conosciute alla gente e poco interessanti. Le dinamiche attuali del mercato della birra artigianale che procede a ritmo di </span><i style="text-align: left;">one-sho</i><span style="text-align: left;">t e birre che spesso non vengono mai replicate non aiutano: che senso ha parlare di una birra che dopo qualche settimana nessuno sarà in grado di reperire sul mercato? Io stesso ammetto di non leggere quasi più nessun blog.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span><span style="text-align: left;"><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiYWutY4xJ0v8osFzT-F4gGjkryb5dW_RUZ2A1YHB_w8iExlvVDD_alUKM1SXggdyfS2adWBkRnaoQGrEi-zVrDGw2f0nwtvIGB6t7aeAf86n5gYPzRAcO13utFv_vf8RS75iYx_2zW1-c/s800/Chicago+2017.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="452" data-original-width="800" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiYWutY4xJ0v8osFzT-F4gGjkryb5dW_RUZ2A1YHB_w8iExlvVDD_alUKM1SXggdyfS2adWBkRnaoQGrEi-zVrDGw2f0nwtvIGB6t7aeAf86n5gYPzRAcO13utFv_vf8RS75iYx_2zW1-c/s320/Chicago+2017.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="font-size: x-small;">Eat local, drink local: Deep Dish pizza<br />e Daisy Cutter Pale Ale. Chicago, 2017.</span></i></td></tr></tbody></table><br />Lo strumento blog è già obsoleto da tempo, sostituito prima da Facebook e poi da altri social network che mettono le parole ancora più nelle retrovie rispetto alle immagini, come Instagram. Non a caso un tempo i birrifici mandavano birre da assaggiare ai bloggers, oggi le vedo sopratutto arrivare a ragazzi e ragazze su Instagram che le stappano e si filmano senza spesso proferire una sola parola sulla birra. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqAmTAMtl4D8Kf4NOB5p2fMOJy7Dlimm6E6ys8oB5ovyQuKIlJ4NpQFuUE08nD8RPXTFVMc4EhXrYOt8YxT1QjRsr1EK5Z0bywCG5Jt0KC3J0GLKAWd652xOO6n4mCar3ZtuYGrA1OFP8/s700/Sanfra.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqAmTAMtl4D8Kf4NOB5p2fMOJy7Dlimm6E6ys8oB5ovyQuKIlJ4NpQFuUE08nD8RPXTFVMc4EhXrYOt8YxT1QjRsr1EK5Z0bywCG5Jt0KC3J0GLKAWd652xOO6n4mCar3ZtuYGrA1OFP8/w200-h200/Sanfra.jpg" width="200" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: xx-small;"><i>Clam chowder e Red Trolley Ale. <br />San Francisco, 2014</i></span></td></tr></tbody></table>Negli ultimi anni ho scritto questo post nella mia mente più di una volta. Segno che dopo dodici anni di Unabirralgiorno è il momento di staccare la spina; stanchezza da parte di chi legge e anche da parte di chi scrive. Da un po' di tempo ho provato a ridurre il numero dei post privilegiando la "qualità" alla quantità ma non è servito a molto. Amo ancora la birra, la bevo quotidianamente ma la mia passione nei suoi confronti si è un po' raffreddata: ho sempre meno voglia di correre dietro all'ultima novità e di dover spendere quasi 18 euro al litro per bere una semplice IPA. Non ho più quella passione necessaria a farmi acquistare a quei prezzi delle cosiddette </span><i style="text-align: left;">birre quotidiane: </i><span style="text-align: left;">le alternative per fortuna non mancano. Ma ho sopratutto voglia di bere con il bicchiere in mano lasciando da parte la penna e la scheda per le note di degustazione. Di bere una birra quando mi va di berla, senza dover rimandare perché pubblicarla sul blog avrebbe significato una mole di lavoro troppo onerosa nei giorni successivi. <br /><div style="text-align: left;"><span style="text-align: justify;"><br /></span></div><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRDMAmUpSIVWFMOe5MY1jCcx66ZALLY3VobeFlblJzJyTmkyhOLdVtvlgutBxAte5F7ErgNo6dKKHlLN1KWOVATdj0umZ5m1x4IJbSbofPDngrPaxx-hjkjY-7NmvnM2DfvRIsHSIB-k4/s700/RR.jpg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRDMAmUpSIVWFMOe5MY1jCcx66ZALLY3VobeFlblJzJyTmkyhOLdVtvlgutBxAte5F7ErgNo6dKKHlLN1KWOVATdj0umZ5m1x4IJbSbofPDngrPaxx-hjkjY-7NmvnM2DfvRIsHSIB-k4/w200-h200/RR.jpg" width="200" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: xx-small;"><i>Russian River Brewing Company, 2014.</i></span></td></tr></tbody></table><span style="text-align: justify;"></span><div style="text-align: left;"><span style="text-align: justify;">Ringrazio tutti i lettori che mi hanno seguito in questo percorso: spero di aver lasciato loro qualcosa e sopratutto di aver convertito neofiti appassionati alla birra "buona", che sia artigianale o no. E di essere riuscito a farli appassionare a questa splendida bevanda, a fargli scoprire magari qualche ottima birra che prima non conoscevano, com'era accaduto a me oltre dieci anni fa. Ringrazio tutti gli altri blogger, gli "sceriffi" e i forumisti che ho citato in precedenza e che ho virtualmente incontrato in tutti questi anni; tutti loro hanno contribuito, involontariamente, alla redazione delle pagine di Unabirralgiorno. Ringrazio tutti gli homebrewers che si sono fidati del mio umile parere e mi hanno mandato bottiglie da assaggiare: qualcuno di loro è oggi diventato un affermato birraio. Ringrazio infine mia moglie e mia figlia, anche se non leggeranno mai queste parole visto che la birra è l'ultimo dei loro pensieri: mi hanno s</span><i style="text-align: justify;">O</i><span style="text-align: justify;">pportato in ogni vacanza con improbabili deviazioni verso luoghi dove non c'era nulla d'interessante se non un birrificio o un beershop. </span></div></span></div></div><p>Unabirralgiorno finisce qui. <br /><span style="text-align: justify;">Rimarrà attiva </span><u style="text-align: justify;"><a href="https://it-it.facebook.com/unabirralgiorno" target="_blank">la pagina Facebook</a></u><span style="text-align: justify;">, sulla quale probabilmente proseguirà una versione molto ridotta del blog (ne avete avuto sporadici assaggi in questi giorni), la relativa </span><u style="text-align: justify;"><a href="https://www.instagram.com/unabirralgiorno/" target="_blank">pagina Instagram</a></u><span style="text-align: justify;"> e l'inevitabile </span><u style="text-align: justify;"><a href="https://untappd.com/user/unabirralgiorno" target="_blank">account di Untappd.</a></u></p><p></p><div>Cheers,</div><div>Davide.</div><div><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhS3vkzoxS-Ox59LaobecMLQQO-yDCh_RgtuJuiaTq6rEsZ8UdjRHIB4IdXr7-OvcqsvURfBdb7z5IyTXrNufg_o8FM4JNErO0IBIJC9OiAepA-ePfZ2NgATVFK0G-LMf0bNgBAK7CtKjs/s1228/Toppling.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="1228" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhS3vkzoxS-Ox59LaobecMLQQO-yDCh_RgtuJuiaTq6rEsZ8UdjRHIB4IdXr7-OvcqsvURfBdb7z5IyTXrNufg_o8FM4JNErO0IBIJC9OiAepA-ePfZ2NgATVFK0G-LMf0bNgBAK7CtKjs/s320/Toppling.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="font-size: x-small;">Deviazioni casuali verso luoghi privi di interesse turistico:<br />la vecchia taproom di Toppling Goliath, Iowa, 2017.</span></i></td></tr></tbody></table><br /><div><br /></div>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com53tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-72586600275693057132020-12-28T10:38:00.001+01:002020-12-28T10:38:27.276+01:00Great Divide Yeti Imperial Stout - Barrel Aged 2019<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbTP7ppHK-ro5JiC_UGLnmcGCHhr2KyF40YbXicOV5OVYVEYgpxSKQszoFrL9BeCCkbp-fKSfaYVAJK0q4B_L6vatBQKLrDkKZge5nE8auTXf94_itQ0llloiS1f3QzegC_RLlAgjEyIQ/s600/+Great+Divide+Yeti+Imperial+Stout+-+Barrel+Aged.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="477" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbTP7ppHK-ro5JiC_UGLnmcGCHhr2KyF40YbXicOV5OVYVEYgpxSKQszoFrL9BeCCkbp-fKSfaYVAJK0q4B_L6vatBQKLrDkKZge5nE8auTXf94_itQ0llloiS1f3QzegC_RLlAgjEyIQ/s320/+Great+Divide+Yeti+Imperial+Stout+-+Barrel+Aged.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">L’ultima Imperial Stout dell’anno che sta per concludersi è
una birra che avevo sempre voluto assaggiare ma che in Europa/Italia era sempre
arrivata di rado e, in quelle occasioni, a prezzi molto poco amichevoli.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Parliamo della Barrel Aged Yeti di Great
Divide, birrificio di Denver, Colorado, del quale vi ho già parlato <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/search/label/Great%20Divide%20Brewing%20Company" target="_blank">in più di un’occasione.</a></u> Fondato nel 1994 dall’ex-homebrewer Brian Dunn nei capannoni un
vecchio caseificio in disuso, il birrificio è andato via via ingrandendosi su
quel terreno fino a quando è stato possibile: nel 2013 è stato costretto a
trasferirsi nel River North Art District (RiNo) di Denver dove è stato
inaugurato il nuovo stabilimento da 6000 metri quadri.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Great Divide produce oggi circa 35.000 barili
all’anno, in leggero calo rispetto al picco del 2015: una flessione che ha
colpito quasi tutti i grossi birrifici artigianali americani, incalzati da
molte nuove realtà locali di dimensioni più contenute e quindi dotati di una
maggior flessibilità produttiva.<br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">A guidare le vendite sono comunque ancora tre classici senza
tempo: </span><u style="text-align: left;"><a href="http://unabirralgiorno.blogspot.com/2017/01/great-divide-titan-ipa-yeti-imperial.html" target="_blank">Titan IPA</a></u><span style="text-align: left;">, Denver Pale Ale e Yeti
Imperial Stout. Titan e Yeti nacquero nel 2004 in occasione dei
festeggiamenti del decimo compleanno: sino ad allora si erano chiamate Maverick
IPA e Maverick Imperial Stout, ma le minacce di un birrificio californiano che
utilizzava già il nome Mavericks </span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.porchdrinking.com/articles/2018/08/16/the-ogs-of-craft-beer-great-divide-brewing-yeti-imperial-stout/" target="_blank">obbligarono Dunn a cambiar</a></u><span style="text-align: left;">e: </span><i style="text-align: left;">“viaggiai per tre mesi tra India, Nepal e Cina e mi
innamorai della leggenda dello Yeti, una creatura straordinaria con tutto il
folklore che lo circonda. Quel nome mi rimase impresso e così
nacque la Yeti Imperial Stout”<br /></i><span style="text-align: left;">Nel corso degli anni Yeti è diventato </span><u style="text-align: left;"><a href="https://greatdivide.com/yeti-awareness-week/" target="_blank">un vero e proprio brand</a></u><span style="text-align: left;"> all’interno della gamma Great Divide che include ormai oltre
una ventina di varianti. Dalla sorellina Velvet Yeti (5% ABV, nitro) a quella
prodotta con avena (Oatmeal Yeti) o cioccolato (Chocolate Oak Aged) disponibili
ogni anno stagionalmente; la moda del pastry ci ha poi regalato la Maple Pecan
Yeti e </span><u style="text-align: left;"><a href="http://unabirralgiorno.blogspot.com/2020/03/great-divide-smores-yeti.html" target="_blank">la S’mores Yeti</a></u><span style="text-align: left;">;chi vuole restare sul classico può invece optare per la
serie Oak Aged, ma attenzione alle parole (e al prezzo). Oak Aged (chips di
rovere) non significa Barrel-Aged.<br /></span><span style="text-align: left;">Il 2019 è stato un altro anno particolare per l’abominevole
uomo delle nevi: i festeggiamenti del venticinquesimo compleanno di Great
Divide sono culminati in una festa a Arapahoe Street, dove il birrificio fu
fondato, nel corso della quale vennero servite ben 14 varianti di Yeti e per
l’occasione è stata prodotta la 25th Big Anniversary Yeti (13.5% anziché 9.5%). Qualche mese dopo, a
novembre, la Barrel Aged Yeti Imperial Stout ha abbandonato il classico formato
Bomber per fare il suo debutto in lattina.</span></div></div><p></p><p class="MsoNormal"><o:p></o:p></p>
<p class="MsoNormal"><b>La birra.</b><br /></p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhw0j20aygbs9xh_D6aYeYxdpz-JwA4jHAwx-7Ze2Gjk-BqLTgfzplwV3aQPAyugdRhksFI5aYZweq3JVyYO4mzJDwory8Dsl1Z_5uFTzXRsNejcLbjMzAnsgHDDbOAGij9r4iBZsb_sYc/s600/+Great+Divide+Yeti+Imperial+Stout+-+Barrel+Aged+2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhw0j20aygbs9xh_D6aYeYxdpz-JwA4jHAwx-7Ze2Gjk-BqLTgfzplwV3aQPAyugdRhksFI5aYZweq3JVyYO4mzJDwory8Dsl1Z_5uFTzXRsNejcLbjMzAnsgHDDbOAGij9r4iBZsb_sYc/w200-h200/+Great+Divide+Yeti+Imperial+Stout+-+Barrel+Aged+2.jpg" width="200" /></a></div>Sono almeno dodici i mesi che la potente Yeti trascorre in
botti che avevano in precedenza ospitato whiskey; non ci vengono date ulteriori
informazioni e quindi apriamo questa lattina 2019, disponibile come sempre solo nei mesi che vanno da novembre a gennaio. <br />Minacciosamente nera e viscosa, forma un glorioso cappello di schiuma cremosa
e compatta dall'ottima persistenza. Torrefatto, tabacco, fondi di caffè, cacao
fondente: al naso si ritrovano le caratteristiche tipiche della Yeti affiancate
da note di distillato, accenni di legno e vaniglia, un filo di fumo, ricordi di
fruit cake e liquirizia. <span style="text-align: left;">Il suo splendido aspetto non trova piena corrispondenza del
mouthfeel, anche se non ci si può lamentare: il suo look “catramoso” regala
solo una leggera oleosità ma nessuna particolare densità o morbidezza. Melassa,
fudge, frutta sotto spirito (uvetta, prugna) e accenni di vaniglia disegnano
una bevuta molto più morbida e docile rispetto all'aggressività (anche
luppolata) di una giovane Yeti. Non
manca comunque l’amaro del torrefatto, del caffè e del cioccolato fondente,
prologo ad un lungo retrogusto potenziato dal distillato. L’alcool (non
dichiarato in etichetta, ma siamo al 12.5%) riscalda con vigore ma non è
affatto difficile sorseggiare questa Barrel Aged Yeti. L’apporto della botte
non è forse dei più raffinati o profondi, il distillato prende il sopravvento
rispetto a tutte le altre sfumature ma la bevuta regala comunque belle
soddisfazioni con un rapporto qualità prezzo piuttosto positivo, per i tempi
che corrono.<br /></span><span style="text-align: left;">Formato 47,3 cl., alc. 12%, lotto 24/10/2019, prezzo
indicativo 10-12 Euro (beershop)</span></div><p></p><p></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-27905775694067891592020-12-23T19:42:00.001+01:002020-12-23T19:42:34.654+01:00DALLA CANTINA: De Dolle Drie Mussen 2015<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5tQkD9EYwQ3PSh2YGIzrm4AtLrqHN1WjBVPT_bY6lEdu7JtC1APcXqSF1-BtIHt7NiBahoV1Jb2hf9rjZPumayDx_623l3WwBGKle92wwxoFyXGr_x2i7_sZbBYPhWMms2W3B3atB__c/s600/+De+Dolle+Drie+Mussen.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="329" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5tQkD9EYwQ3PSh2YGIzrm4AtLrqHN1WjBVPT_bY6lEdu7JtC1APcXqSF1-BtIHt7NiBahoV1Jb2hf9rjZPumayDx_623l3WwBGKle92wwxoFyXGr_x2i7_sZbBYPhWMms2W3B3atB__c/s320/+De+Dolle+Drie+Mussen.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">I polder sono una fascia costiera al di sotto del livello dell'alta marea che è stata sottratta al mare da opere di bonifica; tramite dighe e canali, il terreno viene isolato e poi reso coltivabile. I primi esperimenti furono realizzati nel XII secolo intorno alla città di Bruges e furono poi perfezionati nei secoli successivi dagli olandesi che, all'epoca dei primi polder nel 1600, aspiravano l’acqua anche con l’aiuto di pompe idrovore azionate dai mulini a vento ed eliminavano poi il sale di cui era impregnato il terreno coltivando il cavolo cappuccio, ortaggio che ha grande capacità di assorbimento del sale. I polder furono anche usati per scopi militari; aprire le dighe per allagare rapidamente vasti aree di terreno era una tecnica usata per rallentare l’avanzata dell’esercito nemico. <u><a href="https://www.lagrandeguerra.net/ggypres.html" target="_blank">E’ quello che accadde</a></u> in Belgio nel corso della prima guerra mondiale: lo scopo fu raggiunto, ma l’impossibilità di spostarsi originò una lunga guerra di trincea nella quale moltissimi soldati furono vittima del fango e degli elementi naturali avversi, ancor prima delle mitragliatrici e dei cannoni. <br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Il polder Drie Mussen (“i tre passeri”) si trova in Belgio nella valle Handzame tra Diksmuide, Beerst e Vladslo: un’area agricola di 78 ettari per la quale a partire dal 2011 il governo fiammingo ha finanziato opere volte a recuperarne ed a preservarne la biodiversità: scavi di drenaggio, pulizia dei canali e delle d’acqua pozze per facilitare l’abbeveramento degli animali, piantumazione. Un progetto pilota, al quale lavorano agricoltori ed associazioni naturaliste, che ha già dato ottimi risultati: alcune specie di uccelli sono tornate a ripopolare i campi e gli agricoltori hanno notato grandi miglioramenti nella qualità dell’acqua e nel drenaggio dei prati nei periodi più umidi dell’anno.<br /></span><span style="text-align: left;">E’ stato inoltre creato il “sentiero dei tre passeri” (</span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.bezoekdiksmuide.be/driemussenommetje" target="_blank">Drie Mussenwandeling</a></u><span style="text-align: left;">), una bella camminata di quattro chilometri che dal Grote Mark di Diksmuide vi conduce al quartiere di Beerst-Keizerhoek dove si trova il caffè De Drie Musschen, l’accesso all’area del polder e un moderno ponte pedonale dal quale potete ammirare i campanili delle chiese di Diksmuide, Esen, Vladslo e Beerst.<br /></span><span style="text-align: left;">Esen: agli appassionati di birra belga questa parola dovrebbe subito scaldare il cuore. E’ in questo piccolo paese delle fiandre che ha infatti sede </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/search/label/De%20Dolle%20Brouwers" target="_blank">il birrificio De Dolle</a></u><span style="text-align: left;">. A gennaio 2015 per promuovere il turismo nell’area, la municipalità di Diksmuide </span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.nieuwsblad.be/cnt/bldva_01707034&prev=search&pto=aue" target="_blank">ha voluto creare alcuni prodotti gastronomici</a></u><span style="text-align: left;"> a marchio Drie Mussen. Al caseificio biologico Dischhof è stato commissionato un formaggio (Drie Mussenkaas) prodotto con il latte del bestiame che pascola libero nella zona del polder. Al birrificio De Dolle, che si trova ai margini della zona, è invece toccato il compito di realizzare il suo abbinamento perfetto, la Drie Mussenbier. </span></div></div><p><b>La birra.</b><br /></p><div style="text-align: justify;">Ricordo il mio stupore quando nell’estate del 2015 avvistai una bottiglia di Drie Mussen (8%) in un piccolo negozio di alimentari di Diksmuide. Non ne avevo mai sentito parlare e pensavo d’aver messo le mani su una specie di rarità, ma qualche ricerca in Internet mi fece poi tornare rapidamente con i piedi sulla terra. Sembra infatti essere una semplice rietichettatura della Arabier, anche <u><a href="https://www.ediksmuide.be/nieuws/nieuws/en-zo-leven-de-drie-mussen-verder/" target="_blank">se questo articolo del 2015</a></u> parla di una “versione speciale della Arabier”. Impossibile pretendere di conoscere la verità quando c’è di mezzo De Dolle; il “birraio pazzo” Kris Herteleer ha anche voluto trovare un curioso aneddoto da abbinare al nome. Come detto, De Drie Musschen è il nome di una locanda il cui proprietario aveva tre giovani figlie <i>“così piccole e magre che avrebbero potuto volare via da dietro il bancone, proprio come tre passeri</i>”. <br /><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2015/09/de-dolle-arabier.html" target="_blank">L’Arabier di De Dolle</a></u><span style="text-align: left;"> è una Belgian Strong Ale generosamente luppolata e dalla bevibilità assassina; non è ovviamente una birra da far invecchiare ma da bere fresca. Partendo dal presupposto che questa Drie Mussenbier sia solo un’Arabier mascherata, ho deciso volutamente di dimenticarla per cinque anni in cantina per togliermi la curiosità di vederne l’evoluzione. <br /></span><span style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhYo6JEYqsC7sGThGAOKZyDsCTx7s76gDEJvED_0-J6TfKYZfaiSRuJRBDR_9ZL2ZMNlIepUlgCu501VAiTavxuxEiqp3x3Fd5RqUhGiFf3t-d8riIkiaaDl5hAOBSbKFpxENbFUiJfLlA/s600/+De+Dolle+Drie+Mussen2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhYo6JEYqsC7sGThGAOKZyDsCTx7s76gDEJvED_0-J6TfKYZfaiSRuJRBDR_9ZL2ZMNlIepUlgCu501VAiTavxuxEiqp3x3Fd5RqUhGiFf3t-d8riIkiaaDl5hAOBSbKFpxENbFUiJfLlA/w200-h200/+De+Dolle+Drie+Mussen2.jpg" width="200" /></a></div>Il suo colore arancio velato è ovviamente un po’ più scuro rispetto a quello di una Arabier giovane; l’esuberante schiuma pannosa è quasi indissolubile e regala subito forti esteri fruttati, vagamente sciropposi, non facili da definire. Pensate a frutti di bosco, lamponi, ad una mela rossa matura, alla ciliegia sciroppata: bisogna attendere molti minuti che la schiuma collassi per sentire profumi più convenzionali che richiamano il biscottato, la frutta candita e quel magico profumo del lievito belga che per certi versi può ricordare alcuni champagne. Il timore che sia una birra terribilmente dolce ed ossidata svanisce fortunatamente al primo sorso: la bevuta è molto più armonica, bilanciata tra accenni di caramello e biscottati, pesca e albicocca candita, uvetta gialla e qualche nota vinosa che inizia a ricordare il marsalato. Ma la vera magia di questa Drie Mussen/ Arabier avviene nel finale, con un bel taglio acidulo a ripulire il dolce e un finale secchissimo, con punta amaricante di frutta secca a guscio che nuovamente suggerisce affinità con il mondo dello champagne. (Lo scenario descritto vi suona familiare? Qualche Stille Nacht con un paio d’anni sulle spalle, forse ?) <br /></span><span style="text-align: left;">La sua generosa luppolatura è scomparsa, l’alcool scalda con raziocinio e le bollicine non hanno l’aggressività tipica di una Arabier fresca: certo, il corpo mostra qualche lieve cedimento ma è una birra che si beve bene e che impressiona per la sua tenuta nel tempo. Non posso dire di preferirla ad una Arabier giovane, ma non ne farei un dramma se scoprissi di essermi dimenticato in cantina qualche bottiglia.<br /></span><span style="text-align: left;">Per vostra informazione la Drie Mussen viene ancora prodotta con un'etichetta un po' meno amatoriale e un bicchiere - il classico Oerbier di De Dolle - serigrafato appropriatamente. <br /></span><span style="text-align: left;">Formato 33 cl., alc. 8%, scad. 05/2017, pagata 2,02 Euro (Belgio)</span></div><p><span style="font-size: x-small;"><i>NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio</i></span></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-81797876567138813392020-12-22T18:42:00.000+01:002020-12-22T18:42:02.314+01:00Vento Forte Pale Ale<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxfp8JYCd0VTAeKSWrZJhAwSTU1ALFxACAKqnfnBuCPbwpQBktMblmBhbibgBHPkBi0IaqN9z2IS9Ql03eEzjwMXK348V51JSG1B6zIS7pUPET6EpsZh99hlCSg32zZjZSOLpYELecs1s/s600/Vento+Forte+Pale+Ale.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="370" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxfp8JYCd0VTAeKSWrZJhAwSTU1ALFxACAKqnfnBuCPbwpQBktMblmBhbibgBHPkBi0IaqN9z2IS9Ql03eEzjwMXK348V51JSG1B6zIS7pUPET6EpsZh99hlCSg32zZjZSOLpYELecs1s/s320/Vento+Forte+Pale+Ale.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">Inaugurato agli inizi del 2014 il birrificio laziale Vento Forte si è subito imposto tra i migliori produttori nazionali di birre luppolate. Ve ne avevo parlato proprio<u><a href="http://unabirralgiorno.blogspot.com/2014/05/vento-forte-follower-ipa.html" target="_blank"> a qualche mese dal debutto</a></u>, avvenuto con la Starter IPA. Lo fonda Andrea Dell’Olmo assieme alla sorella Fabiana: la sua avventura nel mondo della birra era iniziata nel 2007 quando, studente universitario con la passione per il surf, viene a contatto per la prima volta con la Craft Beer Revolution americana. A quel tempo Roma era avamposto nazionale del luppolo USA grazie soprattutto al lavoro di Alex Liberati che alla Brasserie 4:20 ospitava i grandi birrifici della California, organizzando anche incredibili tap takeover: qualcuno ricorderà quelli di Port Brewing, con i fusti fatti arrivare via aerea per preservarne la freschezza. <br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">E sembra sia stata proprio la </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2010/11/port-brewing-3rd-anniversary.html" target="_blank">Port Brewing Anniversary Ale</a></u><span style="text-align: left;">, a conquistarlo: del resto, in etichetta vi sono tre tavole da surf e sullo sfondo la spiaggia di San Diego. Dopo due anni di homebrewing nel seminterrato della propria casa, a pochi passi dal mare, il progetto birrificio sarebbe già pronto ma la burocrazia italiana non vuole farsi da parte. Il debutto viene così rimandato di quasi cinque anni; Andrea vorrebbe un birrificio vicino alla spiaggia ma deve accontentarsi del lago di Bracciano. Il nome? Sembra </span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.agrodolce.it/2016/04/29/birrificio-vento-forte/" target="_blank">un’idea della mamma</a></u><span style="text-align: left;">, un po’ preoccupata dall’amore del figlio per le onde del mare e per il vento che deve soffiare forte. <br /></span><span style="text-align: left;">Tra gli appassionati romani all’inizio del 2014 c’è grande attesa per il debutto di Vento Forte, al punto che la prima cotta di Starter IPA viene letteralmente prosciugata in un weekend alla spine del Ma che siete venuti a fa’ e di altri locali della capitale. Sarà questa la strategia commerciale perseguita dal birrificio di Bracciano negli anni a venire: una crescita lenta, destinata soprattutto al mercato locale, perennemente insufficiente a soddisfare tutta la richiesta. Le prime bottiglie del 2014 che vengono distribuite nel resto dell’Italia sembrano essere quasi dei “campioni commerciali” per far conoscere il nome: la produzione si concentrerà esclusivamente sui fusti, il 90% dei quali venduti all’interno del Grande Raccordo Anulare e solo a quei locali che ne garantiscono ottimale conservazione e servizio. La distribuzione limitata ha inevitabilmente sempre precluso al birrificio di Bracciano il palco di Birraio dell’Anno, manifestazione nazionale che premia ogni anno i migliori birrai; gli appassionati ricorderanno le polemiche nate sui sociali dopo il quarto posto ottenuto da Andrea Dell’Olmo tra i birrai emergenti del 2015. Nulla di strano, a pensarci bene: impossibile per la maggior parte dei “giudici” votare un birrificio che non riescono a bere. Io stesso dal 2014 a oggi avrò bevuto Vento Forte quattro-cinque volte, non di più.<br /></span><span style="text-align: left;">Per gli appassionati Vento Forte è il “birrificio del luppolo, delle IPA e delle Double IPA” ma già nel 2013 Dell’Olmo aveva iniziato con gli esperimenti in botte, creando blend di Farmhouse Ales in bottiglia con aggiunta di frutta che hanno avuto bisogno di molti anni di prove e di affinamenti prima di essere rivelate al pubblico.<br /></span><span style="text-align: left;">L’emergenza Covid-19 e la chiusura di molti locali ha inevitabilmente costretto il birrificio di Bracciano a rivedere i propri piani e a rimandare l’apertura della taproom, prevista per la fine del 2020; sono quindi arrivate le prime lattine che il birrificio spedisce anche direttamente in tutta Italia. Oggi la gamma Vento Forte è composta da quattro birre fisse (Follower IPA, #53 Session IPA, Pale Ale e Pro Follower Double IPA) affiancate da un ampio numero di etichette occasionali e stagionali. </span></div></div><p></p><p><b>La birra. </b><br /></p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxcPQwlIJxKyeqXmPmBzIMZ7CrZp2VsT37k0OCMaURCLu_MAqln54vVLy2ZKShGWN9woE1s47DfhKCINKF6Lz61TM3gn1qNJ_72GFtqe0T30RORYgZZNEGoWnnz_hwYr1G348PshdD8oI/s600/Vento+Forte+Pale+Ale2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxcPQwlIJxKyeqXmPmBzIMZ7CrZp2VsT37k0OCMaURCLu_MAqln54vVLy2ZKShGWN9woE1s47DfhKCINKF6Lz61TM3gn1qNJ_72GFtqe0T30RORYgZZNEGoWnnz_hwYr1G348PshdD8oI/w200-h200/Vento+Forte+Pale+Ale2.jpg" width="200" /></a></div>Attualmente la Pale Ale di Vento Forte (5.1%) è una birra la cui ricetta varia leggermente ad ogni cotta in base alla disponibilità dei luppoli. La sua ultima versione vede l’utilizzo di Ekuanot, Nugget, Belma, Columbus, Crystal e Mosaic. <span style="text-align: left;">Leggermente velata, si presenta di color oro con un bel cappello di schiuma cremosa e compatta che ha ottima ritenzione. Cedro, pompelmo, bergamotto, qualche nota tropicale e dank danno forma ad un naso pulito e fresco, nel complesso gradevole. Lo spettro aromatico non è particolarmente ampio o intenso, caratteristiche tutto sommato accettabili in una Pale Ale che non vuole richiedere particolari attenzioni, ma solo essere bevuta. Il corpo è medio, le bollicine sono quelle giuste e la birra ha ottima scorrevolezza senza trascurare una bella presenza tattile al palato. Pane e crackers, un tocco di miele e qualche accenno tropicale iniziano un percorso che sfuma gradualmente in un amaro dalle tonalità erbaceevegetali che non tralascia qualche ricordo dank e resinoso. E’ una Pale Ale pulita e ben fatta che si beve con piacere ma – devo essere sincero – non m’impressiona per definizione, intensità e personalità. Mi sembra viaggiare un po’ col freno a mano tirato o, contestualizzando, sembra uno di quei pomeriggi in cui il maestrale, vento amato dai surfisti, si fa un po’ desiderare.<br /></span><span style="text-align: left;">Formato 50 cl., alc. 5.1%, lotto 06/11/2020, scad. 06/02/2021, prezzo indicativo 8,00 euro (beershop) </span></div><p></p><p><i style="font-size: small;">NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio</i></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-3854714116426489372020-12-18T21:46:00.001+01:002020-12-23T19:49:15.595+01:00Galaxy Beershop / Brasseria della Fonte Vynile Brown Ale<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHxWD7wexrGfStCDLRmduHcExG8saRlFAOOvzXVtPTauUpmFuypt4mWdrcWbnxcu_XtaRjW01F4TX0bkLjka2rngg5gDORV3z3-NkMWYi-EfqQApvVYs1EA260R8hi5L5u0V8FQVvnvQ0/s600/+Galaxy+Beershop+-++Brasseria+della+Fonte+Vynile.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="292" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHxWD7wexrGfStCDLRmduHcExG8saRlFAOOvzXVtPTauUpmFuypt4mWdrcWbnxcu_XtaRjW01F4TX0bkLjka2rngg5gDORV3z3-NkMWYi-EfqQApvVYs1EA260R8hi5L5u0V8FQVvnvQ0/s320/+Galaxy+Beershop+-++Brasseria+della+Fonte+Vynile.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">La rivoluzione della birra artigianale ha salvato alcuni stili dall’estinzione, ne ha nobilitato altri e ne ha inventato di nuovi: Black IPA, New England IPA, Milkshake IPA, Italian Grape Ale o Pastry Stout, giusto per citarne alcuni, hanno avuto o stanno avendo il loro momento di gloria ma chissà se ci ricorderemo di loro tra una decina d’anni o tra un secolo. Di certo la Craft Beer Revoultion non è stata molto clemente con le Brown Ale, nobilissimo stile anglosassone la cui storia si potrebbe riassumere con pochissime parole: prima dell’invenzione delle Pale Ales, tutte le birre in commercio erano scure. <span style="text-align: left;">Scriveva John Milton nel suo poema L’Allegro del 1645: “giovani e meno giovani si fanno avanti per giocare in un assolato giorno di vacanza, fino a quando non viene a meno la luce del sole ed arriva il momento per una speziata birra color nocciola” <i>(And young and old come forth to play, On a sunshine holiday, Till the live-long daylight fail, Then to the spicy nut-brown ale</i>). <br /></span><span style="text-align: left;">A quel tempo il malto veniva essiccato a fuoco vivo: il risultato era ovviamente una birra marrone con un forte carattere affumicato. Nel 1817 Daniel Wheeler inventò il tostacaffè, una rivoluzione epocale che permise di ottenere malti scuri senza quello spiccato odore e sapore di fumo che non era amato da tutti. I birrifici iniziarono subito ad utilizzarli nelle loro Porter e Stout ed iniziò il rapido declino delle Brown Ales che di fatto scomparvero nel diciannovesimo secolo. Fu necessario attendere quasi altri cento anni: nel 1902 il birrificio londinese Mann, Crossman and Paulin produsse la Mann’s Brown Ale che con una gradazione alcolica solo del 2.7% sembrò anticipare il “Great Gravity Drop” imposto dal governo nel periodo della prima guerra mondiale. Il birrificio la promuoveva con lo slogan “la birra più dolce di Londra”. Non fu un successo immediato e ci vollero quasi vent’anni per convincere altri birrifici a seguire la strada: nel 1920, nacque la Newcastle Brown Ale che ebbe un grande successo soprattutto nella sua versione in bottiglia spingendo altri produttori ad imitarla, come Samuel Smith (Yorkshire) che lanciò la Nut Brown Ale. A Londra anche Truman, uno dei maggiori produttori di porter, iniziò a produrre la propria Brown Ale ed a nord Steward & Patteson idearono la Norfolk Brown Ale.<br /></span><span style="text-align: left;">La rinascita di uno stile? <u><a href="http://zythophile.co.uk/2011/03/31/why-theres-no-such-beer-as-english-brown-ale/" target="_blank">Per lo storico Martyn Cornell</a></u> </span><span style="text-align: left;">non esiste nessuno stile Brown Ale: basta osservare il colore della Mann (quasi nera) e della Newcastle (ambrata) per rendersene conto. La “colpa” sarebbe del beerhunter Michael Jackson che nelle sue guide le aveva sempre raggruppate sotto ad un unico ombrello. Negli anni 70 nel Regno Unito venivano ancora prodotte un centinaio di Brown Ales, numero destinato però a ridursi drasticamente. </span><span style="text-align: left;">Il BJCP definisce oggi una Brown Ale come una “birra maltata di color marrone basata sul caramello ma senza il gusto di torrefatto della Porter. Ampia categoria con diverse interpretazioni possibili: da chiara luppolata a molto scura e caramellata, tuttavia nessuna ha gusti fortemente torrefatti”. </span><span style="text-align: left;">La Craft Beer Revolution americana fece qualche tentativo per rivitalizzare lo stile, potenziando ovviamente l’ABV: notabile in particolare quello di Dogfish Head con la sua <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2013/05/dogfish-head-indian-brown-ale.html" target="_blank">Indian Brown Ale</a></u> </span><span style="text-align: left;">che a me era piaciuta parecchio, così come la <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2019/10/port-brewing-board-meeting-brown-ale.html" target="_blank">Board Meeting di Port Brewing</a></u>. <br /></span><span style="text-align: left;">E in Italia? Non sono molti i birrifici che hanno in produzione una Brown Ale, sia nella classica interpretazione inglese che in quella americana, ovviamente più luppolata. Sul blog trovate <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2012/05/piccolo-birrificio-clandestino-santa.html" target="_blank">Santa Giulia </a></u>del Piccolo Birrificio Clandestino, <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2014/04/birra-del-carrobiolo-og-1048.html" target="_blank">l</a></u></span><span style="text-align: left;"><u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2014/04/birra-del-carrobiolo-og-1048.html" target="_blank">a O.G. 1048 di Carrobiolo</a></u> </span><span style="text-align: left;">e soprattutto la convincente <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2012/05/piccolo-birrificio-clandestino-santa.html" target="_blank">Sweet Earth di EastSide</a></u></span><span style="text-align: left;"> ma segnalo anche la Jehol di Bi-Du, la Chester Brown di Dada, la Flebo di Casa di Cura, la Vecchia Volpe di Valcavallina.</span></div><p></p><p><b>La birra.</b><br /></p><div style="text-align: justify;">Quando si fa una birra l’obiettivo principale è ovviamente quello di venderla, necessità che va oltre quelle che sono i gusti personali o la soddisfazione del birraio. Il mercato non chiede le Brown Ale e i birrifici raramente le producono. Personalmente le bevo sempre con grande piacere ogni volta che le incontro, soprattutto nelle versioni “imperial”: <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2018/02/tempest-all-leaves-are-brown.html" target="_blank">quella degli scozzesi Tempest</a></u> va un po’ al di fuori degli schemi ma è una delle birre più buone nate negli ultimi anni. P<span style="text-align: left;">er questo plaudo al coraggio del Galaxy Beershop (da anni indiscutibile punto di riferimento per gli appassionati di Reggio Emilia, Modena e dintorni) e di <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/search/label/Brasseria%20della%20Fonte" target="_blank">Brasseria della Fonte</a></u> d</span><span style="text-align: left;">i puntare su di una Brown Ale per la loro prima collaborazione, pronta giusto in tempo per le festività natalizie. Una scelta che va oltre la solita IPA, sempre benvoluta dai clienti, o dalla classica Strong Ale (spesso Belgian) speziata che viene prodotta in queste occasioni. <br /></span><span style="text-align: left;">Vynile è il nome dato ad un’American Brown Ale luppolata con Magnum ed Amarillo ed un abbondante utilizzo di avena maltata e fiocchi d'avena per donarle un mouthfeel morbido e adatto ai mesi più freddi dell’anno. </span><span style="text-align: left;">Un’accidentale fotografia scattata durante la produzione (whirlpool) che ricordava i vecchi LP ha fornito l’ispirazione per il nome: Vynile. Al grafico Andrea Poletti il compito di costruirle attorno un giradischi virtuale. Ne sono state realizzate 400 bottiglie e alcuni fusti distribuiti anche a locali amici. <br /></span><span style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIEjk2DmU-uW-G3lV3LcjMiidCyseSuX8iKwSWVQiXopctWNmkJoVAQFGcE4wxq-OBY6lVgQ6owITMtBuVowOC6NMxmwii4mbdQ_0HI8erflAPbcuLgKeuUi__3X16XGO9gOiOdDNx_hg/s600/+Galaxy+Beershop+-++Brasseria+della+Fonte+Vynile2.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIEjk2DmU-uW-G3lV3LcjMiidCyseSuX8iKwSWVQiXopctWNmkJoVAQFGcE4wxq-OBY6lVgQ6owITMtBuVowOC6NMxmwii4mbdQ_0HI8erflAPbcuLgKeuUi__3X16XGO9gOiOdDNx_hg/w200-h200/+Galaxy+Beershop+-++Brasseria+della+Fonte+Vynile2.jpg" width="200" /></a></div>Nel bicchiere si presenta di color mogano acceso da vivaci riflessi rosso rubino, la schiuma beige è cremosa, compatta ed ha ottima persistenza. Nonostante sia dichiaratamente un’American Brown Ale i suoi profumi sono spiccatamente british, con quel classico “nutty” accompagnato da note terrose, frutta secca e frutti di bosco; in secondo piano si scorgono accenni di tostature, caffè e cioccolato. L’avena mostra di aver svolto alla perfezione il compito per il quale è stata chiamata in causa: la sensazione palatale è morbidissima, a tratti quasi impalpabile. Alla spina l’ho invece trovata leggermente più densa. Caramello, qualche accenno biscottato e frutta secca, soprattutto nocciola, danno il via ad una bevuta calda, ulteriormente ammorbidita da qualche accenno d’uvetta e poi risvegliata da un bel crescendo amaro finale, ricco di note terrose, di richiami al caffè e al cioccolato e da una lieve acidità che pulisce benissimo il palato. L’alcool è davvero ben nascosto ed il mio consiglio è di berla il più possibile prossima alla temperatura ambiente (come si farebbe nel Regno Unito) se volete godere di quelle delicate coccole etiliche necessarie nei mesi più freddi dell’anno. <br />Molto ben fatta, intensa ma facilissima da bere: pulita e ben definita ma non priva di un certo carattere rustico, autentico, capace di trasportarti virtualmente in uno vecchio pub di un piccolo paese <strike>americano</strike> inglese. Pensate al calore che vi trasmette un vecchio disco in vinile rispetto ad un cd digitale quando ascoltate determinati generi musicali. E’ difficile da spiegare a parole, meglio bere. <br /></span><span style="text-align: left;">Formato 50 cl., IBU 60, lotto , prezzo indicativo 6,00 euro (beershop)</span></div><p></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-26070576406166652672020-12-17T21:45:00.011+01:002021-02-05T09:41:12.529+01:00DALLA CANTINA: O'Hanlons Thomas Hardy's Ale 2008<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7_3JEviAn0TNhJ1jiK-pbuKwdU9ekzUe6ahCRRgYBIZK3Hy41m6xwAAqHjAORusFYBdqf8ZFZRq7GBVxsdikd8DuWPLz5P9mIr48QjPIhGgz3DmoUi-fdgBUnPnMkt66gEBq5QgVR1lg/s600/Ohanlons+Thomas+Hardys+Ale+2008.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="317" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7_3JEviAn0TNhJ1jiK-pbuKwdU9ekzUe6ahCRRgYBIZK3Hy41m6xwAAqHjAORusFYBdqf8ZFZRq7GBVxsdikd8DuWPLz5P9mIr48QjPIhGgz3DmoUi-fdgBUnPnMkt66gEBq5QgVR1lg/s320/Ohanlons+Thomas+Hardys+Ale+2008.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">Per oltre un secolo l’imponente birrificio Eldridge Pope è stato l’edificio più importante di Dorchester e la ruota motrice dell’economia della città inglese. Nel 1837 Charles Eldridge, già proprietario dell’hotel Antelope aveva acquistato anche il piccolo birrificio Green Dragon, espandendone la produzione; la moglie Sarah guidò l’azienda alla morte del marito (1846) assieme al partner commerciale Samuel Mason, un altro produttore di birra. Sarah Eldridge morì nel 1856 cedendo le sue quote al figliastro John Tizard e Mason si ritirò nel 1870 (si dice a seguito della morte del figlio in un incidente di lavoro nel birrificio) vendendo a Edwin Pope e al cugino Alfred. L’anno successivo, alla morte di Tizard, la figliastra ed ereditiera Sarah Eldridge decise di vendere la sua quota alla famiglia Pope. Edwin Pope mise subito in atto un grande piano di espansione acquistando terreni adiacenti alla linea ferroviaria e commissionando all’architetto W.R. Crickmay un nuovo edificio, in stile vittoriano, che fu inaugurato nel 1881. La Eldridge Pope & Co. Limited divenne il più grande birrificio nonché datore di lavoro di tutta Dorchester; lo stabile fu poi seriamente danneggiato da un incendio nel 1922 e la produzione interrotta sino al 1925. <br /><span style="text-align: left;">Le due guerre mondiali fecero scomparire dal mercato le birre dall’alta gradazione alcolica e anche quando il governo tolse le restrizioni, agli inizi degli anni ’50, furono davvero pochi i birrifici che ricominciarono a produrle. Tra questi vi fu proprio Eldridge Pope. </span><span style="text-align: left;">Michael Jackson riporta nella sua World Guide to Beer che nel 1967 alla Eldridge trovarono per caso duemila bottiglie vuote di epoca vittoriana e si chiesero con che cosa avrebbe potuto riempirle. Proprio in quel periodo a Dorchester si stava organizzando un festival letterario che celebrava il quarantesimo anniversario della morte di Thomas Hardy, poeta e scrittore nato e vissuto a poche miglia di distanza il quale, nel suo racconto The Trumpet Major, aveva dedicato qualche riga alla birra locale: <i>“era del colore più bello che l’occhio di un artista potesse desiderare per una birra: robusta e forte come un vulcano; piccante, senza essere pungente; luminosa come un tramonto d’autunno; dal sapore uniforme, ma, alla fine, piuttosto inebriante. Il popolo l’adorava, la gente per bene l’amava più del vino”. </i></span><span style="text-align: left;">Cecil Pope, nipote di Alfred, chiese al birraio <u><a href="https://www.telegraph.co.uk/obituaries/2016/08/26/denis-holliday-brewer--obituary/" target="_blank">Denis Edwin Holliday</a></u> </span><span style="text-align: left;">di produrre una birra speciale per l’evento e Holliday rielaborò la ricetta del barley wine della casa <u><a href="http://barclayperkins.blogspot.com/2013/03/lets-brew-wednesday-eldridge-pope-1967.html" target="_blank">chiamato Goldie</a></u> </span><span style="text-align: left;">e lo mise ad invecchiare per sei mesi in botti ex-sherry che venivano ruotate quotidianamente. Il risultato finì poi in bottiglie chiuse da sughero, ceralacca e chiamato Hardy Ale, birra celebrativa che venduta ad un prezzo che equivaleva a quello di dieci pinte di bitter. Nonostante il costo elevatissimo, quella che doveva essere una birra occasionale ottenne riscontri favorevolissimi convincendo il birrificio a replicarla nel 1974 e da allora una volta all’anno, diventando oggetto di culto degli appassionati che attendevano con ansia l’uscita del nuovo millesimo.<br /></span><span style="text-align: left;">Gli anni ’90 furono caratterizzati da una serie di errate decisioni da parte del management di Eldridge Pope nel tentativo di risollevarsi da una difficile situazione finanziaria: la peggiore fu probabilmente quella di separare gli assetti produttivi da quelli di vendita, ovvero la catena dei pub di proprietà, le cui spine finirono rapidamente in mano ad altri distributori. Alcune fonti riportano che nel 1996 il birrificio smise di produrre le proprie birre lavorando solamente per conto terzi. Nel 1997 il management del birrificio acquistò dai Pope il marchio, mentre impianti e sito produttivo rimasero in mano alla famiglia che lo aveva fondato: la nuova società fu rinominata Thomas Hardy Brewery & Packaging e l’anno successivo rilevò un altro birrificio a Burtonwood formando la Thomas Hardy Burtonwood. La produzione riprese ma, nonostante il nome scelto, tra le prime decisioni del management ci fu quella (1999) di sospendere la Thomas Hardy’s Ale, ritenuta una birra troppo costosa da produrre. <br /></span><span style="text-align: left;">Nel 2003 la Thomas Hardy Brewery fece un offerta ai Pope di 8 milioni di sterline per acquistare il birrificio di Dorchester: la famiglia la rifiutò e preferì invece cedere il complesso alla Landworth Properties che aumentò immediatamente il contratto d’affitto costringendo di fatto la Thomas Hardy Brewery <u><a href="https://www.morningadvertiser.co.uk/Article/2003/07/24/Thomas-Hardy-Brewery-shuts-with-loss-of-57-jobs" target="_blank">alla chiusura definitiva</a></u> ed al licenziamento di 57 dipendenti, nel luglio dello stesso anno. </span><span style="text-align: left;">L’anno successivo la famiglia Pope cedette per 40 milioni di sterline e 42 milioni di debiti tutti i pub ancora di proprietà all’imprenditore Michael Cannon, abilissimo a trasformarli nella catena Que Pasa Bar, poi rivenduta nel 2007 al gruppo Marston’s per 155 milioni di sterline. Il vecchio birrificio Eldridge Pope rimase abbandonato sino alla trasformazione, completata nel 2013, nel complesso chiamato Brewery Square che oggi accoglie negozi, ristoranti, cinema, appartamenti e un hotel. <br /></span><span style="text-align: left;">La scomparsa della Thomas Hardy’s Ale gettò subito nello sconforto gli appassionati, molti dei quali si trovavano negli Stati Uniti. E fu proprio grazie ad uno di loro che la birra riuscì a rinascere: una storia l’avete già sentita? E’ più o meno quello che accadde con la <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2020/01/harveys-imperial-extra-double-stout.html" target="_blank">Extra Double Stout</a></u>. </span><span style="text-align: left;">Questa volta il merito va attribuito a George Saxon, proprietario della la Phoenix Imports, Maryland, che dal 1986 importava in esclusiva sul suolo americano la preziosa birra, solitamente in bottiglie da 33 centilitri (in Inghilterra era più frequente il formato 18 o 25). Saxon rilevò la proprietà del marchio e si mise a cercare un birrificio in Inghilterra che potesse ricominciare a produrla: la scelta cadde su O’Hanlon, un piccolo produttore nel Devon. Il 2003 fu la prima annata della nuova Thomas Hardy’s, ricreata in ogni dettaglio: etichetta, numero lotto e prefisso lettera identificativo, tappo e collo della bottiglia ricoperti da un lamina dorata, piccolo medaglione ornamentale. La maggior parte degli appassionati fu soddisfatta ma non mancarono i sostenitori del “non è più la birra di una volta”: affermazione perlomeno prematura, visto che si tratta di una birra da bere dopo almeno tre anni di cantina, come suggerivano sin dall’inizio alla Eldridge Pope. <br /></span><span style="text-align: left;">La nuova avventura O’Hanlon non durò però molto, giusto il tempo di raccogliere qualche medaglia nei concorsi e di rimpolpare le cantine degli appassionati. Nel 2009 Liz O'Hanlon, direttore commerciale del birrificio, <u><a href="https://www.thestar.com/life/food_wine/2009/06/03/brewery_closes_the_books_on_thomas_hardys_ale.html" target="_blank">annunciava </a></u></span><span style="text-align: left;"><u><a href="https://www.thestar.com/life/food_wine/2009/06/03/brewery_closes_the_books_on_thomas_hardys_ale.html" target="_blank">di aver gettato la spugna</a></u>: <i>“non è una decisione facile, ma non ne vale più la pena. Le vendite sono buone ma non giustificano gli sforzi che ci vogliono per produrla. A fare le nostre birre ci mettiamo due settimane; iniziamo invece a produrre la Thomas Hardy a gennaio e possiamo imbottigliarla solo in settembre. Dobbiamo poi incartare le bottiglie, numerarle ed appendere a mano i medaglioni al collo. Auguro ogni fortuna a Saxon, ma non credo sarà facile”. <br /></i></span><span style="text-align: left;">La stampa inglese di settore provò a sondare il terreno con due birrifici che già producevano riedizioni di birre storiche. Alla Marston’s dissero di poter prendere in considerazione l’ipotesi solo in caso di volumi superiori a 10.000 ettolitri all’anno. John Keeling di Fuller’s, che si era già preso a cuore le sorti della <u><a href="http://unabirralgiorno.blogspot.com/2020/11/dalla-cantina-gales-prize-old-ale-2000.html" target="_blank">Gaze Pride Old Ale</a></u>, </span><span style="text-align: left;">disse di sì, ma solo se gli fosse stato venduto anche il marchio:<i> “non possiamo fare tutti quegli sforzi produttivi per una birra che non è neppure nostra”</i>.<br /></span><span style="text-align: left;">Per qualche anno non si venne a sapere nulla sul futuro della mitica Thomas Hardy’s Ale: fu necessario <u><a href="https://www.cronachedibirra.it/notizie/6177/colpaccio-interbrau-la-thomas-hardys-tornera-in-vita-grazie-allazienda-italiana/" target="_blank">attendere l’agosto del 2012</a></u> quando a sorpresa, </span><span style="text-align: left;">i fratelli Vecchiato del colosso distributivo nazionale Interbrau, annunciavano di aver acquistato il marchio da Saxon. La notizia riempì d’orgoglio tutti gli appassionati italiani, ma per i Vecchiato la parte più difficile doveva ancora venire: trovare qualcuno affidabile in grado di produrla rispettando minuziosamente la ricetta originale. Riesumare un marchio dal pegidree così importante senza rispettarne la tradizione sarebbe stato un imperdonabile errore. I Vecchiato si recarono subito alla O'Hanlon alla ricerca di preziose informazioni ma i proprietari, che stavano vendendo il birrificio, non furono molto amichevoli e i birrai che avevano lavorato alla ricetta se n’erano già andati. Neppure le chiacchierate con alcuni vecchi dipendenti di Elrdige Pope furono molto utili. Decisero allora di sondare il terreno con uno dei loro partner commerciali, il birrificio Meantime, del quale Interbrau è importatore per l’Italia. Il birrario Alastair Hook era una garanzia ed era grande amico di Micheal Jackson: a lui il beerhunter lasciò in eredità la sua collezione personale di bottiglie, con ovviamente numerose annate di Thomas Hardy.<br /></span><span style="text-align: left;">La nuova Thomas Hardy debuttò nel 2014 con una “Preview Edition” non destinata al commercio: verrà recapitata solo ad alcuni addetti ai lavori, giornalisti del settore e fatta assaggiare nelle fiere. L’anno ufficiale del ritorno fu il 2015, proprio l’anno in cui Meantime veniva venduto all’industria (prima SAB Miller, poi Asahi). Alastair Hook fa ancora parte di Meantime e la Thomas Hardy, per quanto ne so, continua ad essere prodotta su quegli impianti.</span></div><p></p><p><b>La birra.</b><br /></p><div style="text-align: justify;">Nel 2008 ero già appassionato di birra, ma in modo diverso: ero solo curioso di bere qualsiasi cosa non avessi ancora provato, non sapevo esistesse la birra artigianale. Mi trovavo a Londra, ricordo ancora gli scaffali del supermercato Waitrose al piano interrato del centro commerciale Westfield: cercavo qualcuna di quelle bottiglie che avevo visto sulle guide e sugli atlanti generali della birra che si trovavano in libreria. La Bombardier di Wells, la Pedigree di Marstons, la Bass Pale Ale: non sapevo cosa fosse la Thomas Hardy’s Ale ma evidentemente quella curiosa bottiglia con il medaglione appeso al collo attirò la mia attenzione e la misi in valigia. Fu solo per caso che non la stappai appena tornato a casa: forse cercai qualche informazione e venni a sapere che era una birra mitologica, da mettere in cantina e da bere dopo molti anni. Meglio così. Noto ora che l’etichetta ha anche una piccola cornice in lingua italiana con ingredienti e data di scadenza.<br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiu4FBMXjB7llzqIAwNyezV1OcZg7c0_VmRRnrsccdKt_RNSVZ0cIR42cwW4LN0abYZYD_gTM6IXTsui2ymfXPz27xQ4rIJkAkuQtvG_vN5mPdJ087HYlxpmBmZTyild7km-fPOnUpAVAk/s600/Ohanlons+Thomas+Hardys+Ale+20082.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiu4FBMXjB7llzqIAwNyezV1OcZg7c0_VmRRnrsccdKt_RNSVZ0cIR42cwW4LN0abYZYD_gTM6IXTsui2ymfXPz27xQ4rIJkAkuQtvG_vN5mPdJ087HYlxpmBmZTyild7km-fPOnUpAVAk/w200-h200/Ohanlons+Thomas+Hardys+Ale+20082.jpg" width="200" /></a></div>In questi dodici anni ho resistito più volte alla tentazione di aprirla; avevo sempre la paura che fosse presto e che la birra potesse ulteriormente migliorare. Sono in parte stato facilitato dal peso della storia; raccontarla sul blog in modo appropriato significava sobbarcarsi un lavoro di ricerca lungo, impegnativo e quindi ho sempre rimandato. Non potevo tuttavia concludere la più che decennale avventura di Unabirralgiorno (iniziata proprio in quegli anni!) senza la Thomas Hardy’s Ale. <br /></span><span style="text-align: left;">Il suo colore non è esattamente quel “tramonto d’autunno” delle Strong Ales del Wessex decantate da Thomas Hardy: è ambrato molto carico e piuttosto torbido, la schiuma è comprensibilmente evanescente. L’aroma regala subito spiccate sensazioni di Porto e di Sherry: annoto anche mela al forno, ciliegia, frutti di bosco, uvetta, prugna, datteri e fichi disidratati. L’intensità è piuttosto buona, l’ossidazione è del tutto positiva: non si dovrebbe mai usare l’aggettivo “dolce” nel caso dell’aroma ma la sensazione che avverto è zuccherina, sciropposa, quasi una marmellata. Il corpo è ancora degno di nota, non ci sono grossi cedimenti dovuti all’età e le bollicine sono ancora ben percepibili. La bevuta ripropone in maniera molto più educata e armonica l’aroma, senza quegli sbuffi sciropposi che vanno un po’ oltre le righe: s’avverte ancora una flebile componente maltata che richiama il caramello, la frutta sotto spirito è molto meno in evidenza e la sensazione è davvero di avere nel bicchiere un vino fortificato. E’ dolce ma ben attenuata, il tanto temuto cartone bagnato si avverte a fatica solo andandolo a cercare. L’alcool (11.7%) dà il suo contributo senza mai andare oltre le righe: scalda il palato e scalda il cuore. Una birra invecchiata benissimo la cui bevuta è accompagnata da inevitabili emozioni derivanti da un viaggio indietro nel tempo, poco importa se questa non è una delle bottiglie di Eldridge Pope. <br /></span><span style="text-align: left;">Il bicchiere ormai vuoto è inevitabile sorgente di malinconia. Barley Wine? Old Ale? Semplicemente Thomas Hardy’s Ale. </span><span style="text-align: left;">Devo però essere sincero: nei miei ricordi e nel mio cuore non riesce però a scalfire la <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2017/05/dalla-cantina-jw-lees-harvest-ale.html" target="_blank">Harvest Ale di J.W. Lees</a></u>, </span><span style="text-align: left;">vetta per me irraggiungibile. La producono ancora ogni anno e per comprarla non bisogna svenarsi su Ebay: in pochi la cercano… meglio così. Ne rimane di più per me.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span><span style="text-align: left;">Formato 27,5 cl., alc. 11.7%, , lotto 2008, scad. (italiana) 31/12/2016</span></div></div><p></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-4105533266472968432020-12-15T21:52:00.001+01:002020-12-15T21:52:22.723+01:00Tripel de Garre<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjReZVG645z6f9Kp4vcRt9QGUsyTxKWQHTaIK5TNzZCC-Zq8OItjyCKSlt13L4UhvmhAddIVG86arSK-sk55nUWuRX-SGCQ9YD2GKSm4ucR74mBm4RY27Cq31LNQp4-xWqWFH5JCL744x4/s600/Tripel+de+Garre.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="330" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjReZVG645z6f9Kp4vcRt9QGUsyTxKWQHTaIK5TNzZCC-Zq8OItjyCKSlt13L4UhvmhAddIVG86arSK-sk55nUWuRX-SGCQ9YD2GKSm4ucR74mBm4RY27Cq31LNQp4-xWqWFH5JCL744x4/s320/Tripel+de+Garre.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">Birra, cioccolato e merletti sono le cose che non potrete evitare di acquistare nel corso di una visita a Brugge. A noi interessa ovviamente la prima: il libro “Around Bruges in 80 Beers” (l’ultima edizione è del 2013, purtroppo) vi dà solo una vaga idea dell’offerta che la splendida e affollata città delle fiandre offre. Anche Brugge non sfugge al cliché delle “trappole per turisti della birra”: chi cerca semplicemente una birra d’abbazia o una bella triplo malto non avrà problemi a soddisfare la propria voglia con spine e bottiglie di marchi industriali o di beerfirm. <u><a href="https://www.2-be.biz/it/home-it/" target="_blank">Il Beer Wall </a></u> <span style="text-align: left;">sarà una delizia per i vostri occhi e i piccoli negozietti del centro storico saranno un pericolo per il vostro portafoglio. Uno dei vantaggi di recarsi in Belgio è di poter acquistare bottiglie a prezzi irrisori, se paragonati a quelli italiani: bene, non fate allora acquisti a Brugge e dirigetevi in qualche Drankenwinkel nei dintorni. </span><span style="text-align: left;">Ma Brugge può stupire anche gli appassionati di birra meno ingenui: è sorprendente scoprire come in un normale negozietto di generi alimentari potete comprare una bottiglia di quella rara Westvleteren che i (furbi) monaci vendono esclusivamente al proprio monastero previa prenotazione.<br /></span><span style="text-align: left;">Come ogni meta turistica anche Brugge ha i suoi tesori nascosti e in questo caso l’aggettivo nascosto è più che mai appropriato. Non capiterete mai davanti alla Staminee De Garre per caso, nonostante si trovi in linea d’aria a poche decine di metri dal Grote Mark, la piazza principale. Per raggiungere questo piccolo bar/birreria dovete infatti imboccare un minuscolo vicolo, una specie di passaggio segreto che parte da un piccolo arco di Breidelstraat. La mappe di Google non vi aiuteranno ma le difficoltà nel riuscire a raggiungerlo sono parte integrante della gratificante esperienza De Garre: una volta messi i piedi sul lastricato di ciottoli, spesso umidi, come per magia non avvertirete più il brulichio delle vie più trafficante che avete appena abbandonato. Un ultimo dubbio vi assalirà anche dopo aver imboccato il vicolo: dove si trova il locale? La risposta che state cercando è davanti a voi, quell’anonima porta in cima a quei pochi scalini che sembrerebbero essere solo l’ingresso di un palazzo costruito nel 1700. <br /></span><span style="text-align: left;">Il locale è piccolo, con pochi tavolini e posti a sedere: oltre dai locali è frequentato da un numero sempre crescente di appassionati provenienti da ogni parte del mondo. Andateci presto se volete essere sicuri di trovare posto e godere delle calde pareti in mattoni a vista, dei lampadari in ferro battuto e del legno che adorna balaustra e pavimenti delle piccole sale ai piani superiori. E’ un salto indietro nel tempo. Ad attirarvi qui non è certo l’offerta delle quattro spine (monopolio del birrificio Van Steenberge: Tripel van de Garre, Baptist Witbier, Gulden Draak e Gulden Draak Quadrupel ) o del menù che include circa 150 bottiglie ma nessuna rarità particolare. E neppure il benvenuto che lo staff vi riserverà, tipicamente belga: occasionalmente amichevole, più probabilmente un po’ seccato dalla vostra presenza, soprattutto quando il locale è pieno: evitate di fare troppe domande e siate autosufficienti nella scelta. La “cucina” offre solamente qualche snack freddo e informale, il bar serve superalcolici, vino ma anche caffè, tè e cioccolata calda. <br /></span><span style="text-align: left;">A farvi cercare il vicoletto De Garre è la birra della casa, la Tripel van de Garre: è una delle tante birre che il </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2014/11/augustijn-blond.html " target="_blank">birrificio Van Steenberge</a></u><span style="text-align: left;">, moderno e completamente automatizzato, </span><span style="text-align: left;">produce per conto terzi: locali, distributori, importatori, beer firm. Ricetta originale? Rietichettatura di qualche altra Tripel? Non lo sapremo mai, ma non è questo che conta. E’ importante il modo in cui ve la spillano e ve la portano, in quel bicchiere dalla base tozza che pare più adatto ad un distillato. Lei arriva con un schiuma cremosissima e indissolubile, che vi accompagnerà senza battere ciglio sino al termine della bevuta. Ad affiancarla una piccola ciotola di vetro con alcuni pezzi di formaggio, infilzati da un paio di stecchini di legno. Il tutto vi sarà servito su di un vassoio tondo adornato da un’imitazione in plastica di un merletto. Pensate al paradosso: arrivate in Belgio, patria di tanti piccoli produttori di birra, del lambic, delle Flanders Red e vi ritrovate a bere quella che è sostanzialmente una beerfirm, una birra nata a tavolino. Eppure funziona. L’atmosfera è unica, il servizio rigoroso ma impeccabile, la magia prende forma e voi di dimenticate di tutto il resto. <br /></span><span style="text-align: left;">Si dice che alla Staminee vi sia concesso di berne al massimo tre a testa, per poi lasciare il posto ad altri: considerata la gradazione alcolica delle etichette normalmente presenti alle spine, potete comunque prendervela molto comoda. </span></div><p></p><p><b>La birra.</b><br /></p><div style="text-align: justify;">La Tripel de Garre è (era) disponibile solo alla Staminee, con l’eccezione di un numero limitato di bottiglie magnum (1,5 litri) per l’asporto. Negli ultimi anni sono stati però avvistati fusti anche in alcuni locali all’estero, inclusa Italia, nell'improbabile tentativo di replicare la magia. Non ci vedo nulla di strano e non è mia intenzione fare il moralizzatore indignandomi che questa birra sia fruibile anche lontano dalla sua casa; qualsiasi appassionato sa quanto la birra sia più buona quando non viaggia e viene bevuta nel luogo in cui viene fatta. A voi scegliere se ordinarla o no. <span style="text-align: left;">A far “indignare” ulteriormente i puristi qualche tempo fa sono poi apparse in molti paesi europei anche delle più pratiche bottiglie da 33 centilitri. <br /></span><span style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjF6EKqofweMFKjdjmnlsC5kT-PVm46Atn3SFHE9GAAvGmSO57rf69Fy2ABwOLyQlj4oBszf0uKkHjimuHXk5xucBzD7KmAWgISoumy6Pg2Ik7VBAW_rIUzgM9T1Z00yxHLutEpZrYRMM0/s600/Tripel+de+Garre2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjF6EKqofweMFKjdjmnlsC5kT-PVm46Atn3SFHE9GAAvGmSO57rf69Fy2ABwOLyQlj4oBszf0uKkHjimuHXk5xucBzD7KmAWgISoumy6Pg2Ik7VBAW_rIUzgM9T1Z00yxHLutEpZrYRMM0/w200-h200/Tripel+de+Garre2.jpg" width="200" /></a></div>Il suo colore è un limpido oro antico, con qualche riflessi ramato: la schiuma biancastra è generosa e abbastanza compatta, ma non sono riuscito a replicare la scultura plasmata dalla spina della Staminee. Al naso emergono profumi di coriandolo, mela e scorza d’arancia, accenni di banana, miele e pasticceria, un pizzico di pepe bianco e qualche ricordo floreale. Al palato scorre piuttosto bene ed è sospinta da una buona carbonazione; la sua gradazione alcolica (11%) è se non ricordo male leggermente inferiore rispetto a quella in fusto (11.5%). Biscotto, miele, un po’ di canditi ma non troppi, una delicata speziatura e richiami alla pasticceria guidano una bevuta dove l’alcool parte in sordina (assecondando la “diabolica” tradizione delle letali Strong Ales belghe) per poi alzare progressivamente la testa. La classica domanda da fare agli amici che portate per la prima volta da De Garre è: ”indovina quanti gradi fa questa birra?” . La risposta di solito oscilla intorno al numero 7: nel caso di questa bottiglia io mi spingerei sicuramente sino al numero 9, ma non ci si può certo lamentare della sua bevibilità. Il suo percorso termina con una punta amaricante di curaçao, lievemente terrosa: cerca di chiudere secca ma le manca un po' d'acidità e c’è una patina zuccherina che rimane un po’ troppo appiccicata al palato. <br /></span><span style="text-align: left;">Tecnicamente è una Tripel ben fatta, una delle tante che Van Steenberge sa fare: ma a dispetto della sua gradazione alcolica non riesce a scaldare il cuore. In sottofondo immagino quel Bolero di Ravel che spesso suona da De Garre quando arriva l’orario di chiusura; in questo caso però la danza della giovane gitana sul tavolo non riesce a sedurre chi è seduto ai tavoli della taverna in Andalusia. <br /></span><span style="text-align: left;">Formato 33 cl., alc. 11%, lotto 29IT, scad. 29/09/2023, prezzo indicativo 5 Euro (beershop) </span></div><p></p><p><i><span style="font-size: x-small;">NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio</span></i></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-76993896955983691092020-12-14T21:40:00.004+01:002020-12-14T21:40:49.385+01:00Lervig Paragon 2018<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVzu_hsroi6coBKi9jaRJmD8rwQXhsJG8wWzGMLrc1FMaxT7eJ9O377uN2xQ_xIthclRg_hn60YveqmmM5Firf5ty7I3k8Ye8rX899px8PNkpTIAC5CwrlqRJ2kg8wUS9kHEAvkRwAsis/s600/+Lervig+Paragon+2018.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="374" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVzu_hsroi6coBKi9jaRJmD8rwQXhsJG8wWzGMLrc1FMaxT7eJ9O377uN2xQ_xIthclRg_hn60YveqmmM5Firf5ty7I3k8Ye8rX899px8PNkpTIAC5CwrlqRJ2kg8wUS9kHEAvkRwAsis/s320/+Lervig+Paragon+2018.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">La birra di oggi è un ottimo esempio di riposizionamento del brand, processo attraverso il quale un prodotto viene immesso nuovamente nel mercato con una diversa identità e, in questo caso, in una diversa fascia di prezzo. E’ dal 2011 che il birrificio norvegese Lervig produce annualmente il proprio Barley Wine invecchiato in botti di bourbon: la prima cotta di 800 litri fu effettuata dal birraio Mike Murphy su quell’impiantino pilota che era solito usare per i propri esperimenti. A partire dagli anni successivi il Barley Wine è stato realizzato con un blend di birra proveniente da diverse botti e un po’ di birra fresca: il millesimo in etichetta si riferisce sempre al momento in cui la birra viene messa ad invecchiare, quindi all’anno precedente alla messa in vendita. <br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Venduto prima nella gamma </span><u style="text-align: left;"><a href="http://unabirralgiorno.blogspot.com/2019/03/dalla-cantina-lervig-brewers-reserve.html" target="_blank">Lervig Brewers Reserve</a></u><span style="text-align: left;">, poi semplicemente come Barley Wine BA, a partire dall’edizione 2018 la stessa birra è stata rinominata Paragon. La ricetta è rimasta identica (malti Munich, Caramel e Chocolate, luppolo Styrian Goldings) il prezzo no: se le annate pre-2019 erano vendute a circa 7-8 Euro, il costo della nuova Paragon è più che raddoppiato e l’ultima edizioni in alcuni beershop sfiora i 20 Euro. La “colpa” è in parte dell’art director N</span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.craftedbyohm.com/blog-english/craft-beer-and-design-nanna-guldbaek-lervig" target="_blank">anna Guldbæk</a></u><span style="text-align: left;">: a lei il compito di rivisitare non solo l’etichetta del Barley Wine ma creare un packaging speciale per una birra speciale, che viene venduta solamente una volta all’anno. Ecco arrivare l’immancabile (e fastidiosissima per quel che mi riguarda) ceralacca e una doppia scatola “bucata” a mo’ di emmental. Tutto molto bello per quel che riguarda l’estetica, ma basta a giustificare l’aumento di prezzo? Ovviamente no, ma se la birra viene ugualmente venduta alla Lervig hanno fatto ovviamente la scelta giusta. <br /></span><span style="text-align: left;">Nel frattempo il birrificio di Stavanger ha inaugurato il </span><u style="text-align: left;"><a href="https://lervig.no/lervig-local/84480/" target="_blank">Lervig Local,</a></u><span style="text-align: left;"> </span><u style="text-align: left;">u</u><span style="text-align: left;">na sorta di taproom che ha aperto le porte lo scorso agosto: una quarantina di spine che ospitano anche birrifici “amici” e una cucina aperta da colazione a cena. La Guldbæk ha collaborato realizzando alcuni degli arredi e le </span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.figgjo.com/table-talks/lervig-local" target="_blank">maniglie delle spine</a></u><span style="text-align: left;">.</span></div></div><p></p><p><b>La birra. </b><br /></p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2_qNuAem3lEZrDAvmQSSL4XdOGyXRqScTciVVGy3azM10jgtwwIGy7ktUIfYZsnEEqHtZTB7R_TiV-z7wMgxwytmfvd1bmhaAbwU3zNUjpVvfWXhY0uZyz3EuLcpuW0ihyphenhyphengyBt3o7vls/s600/+Lervig+Paragon+20182.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2_qNuAem3lEZrDAvmQSSL4XdOGyXRqScTciVVGy3azM10jgtwwIGy7ktUIfYZsnEEqHtZTB7R_TiV-z7wMgxwytmfvd1bmhaAbwU3zNUjpVvfWXhY0uZyz3EuLcpuW0ihyphenhyphengyBt3o7vls/w200-h200/+Lervig+Paragon+20182.jpg" width="200" /></a></div>Troppo buono per costare poco più di 20 euro al litro? Sembra proprio di sì: il Barley Wine Paragon 2018, quindi messo in vendita nell’autunno del 2019, ha un colore ambrato molto carico che ricorda la classica tonaca di frate (“trappista”): la schiuma è modesta e poco persistente. Al naso emergono note di bourbon, belle note ossidative che richiamano porto e sherry, frutti di bosco, prugna e uvetta, legno, fruit cake: potente e intenso, per nulla scalfito da qualche lievissimo accenno di cartone bagnato. E’ un Barley Wine piuttosto viscoso, se confrontato con i canoni della tradizione anglosassone, che avvolge il palato in un caldo e morbido abbraccio. Il porto incontra il bourbon, c’è molta frutta sotto spirito (prugna, uvetta, fichi) e, in qualche passaggio, più di un accenno a vaniglia e creme brulée: la componente etilica ne asciuga magistralmente la dolcezza e prima del lungo abbraccio finale del bourbon c’è spazio per qualche nota di legno e tabacco. La mia impressione è che dimostri già più della sua età: quel cartone bagnato che oggi appena si nota non migliorerà col tempo e potrebbe rovinare quella che oggi è una splendida festa. Bottiglia in stato di grazia e già all’apice della sua evoluzione: se ne avete una in cantina io non esiterei a stapparla subito. <br />Per quel che mi riguarda rappresenta la vetta della produzione Barrel Aged del birrificio norvegese. Barley Wine di classe, elegante, sontuoso e potente ma non difficile da sorseggiare, ideale compagno di una lunga serata con il bicchiere in mano: peccato che oggi ci vogliano 40-50 euro al litro per goderselo. </div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Formato 33 cl., alc. 13.5%, lotto 13/08/2019, scad. 13/08/2029, pagata 14,00 euro (beershop) </span></div><p></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-31774830368251710402020-12-10T21:59:00.000+01:002020-12-10T21:59:00.400+01:00De Dolle XL Pale Ale<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMvbgZE-0LEvKgt4hXFvQWrBg2al3pjj5He9DC7tVodFT0JO2EkJj_xNgC3gC4kVnsO1Q4USHie6r3aNLtBHeLD4R9zbP-CoHxLaaCHzKwx7rJCJdRfivkFM9UP3m8C6mXJZdZ9jDZy7U/s600/+De+Dolle+XL+Pale+Ale+.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="317" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMvbgZE-0LEvKgt4hXFvQWrBg2al3pjj5He9DC7tVodFT0JO2EkJj_xNgC3gC4kVnsO1Q4USHie6r3aNLtBHeLD4R9zbP-CoHxLaaCHzKwx7rJCJdRfivkFM9UP3m8C6mXJZdZ9jDZy7U/s320/+De+Dolle+XL+Pale+Ale+.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">Il 15 novembre 2020 il birrificio De Dolle ha compiuto quarant’anni e per festeggiare Kris Herteleer ha voluto regalarsi un birra celebrativa chiamata appunto XL, espressione in numeri romani della propria età: evento più unico che raro, visto che da anni De Dolle produce le stesse etichette senza assecondare quelle dinamiche di una fetta di mercato perennemente in cerca di novità. In verità la storia del birrificio risale al 1835. Ad Esen, paese nelle Fiandre Occidentali dove oggi vivono circa duemila anime, un tempo vi erano un paio di distillerie e sei birrifici. L’unico rimasto ancora in piedi è quello fondato da Louis Nevejan e poi rilevato dopo cinquant’anni da Louis Charles Hector Costenoble: nel 1979 il birrificio è in vendita. <br />A Roeselare, ad una ventina di chilometri di distanza, ci sono i fratelli Kris e Jo Herteleer, che da anni si dilettano a fare la birra in casa e che avevano anche vinto un concorso a Brussels. <u><a href="https://www.goodbeerhunting.com/blog/2016/8/29/wet-and-strong-de-dolle-brouwers-in-esen-belgium" target="_blank">Kris ricorda</a></u>:<i> “dopo aver terminato gli studi in medicina mio fratello voleva andare in Sud America. Prima della sua partenza decidemmo di finire tutte le birre che avevamo fatto. Erano bottiglie grandi e quindi chiamammo ad aiutarci alcuni amici. Uno di loro conosceva un investitore che voleva aprire un birrificio. Alla fine degli anni ’70 se volevi acquistare un vecchio birrificio non potevi fare ricerche in internet, ma usavi l’elenco telefonico: alla lettera A non c’era nessun birrificio, alla B c’era Bavik, ma era troppo grande. Alla C vi era il birrificio Costenoble, e così andammo a vederlo. Sapevamo fare la birra ma non avevamo mai visitato un birrificio prima. Il birraio ci disse che il birrificio sarebbe stato venduto quel pomeriggio. Ma il potenziale acquirente non si presentò e così noi offrimmo di comprarlo allo stesso prezzo”</i>. <br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Con l’aiuto di alcuni consulenti e professionisti i fratelli Herteleer sistemano il birrificio cercando di far convivere efficienza e funzionalità con il fascino degli impianti che risalgono agli anni ’20, quando Esen fu completamente ricostruita dalle devastazioni della prima guerra mondiale: dopo due anni rileveranno le quote societarie di Romeo Bostoen, quel mugnaio appassionato di birra che si era inizialmente unito a loro. </span><span style="text-align: left;">Il 15 novembre 1980 viene effettuata la prima cotta della Oerbier (“la birra primordiale”) del birrificio De Dolle Brouwers, ovvero “i birrai pazzi”. Il nome scelto è una naturale variante di “Dolle Dravers” ( “i ciclisti pazzi”) un minuscolo circolo di ciclismo al quale appartenevano Kris e Jo. Dei due è Kris ad assumere progressivamente il comando, facendo birra nei weekend e diventandone, dal 2006, l’unico proprietario. Si dice che il fratello Jo stia facendo ancora birra in Sud Africa, dove svolge la sua professione di medico. <br />Artista, grafico, architetto e birraio, Kris disegna personalmente quasi tutte le etichette e la simpatica mascotte gialla che crea come simbolo del birrificio: una cellula di lievito umanizzata "</span><i style="text-align: left;">ottimista e gentile</i><span style="text-align: left;"> - dice Kris - </span><i style="text-align: left;">che sorride al risultato ottenuto, la birra. Ma per ottenerla c'è voluto lavoro e conoscenza, simboleggiati dalla pala che tiene nell'altra mano"</i><span style="text-align: left;">. E lo racconta indossando improbabili giacche, scarpe e quei papillon che adornano anche il collo delle bottiglie delle sue birre. </span><i style="text-align: left;"> “Abbiamo messo la scritta ‘Anno 1980’ sul nostro logo perché sapevo che ci avrebbero copiati. Alcuni sostengono che La Chouffe fu il primo microbirrificio artigianale belga. Noi siamo stati i primi. La Chouffe è nata nel 1982. Quelli dell’Abbaye des Rocs dicono di essere arrivati prima di noi ma ho fatto delle ricerche: sono partiti quattro anni dopo. Dopo l’apertura del primo birrificio Hoegaarden di Pierre Celis (1965, nda) ci fu un vuoto di 16 anni. Non era un bel periodo per i produttori di birre speciali, la maggior parte chiudevano e noi siamo stati i primi della rinascita”.</i></div></div><p></p><p><b>La birra. </b><br /></p><div style="text-align: justify;">Non ne ho la conferma ma immagino che l’etichetta sia un dipinto di Kris Herteleer; oggi i birrifici celebrano sovente il proprio compleanno con birre complesse e dalla gradazione alcolica importante. Kris è andato invece controcorrente optando per una Pale Ale che ha il contenuto alcolico (6.5%) più basso di tutte le altre De Dolle, se si esclude la Oeral (6%), una hoppy Pale Ale destinata solo al mercato americano, dove viene messa in lattina dall’importatore B. United. La “session beer” di casa De Dolle è infatti la Arabier (8%). La XL Pale Ale è stata realizzata semplicemente con malto Simpson Maris Otter Pale Ale e luppolo Whitbread Golding raccolto nella vicina Poperinge, utilizzato anche in dry-hopping; in fase di bollitura è stata poi aggiunta scorza d’arancia. <br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_RPqNNC6R9R3sWIFLdc_WE6S6Q1p2mR0GYXgB4vBusltLqBRN1xQf_1niPzdj8Wz6JzZVA2fhFTtbDXkw9ZhNQ_awXL37gkHEJ8mbTN9m0uKFh9QoV_krZsF35OEhdrx6HUql4RE0-VU/s600/+De+Dolle+XL+Pale+Ale+2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_RPqNNC6R9R3sWIFLdc_WE6S6Q1p2mR0GYXgB4vBusltLqBRN1xQf_1niPzdj8Wz6JzZVA2fhFTtbDXkw9ZhNQ_awXL37gkHEJ8mbTN9m0uKFh9QoV_krZsF35OEhdrx6HUql4RE0-VU/w200-h200/+De+Dolle+XL+Pale+Ale+2.jpg" width="200" /></a></div>Il suo vestito è color arancio velato, la schiuma è generosa, cremosa e compatta come vuole la tradizione belga. Il naso della XL è fresco e regala profumi floreali, erbacei e terrosi, una delicata speziatura che richiama il pepe bianco, scorza d’arancia candita: in sottofondo c’è qualche ricordo di pasticceria. Tra gli appassionati In Italia, dove De Dolle ha un ottimo seguito grazie all’opera divulgativa di Lorenzo Kuaska Dabove, si è subito aperto un dibattito: la XL è brettata? Tra convinti e negazionisti c’è anche chi si è preso la briga di analizzare in laboratorio il contenuto della bottiglia che ha evidenziato l’assenza di brettanomiceti. La verità? Probabilmente non la sapremo mai, come non sappiamo esiste un solo lotto di XL o se ne sono stati fatti vari come avviene per la Stille Nacht, i cui asterischi riportati sul tappo fomentano ogni anno discussioni tra i birrofili. La mia percezione è inevitabilmente influenzata da questi rumors ma effettivamente l’aroma nel suo complesso ricorda quello <u><a href="http://unabirralgiorno.blogspot.com/2017/07/orval-032017.html" target="_blank">di una Orval giovane</a></u>. Il mouthfeel è ottimo, le vivaci bollicine della scuola belga non disturbano e non creano spigoli: è una Pale Ale che attraversa il palato regalando una sensazione di pienezza. Note biscottate e di miele danno il via ad una bevuta che richiama l’aroma nel dolce della frutta candita, sapientemente bilanciata da una bella acidità, da un finale secco e da un amaro zesty, erbaceo e terroso. L’alcool è davvero impercettibile e la XL di De Dolle risulta essere una Pale Ale rustica e ruspante, generosamente fruttata, rinfrescante e dissetante, intensa e facilissima da bere. Poco importa che sia brettata o no: a me è piaciuta molto e bevendola fresca eliminerete alla radici qualsiasi problema derivante dall’eventuale presenza di lieviti selvaggi. Se entrasse in produzione stabile, sarebbe un’aggiunta necessaria alla piccola gamma De Dolle? Probabilmente no: la subdola e più amara <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2015/09/de-dolle-arabier.html " target="_blank">Arabier </a></u>(8% e non sentirli) svolge per “i birrai pazzi” perfettamente la funzione di birra estiva, magari da gustarsi sulle colorate sedie nel patio antistante il birrificio nelle (forse) assolate domeniche delle Fiandre Occidentali. Se volete tuttavia concedervi ben più di un bicchiere, la Arabier è un pericoloso nemico per la vostra sobrietà e per la vostra patente: la XL potrebbe in questo senso rappresentare un’ottima alternativa <i>“low ABV”.</i></div><p></p><p>Formato 33 cl., alc. 6,5%, scad. 01/10/2022, prezzo indicativo 4,00-5,00 euro (beershop)</p><p><i><span style="font-size: x-small;">NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.</span></i></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-7580569250770577222020-12-09T19:45:00.010+01:002020-12-09T19:45:59.344+01:00DALLA CANTINA: Schneider Weisse Aventinus 2020 vs 2014<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhU1G7Opk-iEBLFiSoOl5Z75uwyE6tMFsikNvQ-KTjLptjgEcpx82P8M2RZRpvtBrtdxT55rD-h_gqYbr2LIu1i-GWG4NxcpFMByCIipRTwOEHcwbrE3EnJ5QR-cQ_xFKV6i0UrR3DbqdU/s674/Schneider+Weisse+Aventinus+2014+vs+2020.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="666" data-original-width="674" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhU1G7Opk-iEBLFiSoOl5Z75uwyE6tMFsikNvQ-KTjLptjgEcpx82P8M2RZRpvtBrtdxT55rD-h_gqYbr2LIu1i-GWG4NxcpFMByCIipRTwOEHcwbrE3EnJ5QR-cQ_xFKV6i0UrR3DbqdU/s320/Schneider+Weisse+Aventinus+2014+vs+2020.jpg" width="320" /></a></div><p style="text-align: justify;">Quando si parla di birre da invecchiamento lo stile Weizenbock non è sicuramente il primo a cui pensare; a mettere in discussione quelle che erano anche le mie convinzioni ci ha pensato Patrick Dawson, autore del libro Vintage Beer, un manuale davvero utile d’informazioni e consigli soprattutto per chi vuole provare a mettere qualche birra in cantina. Tra le numerose birre che Dawson consiglia c’è per l’appunto anche una Weizenbock, quella prodotta dalla Weissbierbrauerei G. Schneider & Sohn: Aventinus. <br /><span style="text-align: left;">Del resto alla Schneider reclamano la paternità dell’intero stile: sarebbero stati loro nel 1907 a produrre la prima Doppelbock di frumento. In quel periodo il birrificio era guidato da Mathilde Schneider che nel 1905 aveva preso il comando a seguito della morte improvvisa del trentacinquenne marito Georg III: agli inizi del ventesimo secolo non erano molte le donne a capo di un birrificio, in Baviera. Sotto la sua guida Schneider divenne il più grande produttore di birra di frumento della Germania meridionale negli anni che precedettero la prima guerra mondiale. </span><span style="text-align: left;">In quel periodo il birrificio aveva gli uffici a Monaco in Aventinstraße e forse oggi sarebbe ancora lì se i bombardamenti del secondo conflitto mondiale non avessero costretto a trasferire tutto a Kelheim, sulle rive del Danubio, nei pressi di Ratisbona, utilizzando gli edifici di uno dei tanti birrifici che Schneider aveva inglobato nei primi vent’anni del secolo scorso. </span><span style="text-align: left;">La strada era dedicata a <u><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Aventino" target="_blank">Johannes Aventinus</a></u>, </span><span style="text-align: left;">storico della corte bavarese vissuto tra il 1477 e il 1534 nonché autore della prima mappa geografica della Baviera (1523). Ma la tradizione voleva che una birra dal contenuto alcolico importante come quella di Schneider prendesse il proprio nome da un santo, l’associazione bavarese dei birrai rifiutò quel nome </span><span style="text-align: left;">e <u><a href="https://blogs.faz.net/bierblog/2016/06/17/wie-einmal-das-weizenbier-gerettet-wurde-821/" target="_blank">fu necessario</a></u> l’intervento del parroco della famiglia Schneider per trovare la soluzione: le sue ricerche mostrarono che esisteva infatti un santo con lo stesso nome, ovvero Sant'Aventino di Troyes.<br /></span><span style="text-align: left;">Della Tap 6 Aventinus vi avevo parlato <u><a href="http://unabirralgiorno.blogspot.com/2010/08/schneider-weisse-tap-6-unser-aventinus.html" target="_blank">in questa occasione: </a></u></span><span style="text-align: left;">era il 2010 e il mio post di dieci anni fa non rende oggettivamente giustizia a quella che considero essere la mia Weizenbock preferita, anche se un po’ atipica rispetto alle altre sorelle tedesche. La sua ricetta, basata sulla Schneider Weisse Original, prevede una percentuale di malti tostati che contribuisce a donarle quello splendido color ambrato scuro accesso da intensi riflessi rubini; il luppolo è Hallertauer Herkules. La leggenda vuole poi che da un inconveniente invernale – birra ghiacciata durante il trasporto – nacque poi la sua altrettanto splendida <u><a href="http://unabirralgiorno.blogspot.com/2011/12/schneider-aventinus-weizen-eisbock.html" target="_blank">versione Eisbock</a></u>.</span></p><p><b>La birra.</b><br /></p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiP92Fvrsb6lx6MuglgZd1tKpqvyZdqsyGYQhR6GgXODl2jeTjl_VobWsZJd8NzaiIp0jqJLlFzrV4OXMPNN5OfFZkV0xLgNaRhKoSs13DBFNPBiTM4cbseDXyGuct8mz0Ab1dkJtMFdU0/s600/Schneider+Weisse+Aventinus+2020.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiP92Fvrsb6lx6MuglgZd1tKpqvyZdqsyGYQhR6GgXODl2jeTjl_VobWsZJd8NzaiIp0jqJLlFzrV4OXMPNN5OfFZkV0xLgNaRhKoSs13DBFNPBiTM4cbseDXyGuct8mz0Ab1dkJtMFdU0/w200-h200/Schneider+Weisse+Aventinus+2020.jpg" width="200" /></a></div>Nell’aprile del 2019 la Schneider ha sottoposto tutta la propria gamma ad un restyling stilistico; la bianca etichetta della Tap 6 Unser Aventinus si è colorata dello stesso color viola della Aventinus Eisbock. La classificazione “Tap”, che identificava tutte le birre di Schneider è stata rilegata in un angolo a favore del nome della birra: oggi l’etichetta parla solo di Aventinus. <br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Partiamo da una bottiglia recente del 2020, stranamente quasi limpida, di colore ambrato carico ravvivato da riflessi ramati e rosso rubino. Il naso è ricco di banana matura, chiodi di garofano, caramello, uvetta e prugna; in sottofondo la componente fenolica esprime anche un flebile filo di fumo. L’aroma è pulito e intenso, il mouthfeel è perfetto: bollicine vivaci ma non troppo, sensazione palatale morbida, lievemente cremosa, che non pregiudica la scorrevolezza. A voi scegliere se gustarvela lentamente o se lasciarvi ingannare dal suo tenore alcolico, molto ben nascosto, che si rivela solo nel retrogusto. La bevuta replica l’aroma con la stessa intensità e precisione: uvetta e prugna, caramello, banana matura, un finale leggermente amaricante di frutta secca a guscio. In questa bottiglia non avverto quei lievi accenni di cioccolato delle migliori Aventinus che mi sia capitato di bere, ma è un dettaglio che non mette in discussione una bevuta di alto livello. <br /></span><span style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhzXcop_Yu1uTXNpNePlWJGseiyk3X5Yg-jifJPzUWgWdjTLKMxEwyTcTkqD_-2Wr0uhMo9SfsAJMbBG2t64OUa5odBcwj1Yq5ZUUvbO1iHSGCDcU-XZUMHDG63_VOyL18HIKECjPfO7jg/s600/Schneider+Weisse+Aventinus+2014+2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhzXcop_Yu1uTXNpNePlWJGseiyk3X5Yg-jifJPzUWgWdjTLKMxEwyTcTkqD_-2Wr0uhMo9SfsAJMbBG2t64OUa5odBcwj1Yq5ZUUvbO1iHSGCDcU-XZUMHDG63_VOyL18HIKECjPfO7jg/w200-h200/Schneider+Weisse+Aventinus+2014+2.jpg" width="200" /></a></div>Passiamo ora ad una bottiglia del 2014, il cui colore è ovviamente molto più scuro e meno brillante: la schiuma è ancora sorprendentemente fine, cremosa e molto compatta. Rispetto alla bottiglia 2020 la banana scivola (molto) nelle retrovie lasciando il palcoscenico a uvetta e prugna disidratata; emergono accenni di frutti di bosco, ciliegia. Fenoli (chiodi di garofano) completamente assenti. L’aroma è meno intenso ma risulta più caldo, se mi passate la forzatura semantica. E’ il mouthfeel a pagare il prezzo più alto dell’invecchiamento: la birra risulta un po’ scarica, qualche deriva acquosa di troppo si porta via la morbidezza dell’Aventinus fresca. Inevitabilmente anche il gusto presenta cali di tensione rispetto ad un esemplare giovane ma – prenda nota chi odia le Weizen – la banana è scomparsa. Rilevo caramello, uvetta e prugna, frutti di bosco, qualche nota ossidativa che richiama i vini marsalati: c’è quasi tutto quello che si desidera dall’invecchiamento di una birra, ma in tono minore. Anche l’alcool è fin troppo nascosto, negando di fatto quel conforto etilico tipico di una bottiglia giovane. <br /></span><span style="text-align: left;">Il verdetto? Sebbene apprezzi la drastica riduzione di banana e chiodi di garofano nell’Aventinus 2015, ci sono troppi cali di tensione per farmela preferire alla bottiglia 2020. Il mio voto va quindi per l’Aventinus fresca, potente e intensa, che negli esemplari migliori regala una complessità davvero degna di nota. </span></div></div><p></p><p>Nel dettaglio: <br />Aventinus 2014, 50 cl., alc.8,2%, IBU 16, lotto 18/11/2014, scad. 18/11/2015, pagata 1,17 Euro (supermercato Germania)<br />Aventinus 2020 , 50 cl., alc.8,2%, IBU 16, scad. 19/06/2021, pagata 3,40 Euro (supermercato Italia)</p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-51535872773670134942020-12-05T22:14:00.002+01:002020-12-05T22:14:27.598+01:00Gigantic Most Most Premium Russian Imperial Stout - Bourbon Barrel Aged 2020<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQsMbk7N_mwtHyhcedldV8kUYLMYiXPvUcpjdDqjwZMT17Xecmjk1il6nZZ_uWPR4uUjpRic_eHi7EyUZqgjPBg5bkkp3b8YmxElz-XLIqsoBrDGpwWO3orfFHASXwhoh91G-rEoY03N4/s600/Gigantic+Most+Most+Premium+Russian+Imperial+Stout.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="298" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQsMbk7N_mwtHyhcedldV8kUYLMYiXPvUcpjdDqjwZMT17Xecmjk1il6nZZ_uWPR4uUjpRic_eHi7EyUZqgjPBg5bkkp3b8YmxElz-XLIqsoBrDGpwWO3orfFHASXwhoh91G-rEoY03N4/s320/Gigantic+Most+Most+Premium+Russian+Imperial+Stout.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">Del birrificio di Portland Gigantic vi avevo <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2016/09/gigantic-saboteur-baltic-porter.html" target="_blank">già parlato qualche anno fa</a></u>: lo inaugurarono il 9 maggio 2012 nel distretto Reed di Portland, nelle vicinanze del Reed College, due birrai abbastanza noti in quella città dell’Oregon soprannominata Beervana per la sua alta concentrazione di birrifici e brewpub. Ben Love aveva iniziato la sua carriera come birraio nel 2003 all’Adler Brewpub di Appleton (Winsconsin) per poi ritornare l’anno successivo in Oregon presso <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2018/06/pelican-tsunami-stout.html" target="_blank">il birrificio Pelican</a></u>; nel 2007 diventò infine headbrewer alla Hopworks Urban Brewery (HUB) di Portland. Van Having, <u><a href="https://www.beervanablog.com/beervana/2017/8/16/beyond-brewing-driving-with-van?rq=giganti" target="_blank">fiero Alfista</a></u> (!), aveva cominciato nel 1995 presso la Minnesota Brewing Company per trascorrere sedici anni come headbrewer nei brewpub della Rock Bottom, prima a Minneapolis e poi a Portland. Nel 2010 un diverbio con la proprietà spinse Having a lasciare la Rock Bottom per mettersi in proprio; inizialmente la sua idea era di allontanarsi da Portland ma l’incontro con Ben Love gli fece cambiare idea dando vita al progetto Gigantic, con il supporto finanziario di alcuni amici. <br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Nonostante il nome scelto, Love e Having </span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.oregonlive.com/beer/2019/03/gigantic-goes-big-in-its-uniquely-small-way-portland-breweries-series.html" target="_blank">non avevano particolari ambizioni</a></u><span style="text-align: left;"> e partirono con un impianto da 15 barili costruito su misura dalla Metalcraft: “</span><i style="text-align: left;">vogliamo essere un birrificio di quartiere con una tasting room dall’atmosfera rilassata dove poter passare qualche ora, piena di clienti abituali e qualche occasionale visitatore. Non saremo mai un birrificio ‘gigante’, anche se ci sentiamo ‘giganti’.” </i><span style="text-align: left;"> I birrai organizzano la propria produzione (circa 5500 ettolitri l’anno) su due birre fisse, Gigantic IPA e Ginormous Imperial IPA, affiancate da una grande quantità di birre stagionali, collaborazioni e one-shot; si focalizzarono soprattutto sulle bottiglie, in quanto offrono maggior margine di guadagno rispetto ai fusti. <br /></span><span style="text-align: left;">Da subito Gigantic si è fatto notare per le belle etichette: </span><i style="text-align: left;">“quando vedi le nostre birre riesci ad identificarle immediatamente</i><span style="text-align: left;"> - </span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.oregonlive.com/beer/2019/03/gigantic-goes-big-in-its-uniquely-small-way-portland-breweries-series.html" target="_blank">dice Love</a></u><span style="text-align: left;"> – </span><i style="text-align: left;">Abbiamo uno schema fisso, che ricorda la copertina di un fumetto: non importa quale sia poi il soggetto raffigurato, appena la vedi riesci a capire subito che è una birra di Gigantic. Non abbiamo budget per la pubblicità, preferiamo piuttosto dare quei soldi agli artisti che disegnano per noi”. </i><span style="text-align: left;">La prima etichetta, quella della Gigantic IPA, fu ad esempio realizzata da Rob Reger, art director e creatore del personaggio </span><u style="text-align: left;"><a href="https://en.wikipedia.org/wiki/Emily_the_Strange" target="_blank">Emiliy The Strang</a></u><span style="text-align: left;">e. Il successo è immediato, le birre vengono vendute ancora prima di uscire dai fermentatori e a due mesi dall’apertura Love e Having ottengono 400.000 dollari di finanziamento per espandere la taproom e dare il via al programma di invecchiamenti in botte. Nell’agosto del 2019 Gigantic annunciava il progetto di una seconda taproom (Gigantic Satellite) nel distretto Montavilla di Portland, ad una decina di chilometri dal birrificio. I lavori di ristrutturazione del Rocket Empire Machine, una ex autofficina che ospiterà anche quattro venditori di cibo rendendo così la taproom accessibile anche alle famiglie con bambini, hanno subito forti rallentamenti a causa dell’emergenza Covid-19 e sono attualmente ancora in corso. </span></div></div><p></p><p><b>La birra. <br /></b><span style="text-align: justify;">Per l’etichetta della Gigantic Most Premium Russian Imperial Stout fu reclutato Frank Kozik, grafico noto per i </span><u style="text-align: justify;"><a href=" https://www.nylon.com/articles/frank-kozik-posters-nirvana" target="_blank">poster realizzati negli anni ’90</a></u><span style="text-align: justify;"> per i concerti di gruppi musicali come Nirvana, White Stripes, Green Day, Beastie Boys, Pearl Jam, Red Hot Chili Peppers; Kozik possedeva anche la piccola etichetta musicale indipendente </span><u style="text-align: justify;"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Man%27s_Ruin_Records" target="_blank">Man’s Ruin Records</a></u><span style="text-align: justify;">. La ricetta prevede malti Pale, Vienna, Crystal 40, Crystal 80, Crystal 120, Chocolate, Black, zucchero Demerara, orzo tostato, luppoli Magnum e Cascade. Le sue svariate edizioni Barrel Aged, disponibili ogni anno nei mesi invernali, diventano Most Most Premium Russian Imperial Stout: vediamo la prima della serie, ovvero quella invecchiata in botti ex Bourbon. <br /></span><span style="text-align: justify;"></span></p><div style="text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiasM1fhkU047m__4sVId0WO19eeATZXMINumY0Qz2UI0c1vUpgl6EtZAju-4AXuaBpV_v0Y_YgLFAaYkGZBwDM7ZaNqLMBg2gedBZoyQAxzomSgonX4olZ7fqxF5fk6idQ17OqM6_Fo7Y/s600/Gigantic+Most+Most+Premium+Russian+Imperial+Stout2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiasM1fhkU047m__4sVId0WO19eeATZXMINumY0Qz2UI0c1vUpgl6EtZAju-4AXuaBpV_v0Y_YgLFAaYkGZBwDM7ZaNqLMBg2gedBZoyQAxzomSgonX4olZ7fqxF5fk6idQ17OqM6_Fo7Y/w200-h200/Gigantic+Most+Most+Premium+Russian+Imperial+Stout2.jpg" width="200" /></a><span style="text-align: left;">Nera, quasi impenetrabile alla vista, schiuma cremosa e compatta dalla discreta persistenza: il suo aspetto è sontuoso e l’aroma non è da meno, pulito e intenso, complesso. In ordine sparso emergono profumi di vaniglia e cocco, legno, fruit cake, tabacco e caffè, prugna disidratata e uvetta: il distillato è ben presente ed amalgama il tutto, all’orizzonte si scorge anche un filo di fumo. Non è un’imperial stout particolarmente densa e oleosa: bollicine sottili ma vivaci ne compromettono inizialmente la morbidezza, ma il mouthfeel migliora dopo aver lasciato stazionare la birra nel bicchiere. La bevuta segue l’aroma riproponendolo in buona parte: frutta sotto spirito, fruit cake, vaniglia, caramello, mentre il distillato è ben in evidenza e riscalda con vigore senza mai bruciare. Al palato latita un po’ la componente caffè/torrefatto, appena percepibile, la chiusura è calda e lunga, ricca di bourbon e un tocco di legno. </span><span style="text-align: left;">Gran bel naso, emozionante e coinvolgente, mentre la bevuta è maggiormente segnata dal passaggio in botte e non ha lo stesso livello di complessità e di definizione: è comunque un’imperial stout di livello che si sorseggia senza difficoltà e con grande soddisfazione.</span></div><p></p><p></p><p>Formato 50 cl., alc. 12%, IBU 60, lotto 2020, prezzo indicativo 18 euro (beershop)</p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-73491975490846099452020-12-01T22:24:00.001+01:002020-12-01T22:24:24.298+01:00DALLA CANTINA: Sierra Nevada Bigfoot Barley Wine 2015<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikQAFwOc1URljHt1MoZbwcUVhlywgqBE9O9AKCTqBG8TH46lqLImho7YjBoAPvCJ3US7x0KMYdOkHbRj7NFOon3i_-CJUl16P3Njwq8oLInZ1D6THTk31rh0C9NjLWp1icGylFdOQLMwg/s600/+Sierra+Nevada+Bigfoot+.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="384" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikQAFwOc1URljHt1MoZbwcUVhlywgqBE9O9AKCTqBG8TH46lqLImho7YjBoAPvCJ3US7x0KMYdOkHbRj7NFOon3i_-CJUl16P3Njwq8oLInZ1D6THTk31rh0C9NjLWp1icGylFdOQLMwg/s320/+Sierra+Nevada+Bigfoot+.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">Sono passati giusto quarant’anni da quel 21 novembre del 1980 in cui Ken Grossman, assieme al compagno di home-brewing Paul Camusi, produsse il suo primo lotto di Sierra Nevada Pale Ale, una birra destinata ad entrare nella storia e probabilmente la birra che ha maggiormente influenzato tutti quei birrai che hanno dato il via, dieci anni dopo, all’American Craft Beer Revolution. In quell’anno vi erano solamente 43 birrifici indipendenti in tutti gli Stati Uniti. <br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Quel primo lotto non fu però soddisfacente e i due novelli birrai furono costretti a buttare via altre dieci cotte prima di ottenere quello che volevano. Grossman e Camusi avevano preso in prestito dalle rispettive famiglie 100.000 dollari e con quei soldi avevano assemblato un impianto da 14 ettolitri usando componenti di seconda mano. Sino ad allora Grossman aveva riparato biciclette, un’altra delle sua passioni, e faceva birra in casa: nel 1976 aveva aperto a Chico il piccolo Home Brew Shop dando lezioni ai novizi e tra i suoi clienti vi era anche Camusi. Nel primo anno di vita il birrificio Sierra Nevada produsse un migliaio di ettolitri guadagnandosi lentamente un buon seguito locale, soprattutto tra gli studenti della Chico University: per un paio di anni Grossman e Camusi fecero tutto da soli, cercando di inventare quello che per i microbirrifici ancora non esisteva: canali di distribuzione, potenziali clienti non abituati a bere birre così amare e intense, </span><span style="text-align: left;">accesso diretto alle materie prime, soprattutto ai luppoli della Yakima Valley.</span><span style="text-align: left;"> </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">I primi dipendenti furono assunti nel 1983: Steve Dresler, birraio andato poi in pensione nel 2017 dopo 34 anni di attività e Steve Harrison, marketing e vendite: a lui il compito di far conoscere Sierra Nevada ma ci volle un colpo di fortuna per spiccare il volo. La catena di supermercati Safeway aveva un migliaio di punti vendita in tutti gli Stati Uniti: un loro dipendente andava spesso a trovare la figlia che studiava a Chico, fermandosi per una birra. Amava la Pale Ale, divenne amico di Grossman e portò le birre sugli scaffali del supermercato: alla Sierra Nevada arrivarono richieste da altri distributori e improvvisamente il problema, per Grossman e Camusi, non era come vendere la birra ma come soddisfare tutte le richieste. I soldi per espandersi non c’erano e le banche non davano nessun finanziamento ad un microbirrificio: era un business plan nel quale nessuno credeva. </span><span style="text-align: left;">I due birrai lavoravano 12 ore al giorno, sette giorni su sette: Grossman prese un aereo e volò in Germania dove riuscì ad acquistare per 15.000 dollari l’impianto da 117 ettolitri di un birrificio fallito e lo spedì in California. Peccato che per metterlo davvero in funzione fossero necessari altri investimenti che sfioravano il milione di dollari: l’impianto resterà per molti anni inutilizzato in un magazzino, mentre Grossman con la saldatrice si costruiva da solo i nuovi fermentatori necessari per aumentare la prodzione. Nel 1987 Sierra Nevada produceva 14.000 ettolitri all’anno e distribuiva in sette stati: in quell’anno finalmente Grossman e Camusi riuscirono ad inaugurare l’impianto tedesco che avevano acquistato quattro anni prima. <br /></span><span style="text-align: left;">Il resto è una storia che parla di una crescita che per molti anni viaggia al ritmo del +50%, di ettolitri che diventano 117.000 (1993), 300.000 (1997) e 500.000 (1999). Nel 1997 veniva inaugurato il nuovo impianto da 234 ettolitri e nel 1998 Grossman acquistava da Camusi il 50% delle quote societarie, diventando unico proprietario. Nel 2014 Sierra Nevada superava il milione di ettolitri venduti ed inaugurava un secondo sito produttivo in Nord Carolina. Nel 2015 <u><a href="https://www.bloomberg.com/news/articles/2015-01-20/sierra-nevada-founder-grossman-becomes-billionaire-on-pale-ales" target="_blank">la rivista Bloomberg </a></u></span><span style="text-align: left;">aggiungeva Ken Grossman all’elenco dei “miliardari della birra”, ma </span><span style="text-align: left;">l’El Dorado della Craft Beer Revolution stava finendo, almeno per i “padri fondatori” del movimento: il craft non cresceva più esponenzialmente anno dopo anno e i birrifici artigianali che avevano investito milioni di dollari per espandersi vedevano le proprie quote di mercato rosicchiate da tanti piccoli produttori locali. Nel 2016 Sierra Nevada registrava un -6%, nel 2017 un -7% e riusciva ad invertire la tendenza solo nel 2019 (+5%), anno in cui il sessantacinquenne Grossman affidava il ruolo di amministratore delegato a Jeff White andandosi a sedere sulla poltrona presidenziale. Attualmente Sierra Nevada è il terzo produttore craft, dietro a Yuengling e Boston Beer Company, e il decimo produttore americano considerando anche i marchi industriali. </span></div></div><p></p><p><b>La birra.<br /></b></p><div style="text-align: justify;">La prima birra prodotta da Sierra Nevada nel 1980 fu una Stout, seguita a ruota dalla Pale Ale. Nell’inverno del 1983 debuttò il possente Barley Wine (9.6%) chiamato Bigfoot che ottenne nel 1987 la medaglia d’oro al Great American Beer Festival. Grossmann e Camusi non pensavano ad una birra da invecchiamento; il loro approccio era lo stesso della Pale Ale, ovvero un’interpretazione americana, generosamente luppolata, della tradizione anglosassone. Bigfoot, prodotta con malti Two-row Pale e caramello, riceve un’abbondante luppolatura di Cascade, Centennial e Chinook e raggiunge quota 90 IBU: fresco, è un barley wine potente ed aggressivo, ricco di note resinose e di pompelmo, secondo i dettami della scuola West Coast. La sua facile reperibilità e il suo ottimo rapporto qualità prezzo la resero rapidamente una birra da cantina per gli appassionati desiderosi di sperimentare gli effetti dell’invecchiamento. <u><a href="https://www.newsreview.com/chico/content/bigfoot-expedition/17160813/" target="_blank">Ricorda il birraio Steve Dresler</a></u>: <i> “a me piace particolarmente a cinque anni dalla messa in bottiglia. Non vale la pena andare oltre. Ma da tre a cinque anni è deliziosa!”. </i><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6PXbb18SALtcFXIQmNTRVuxdljQFDUa3XJi4Ic1K9seg_S5HYOX8YdSUqq1ug7FeskYe7cn9qbKZTOaN58qrBd5-XW7TT6oxTmhyphenhyphenmOJVsLD-DATUddONjNs3IOjmT7hs3VmHBSrHVyuM/s600/+Sierra+Nevada+Bigfoot2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6PXbb18SALtcFXIQmNTRVuxdljQFDUa3XJi4Ic1K9seg_S5HYOX8YdSUqq1ug7FeskYe7cn9qbKZTOaN58qrBd5-XW7TT6oxTmhyphenhyphenmOJVsLD-DATUddONjNs3IOjmT7hs3VmHBSrHVyuM/w200-h200/+Sierra+Nevada+Bigfoot2.jpg" width="200" /></a></div>Seguo le indicazioni di Dresler ed anche quelle contenute nel libro Vintage Beer di Patrick Dawson, lettura che consiglio a chiunque voglia provare di abbandonare qualche birra in cantina. <br /><span style="text-align: left;">Bigfoot 2015 si presenta nel bicchiere di color ambrato torbido: la schiuma ocra è cremosa, compatta ed ha buona ritenzione. Il naso è ricco di fichi disidratati, datteri, mela al forno, frutti di bosco, richiami al vino passito e a vini fortificati, soprattutto Sherry: l’aroma è intenso, pulito, “caldo” e avvolgente. Il mouthfeel è ancora ben solido e potente, non ci sono evidenti segni di cedimento dovuti all’età: in bocca è morbida nel suo percorso di caramello e biscotto, frutta sotto spirito. L’ossidazione regala belle sensazioni di vino fortificato mentre nel finale è ancora presente una generosa luppolatura resinosa, molto gradevole. Ed è questa la nota più positiva che devo sottolineare: i luppoli americani, contrariamente a quelli inglesi, invecchiano molto male e il loro resinoso spesso evolve in sensazioni poco gradevoli al palato. Chi ha avuto occasione di assaggiare Barley Wine americani d’annata conosce bene quella sensazione. Bigfoot è invece una piacevole eccezione alla regola: a cinque anni dall’imbottigliamento presenta ancora un resinoso gradevole abbinandolo alle note ossidative di sherry e vino passito. <br />In questa bottiglia non c’è la classe la complessità dei migliori barley wine inglesi d’annata, ma è sicuramente una bella bevuta, ancora potente, sostenuta da un corpo solido e da un bel alcol warming. Tra i migliori vintage american barley wine che mi sia mai capitato di bere.<br /></span><span style="text-align: left;">Formato 35.5 cl., alc. 9.6%, IBU 50, lotto 18/12/2015, pagata 5.00 euro (beershop)</span></div><p></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-12578926837717538832020-11-25T21:35:00.005+01:002020-11-25T21:37:20.761+01:00DALLA CANTINA: Gales Prize Old Ale 2000<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8fmyWAXfPRWacY6ftlxCigABmDq2Y41yyUOhYZks6iSWvIfUbCfeU6BHc68Df9L96UUjHjam_Zt7py27xsJBUweS-8xescVIDN7NQOMGkobD-JoijBEXCPjncO9V5WoXqvNInrxsJn1Y/s600/Gales+Prize+Old+Ale.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="312" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8fmyWAXfPRWacY6ftlxCigABmDq2Y41yyUOhYZks6iSWvIfUbCfeU6BHc68Df9L96UUjHjam_Zt7py27xsJBUweS-8xescVIDN7NQOMGkobD-JoijBEXCPjncO9V5WoXqvNInrxsJn1Y/s320/Gales+Prize+Old+Ale.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">I Gale erano una rinomata famiglia di Horndean vicino a Portsmouth, Hampshire: fornai, droghieri, mercanti di mais e di carbone. Nel 1847 la famiglia acquistò il pub Ship and Bell: a quel tempo era abbastanza comune che i pub producessero anche la birra che vendevano e George Gale, che lo gestiva, iniziò a farlo nel 1853. Nel 1896 un incendio distrusse completamente il pub ma l’edificio fu prontamente ricostruito: la sua torre ancora oggi svetta sui tetti di Horndean. La ditta Gale and Co. nacque nel 1888, iniziò a distribuire birra anche ad altri pub nei dintorni e riuscì a superare le difficoltà derivanti dalle due guerre mondiali: negli anni 60 la produzione iniziò a crescere grazie al successo della HSB – Horndean Special Bitter – che raggiunse il picco di vendite nel 1984. Da quel periodo i <u><a href="http://breweryhistory.com/wiki/index.php?title=Gale_%26_Co._Ltd" target="_blank">marchi del portafoglio Gale’s </a></u>iniziarono un lento ma inesorabile declino e il birrificio aumentò anno dopo anno la produzione per conto terzi, iniziata nel 1997. Ma dopo una decina d’anni di sforzi, alcuni soci chiesero di rientrare in possesso del proprio capitale e l’unica soluzione per i Gales fu vendere: si fece avanti Fuller’s, che nel 2005 rilevò il birrificio di Horndean per 92 milioni di sterline. Preoccupato, il CAMRA lanciò subito una campagna di sensibilizzazione nei confronti di Fuller’s: gli 80.000 ettolitri annuali prodotti a Horndean potevano facilmente essere trasferiti a Londra o, nella peggiore delle ipotesi, le birre sostituite dalle concorrenti prodotte da Fullers. Ed infatti alla fine di marzo 2006 gli impianti di Gale’s, la maggior parte dei quali risaliva agli anni ’80, furono definitivamente spenti. Pochi anni dopo tutto il birrificio ad eccezione della torre venne demolito e i terreni furono riconvertiti in zona residenziale. Ma per gli appassionati c’era ancora qualche speranza: poco prima di chiudere i cancelli alla Gales fu prodotto un ultimo lotto di una birra iconica, la Prize Old Ale, e venne poi portato a Londra con delle autocisterne.</div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">La Prize Old Ale di Gale’s è un pezzo di storia che vale la pena raccontare, è un viaggio a ritroso al tempo di quelle Stock Ales maturate in tini di legno per mesi, a volte anche per anni, dove sviluppavano acidità lattica, inevitabile conseguenza della contaminazione batterica: era il gusto tipico delle birre del diciottesimo e del diciannovesimo secolo, che i bevitori apprezzavano. Queste Old/Stock Ales (non è mia intenzione entrare nel dettaglio di eventuali differenze) potevano essere bevute anche da sole ma erano solitamente utilizzare per creare un blend con birre piè giovani: erano la base delle birre più popolari di quel periodo, le Porter e le Stout. <br /></span><span style="text-align: left;">Ci sono notizie contrastanti sulla storia della Prize Old Ale ma tutti gli storici sembrano concordare sul fatto che sia nata intorno al 1920 quando alla Gale’s arrivò un birraio dallo Yorkshire che intendeva replicare i fasti di quelle Strong Ales, in gergo “</span><u style="text-align: left;"><a href="http://unabirralgiorno.blogspot.com/2014/02/samuel-smiths-yorkshire-stingo-2011.html" target="_blank">Stingo</a></u><span style="text-align: left;">”, che venivano prodotte da quelle parti, come per esempio alla </span><u style="text-align: left;"><a href="http://breweryhistory.com/wiki/index.php?title=Hammond%27s_United_Breweries_Ltd" target="_blank">Hammond Brewery.</a></u><span style="text-align: left;"> La Prize Old Ale maturava in vasche di legno per un periodo variabile tra i sei ed i dodici mesi; John Keeling, lo storico birraio di Fuller’s, </span><u style="text-align: left;"><a href="https://protzonbeer.co.uk/features/2010/04/01/gale-s-prize-old-ale" target="_blank">ricorda</a></u><span style="text-align: left;">: </span><i style="text-align: left;">“non è lambic, ma ci assomiglia. Alla Gales fermentava in legno, era impossibile pulire perfettamente quelle vasche; si venne a creare un ambiente selvaggio e quei microrganismi diedero alla birra il suo carattere unico. Anche se veniva poi trasferita e messa ad invecchiare in tini di acciaio non perdeva quella flora batterica”. </i><span style="text-align: left;">La ricetta originale pare indicasse malto Maris Otter, un tocco di Black, luppoli Fuggles e East Kent Goldings. Al momento della messa in bottiglia veniva aggiunto poi il lievito per la rifermentazione. Nel 1971 quando fu fondato il CAMRA, la Gale Prize Old Ale era </span><u style="text-align: left;"><a href="https://desdemoor.co.uk/george-gale-prize-old-ale-2007/" target="_blank">una delle ultime cinque birre </a></u><span style="text-align: left;">rifermentate in bottiglie che ancora venivano prodotte nel Regno Unito. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBKZpU5A5rWBIZL62nITp-0cTQgNeSDL-2FRQsC89t5Ytzj42pDCPf4kfA85xf7PG8tO3kI_rLoCwAESIqh2qM-1uZ2ws0J9VEA73RG-W_ZmG7LVyDmHOK21FbgfJ6-bUYiNF-DFDeDIU/s600/Gales+Prize+Old+Ale3.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBKZpU5A5rWBIZL62nITp-0cTQgNeSDL-2FRQsC89t5Ytzj42pDCPf4kfA85xf7PG8tO3kI_rLoCwAESIqh2qM-1uZ2ws0J9VEA73RG-W_ZmG7LVyDmHOK21FbgfJ6-bUYiNF-DFDeDIU/w200-h200/Gales+Prize+Old+Ale3.jpg" width="200" /></a></div><span style="text-align: left;">Negli anni che precedettero la vendita a Fullers la Prize Old Ale non fu certo un esempio di costanza produttiva. </span><u style="text-align: left;"><a href="http://zythophile.co.uk/2008/04/15/the-prize-goes-to-fullers/" target="_blank">Scrive lo storico Martyn Connell</a></u><span style="text-align: left;">: </span><i style="text-align: left;">“a partire dall’inizio del ventunesimo secolo le cose iniziarono a peggiorare. Le bottiglie erano completamente piatte, la rifermentazione non era mai partita ed erano stucchevolmente dolci. Sembra che alla Gale’s imbottigliassero senza aggiungere zucchero o lievito, facendo affidamento solo sulle cellule di lievito che erano presenti della birra e sugli zuccheri rimasti dopo la fermentazione primaria. Evidentemente non funzionava, ma per anni nessuno alla Gales sembrò interessarsi al problema e continuarono in quel modo”. </i><span style="text-align: left;">Come detto, nel 2006 la produzione passò alla Fuller’s che però esitò prima di mettere in circolazione il primo lotto, pronto nel 2007. </span><u style="text-align: left;"><a href="https://protzonbeer.co.uk/features/2017/12/27/fuller-s-marble-revive-classic-old-ale" target="_blank">Ancora Keeling</a></u><span style="text-align: left;">: </span><i style="text-align: left;">“amavo quella birra, ma replicarla sui nostri impianti fu una bella sfida. Non avevamo abbastanza posto per trasferire i fermentatori di legno della Gale’s, così facemmo un ultimo lotto a Horndean e lo portammo a Londra nei nostri fermentatori d’acciaio. Realizzammo poi due cotte sul nostro impianto nel 2007 e nel 2008, blendandole con quella di Gale’s e utilizzando il loro lievito che avevamo propagato alla Fuller’s. Il problema era che il nostro ufficio vendita la odiava, dicevano che era impossibile da vendere. Un prodotto in via d’estinzione, troppo acido per la maggior parte dei bevitori”.</i><span style="text-align: left;"> I buoni intenti di Fuller’s non trovarono tuttavia quel riscontro commerciale necessario per continuarne la produzione e la Prize Old Ale uscì definitivamente di scena.<br /></span><span style="text-align: left;">Facciamo un altro salto in avanti nel tempo al 2016, a Manchester: il girovago birraio James Kemp (oggi da BrewDog) del birrificio Marble aveva lavorato per un anno alla Fuller’s facendo amicizia con e con John Keeling. James amava le Flanders Red e le Oud Bruin belghe e sognava di poter un giorno replicare il loro “equivalente” anglosassone. Alla Fuller’s Keeling aveva ancora da smaltire parecchie bottiglie di Old Ale invendute e ne mandò un po’ a Kemp: i due si scambiarono idee sulla ricette e poi si diedero appuntamento a Manchester, adattando una ricetta originale del 1926. Malti Pale, Crystal e Chocolate, sciroppo di glucosio, luppoli Challenger e Goldings per amaro, Fuggles e Goldings per aroma. La Marble non disponeva di tini in legno e quindi la prima fermentazione “pulita” avvenne in acciaio, con inoculazione del lievito della Gale’s al momento del trasferimento in botti di legno. Per rendere forse più interessante la birra sul mercato attuale non furono usate botti neutre ma che avevano contenuti in precedenza Bourbon, Madeira, Barbera e Pinot Nero: l’idea originale era di creare un unico blend finale, ma il risultato ottenuto dalle singole botti fu ritenuto soddisfacente e ne furono quindi commercializzate quattro diverse edizioni. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicnk_PWMRlQUbZ6oUEe2WDotMZ_Cejj7OI-qKRb5rPoKzSgg5UKOuaIj4O8FiZb-NF4eTFS1400IuXYv9NheF832GPkUu7vHVacvEfJtz0Ur1MDZN1mS74eTTcleXB731V1YZxC1PRyq0/s600/Gales+Prize+Old+Ale4.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicnk_PWMRlQUbZ6oUEe2WDotMZ_Cejj7OI-qKRb5rPoKzSgg5UKOuaIj4O8FiZb-NF4eTFS1400IuXYv9NheF832GPkUu7vHVacvEfJtz0Ur1MDZN1mS74eTTcleXB731V1YZxC1PRyq0/w200-h200/Gales+Prize+Old+Ale4.jpg" width="200" /></a></div><span style="text-align: left;"><b>La birra.<br /></b></span><span>Il destino non è mai stato gentile con le grandi birre storiche inglesi: dimenticate in patria, hanno spesso trovato una seconda vita negli Stati Uniti grazie (anche) all’opera divulgativa del defunto beer-hunter Michael Jackson e dell’importatore B-United. E’ il caso della meravigliosa </span><u><a href="http://unabirralgiorno.blogspot.com/2017/05/dalla-cantina-jw-lees-harvest-ale.html" target="_blank">Harvest Ale di JW Lees,</a> </u><span> oggi ancora prodotta ma più facile da reperire in un Whole Foods americano che in un beershop inglese; o degli ultimi lotti di Thomas Hardy's Ale e Prize Old Ale prodotti prima delle rispettive chiusure, la maggior parte dei quali è finita dall’altra parte dell’oceano prima che esplodesse davvero la Craft Beer Revolution. </span><span style="text-align: left;">Sulle etichette trovate infatti il contenuto espresso in once fluide, anziché millilitri. Ed è quello che è capitato a me: nel 2014 in un beershop di San Francisco mi sono imbattuto in una cesta piena di Prize Old Ale anno 2000 a prezzi di saldo: 3 dollari l’una. Non ho potuto resistere, consapevole del rischio che poteva trattarsi di un imbevibile fondo di magazzino: ma del resto è lo stesso rischio che corre l’appassionato che tenta la fortuna acquistando qualche vintage su Ebay a prezzi moltiplicati almeno per dieci. E per stapparla ho voluto attendere altri sei anni per rispettare le opinabili indicazioni fornite dall’importatore B-United: “si dice che la Prize Old Ale dia il meglio di sé dopo 20 anni”. Non ho ovviamente la certezza assoluta sul millesimo: l’anno 2000 è scritto con il pennarello sulla capsula di plastica che protegge il tappo di sughero. </span><span style="text-align: left;">L'apertura è abbastanza difficoltosa e nonostante la cautela il sughero si rompe a metà nel collo; con molta pazienza riesco ad estrarre quel che rimane ma non ad evitare che qualche frammento finisca dentro la bottiglia. Devo versarla nel bicchiere aiutandomi con un infusore da te per filtrarla ed evitare di bere le "briciole" di sughero. La schiuma è assente, il colore è ambrato, piuttosto spento e torbido: nessuna sorpresa. Al naso l'ossidazione è evidente, nel bene e nel male: fortunatamente predominano i richiami al passito, ai vini marsalati e fortificati. Uvetta, datteri, caramello, mela al forno, albicocca disidratata: l'intensità è davvero degna di nota. In secondo piano avverto odori ematici, ferruginosi, un po' di cartone bagnato: mi sorprende la completa assenza della componente wild/selvaggia, fatta eccezione per qualche richiamo di plastica bruciata che potrei associare ai brettanomiceti. Al palato è ovviamente piatta e slegata ma c'è ancora un discreto corpo a regalare un mouthfeel ancora accettabile. </span></div><div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiaNV3RKeYM1o7ftrftCiMPEwTX8SryuOyNtJSzE_6zcS_APmaRshZXLBlhox5V5Z0IDr2XbcvDFtnECrTwwsPMTVYpC0Gjawf0S7EcIhSmRPNv3SCLRS7zJMy0BPe7feZ3l6OcK1MFfDA/s600/Gales+Prize+Old+Ale2.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiaNV3RKeYM1o7ftrftCiMPEwTX8SryuOyNtJSzE_6zcS_APmaRshZXLBlhox5V5Z0IDr2XbcvDFtnECrTwwsPMTVYpC0Gjawf0S7EcIhSmRPNv3SCLRS7zJMy0BPe7feZ3l6OcK1MFfDA/w200-h200/Gales+Prize+Old+Ale2.jpg" width="200" /></a></div><span style="text-align: left;">La bevuta segue l'aroma ma con meno intensità: colpisce sopratutto il modo in cui l'alcool (9% al momento della messa in bottiglia, ora sicuramente maggiore) è inavvertibile. E' una birra che assume le sembianze di un vino passito un po' annacquato nel finale, se mi passate il paragone: datteri, uvetta, caramello, marsala e sherry, potrei spingermi oltre e chiamare in causa lo sciroppo d'acero. Anche in bocca spunta ogni tanto qualche lieve accenno di plastica e gomma bruciata: non è però questo a lasciarmi sorpreso, perplesso (eviterei l'aggettivo "deluso", visto l'anzianità della bottiglia). Piuttosto è la completa mancanza di acidità lattica che avrebbe dovuto rendere questa Old Ale unica nella sua continuità storica (confrontate ad esempio le impressioni di </span><u style="text-align: left;"><a href="http://berebirra.blogspot.com/2015/01/prize-old-ale-vs-thomas-hardys.html" target="_blank">Angelo Ruggiero</a></u><span style="text-align: left;"> e </span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.cucchiaio.it/birra/prize-old-ale--/" target="_blank">Stefano Ricci</a>,</u><span style="text-align: left;"> versione Fuller's). Chiude comunque piuttosto secca, ammiccando al legno e forse all'amaro dei tannini. <br /></span><span style="text-align: left;">Stappare una bottiglia che ha vent'anni sulle spalle significa privilegiare la curiosità e l'emozione, la parte conoscitiva e didattica alla piacevolezza della bevuta, benché questa bottiglia di Prize Old Ale sia ancora perfettamente bevibile. Posso comunque confermare che la Prize Old Ale è (era) un'ottima birra da invecchiamento, quasi indistruttibile, per come era prodotta alla Gale's. Ritornerà? I tentativi di riesumarla fatti negli ultimi anni non hanno avuto un grande successo al di fuori di una piccola nicchia fatta di appassionati, di vecchi nostalgici e forse di qualche occasionale curioso. Se anche voi siete tra questi e volete aggiungerla al vostro curriculum di bevute, qualche bottiglia è ancora reperibile su Ebay o nelle cantine di qualche locale: mettetevi alla ricerca, anche gli sforzi per trovarla fanno parte dell'esperienza Gale's Prize Old Ale</span></div><p></p>Formato 27,5 cl., alc. 9%, IBU 53, anno 2000 (?), pagato 2,99 dollari (beershop) <p></p></div>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-4170821484499009042020-11-19T21:31:00.005+01:002020-11-19T21:42:22.345+01:00DALLA CANTINA: Cantillon Iris 2014<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpnRthjZRKneaZ2XkONv7t7TCnCgLf_UFaEIQOAL3ExOK3-NTqrsb2XuxjvK9f_MyWRa0xsRc7FjoAbolZH0zFPLtbTICtxXEtjxqMvF1v3qi_t6wA3uKpSds-7xQ5zArE9QE1HTjMdBQ/s600/Cantillon+Iris+2014.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="302" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpnRthjZRKneaZ2XkONv7t7TCnCgLf_UFaEIQOAL3ExOK3-NTqrsb2XuxjvK9f_MyWRa0xsRc7FjoAbolZH0zFPLtbTICtxXEtjxqMvF1v3qi_t6wA3uKpSds-7xQ5zArE9QE1HTjMdBQ/s320/Cantillon+Iris+2014.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">Iris, dea greca raffigurata come una fanciulla dotata di piedi veloci e grandi ali dorate, personificazione dell’arcobaleno e messaggera degli dei; la dea accompagnava sovente i defunti ai Campi Elisi e da questa leggenda si diffuse l’abitudine dei greci di posare sulle tombe dei familiari dei fiori viola, dalle sfumature cromatiche simili all’arcobaleno. Il fiore iris secondo la mitologia greca rappresenta la speranza, la notizia positiva, il buon auspicio per il futuro e la possibilità di attraversare un periodo positivo dopo tante difficoltà.<br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Non è stata quindi causale la scelta fatta nel 1998 da Jean-Pierre Van Roy, a quel tempo ancora al timone della Brasserie Cantillon, di chiamare una birra con questo nome prima di passare il testimone al figlio Jean. Il birrificio arrivava da un ventennio molto difficile</span><span style="text-align: left;">, era riuscito a saldare i propri debiti solo nei primi anni ’90 e aveva ripreso ad investire. Come ci spiega Kuaska in un articolo <u><a href="https://www.fermentobirra.com/iris-il-fiore-raro-di-cantillon/" target="_blank">per Fermento Birra</a>:</u></span><span style="text-align: left;"> <i>“per festeggiare i primi vent’anni di vita del Musée Bruxellois de la Gueuze volle presentare una birra originale che legasse il passato al futuro. Provava una forte nostalgia per una birra che aveva amato sin da ragazzo, la birra che incarnava lo spirito di Bruxelles, la sempre rimpianta Spéciale che vide la luce nella birreria fondata da Léon Aerts nel 1897 e chiusa nel 1963. Nacque così una birra nuova che nella mente di Jean-Pierre doveva non solo ricordare, ma in un certo modo riprodurre la Spéciale Aerts, sempre seguendo la filosofia Cantillon della fermentazione spontanea. Ecco allora arrivare una birra inedita a fermentazione spontanea ma con l’utilizzo di solo malto Pale, senza nemmeno un grammo di frumento, con l’aggiunta di 50% di luppolo (</i>Hallertau<i>) fresco e di 50% di luppolo vecchio di tre anni (suranné).”</i></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Il primo lotto di Iris fu prodotto nel 1996 e dopo due anni d’invecchiamento in legno venne luppolato a freddo per due settimane mediante un sacco di lino pieno di luppolo Saaz fresco. Al momento dell’imbottigliamento venne poi aggiunto <i>liqueur d’éxpédition</i>. </span><span style="text-align: left;">Ancora Kuaska: <i>“la novità fu il ricorso al dry hopping con luppolo fresco (poi ribadito da Jean, a partire dalla Cuvée des Champions), che dona un ficcante retrogusto amaro, anticipando una tendenza e un cambiamento nel gusto del consumatore belga che si sarebbero in seguito rivelati travolgenti”.<br /></i></span><span style="text-align: left;">Un secondo lotto di Iris fu prodotto nel 1998 e messo poi in vendita nel 2000: da allora è stata sempre prodotta una volta all’anno con un’etichetta che non è mai cambiata e che richiama i fiori che crescono nei prati di Brussels. Iris è anche l’unico prodotto Cantillon che non può essere chiamato lambic in quanto non rispetta il Regio Decreto del 31 marzo 1993 il quale stabilisce che per produrre lambic bisogna usare almeno il 30% di frumento non maltato.</span></div></div><p></p><p><b>La birra. </b><br /></p><div style="text-align: justify;">I tappi di sughero non sono mai stati il punto di forza della <i>maison </i>Cantillon e anche questa bottiglia di Iris 2014 non fa eccezione. Nel corso degli anni un po’ di liquido è traspirato ed ha arrugginito l’interno del tappo metallico; il sughero si è poi spezzato al momento dell’apertura ma sono fortunatamente riuscito ad estrarre anche il pezzo rimato nel collo senza dover farlo cadere all’interno. Nonostante sia rimasta per cinque anni in cantina in posizione verticale, su tutto il fianco interno della bottiglia c’è un evidente striscia tipica degli invecchiamenti in posizione orizzontale. </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYorq7fXd26OYdGd5OXfNZjYoLWcm9t0BCFVTI61TFkda2-pg-selbPP_ObXyoHW7LtJOT-ilhoLSM3ik0mec44OvvNO5XanVlFyZ5ksFNlPtIASJcThIVTC3Kz9LnNLRt86b_swf0xnc/s600/Cantillon+Iris+20142.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYorq7fXd26OYdGd5OXfNZjYoLWcm9t0BCFVTI61TFkda2-pg-selbPP_ObXyoHW7LtJOT-ilhoLSM3ik0mec44OvvNO5XanVlFyZ5ksFNlPtIASJcThIVTC3Kz9LnNLRt86b_swf0xnc/w200-h200/Cantillon+Iris+20142.jpg" width="200" /></a></div>Il suo colore è un bell’ambrato, un po’ scarico e acceso da riflessi oro e arancio: la schiuma è cremosa, compatta ed ha ottima ritenzione. Al naso le note funky del lambic (cantina, muffa, legno) convivono con qualche accenno d’aceto di mela, note aspre di uva e limone: in secondo piano arrivano come per magia dolci ricordi di frutti di bosco, vino marsalato, suggestioni di zucchero a velo, forse vaniglia. A cinque anni dall’imbottigliamento è ancora vivacemente carbonata e vivace: il mouthfeel è ottimo, morbido, privo di quelle irrequietezze dei lambic, soprattutto giovani. La bevuta si snoda tra note vinose (dolci ed aspre), funky e legnose, limone, ricordi di aceto balsamico; nel finale, molto secco, arrivano note lattiche e s’avverte ancora netto – dopo più di un lustro - l’apporto amaricante del luppolo. Del resto stiamo parlando della Cantillon più luppolata. <br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Bevuta complessa, intensa, ancora scattante e soprattutto non priva di emozioni, quelle che qualche sbuffo acetico qua e là non riesce a compromettere. In ultimo non posso esimermi dalle solite considerazioni sul prezzo, visto che parliamo di Cantillon. Era il 2015 e la pagai neppure sette euro in Rue Ghede 56; in Italia le ultime bottiglie arrivate costavano dai 25 ai 30 euro; sul mercato secondario una bottiglia di Iris 2014 viene attualmente valutata intorno agli 80 euro.<br /></span><span style="text-align: left;">Formato 75 cl., alc. 6%, IBU 45, lotto 11/2014, pagata 6,80 € (birrificio) </span></div></div><p></p><p><i style="font-size: small;">NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.</i></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-66148795056092664042020-11-17T21:51:00.006+01:002020-11-17T21:51:41.110+01:00Fremont B-Bomb - Coconut 2019<div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0TJcjU01h7fOGCVE-AA6bq_nYM0PqWrANFtfv9q5b9WFgdxzE-40ZDkuBKZcWnOAD1sh72M22wssMcl7fyKAe3QYBunwIMeZ-AE-bhxswP6eMb6qYsRJwv5z-em3O6kRnfLDl7wn8Ir8/s600/Fremont+B-Bomb+-+Coconut.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="290" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0TJcjU01h7fOGCVE-AA6bq_nYM0PqWrANFtfv9q5b9WFgdxzE-40ZDkuBKZcWnOAD1sh72M22wssMcl7fyKAe3QYBunwIMeZ-AE-bhxswP6eMb6qYsRJwv5z-em3O6kRnfLDl7wn8Ir8/s320/Fremont+B-Bomb+-+Coconut.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">E’ tristemente un bel periodo per gli appassionati italiani di birra a stelle e strisce: un po’ meno per il loro portafoglio. Ma se avevate messo da parte un po’ di soldi per una vacanza negli States potete usarne una parte per acquistare tutte quelle birre che in questi mesi stanno attraversando l’oceano: avreste probabilmente fatto fatica a trovarle anche in loco, a meno di non capitare nel posto giusto al momento giusto. Sto ovviamente estremizzando: nulla può sostituire il piacere di un viaggio negli Stati Uniti e l’atmosfera che si respira nelle taproom, nei pub e nei bar, nei liquor store o anche le semplici possibilità d’acquisto che offrono i supermercati, i negozi di vicinato o le stazioni di servizio. E questo vale anche se non siete riusciti a reperire quella birra che stavate disperatamente cercando. <br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">L’emergenza sanitaria legata a Covid-19 ha provocato anche negli Stati Uniti una forte riduzione nei consumi a seguito della riduzione della capienza o alla chiusura di taproom, bar e ristoranti, alla cancellazione dei festival e di quasi tutti gli eventi nei quali scorrevano fiumi di birra. Ogni stato americano ha applicato le proprie restrizioni ma in generale l’impatto si è fatto sentire molto sui birrifici artigianali, per i quali la taproom era un’importantissima fonte di reddito nonché un’immediata iniezione di denaro contante. I birrifici hanno dovuto cambiare strategia riducendo i fusti e privilegiando il formato per l’asporto e per il consumo tra le mura domestiche. <br /></span><span style="text-align: left;">L’arrivo nel nostro continente di birrifici americani molto quotati non è un evento raro, ma negli ultimi mesi il mercato europeo è stato letteralmente invaso: Moka, Abnormal, </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2018/04/old-nation-m-43-ipa-boss-tweed-double.html" target="_blank">Old Nation</a></u><span style="text-align: left;">, </span><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2018/04/equilibrium-brewery-mc-harvester-of.html" style="text-align: left;" target="_blank">Equilibrium</a><span style="text-align: left;">, </span><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2020/10/other-half-brewing-triple-cream-ddh.html" style="text-align: left;" target="_blank">Other Half</a><span style="text-align: left;">, </span><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2020/11/trillium-brewing-company-dot-ave-double.html" style="text-align: left;" target="_blank">Trillium</a><span style="text-align: left;"> e </span><u style="text-align: left;"><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2020/10/cycle-monday-2020.html" target="_blank">Cycle</a></u><span style="text-align: left;"> sono alcuni dei nomi “sulla cresta dell’onda” arrivati solo nell’ultimo mese, per quel che ricordo. </span><span style="text-align: left;">A questi va senz’altro aggiunto quello di Fremont, birrificio di Seattle (Washington) che vi avevo presentato </span><a href="http://unabirralgiorno.blogspot.com/2019/12/fremont-b-bomb-2018.html" style="text-align: left;" target="_blank">in questa occasione</a><span style="text-align: left;"> quasi un anno fa. Fusti (festival) e lattine (luppolate) di Fremont erano già sporadicamente arrivati in Europa negli scorsi anni; le bottiglie delle birre barricate (da me avvistate per caso lo scorso anno in Giappone) sono invece arrivate per la prima volta all’inizio dall’autunno, e un’altra infornata è giunta la scorsa settimana; Rusty Nail, Brew 3000 e 4000, Anniversary Stout e molte varianti di B-Bomb e Dark Star. I beergeeks più aggiornati mi faranno certamente notare il fatto che Fremont non sia più un nome in cima alla lista dei loro desideri e in verità lo è stato solo </span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.cronachedibirra.it/rubriche/beer-geek-club/24723/j-wakefield-vs-fremont-brewing-le-diverse-dinamiche-dellhype/" target="_blank">fino ad un certo punto</a></u><span style="text-align: left;">. Ma non ci sarebbe nulla di strano, il meccanismo è inesorabile, lo sappiamo: l’hype dura solamente qualche anno, finché il birrificio è ancora relativamente nuovo, piccolo e le birre sono difficili da reperire, generando così un elevato valore di scambio o di rivendita sul mercato secondario. Non appena la produzione aumenta o entrano in gioco altri nomi, l’hype si sposta altrove. </span></div></div></div><div><br /></div><div><b>La birra.</b> </div><div style="text-align: justify;">L’Abominable Winter Ale è stata per molti anni la birra stagionale invernale (8%) prodotta da Fremont: nel 2016 il suo nome è stato accorciato in Winter Ale per evitare problemi con il birrificio Hopworks di Portland che produceva già una birra con lo stesso nome. E questa la prima birra di Fremont a finire in una botte ex-bourbon: era il 2010 e nasceva la Bourbon Abominable, poi rinominata B-Bomb. Il suo successo ne ha fatto nascere inevitabili varianti: vediamo la Coconut edizione 2019. Per questa versione sono state utilizzate botti di rovere americano di 8-12 anni che avevano in precedenza contenuto bourbon: il risultato finale è un blend fatto con la stessa birra invecchiata per nove, dodici e ventiquattro mesi, con aggiunta di cocco tostato. La ricetta prevede malti 2-Row Pale, Crystal-120, Munich, Roast Barley, Carafa-2 e Chocolate, luppoli Columbus, Willamette, Goldings americano. E’ stata messa in vendita nel dicembre 2019.<br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1tBL9hD1w8lLWVM36H0A1JqK6nDV48maOwBUUih3QnJw3E70zOoqflAeQi6uaTMa2Mm793P6DBy_Yn4jXXdInTIs7InAHN9037UOAdn7xS-qV3dwN-DkuccYsPcKdh8ud_tPgsLuLE9c/s600/Fremont+B-Bomb+-+Coconut+2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1tBL9hD1w8lLWVM36H0A1JqK6nDV48maOwBUUih3QnJw3E70zOoqflAeQi6uaTMa2Mm793P6DBy_Yn4jXXdInTIs7InAHN9037UOAdn7xS-qV3dwN-DkuccYsPcKdh8ud_tPgsLuLE9c/w200-h200/Fremont+B-Bomb+-+Coconut+2.jpg" width="200" /></a></div>Nel bicchiere è sontuosa, perfetta: color ebano scuro, schiuma generosa, a trama fine e dalla buona ritenzione. Caramello bruciato, bourbon, cuoio/pelle, legno, cocco tostato, fondi di caffè, liquirizia, accenni di fruit cake e di tabacco/fumo: naso splendido, molto pulito ed elegante, avvolgente. Nulla da eccepire. Il suo corpo è quasi pieno: non è un’imperial stout masticabile ed ha una consistenza morbida, leggermente oleosa e cremosa. La bevuta si apre con dolci note di melassa e fruit cake, vaniglia e cocco, liquirizia: è soprattutto la componente etilica, con una splendida progressione che parte in sordina e sfocia in un morbido warming, a portare equilibrio. L’amaro di cioccolato, torrefatto e caffè resta in disparte, la chiusura è sorprendentemente quasi secca grazie al contributo del legno: resta una lunghissima scia finale ricca di bourbon e cioccolato, degno epilogo di una bellissima festa. Pulizia, precisione, eleganza, intensità, tanti elementi perfettamente amalgamati tra di loro: un’altra gemma dallo scrigno Fremont. Se amate le grandi imperial stout americane non ancora contaminate dalla deriva pastry non perdetevela. </span></div></div><div>Formato 65 cl., alc. 13.2%, lotto 2019, prezzo indicativo 32 euro (beershop)</div><div><br /></div><div><i><span style="font-size: x-small;">NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio</span></i></div>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-53654192991545992612020-11-16T18:42:00.001+01:002020-11-17T09:15:55.760+01:00Twisted Barrel Fading Signal<div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjV4cyE-6F5ONeIifwja3jL3Tos8iyyc0xdCoP2XWDMjtUeMnKbQjIvAnGxYmy0WSyytp2m7uQun0Wlst_XEtwXhBmbDvd39M6oyJYVjy7YDWaJk2mOhQuUmNZs7U0WTcq-iHZsteqw4L0/s600/Twisted+Barrel+Fading+Signal.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="362" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjV4cyE-6F5ONeIifwja3jL3Tos8iyyc0xdCoP2XWDMjtUeMnKbQjIvAnGxYmy0WSyytp2m7uQun0Wlst_XEtwXhBmbDvd39M6oyJYVjy7YDWaJk2mOhQuUmNZs7U0WTcq-iHZsteqw4L0/s320/Twisted+Barrel+Fading+Signal.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">Il birrificio Twisted Barrel apparve nella sonnolenta scena di Coventry nella primavera del 2014: un nanobirrificio che operava in un garage con un impiantino da 60 litri. Ritchie Bosworth, uno dei fondatori, aveva iniziato ad espandere la propria conoscenza sulla birra solo <u><a href="https://beerbods.co.uk/archive/twisted-barrel-ale-hmmmm/" target="_blank">qualche anno prima</a></u>: <i>“tutto iniziò mentre mi trovavo in Nuova Zelanda e non riuscivo a trovare quella lager industriale che ero solito bere. Provai alcune artigianali: quando rientrai nel Regno Unito scoprii che anche la maggior parte dei miei amici avevano iniziato a bere craft beer”. <br /></i><span style="text-align: left;">Bosworth diviene un appassionato follower del podcast All Hail The Ale; lui e l’amico Chris Cooper ricevono poi come regalo di Natale un kit per l’homebrewing, diventando in breve tempo i fornitori di birra per i matrimoni e gli addii al celibato di amici e conoscenti. </span><span style="text-align: left;">Giusto il tempo per ottener i necessari permessi e Twisted Barrel apre le porte: <i>“i nostri familiari venivano ad aiutarci per imbottigliare ed etichettare in una notte quelle 120 bottiglie che riuscivamo a produrre ogni due settimane e che vendevamo poi a qualche negozio e bar locale. Fino ad allora non c’era nessun luogo dove poter bere birra artigianale a Coventry”. </i></span><span style="text-align: left;">La produzione di Twisted Barrel è ovviamente subito insu</span><span style="text-align: left;">fficiente a soddisfare tutta la richiesta: nel gennaio del 2015 Cooper lascia il proprio lavoro per dedicarsi a fare il birraio a tempo pieno con un impianto da 1000 litri ed una piccola taproom a Coventry. La scelta della location è però molto azzeccata e si rivelerà fondamentale: gli spazi industriali del <u><a href="https://www.fargovillage.co.uk/whos-at-fargo" target="_blank">FarGo Village</a></u> di Conventry, </span><span style="text-align: left;">ristrutturati per ospitare eventi, ristoranti, bar e una trentina di piccoli negozi indipendenti di arredamento, vestiti, artigianato. Gli impresari che stavano sviluppando il progetto erano appena rientrati da Londra per visionare un progetto simile e avevano notato che in quello della capitale era presente un birrificio. Ritchie Bosworth fu fortunato a cogliere l’occasione ed a proporsi. <i>“La nostra taproom fu un grande successo</i> – <u><a href="https://www.brewersjournal.info/taprooms-creating-a-destination/" target="_blank">ricorda</a></u> – </span><span style="text-align: left;"><i>più che un birrificio avevamo aperto un bar con un impianto sul retro. Non siamo in una zona industriale dove la gente deve venire apposta: da noi ci sono gli appassionati ma anche semplici studenti o gente del posto di ogni età. La taproom è la forza del nostro business, ci dà immediato cash flow con un margine extra di profitto: non so come facciano a sopravvivere i birrifici che non l’hanno”.</i><br /><div style="text-align: justify;">Nel primo anno di attività Twisted Barrel ottiene l’80% dei propri ricavi da quel piccolo spazio con quattordici spine aperto due giorni alla settimana che poteva contenere quaranta persone. Grazie all’arrivo di un paio di nuovi investitori nell’ottobre del 2017 è di nuovo tempo di traslocare, ma questa volta solamente di qualche metro, all’interno del FarGo Village: i metri quadrati a disposizioni salgono da 140 a 600 e l'acquisto di nuovi fermentatori consente di raggiungere quota 680 ettolitri/anno, con un potenziale di 3000; ad aiutare Cooper nella produzione è arrivato Carl Marshalli. La taproom è diventata rapidamente il luogo con la miglior selezione craft di tutta Coventry: 23 spine, 300 posti a sedere e la possibilità di portarsi la pinta a spasso per tutto il FarGo Village. <span style="text-align: left;">In cinque anni d’attività Twisted Barrel ha prodotto circa 140 birre: attualmente la gamma prevede 12 etichette disponibili tutto l’anno, 12 stagionali e le solite inevitabili one-short e collaborazioni.</span></div></span></div></div><div><br /></div><div><b>La birra.</b></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLAJy2w5a7oxvJY2dK3_PBUklCwLPCfmHy4OIZ5QHjcwqkOeARKCrChUtgNsUWkn4Cmmn9fA4ktWWacAxdgEHCVYY16fmMJfvPz5tWEt1umGBmwe2Whgz04JqsCD0QkViBpQdPZo7XwjE/s600/Twisted+Barrel+Fading+Signal2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLAJy2w5a7oxvJY2dK3_PBUklCwLPCfmHy4OIZ5QHjcwqkOeARKCrChUtgNsUWkn4Cmmn9fA4ktWWacAxdgEHCVYY16fmMJfvPz5tWEt1umGBmwe2Whgz04JqsCD0QkViBpQdPZo7XwjE/w200-h200/Twisted+Barrel+Fading+Signal2.jpg" width="200" /></a></div>La bevo con un po’ di ritardo: Fading Signal è infatti una Pale Ale pensata per la stagione estiva che ha debuttato alla fine dello scorso luglio. Malti Super Pale e Carapils, avena, luppoli Simcoe, Mosaic, Mandarina Bavaria e Galaxy, lievito London Ale III. <span style="text-align: left;">Di colore arancio molto pallido, torbido e reminiscente di un succo alla pera, forma una generosa testa di schiuma dall’ottima persistenza. Il Double Dry Hopping ha inevitabilmente perso un po’ d’intensità nei tre mesi trascorsi dalla messa in lattina ma l’aroma è pulito e molto gradevole: cedro, lime, lemon grass, lievi note dank e floreali. La carbonazione è un po’ più alta rispetto a quanto previsto dalla tradizione anglosassone ma personalmente non ci trovo nulla di male: le bollicine donano vivacità ad una birra juicy e l’allontanano dall’effetto succo di frutta. La base maltata (pane, crackers) non è sovrastata dai luppoli e Fading Signal è una session beer (4%) che strizza un po’ l’occhio al dolce della frutta tropicale per poi virare subito su un finale secco e moderatamente amaro nel quale le note zesty incontrano quelle terrose ed erbacee. Ottimo mouthfeel, massima scorrevolezza e nessun calo di tensione: Pale Ale ricca di gusto, moderna ma non modaiola. Niente spigoli, ottimo livello di pulizia, ruffiana quanto basta, elevata intensità e basso tenore alcolico: ha tutto quel che serve per essere bevuta ad oltranza. </span></div><div>Formato 44 cl., alc. 4%. Lotto 31/07/2020, scad. 17/04/2021, prezzo indicativo 6,00 euro (beershop) </div><div><br /></div><div><i><span style="font-size: x-small;">NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio</span></i></div></div>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-69549165419044017452020-11-10T19:16:00.002+01:002020-11-10T19:16:38.209+01:00Trillium Brewing Company: Dot Ave Double IPA, Vicinity Double IPA, Arnold Arboretum IPA, Double Dry Hopped Stillings Street IPA, Fort Point Pale Ale Galaxy Dry Hopped<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjuYGpXhGYr-A6yViF5VDkEvDf-QmahzfnUU47lEE7bxHOgIaJlFhZ97Ai3qqVzGIsyN27of2eEONMKjmbli1udCuKRgnws3nZzIx0OxLXAm5FnyPsWygipFYf0t191yPVKem9XBC4-b8E/s2058/Trillium.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="2058" height="116" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjuYGpXhGYr-A6yViF5VDkEvDf-QmahzfnUU47lEE7bxHOgIaJlFhZ97Ai3qqVzGIsyN27of2eEONMKjmbli1udCuKRgnws3nZzIx0OxLXAm5FnyPsWygipFYf0t191yPVKem9XBC4-b8E/w400-h116/Trillium.jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;">Il birrificio Trillium apre i battenti a marzo del 2013 a Fort Point, ex distretto industriale di Boston, con l’intento di volersi ispirare ad altri birrifici agricoli del New England, il più famoso dei quali è ovviamente Hill Farmstead: l’ultima apertura di un birrificio a Boston risaliva al 1986. <span style="text-align: left;">A rompere la quiete brassicola della capitale del Massachusetts ci pensano Jean-Claude e Esther Tetreault, da poco sposi e genitori: Jean-Claude, prolifico homebrewer, sognava e progettava da tempo di aprire un birrificio anche se non esattamente a Boston. Già nel 2009, <u><a href="http://trilliumbrewing.blogspot.com/" target="_blank">sul suo blog personale</a></u> </span><span style="text-align: left;">si possono vedere nome e logo di quel birrificio casalingo destinato poi al successo commerciale: le prime bottiglie etichettate furono recapitate agli inviati al matrimonio. </span><span style="text-align: left;">Jean-Claude è appassionato anche di botanica e sceglie il nome del fiore Trillium come simbolo di quello che vuole <u><a href="http://fpacboston.blogspot.com/2012/04/0-false-18-pt-18-pt-0-0-false-false.html" target="_blank">ottenere con le proprie birre</a></u>: </span><span style="text-align: left;"><i>“bellezza effimera, equilibrio, semplicità, senso di appartenenza”.<br /></i></span><span style="text-align: left;"> Tetreault pensano inizialmente di stabilirsi in altre città del Massachusetts ad alta densità birraria, come Chelsea o Everett, ma si presenta una bella occasione nel distretto di Fort Point a Boston; i locali al numero 369 di Congress Street vengono individuati già nel 2011 <u><a href="https://thecraftycask.com/beer/trillium-brewing/" target="_blank">ma ci vogliono 14 mesi</a></u> </span><span style="text-align: left;">solo per ottenere tutti i permessi necessari, dalle autorità e dalla comunità di residenti, per iniziare i lavori di ristrutturazione e installare un impianto da 12 ettolitri: <i>“e c’è gente di Boston che ci ha detto di essersi meravigliata del fatto che ci sia voluto così poco tempo</i>”, <u><a href="https://www.beeradvocate.com/articles/8318/jean-claude-tetreault-co-founder-and-co-owner-trillium-brewing/" target="_blank">ricorda Jean-Claude</a></u>. </span><span style="text-align: left;">Esther ama le IPA di The Alchemist e di Port Brewing, Jean-Claude le saison di Jolly Pumpkin, Allagash e Hill Farmstead: Trillium <u><a href="https://craftbeercellar.com/blog/blog/2013/02/08/five-questions-for-trillium-brewing-co/" target="_blank">debutta</a></u> con la </span><span style="text-align: left;">Farmhouse Ale (6.4%), l’American Wheat Adam, la Red Rye Ale Wakerobin, la Fort Point Pale Ale e la Porter Pot & Kettle. <br /></span><span style="text-align: left;">Nel frattempo i beergeeks americani hanno scoperto le NEIPA, le IPA del New England, e tutti vogliono berle: i birrifici che le producono sono piccoli, le lattine sono distribuite solo localmente e la scarsità dell’offerta fa impazzire la richiesta, alimentando scambi e mercato secondario. il Vermont ha aperto la strada con The Alchemist, Hill Farmstead e Lawson's Finest Liquids, ma ora sono entrati in campo altri giocatori negli stati vicini. Nel Massachusetts ad esempio c’è l’astro nascente Tree House: al resto ci pensano i social network. </span><span style="text-align: left;">Tetreault è bravo ad intercettare quella nicchia di mercato e le sue NEIPA diventano rapidamente famose: impegnato a gestire le file di beergeeks fuori dalla porta si dimentica di chiedere il rinnovo della propria licenza. O forse no. Fatto sta che le autorità di Boston dicono di non aver mai ricevuto nessuna richiesta e, al terzo sollecito privo di risposta, mandano la polizia. A novembre del 2014 la produzione di Trillium <u><a href="https://www.bostonglobe.com/business/2014/12/23/trillium-brewing-reopens-after-monthlong-closure/9iiR7RD8SL3GcDAWaosC7K/story.html" target="_blank">viene sospesa</a></u> </span><span style="text-align: left;">e i beergeerks si trovano improvvisamente fuori dalla porta del birrificio senza poter riempire i loro preziosi glowers. Alcuni di loro iniziano a mandare email di protesta alle autorità competenti e nel frattempo supportano l’amato birrificio acquistando tutto il merchandising disponibile. Dopo un mese le parti trovano un accordo e la birra riprende a scorrere. <br /></span><span style="text-align: left;">Non sarà l’unica macchia nella carriera del birrificio di Boston, che <u><a href="https://boston.eater.com/2015/12/15/10203824/trillium-brewing-company-opens-canton" target="_blank">nel 2015 inaugura</a></u> il nuovo sito produttivo con taproom di Canton, trenta chilometri a sud di Boston: </span><span style="text-align: left;">la produzione annua passa da 3.000 ad un potenziale di 40.000 ettolitri, la location di Fort Point viene destinata alla produzione di birre acide. L’espansione di Trillium continua nel 2017 con l’apertura di un Beer Garden estivo al Rose Kennedy Greenway, sul Waterfront di Boston, che diviene operativo ogni estate. L’anno successivo i Tetreault <u><a href="https://www.bostonmagazine.com/restaurants/2018/09/10/trillium-farm-brewery-connecticut/" target="_blank">annunciano</a></u> </span><span style="text-align: left;">di aver acquistato a North Stonington, Connecticut, il terreno dover far nascere quel birrificio agricolo che avevano immaginato sin dall’inizio, la Trillium Farm & Brewery: il progetto, ancora in costruzione, prevede la realizzazione di un birrificio, un ristorante ed un’azienda agricola in grado di rifornirlo. Alla fine dello stesso anno <u><a href="https://boston.eater.com/2018/10/19/17999252/trillium-brewing-fort-point-restaurant-opening-preview" target="_blank">viene inaugurato</a></u> </span><span style="text-align: left;">a Boston un ristorante-brewpub su tre piani con impianto da dieci barili.<br /></span><span style="text-align: left;">La bravura di Trillium è stata quella di essere riuscita a vendere quasi tutta la propria produzione in autonomia, senza distributori, con enormi margini di profitto: <u><a href="https://www.beervanablog.com/beervana/2018/12/11/case-study-how-trillium-temporarily-lost-the-plot" target="_blank">si stima</a></u> </span><span style="text-align: left;">che il 95% dei 21.000 ettolitri prodotti nel 2017, venduti direttamente al pubblico, abbiamo generato ricavi per oltre 20 milioni di dollari. Il passaparola e i social network ne hanno decretato il successo: nel 2016 Ratebeer celebrava Trillium come terzo miglior birrificio al mondo, includendo sei IPA, una DIPA e sei Pale Ale tra le migliori 15 birre al mondo delle rispettive categorie. </span><span style="text-align: left;">Ma i social network hanno tirato fuori alcuni scheletri dall’armadio: nel novembre del 2018 <u><a href="https://www.beeradvocate.com/community/threads/controversy-surrounds-trilliums-labor-practices-former-employee-alleges-deceptive-biz-practices.596521/" target="_blank">un post anonimo </a></u>sul forum di Beer Advocate </span><span style="text-align: left;">di un dipendente denunciava pratiche scorrette ed illegali, in parte poi ammesse dai Tetreault con un comunicato ufficiale. Potete trovare i dettagli <u><a href="https://www.fermentobirra.com/trillium-e-lo-sfruttamento-del-lavoro-e-polemica-negli-usa/" target="_blank">in questo articolo</a></u> in italiano </span><span style="text-align: left;">su Fermento Birra. </span><span style="text-align: left;">Mentre i beergeeks </span><span style="text-align: left;">continuavano a fare la fila fuori dal birrificio per comprare i 4 pack di Trillium a 22 dollari (<u><a href="https://thefullpint.com/editorial/what-you-need-to-know-about-trillium-brewing/" target="_blank">un prezzo altissimo</a></u> per gli standard statunitensi), i Tetreault non avevano concesso a molti dipendenti gli aumenti e i benefici promessi; molti di loro erano stati spostati da Fort Point al Beer Garden con uno stipendio ridotto da 8 a 5 dollari all’ora, per fare lo stesso lavoro. Spacciavano come barricate delle birre che non avevano mai visto nessuna botte, riciclavano resti di birra ossidata e invendibile, mescolati a frutta, per i Beer Slushy, riempivano i growler da asporto quasi solo con la fondazza dei fermentatori.</span></p><p><b>Le birre. </b><br /></p><div style="text-align: justify;">E’ stata una grossa sorpresa vedere arrivare lattine di Trillium nel nostro continente, tutte con più o meno un mese di vita sulle spalle. Occasione da non lasciarsi sfuggire per provare birre normalmente reperibili solo in loco o tramite scambio con altri appassionati. </div><div style="text-align: justify;"><br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBeaHkiu_Moofm9N9rKkyWiHSa8hG0eStGlwlBTEgwQuXKNqoLZEJ-XhST40IywSUxteIGQEJdlr1GX0pspTU2uXt2OvtyLBhgM4A1e-zy7yhnB6-feyOfTjoqfn7PDKkBTnwTFM5rLJM/s600/Trillium+Dot+Ave2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBeaHkiu_Moofm9N9rKkyWiHSa8hG0eStGlwlBTEgwQuXKNqoLZEJ-XhST40IywSUxteIGQEJdlr1GX0pspTU2uXt2OvtyLBhgM4A1e-zy7yhnB6-feyOfTjoqfn7PDKkBTnwTFM5rLJM/w200-h200/Trillium+Dot+Ave2.jpg" width="200" /></a></div>Dot Ave Double IPA: nel 2013 Trillium lanciava Congress Street, la prima di una serie di IPA single-hop chiamate con il nome delle strade del distretto di Fort Point; un’operazione analoga veniva fatta qualche anno dopo con le Double IPA, passando dalle strade ai più lunghi viali (Avenue). Tra queste vi è Dot Ave (8.2%), ovvero Dorchester Avenue, viale di Boston inaugurato nel 1805. La sua ricetta prevede malti American 2-row, frumento (White e Flaked), luppoli Nelson Sauvin e CTZ. Visivamente è un torbido succo d’arancia, la schiuma è abbastanza compatta ed ha buona ritenzione. Il <i>dank</i> è dominatore assoluto dell’aroma: netto e pulito, speziato ed </span><span style="text-align: left;">affiancato da qualche ricordo di aglio. Mouthfeel ottimo: soffice e cremoso, a tratti quasi impalpabile. Mango, melone e pesca sono il biglietto d’accesso ad una bevuta che s’incanala subito sul </span><i style="text-align: left;">dank</i><span style="text-align: left;"> e sul resinoso-vegetale, molto intenso. L’alcool è molto ben nascosto, la frutta tropicale riaffiora nel retrogusto a portate un po’ di sollievo in una birra che è in pratica una pianta di marijuana. Sorprendentemente amara, priva di spigoli e di </span><i style="text-align: left;">hopburn</i><span style="text-align: left;">, è ben fatta nel suo genere: ma se voglio una DIPA che picchia forte, per me niente batte la cara vecchia scuola West Coast. Prezzo al birrificio? 20 dollari per un 4 pack: più tasse, ovviamente.</span></div></div><p></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcjE2TZiT0ND1CQFLv3BImBekM5Jc92owImd434yJ8HhR-dphw_d9slyZEXaC8_MHvbzKFo-iULfEit0xpJ2Fg5VtLf7XL-9NZU0B1rz-1k4n6q3YWUT3Pj-BrpZQVN9URk5jIg4Y7Nus/s600/Trillium+Vicinity2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcjE2TZiT0ND1CQFLv3BImBekM5Jc92owImd434yJ8HhR-dphw_d9slyZEXaC8_MHvbzKFo-iULfEit0xpJ2Fg5VtLf7XL-9NZU0B1rz-1k4n6q3YWUT3Pj-BrpZQVN9URk5jIg4Y7Nus/w200-h200/Trillium+Vicinity2.jpg" width="200" /></a></div>Vicinity è un’altra Double IPA (8%) che fu prodotta in origine per il primo compleanno del Row 34, un oyster-bar con buona selezione di birre artigianali. La sua ricetta prevede malti Pilsner, Flaked Wheat, C-15, luppoli Galaxy, Citra e Columbus. Questa volta il succo di frutta è alla pesca, almeno nel look: schiuma biancastra, grossolana, poco persistente. Aroma splendido, ampio e pulito, ricco di suggestioni che variano all’innalzarsi della temperatura nel bicchiere: albicocca, ananas, papaia, frutti di bosco, arancia, pompelmo, mandarino, melone e potrei andare ancora avanti. Il mouthfeel è morbido ma non mi regala quella straordinaria sensazione della Dot Ave: il gusto purtroppo non riesce a replicare neppure la metà del giardino delle meraviglie aromatico. C’è quella generale sensazione “tropicale” di molte NEIPA dal profilo poco definito, un po’ di agrumi, un finale resinoso-vegetale pungente con un pizzico di <i>hopburn</i>. Si beve bene ma il suo punto di forza è indubbiamente l’aroma: potrei sniffarla per ore. Anche questo 4 pack costa 20 dollari alla fonte.<p></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMnoVwjS3gt9gFIaI6EjsH9By1gtIq8vck8Mi5yG7AgOQS_90RzvBQGs0pvAFWn4VkMUvGAulPT6KjgeApG9HT0lRPNkLH7sNSEOLZdmsNLfRr4S_4KOmwdnQwlHYugOqp8PKGNWLdvxk/s600/Trillium+Arnold+Arboretum2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMnoVwjS3gt9gFIaI6EjsH9By1gtIq8vck8Mi5yG7AgOQS_90RzvBQGs0pvAFWn4VkMUvGAulPT6KjgeApG9HT0lRPNkLH7sNSEOLZdmsNLfRr4S_4KOmwdnQwlHYugOqp8PKGNWLdvxk/w200-h200/Trillium+Arnold+Arboretum2.jpg" width="200" /></a></div>Arnold Arboretum (7%): questa IPA deve il suo insolito nome all’omonimo centro di ricerca della Harvard University di Boston, famoso per la sua collezione di alberi e arbusti ornamentali provenienti dall'Asia. Il centro si trova all’interno di un complesso di parchi e corsi d’acqua chiamato Emerald Necklace, nome usato da Trillium per raggruppare un’altra serie di birre a tema. Malti American 2-Row, Flaked Wheat, C-15, luppoli Citra e Galaxy, 17 dollari il 4 pack. Nel bicchiere è di color oro antico, molto velato ma luminoso: schiuma compatta e persistente. L’aroma non è esplosivo ma è molto gradevole, pulito ed elegante: ananas, lychee, melone, mandarino, arancia. Al palato è “moderatamente juicy”: si avverte qualche tocco di panificato e biscottato, il dolce di mango e ananas a bilanciare un finale resinoso e pepato di buona intensità. Anche lei è più interessante e complessa al naso che in bocca, ma per lo meno riesce a mantenere lo stesso livello di pulizia e definizione. Bella IPA, ben fatta e facile da bere che però non mi provoca nessuna visione mistica. <p></p><p></p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIkTrNUo7-zXteSK0t9rvb128xKXJiLg9MW3Ohk8JVaONCHaG6tldT_5v5I-zL45NhHnv6bcyuMFlmHBYWC3uXp0hd93rhVjE9Ory77iDZILhI6J47Dann0ZLnuePHMiC7XvVX3zgJl18/s600/Trillium+Stillings+Street2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIkTrNUo7-zXteSK0t9rvb128xKXJiLg9MW3Ohk8JVaONCHaG6tldT_5v5I-zL45NhHnv6bcyuMFlmHBYWC3uXp0hd93rhVjE9Ory77iDZILhI6J47Dann0ZLnuePHMiC7XvVX3zgJl18/w200-h200/Trillium+Stillings+Street2.jpg" width="200" /></a></div>Double Dry Hopped Stillings Street IPA (7,2%): versione amplificata (DDH) della Stillings, ovviamente dalla serie delle Street IPA. La compongono malti <span style="text-align: left;">American 2-row, White Wheat, destrine, destrosio, luppoli Columbus e Nelson Sauvin, quest’ultimo in doppia dose. Il colore di questo succo di frutta è a metà strada tra la pesca e l’arancia. Il Nelson si presenta subito con netti profumi di uva e kiwi, uvaspina; in secondo piano note dank, passion fruit, anana. Aroma particolare, intenso e pulito: a me piace molto, ma non se non amate il Nelson potreste non gradire. Il mouthfeel è soffice, leggermente <i>chewy</i>, estremamente appagante. La bevuta è molto succosa e ricalca l’aroma, con l’alternanza tra l’asprezza di uva e kiwi (mi raccomando non sbucciatelo), passion fruit, ribes e uvaspina e la dolcezza di mango e ananas. Molto secca, chiude con un breve tocco amaro resinoso-vegetale privo di <i>hopburn</i>. Per me è una birra molto ben riuscita, pulita ed intensa, priva di spigoli: la consiglierei però solo ai fans del Nelson.</span></div><p></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgvIQdWy1O7qQd-fTe1G5DSWCj-m44WkBZg3ySG_z_JXZzqeTeRhjiRjybJeKlIOZ8R_t7CrxJJr-vsVrLJ1-1mFyud_kiL1BNJruy7Wm1p1h4_fWaL90yMLSTlv97YobRwNVClhBV6rc/s600/Trillium+Galaxy+Dry+Hopped+Fort+Point2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgvIQdWy1O7qQd-fTe1G5DSWCj-m44WkBZg3ySG_z_JXZzqeTeRhjiRjybJeKlIOZ8R_t7CrxJJr-vsVrLJ1-1mFyud_kiL1BNJruy7Wm1p1h4_fWaL90yMLSTlv97YobRwNVClhBV6rc/w200-h200/Trillium+Galaxy+Dry+Hopped+Fort+Point2.jpg" width="200" /></a></div>Chiudiamo questa rassegna con la Fort Point Pale Ale (6.6%), una delle birre con le quali Trillium ha debuttato nel 2013; nel beer-rating è ancora stabilmente in cima alle classifiche della propria categoria. Il suo successo ne ha fatto proliferare una lunga serie di varianti che si differenziano per il metodo di luppolatura (DH, DDH) e per il luppolo utilizzato. In Europa è arrivata la Galaxy Dry Hopped Fort Point: American 2-row Barley, White Wheat, C-15, maltodestrine, luppoli Columbus e ovviamente Galaxy. American Pale Ale piuttosto esosa anche alla fonte: 15 dollari il 4 pack. <span style="text-align: left;">In etichetta ci sono gli iconici lampioni Congress Street. N</span>el bicchiere è un torbido ma luminoso succo d’arancia, la schiuma è cremosa, compatta e piuttosto persistente. Il naso oscilla tra note zesty e di frutta tropicale, soprattutto mango e ananas: un aroma fresco e pulito ma migliorabile per quel che riguarda intensità e definizione. La sensazione palatale è ancora una volta perfetta: birra morbida e cremosa, leggermente chewy ma scorrevolissima. E del lotto è la birra di Trillium più simile ad una classica birra, ovvero quel juicy “moderato” che piace a me. Pane, qualche accenno biscottato, frutta tropicale dolce, un bel finale secco e zesty, leggermente resinoso-erbaceo. Una bella APA moderna, generosamente fruttata ma non estrema, intensa ma facilissima da bere, assolutamente priva di spigoli. Non è un mostro di precisione e definizione: appunto zelante ma necessario, visto il blasone del birrificio.<p></p><p style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Nel dettaglio: <br /></span><span style="text-align: left;">Dot Ave Double IPA, 47,3cl., alc. 8.2%, lotto 06/10/2020, prezzo indicativo 13.00 Euro<br /></span><span style="text-align: left;">Vicinity Double IPA, 47,3 cl., alc. 8%, lotto 23/09/2020, prezzo indicativo 14.00 Euro<br /></span><span style="text-align: left;">Arnold Arboretum IPA, 47,3 cl., alc. 7%, lotto 21/09/2020, prezzo indicativo 12.00 Euro<br /></span><span style="text-align: left;">DDH Stillings Street IPA, 47,3 cl., alc. 7.2%, lotto 09/10/2020, prezzo indicativo 13.00 Euro<br /></span><span style="text-align: left;">Fort Point Pale Ale - Galaxy Dry Hopped, 47,3 cl., alc. 6.6%, lotto 05/10/2020, prezzo indicativo 11.00 Euro<br /><br /></span><i style="text-align: left;"><span style="font-size: x-small;">NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio</span></i></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-42838571583949742192020-11-05T20:48:00.002+01:002020-11-10T18:43:07.218+01:00Belching Beaver Peanut Butter Milk Stout<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQ6NwMae0vB26Znevmv4M55VqIYxU2KVeTYOmxy6AenC6sq1KXXfrS27CK1kNU5Kq2jot0Gj02vefmYmQOd85MNNlVolL6LVD64kdHHtSSwW1FwvJ0qHQcvg8SnDohlqSFs2L28yaem74/s600/Belching+Beaver+Peanut+Butter+Milk+Stout.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="352" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQ6NwMae0vB26Znevmv4M55VqIYxU2KVeTYOmxy6AenC6sq1KXXfrS27CK1kNU5Kq2jot0Gj02vefmYmQOd85MNNlVolL6LVD64kdHHtSSwW1FwvJ0qHQcvg8SnDohlqSFs2L28yaem74/s320/Belching+Beaver+Peanut+Butter+Milk+Stout.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">Si può dire di tutto tranne che Belching Beaver (il castoro che rutta) non sia un nome originale. Siamo nel 2012 e la contea di San Diego, California, è il paradiso della Craft Beer Revolution americana: Stone, Alesmith, Green Flash, Alpine, Port Brewing, Ballast Point, tutti desiderano le IPA della West Coast. <span style="text-align: left;">Come tanti altri, anche Thomas Vogel, Dave Mobley e Troy Smith si buttano nella mischia e aprono un birrificio: per essere originali, in una scena dominata dal luppolo, debuttano con una Milk Stout. <i> ”Siamo stati i primi a farne una a San Diego</i> – <u><a href="https://thedailyaztec.com/60705/artsandlifestyle/sdsu-alumnus-hopps-into-brewing/" target="_blank">ricorda Vogel</a></u> </span><span style="text-align: left;">– <i>è andò subito molto bene. Molti altri birrifici ci hanno poi seguito”.<br /></i></span><span style="text-align: left;">Thomas Vogel si divertiva a produrre birra e vino in casa sin dai tempi del college; lavorare con la birra era uno dei suoi obiettivi e venne assunto dalla Sublime Ale House, un ristorante di San Marcos con una bella carta di vini e birre artigianali. Tra i suoi clienti c’era anche il birrificio Coronado di San Diego, dove lavorava come birraio Troy Smith. Per lui nessuna esperienza di homebrewing, ma essere figliastro di Rick Chapman, fondatore e presidente di Coronado, aiuta: si fa le ossa direttamente sul campo. V</span><span style="text-align: left;">ogel e Smith diventano amici, giocano spesso assieme a poker e frequentano regolarmente le taproom di Port Brewing e Lost Abbey a San Marcos: ridendo e scherzando, abbozzano l’idea di aprire un birrificio a Vista, contea di San Diego. A loro si unisce Dave Mobley, un architetto. I tre danno fondo ai loro risparmi e lanciano Belching Beaver con un impianto da 20 ettolitri. Il nome? In verità la storia alle sue spalle non è poi così interessante:<i> “conoscevamo un tipo, che si occupava di marketing e che doveva diventare nostro socio; aveva già quel nome quel logo pronti. In mancanza d'altro, li abbiamo adottati. Non volevamo offendere nessuno, soltanto essere un po’ diversi. Ripensandoci potevamo fare forse altre scelte, ma ormai è troppo tardi per tornare indietro”. <br /></i></span><span style="text-align: left;">Dopo un paio d’anni è già tempo di espandersi con una seconda succursale location ad Ocean Beach, San Diego, seguita nel 2016 del brewpub con ristorante Tavern & Grill di Vista Village e dal nuovo sito produttivo ad Oceanside: un milione di dollari d’investimenti. La location originale di Vista viene trasformata nel Pub 980 e viene aperta anche una piccola taproom nella zona di North Park a San Diego. La produzione annuale passa dai 12.000 ettolitri del 2014 ai quasi 50.000 del 2016 ed è tutt’ora s stabile. A guidare le vendite ci sono la Phantom Bride IPA e quella Peanut Butter Milk Stout che andiamo ad assaggiare.</span></div><p></p><p><b>La birra. </b><br /></p><div style="text-align: justify;">Chi segue regolarmente il blog saprà che non sono un amante della deriva “pastry” che sta caratterizzando la scena della birra artigianale negli ultimi anni, soprattutto quella americana. Ma la Peanut Butter Milk Stout di Belching Beaver ha debuttato in tempi non sospetti, quando il burro d’arachidi in una stout non era ancora la moda ma un’idea stravagante. <u><a href="https://www.pointloma-obmonthly.com/dining/cm-plo-blondes-on-beers-belching-beaver-20180822-story.html" target="_blank">Ricorda Smith</a></u>: <span style="text-align: left;"><i>“quando aprimmo non c’era nessuno nell’area di San Diego a fare una Milk Stout; oggi offriamo una selezione di birre scure che pochi birrifici in questa zona possono vantare. Aggiungemmo del burro d’arachidi ad un fusto della nostra Milk Stout e boom!, fu un successo”. <br /></i></span><span style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhtItkh2hHzDtN5rlPpK_AsuepzZUimahyphenhyphenT9nZTI5FfTRADrIO6w233T9LwXT8yw2DJmoWNlqFOjnNbLVf4iEajDCA8fPxrEk6Aud0he0iysPA4XtaWkmmMGsUN3kg8x9ovMT8zFyrMb-8/s600/Belching+Beaver+Peanut+Butter+Milk+Stout2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhtItkh2hHzDtN5rlPpK_AsuepzZUimahyphenhyphenT9nZTI5FfTRADrIO6w233T9LwXT8yw2DJmoWNlqFOjnNbLVf4iEajDCA8fPxrEk6Aud0he0iysPA4XtaWkmmMGsUN3kg8x9ovMT8zFyrMb-8/w200-h200/Belching+Beaver+Peanut+Butter+Milk+Stout2.jpg" width="200" /></a></div>La ricetta base della Milk Stout prevede malti Two-Row, Roasted Barley, Pale Chocolate, Caramel 60, avena, lattosio, luppoli Northern Brewer e Fuggles: per rendere la birra accessibile anche a chi ha allergie, sembra che venga usato un burro d’arachidi non proprio naturale. </span><span style="text-align: left;">Si presenta di colore ebano scuro, la schiuma è piuttosto grossolana, scomposta e collassa rapidamente. Le tazze di burro d’arachidi della Reese/Hershey si possono comprare oramai abbastanza facilmente anche in Italia: chi le conosce le ritroverà nell’aroma di una birra che offre quanto promesso, ovvero soprattutto arachidi tostate. In sottofondo emergono deboli richiami di cioccolato al latte e di caramello. Non c’è altro. </span><span style="text-align: left;">Caramello, cola e caffelatte (con molto poco caffè, in verità) formano una bevuta dolce che parte con buona intensità per poi assottigliarsi un po’ troppo e sfociare in un finale che stempera il dolce, porta equilibrio ma presenta qualche spunto acquoso di troppo. Per fortuna la birra torna a galla con un retrogusto di discreto livello dove riemergono le arachidi tostate, il cioccolato e qualche accenno di caffè. <br /></span><span style="text-align: left;">La Peanut Butter Milk Stout di Belching Beaver non è una pastry spinta all’estremo: il burro d’arachidi è protagonista ma la base milk stout è ancora riconoscibile. Il mouth è scorrevole ma se volete un po’ di cremosità dovete probabilmente optare per la sua versione nitro. Non è una birra che berrei regolarmente, ma un piacevole divertissement ogni tanto non fa male. </span></div>Formato 35.5 cl., alc. 5.3%, IBU 30, lotto 05/07/2020, prezzo indicativo 4,50 euro (beershop)UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-71387438749226798742020-11-03T21:17:00.001+01:002020-11-03T21:17:07.858+01:00Hogs Back Rip Snorter <p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyVFokG474mVnzn9xCyH_MFqXsBiD7ZHb4a0nOpRf2qqmIx3gSkBiel5oAY3nwXx1FjCLJ5bXQec6vMsn2vf6ZK64G84Ue9Zip1cCV4th4mwKQ7mNj7r_jIcRPjKtG-dXKrocvSAprinY/s600/Hogs+Back+Rip+Snorter.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="305" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyVFokG474mVnzn9xCyH_MFqXsBiD7ZHb4a0nOpRf2qqmIx3gSkBiel5oAY3nwXx1FjCLJ5bXQec6vMsn2vf6ZK64G84Ue9Zip1cCV4th4mwKQ7mNj7r_jIcRPjKtG-dXKrocvSAprinY/s320/Hogs+Back+Rip+Snorter.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">Rupert Thompson è un pezzo di storia dell’industria brassicola inglese. Assunto alla Bass come direttore commerciale, ideò una serie di annunci pubblicitari su giornali e televisioni che determinarono negli anni ’80 il successo della Carling Black Label; andò poi a lavorare alla Morland facendo diventare la Old Speckled Hen la Premium Ale in bottiglia più venduta nel Regno Unito, sconfiggendo l’eterna rivale Newcastle Brown Ale. Quando la Morland fu acquisita da Greene King, Thompson fondò la Refresh UK e rilevò nel 2000 il birrificio Wychwood, raddoppiandone la produzione grazie al successo del marchio Hobgobli. Nel 2008 Refresh e Wychwood furono acquistati per un bel mucchio di sterline dalla Marstons, che già usava gli impianti della Wychwood per produrre qualcuna delle sue birre. <br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Thompson ha voglia di cambiare e butta gli occhi su un piccolo birrificio a gestione familiare nel villaggio di Tongham, nel Surrey, ad una cinquantina di chilometri da Londra:. <i>“non avevo più voglia di lavorare per una grande impresa; mi piace essere coinvolto nelle decisioni. Quello che mi appassiona è far crescere il business, non restare lì a gestirlo. Hogs Back era abbastanza vicino a Londra e aveva già una birra di successo, la TEA (Traditional English Ale).”<br /></i></span><span style="text-align: left;">Il birrificio Hogs Back era stato fondato nel 1992 dai due ex-homebrewers Tony Stanton-Precious e Martin Zilwood-Hunt in una fattoria del diciottesimo secolo sulle omonime colline: nella zona ci sono molti coltivatori di luppolo e nel terreno circostante anche i due birrai avevano avviato un piccolo luppoleto. Hogs Back aveva iniziato producendo 1500 litri alla settimana guadagnandosi rapidamente le spine dei pub locali con la TEA, che nel 2000 venne anche proclamata Champion Beer of Britain dal CAMRA. </span><span style="text-align: left;">Nel 2011 Rupert Thompson rileva le quote di Tony affiancando per un paio d’anni Martin, uomo-immagine del birrificio e presenza fissa ai festival locali <u><a href="https://www.hogsback.co.uk/2020/02/hogs-back-beer-machine/" target="_blank">con la sua Harley Davidson</a></u> corredata di sidecar a forma di cask. Oggi Martin è ancora consulente “esterno”. </span><span style="text-align: left;">Thompson inizia a fare quello che ama, far crescere il business: la produzione annuale di Hogs Back è stabilmente ferma a quota 16.000 ettolitri; Thompson la porta subito a 27.000 introducendo nuove birre ad affiancare la TEA che continua ad assorbire il 70% dei volumi. Finalmente riesce a fare quello che non gli era mai riuscito sino ad allora: produrre una lager, la Hogstar. La storica birraia di Hogs Back, Mo Zeiher, viene affiancare da Miles Chesterman, un birraio che Thompson recluta alla Molson-Coors di Burton-on-Trent. Per portare un po’ d’innovazione tra le dolci colline del Surrey s‘inventa la Montezuma Chocolate (2014), una lager (chiara) prodotta con fave di cacao messicano. Nello stesso anno deve imbarcarsi <u><a href="https://www.morningadvertiser.co.uk/Article/2015/02/20/Hogs-Back-sues-Magners-over-cider-brand" target="_blank">in una disputa legale</a></u> </span><span style="text-align: left;"> contro Magners, responsabile da aver commercializzato Cider Hog, un sidro il cui nome ed etichetta ricordavano un po’ troppo quello prodotto da Hogs Back e chiamato Hazy Hog.<br /></span><span style="text-align: left;">Nel 2016 Thompson annuncia un piano d’espansione da 400.000 sterline: nuovi fermentatori e magazzini per aumentare di un ulteriore 30% la capacità produttiva. Lo scorso luglio 2020 Hogs Back ha ristrutturato </span><span style="text-align: left;">un vecchio hangar dove era immagazzinato il luppolo convertendolo <u><a href="https://www.warmwelcomemagazine.com/barsandpubs/hogs-back-brewery-opens-bar-overlooking-hop-garden" target="_blank">in bar/tap room</a></u>: il birrificio dispone anche di un beershop dove è possibile acquistare bottiglie anche di altri birrifici inglesi e belgi.</span></div></div><p><b>La birra.</b><br /></p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVlaey2vmcJThLoZjnlNvDgX3bMlp_Kz0zupFKTjGVWrEhl0PV5D88k9y4JeUlhpJPEJ9cdnuv5yGgs7n7suDwTUUnJ5unTqLpl_3C2_1Nxz0SvYodjjegwhSm-qVzg1cqsUWCuMhj7WY/s600/Hogs+Back+Rip+Snorter2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVlaey2vmcJThLoZjnlNvDgX3bMlp_Kz0zupFKTjGVWrEhl0PV5D88k9y4JeUlhpJPEJ9cdnuv5yGgs7n7suDwTUUnJ5unTqLpl_3C2_1Nxz0SvYodjjegwhSm-qVzg1cqsUWCuMhj7WY/w200-h200/Hogs+Back+Rip+Snorter2.jpg" width="200" /></a></div>Rip Snorter (letteralmente “qualcosa che si fa notare per la sua straordinaria qualità”) è una English Strong Bitter (5%) prodotta per la prima volta nel 2012: la sua ricetta prevede malti Pale, un po’ di Crystal ed un tocco di Chocolate; i luppoli Fuggles e E.K. Goldings sono coltivati nel Surrey. <span style="text-align: left;">Il nome nacque </span><i style="text-align: left;">“dall’esclamazione di un birraio australiano in visita che aveva assaggiato un sorso del primo lotto. Nello stesso periodo ci venne a trovare anche Chris Moss, il fondatore del birrificio Wychwood. Martin Hunt gliela descrisse come “the dogs bollocks of his beers” (</i><span style="text-align: left;">“le palle del cane” è un idioma un po’ volgare che sta ad indicare “qualcosa di incredibilmente buono”</span><i style="text-align: left;">). Martin non usò mai quel nome, ma qualche tempo dopo la Wychwood fece uscire una birra chiamata proprio Dogs Bollocks". <br /></i><span style="text-align: left;">Il suo colore è ambrato piuttosto carico con riflessi che vanno dal ramato al rubino: la schiuma è cremosa, compatta ed ha buona persistenza. Caramello, biscotto, accenni di pane nero, qualche spezia, profumi di marmellata di prugne e ciliegia, terrosi e di frutta secca a guscio: l’aroma è piuttosto intenso e pulito. La sensazione palatale è ottima, scorrevolezza e presenza trovano il compromesso perfetto. Non ci sono variazioni di rotta al palato: è una bitter ben equilibrata tra dolce (caramello, biscotto, marmellata di prugna e ciliegia, accenni di melassa) e amaro (frutta secca a guscio, terroso), intensa e al tempo stesso facile da bere. Lontano dalle mode, per una tranquilla immersioni nella tradizione anglosassone. </span></div>Formato 50 cl., alc. 5%, lotto 5258, scad. 06/2021, prezzo indicativo 4.00-5.00 euro (beershop)<p></p><p><span style="font-size: x-small;"><i>NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio</i></span><br /></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-1699399866600689392020-10-30T21:48:00.001+01:002020-11-03T21:10:36.899+01:00Pentrich Shine Like Millions IPA<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRwvrZsAYaiBeWhuC-A0AuGHGnpLvi8tzAzEkfXGZWVi6iNAN7zgWJEKzwpKa5nzYNxsl5-IgLtbk8kitbREhoXl_jhWA2nmxNEtrCCfItfE2r34EzXpRHT7-hrum1sZ8-vcbt5VNMGtM/s600/Pentrich+Shine+Like+Millions.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="452" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRwvrZsAYaiBeWhuC-A0AuGHGnpLvi8tzAzEkfXGZWVi6iNAN7zgWJEKzwpKa5nzYNxsl5-IgLtbk8kitbREhoXl_jhWA2nmxNEtrCCfItfE2r34EzXpRHT7-hrum1sZ8-vcbt5VNMGtM/s320/Pentrich+Shine+Like+Millions.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">Appassionati birrofili, homebrewers e ora birrai-imprenditori: la storia di Joe Noble e Ryan Cummings, entrambi classe 1990, è quella di tanti altri protagonisti della Craft Beer Revolution del Regno Unito. Ai tempi dell’università i due amici si dilettavano in garage con un homebrewing che rapidamente si trasforma in una sorta di ossessione per la birra ed il beer-hunting: visite continue a beershop, richieste ad amici e conoscenti di portare loro qualsiasi birra riuscissero a reperire nei loro viaggi all’estero. Le IPA americane di Bell’s, Stone e Dogfish Head che riescono a bere sono una rivelazione e una fonte d’ispirazione per le ricette sviluppate in garage. Nel 2009-2010 in Inghilterra ci sono ancora pochi birrifici artigianali che producono quelle birre ma Joe e Ryan hanno la fortuna di vivere nel Derbyshire, di trovarsi non troppo lontani da Thornbridge, uno dei pionieri, e crescono a pinte di <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2011/10/thornbridge-kipling.html" target="_blank">Kipling</a></u> <span style="text-align: left;">e <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2011/12/thornbridge-jaipur.html" target="_blank">Jaipur</a></u>.<br /></span><span style="text-align: left;">Nel 2013 fondano Pentrich Brewing Company in un garage dell’omonimo villaggio, poche centinaia di abitanti, nella periferia di Derby. Mentre sono alla ricerca di un impiantino da 150 litri è il destino ad aiutarli: nel corso di una battuta di beer-hunting al negozio Cotteridge Wines & Beer di Birmingham incontrano Michael James del birrificio Landlocked. I tre fanno amicizia e Mike sconsiglia fortemente l’acquisto di un impianto così piccolo, offrendo piuttosto loro la possibilità di utilizzare il suo kit, che si trova nel retro del pub Beehive Inn di Ripley: Joe e Ryan prelevano tutti i loro risparmi per acquistare un fermentatore da 1000 litri e piazzarlo alla Landlocked, dove vi resterà sino all’ottobre del 2015. </span><span style="text-align: left;">Grazie anche al supporto finanziario di Kevin Sammons della Pub People Company LTD Joe e Noble ristrutturano un vecchio capannone nell’Asher Lane Industrial Park di Pentrich e, nella primavera del 2016, mettono in funzione il loro primo impianto da 6 barili, cessando di essere una beerfirm.<br /></span><span style="text-align: left;">Pentrich si è fatto subito notare localmente per le sue birre prodotte soprattutto in cask, occasionalmente in fusto e pochissime bottiglie, procedendo al ritmo di tre birre alla settimana: IPA, Double IPA ma un occhio di riguardo anche per Bitter, Pale Ale e Porter. Dall’autunno del 2019 è operativo il nuovo impianto Malrex da 15 barili e, a gennaio 2020, sono arrivate le prime lattine, un contenitore fondamentale per il successo. Le lattine di Pentrich apparvero improvvisamente in vendita sul sito online di uno dei birrifici più alla moda della scena inglese, <u><a href="http://unabirralgiorno.blogspot.com/2019/06/neon-raptor-star-play.html" target="_blank">Neon Raptor</a></u>: </span><span style="text-align: left;"><i>“siamo amici ma non glielo abbiamo chiesto</i> – <u><a href="https://anchor.fm/rob-cheshire/episodes/Episode-15---Pentrich-Brewing-ekj4qc" target="_blank">dice Joe</a></u> – f<i>u una loro iniziativa che c’è stata di grande aiuto. In poche settimane passammo dall’essere un birrificio sconosciuto ad uno </i></span><span style="text-align: left;"><i>che era sulla bocca di tutti gli appassionati. E’ strano perché localmente noi siamo molto conosciuti per le nostre IPA e DOUBLE IPA torbide che mettiamo in cask; non abbiamo fatto altro che mettere quelle birre in lattina”.</i></span></div><p></p><p><b>La birra. </b><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-qk8PkQtoXYEIg9Eer6_P5a3J8B5noKKeadxFBNa4OawbUypixWkcrBhO4litacgZcS-xz9dcowoVDtjZ3bZJT-uMLKiPhmz-GRXoDKp-cv1iN1pPJRkoyEqLawnWffnLHSwLhQrhhLk/s600/Pentrich+Shine+Like+Millions2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-qk8PkQtoXYEIg9Eer6_P5a3J8B5noKKeadxFBNa4OawbUypixWkcrBhO4litacgZcS-xz9dcowoVDtjZ3bZJT-uMLKiPhmz-GRXoDKp-cv1iN1pPJRkoyEqLawnWffnLHSwLhQrhhLk/w200-h200/Pentrich+Shine+Like+Millions2.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Shine Like Millions è una IPA prodotta con Citra, Sabro e Simcoe. Molto velata ma comunque luminosa, il suo color arancio è quasi solare, la schiuma è compatta e mostra buona ritenzione. Al naso pulizia e intensità non mancano: arancia, mandarino, mango e papaia, albicocca, melone. E’ una IPA nata alla fine di luglio che tuttavia all’aroma trasmette ancora freschezza. Il suo look è moderno/modaiolo ma il suo mouthfeel è abbastanza tradizionale: non ci sono quegli ingombri che affliggono la maggior parte delle NEIPA e la scorrevolezza ci guadagna. Bella bevuta: pane, qualche accenno di cereale, frutta tropicale ed a pasta gialla sono il preambolo dolce ad un percorso che vira rapidamente sull’amaro e sfocia in un finale intenso ricco di pompelmo, note zesty e vegetali, erbacee. Non ci sono spigoli/<i>hopburn</i>, l’alcool è ben nascosto, la componente fruttata/juicy non è assolutamente portata all’estremo. Con le dovute proporzioni, questa IPA di Pentrich mi fa pensare un po’ alle birre di The Alchemist, ovvero ad una interpretazione moderna di una classica impalcatura West Coast. Dopo tre mesi ha inevitabilmente perso un po’ di esplosività ma si vede che nel bicchiere c’è una birra sensata ed intelligente, ben fatta e pulita. Birrificio da tenere senz’altro d’occhio.</div>Formato 44 cl., alc. 6.8%, lotto 29/07/2020, scad. 25/01/2021, prezzo indicativo 7,00 euro (beershop) <p></p><p><span style="font-size: x-small;"><i>NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio</i></span></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-48894156150646604362020-10-29T21:26:00.001+01:002020-11-03T21:11:11.862+01:00Cycle Monday 2020<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRfMSbx26PQpRI74JN9F1ZJP9wMnGYjlZXD4qjiNko4RFyR1yaFqEdqniS0Kw_45AA_XY4-OClNUR5yi5Ys7K4KIVKTQMxfnwy_GhwWixbWnYNTbP1lc3zV1geoRXR6MIr1jtwBthxCYA/s600/Cycle+Monday+2020.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="328" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRfMSbx26PQpRI74JN9F1ZJP9wMnGYjlZXD4qjiNko4RFyR1yaFqEdqniS0Kw_45AA_XY4-OClNUR5yi5Ys7K4KIVKTQMxfnwy_GhwWixbWnYNTbP1lc3zV1geoRXR6MIr1jtwBthxCYA/s320/Cycle+Monday+2020.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">Fino a cinque-sei anni fa la Florida non era certo il paradiso di chi amava la birra artigianale: Cigar City era forse l’unico nome noto di una scena che faticava a decollare. Oggi le cose sono cambiate grazie a birrifici come Funky Buddha (poi acquistato dalla Constellation Brands), Angry Chair, J. Wakefield, Cycle e 3 Sons. <span style="text-align: left;">Peg Wesselink e Tony Dodson aprirono nel 2004 a Gulfport la Peg's Cantina, una sorta di bungalow di legno trasformato in ristorante messicano. Doug Dozark, figlio di Peg, </span><u style="text-align: left;">ricorda</u><span style="text-align: left;">: </span><em style="text-align: left;">“in Florida la birra artigianale non esisteva ma un distributore ci mandò qualcosa di Boulder, Oskar Blues, Great Divide, Schneider, Hofbräu, </em><span style="text-align: left;">Weihenstephaner”. Doug inizia ad appassionarsi e redige una carta delle birre per il ristorante dei genitori. Tra i clienti più affezionati c’è anche un homebrewer; tra lui e Doug nasce un’amicizia e i due producono una stout usando le pentole nella cucina del ristorante. </span><em style="text-align: left;">“All’inizio era tutto così misterioso</em><span style="text-align: left;"> – dice Doug –</span><em style="text-align: left;"> ma dopo aver fatto un po’ di pratica iniziai a capire che potevo farcela”.<br /></em><span style="text-align: left;">Dozark trova lavoro per qualche mese alla Oscar Blues sulla linea di produzione lattine, capendo innanzitutto quello che non vuole diventare:</span><em style="text-align: left;"> “non volevo che fare la birra diventasse solo un lavoro esecutivo; pulire i tini va bene ma non è la parte che m’interessa del </em><span style="text-align: left;">processo produttivo. Volevo qualcosa che mantenesse viva la mia passione”. Rientrato a Gulfport, propone ai genitori di iniziare a produrre alcuni piccoli lotti di birra per il ristorante su di un impiantino da 130 litri: avrebbe pagato lui i costi e per farlo trova lavoro presso Cigar City, o quasi: “</span><em style="text-align: left;">lavorai come volontario per tre mesi 20-30 ore la settimana. Altrimenti non credo che mi avrebbero mai assunto</em><span style="text-align: left;">”. Doug fa esperienze fondamentali sull’impianto da 15 ettolitri a Tampa sotto la supervisione del birraio Wayne Wambles e alla sera ritorna a Gulfport a fare birra alla Peg's Cantina. Il doppio lavoro dura quasi tre anni ma i risultati iniziano ad arrivare: nel 2010 Peg’s Cantina ottiene tre medaglie al Best Florida Beer Championship e nello stesso anno due delle sue Berliner Weisse (stile che molti birrifici artigianali della Florida poi abbracceranno) entrano nella Top 50 di Ratebeer. Ma è nel 2012, grazie alla solita imperial stout invecchiata in botti di bourbon, che la Peg’s Cantina attira l’attenzione di tutti i beergeeks: gli insegnamenti di Wayne Wambles, ideatore delle grandi imperial stout di Cigar City, danno i suoi frutti e la Peg's Rare D.O.S Imperial Stout si posiziona al numero 10 tra le migliori 100 birre al mondo secondo Beer Advocate.</span></div><div style="text-align: justify;">Nel 2013 Doug <a href="https://draftmag.com/the-life-cycle-of-cycle-brewing/" target="_blank">decide che è tempo di cambiamenti</a>: <em>“Peg’s Cantina è sempre stato il nome di un locale, non è un marchio; ha aperto come ristornate otto anni fa e 4 anni fa è diventato brewpub. Gulfort è un bel paese, una piccola comunità ma le nostre birre stanno andando sempre più lontano e Peg non è un’identità da portare in giro”.</em> La scelta cade su Cycle Brewing, un tributo alla sua passione per le due ruote. E la sua intenzione è quella di puntare forte su quelle imperial stout che gli hanno portato successo e anche il primo invito alla Copenhagen Beer Celebration; Cycle acquista altri barili usati e inaugura un nuovo impianto a St. Petersburg, cinque miglia da Gulfport, raddoppiando la capacità produttiva annuale a 16.000 ettolitri. <span style="text-align: left;">A St. Petersburg </span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.cltampa.com/food-drink/article/20758460/meet-the-brewers-doug-dozark-of-cycle-brewing" target="_blank">s’iniziano a vedere</a></u><span style="text-align: left;"> </span><span style="text-align: left;">le classiche scene di beergeekismo con aficionados appostati sui marciapiedi la notte prima che vengano messe in vendita le bottiglie di Rare DOS e di altre imperial stout: Cycle punta forte sull’aggiunta di adjuncts negli affinamenti in legno, diventando di fatto uno dei pionieri della pratica odierna di realizzare molteplici varianti della stessa base con un diverso mix di ingredienti. E le imperial stout <u><a href="https://beerandbrewing.com/podcast-episode-115-cycle-brewings-doug-dozark-on-the-choices-that-matter/?fbclid=IwAR3xcwX1-0cdnAklroLsgai7WxbwEc6TxEtEi1VRQ7DfU7hoZDpUqCegan0" target="_blank">arrivano ad assorbire</a></u> il 50% </span><span style="text-align: left;">della capacità produttiva. </span><span style="text-align: left;">All’inizio del 2015 </span><span style="text-align: left;">il ristorante Peg’s Cantina <u><a href="https://www.tampabay.com/news/business/retail/pegs-cantina-and-brew-pub-closes-in-gulfport/2258834/" target="_blank">chiude i battenti</a></u>: Doug e il suo assistente birraio Eric Trinoskey lo trasformano nel progetto parallelo Orange Belt Brewing, dedicato alla produzione di birre acide.<br /></span><span style="text-align: left;">Tutto bene, quindi? Non esattamente, perché aumentare rapidamente la produzione per sfruttare la notorietà ha anche dei lati negativi: alcune preziose imperial stout risultano infette e per risolvere il problema Cycle ricorre alla pastorizzazione flash di tutte le proprie birre “scure” . I problemi sembrano risolti ma nel 2018, </span><span style="text-align: left;">anno in cui la classifica di Ratebeer celebra Cycle tra i dieci migliori birrifici al mondo, <u><a href="https://cyclebrewing.com/pages/our-process" target="_blank">accade un mezzo disastro</a></u>: nonostante la pastorizzazione le bottiglie dell’edizione 2018 dell’imperial stout Monday risultano infette e l’intera produzione di Friday viene direttamente buttata via senza neanche arrivare all’imbottigliatrice. Altre bottiglie invece esplodono improvvisamente non appena vengono immesse nel pastorizzatore. Cycle deve cancellare la settimana-evento dell’anno nella quale viene rilasciato un set di cinque diverse imperial stout barricate corrispondenti ai diversi giorni della settimana. </span><span style="text-align: left;">Nello stesso anno Cycle </span><u style="text-align: left;"><a href="https://www.brewbound.com/news/cycle-brewing-signs-contract-brewing-agreement-with-brew-hub/#:~:text=Founded%20in%202012%2C%20Cycle%20Brewing,night%20before%20they%20are%20released." target="_blank">raggiunge un accordo</a></u><span style="text-align: left;"> </span><span style="text-align: left;">con il birrificio Brew Hub, che opera principalmente per conto terzi: la maggior parte delle birre luppolate vengono ora prodotte sui loro impianti e confezionate in lattina, esattamente come aveva fatto qualche anno prima un altro birrificio sulla cresta dell’onda come Toppling Goliath.</span></div><p></p><p><b>La birra.</b><br /></p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhi-jKBBhHyCaZrg6fpsy7WPZZM-NRFqvBBPSD5mcXl31uXi-4vwZc6xKgo0ZBiDWft1FWmZl9TetOZzQt6TSGBxNs70AEzHe1zzIE02WkfYadcUJ7aBg4y4eV7Ku1-pb0TvSF6oIU-LmI/s600/Cycle+Monday+20202.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhi-jKBBhHyCaZrg6fpsy7WPZZM-NRFqvBBPSD5mcXl31uXi-4vwZc6xKgo0ZBiDWft1FWmZl9TetOZzQt6TSGBxNs70AEzHe1zzIE02WkfYadcUJ7aBg4y4eV7Ku1-pb0TvSF6oIU-LmI/w200-h200/Cycle+Monday+20202.jpg" width="200" /></a></div><br />Aumentata capacità produttiva e hype in discesa hanno fatto sì che le bottiglie di Cycle da qualche anno arrivano ogni tanto anche nel nostro continente. Prezzi di primissima fascia (oltre 50 euro al litro) ma si tratta di birre che vengono vendute a 30 dollari più tasse già alla fonte, in birrificio. Vediamo l’edizione 2020 di Monday, imperial stout invecchiata in botti di bourbon con aggiunta di caffè messicano El Triunfo della Bandit Coffee Co. di St. Petersburg. <br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Nera come la pece, forma una bella testa di schiuma cremosa e compatta dalla buona persistenza. Al naso emerge netto il bourbon mentre è quasi assente il torrefatto: il caffè si esprime piuttosto attraverso note terrose che a tratti richiamano pelle e cuoio. In sottofondo prugna disidratata, accenni di legno e vaniglia, frutta sotto spirito. </span><span style="text-align: left;">La sensazione palatale è perfetta: Monday è un’imperial stout piena e morbida, viscosa: una densa carezza che scorre lenta sul palato, avvolgendolo. Come spesso accade per le birre realizzate in Florida il contenuto alcolico non è dichiarato in etichetta: dovrebbe aggirarsi sull’11.5%. Il bourbon domina anche al palato una bevuta intensa, che scalda ma non brucia: prugna e uvetta sotto spirito, fudge e vaniglia sfumano progressivamente in un finale amaro di cioccolato, note terrose e finalmente tostature e caffè, tannini e legno. Buona secchezza, mouthfeel edonistico ed emozionante, lungo retrogusto di bourbon: Monday di Stout non è un mostro di profondità e complessità ma è sicuramente una imperial stout di livello alto. Anche eleganza e pulizia non raggiungono il nirvana: non vorrei essere pignolo ma quando il prezzo è di fascia alta sono considerazioni che vanno inevitabilmente fatte. </span></div></div>Formato 65 cl., alc. 11,5% (?), lotto 2020, prezzo indicativo 35,00 euro (beershop)<p></p><p><span style="font-size: x-small;"><i>NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio</i></span></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-13932436615007893062020-10-27T21:49:00.002+01:002020-10-27T21:50:28.696+01:00Ca' del Brado Nessun Dorma<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyfMsb0odLm5SkiyrpLX_45QGIPIrWfJa42Wa1MsWEhFHfpZfDwxXDvSZOgI2wAyW2vDLL2NsZ-TlAczNNW6bxj7gF68iTARmfI0fwsOslSHbbxxqYX4r4RMRKCh8pZJ-wkBI7n5Vtu2Y/s600/Ca+del+Brado+Nessun+Dorma.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="321" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyfMsb0odLm5SkiyrpLX_45QGIPIrWfJa42Wa1MsWEhFHfpZfDwxXDvSZOgI2wAyW2vDLL2NsZ-TlAczNNW6bxj7gF68iTARmfI0fwsOslSHbbxxqYX4r4RMRKCh8pZJ-wkBI7n5Vtu2Y/s320/Ca+del+Brado+Nessun+Dorma.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">Della “Cantina brassicola Ca’ del Brado” vi avevo parlato <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2017/03/ca-del-brado-pie-veloce-brux.html" target="_blank">un paio di anni fa</a></u>, a pochi mesi dall’inaugurazione avvenuta alla fine del 2016 a Pianoro (Bologna). In questi due anni i fondatori Mario Di Bacco, Luca Sartorelli, Andrea Marzocchi e Matteo d’Ulisse hanno fatto un bel percorso che ha portato visibilità e riconoscimenti da molti appassionati, non solo italiani. Tralasciando per un attimo la birra, le novità 2020 di Ca’ del Brado riguardano l’avvio di un programma di membership chiamato Al Zirqual, ovvero “il circolo”; a memoria - ma potrei errare- credo sia il primo caso in Italia di una pratica commerciale abbastanza comune tra i birrifici artigianali statunitensi. <br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Questo programma d’affiliazione, limitato a 180 membri, poteva essere sottoscritto sino al 30 giugno al costo di 80 euro. La tessera (annuale) vi dava il diritto di accedere ad una serie di benefici come uno sconto del 10% su acquisti online e presso la cantina, una bottiglia magnum di Carteria N.2, prodotta solo per i membri, una t-shirt, possibilità di partecipare con extra costo ad un evento-cena dedicato in cantina, accesso prioritario all’acquisto di bottiglie vintage e speciali sull’e-shop. La prima opportunità per i membri è scattata qualche settimana fa con la possibilità di acquistare Vintage 2017 di Pié Veloce Brux, Pié Veloce Lambicus e Anniversario.</span></div></div></div><p></p><p><b>La birra.<br /></b><span style="text-align: justify;">Nessun Dorma debutta nella primavera del 2017 ed è la prima Veille Saison di Cà del Brado: una saison “come quelle di una volta” o quasi, come quelle birre che venivano prodotte in Vallonia dai contadini fin verso l’inizio della primavera per essere poi consumate in estate – quando non era più possibile fare birra a causa delle alte temperature - per dissetarsi nel corso delle lunghe giornate di lavoro. Parliamo del diciannovesimo secolo, quando l’acqua in estate l’acqua (non bollita) non era esattamente la fonte idrica più salubre a disposizione di un contadino. Erano birre fatte in ambienti rurali con metodi produttivi che le esponevano inevitabilmente a contaminazioni batteriche e di lieviti selvaggi. </span></p><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Cà del Brado opta per un mosto realizzato con buona percentuale di frumento non maltato e avena, fermentazione in acciaio con Saccharomyces e successivo affinamento da sei ad otto mesi in in tonneaux e barriques che precedentemente contenevano vino, con contaminazione di brettanomiceti e batteri lattici. Al termine dell’affinamento il contenuto dei vari tini viene mescolato con una piccola percentuale della stessa birra giovane, “da poco entrata in cantina, per aggiungere freschezza, eleganza e corpo al carattere”. Nessun Dorma ha debuttato al Festival bolognese Birrai Eretici del maggio 2017. <br /></span><span style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGhR1stHC2JfZTE6z8YDrvhbRaZgAQSyeSXT0CUnpAkxw0UXGz4IB5mcli90iBRhyphenhyphenJW-2okWv72Q7n6I4qKFnjv2QOwFio7HTI8B-ScAhkGcPal6MTyhDFQA1KArasv4a9dkyxsGX4VIA/s600/Ca+del+Brado+Nessun+Dorma2.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGhR1stHC2JfZTE6z8YDrvhbRaZgAQSyeSXT0CUnpAkxw0UXGz4IB5mcli90iBRhyphenhyphenJW-2okWv72Q7n6I4qKFnjv2QOwFio7HTI8B-ScAhkGcPal6MTyhDFQA1KArasv4a9dkyxsGX4VIA/w200-h200/Ca+del+Brado+Nessun+Dorma2.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Come sempre sul sito della cantina è possibile sapere ulteriori dettagli produttivi partendo dal numero del lotto di produzione. Nello specifico parliamo del lotto 18013, imbottigliato nell’ottobre del 2018; per l’affinamento sono stati utilizzati cinque diversi tonneaux da 500 litri che avevano in precedenza ospitato vino Nebbiolo e Barbaresco. <br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Il suo colore oro pallido è velato, la schiuma è generosa ed esuberante, un po’ scomposta, poco persistente. L’aroma è un mix bel riuscito di note funky e rustiche, richiami vinosi, di cantina e di legno, limone, lime, ananas, spezie. Con un po’ più di bollicine sarebbe secondo me perfetta, ma non vorrei trovare per forza il pelo nell’uovo ad una birra che scorre con grande facilità e nasconde benissimo il suo tenore alcolico (6.4%). Il dolce della frutta a pasta gialla e dell’ananas è il delicato meccanismo che sostiene una birra aspra di agrumi e piacevolmente acidula; l’uva bianca anticipa un finale vinoso e molto secco, a tratti legnoso. Rispetto all’aroma viene un po’ a mancare l’aspetto funky/rustico: in evidenza c’è piuttosto un bel frutto a colorare il bicchiere con le tonalità dell’estate, proprio quella che era la stagione delle (Veille) Saison. Birra rinfrescante, corroborante e dissetante ma anche versatile per abbinamenti gastronomici: non aspettate i mesi più caldi dell’anno per berla. Due anni in cantina, invecchiata benissimo, un altro ottimo prodotto marchiato Cà del Brado.</span></div></div></span></div></div>Formato 37,5cl., alc. 6.4%, IBU 10, lotto 18013, scad. 10/2023, prezzo indicativo 8,00 euro (beershop)<p></p><p><span style="font-size: x-small;"><i>NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio</i></span><br /></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-57760549657006419742020-10-26T22:05:00.001+01:002020-10-27T21:49:47.642+01:00Other Half Brewing: Triple Cream, DDH Half Citra + Galaxy, DDH Small Citra Everything, DDH Space Dream & DDH Small Green Everything<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNCFP39Ms73q9Z0LK0gX3KCodk4ZU5FQXDY34we42jW6ZOInBdX8flI6QO1JLPArTr3NixuCVfux_aO5gqLAADSL5rjqqQZfxV91Yo4LAKxrV3xLV_6V9vy94G4ah8HRTIwNA67aUaQwU/s2123/Other+Half+Brewing.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="2123" height="113" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNCFP39Ms73q9Z0LK0gX3KCodk4ZU5FQXDY34we42jW6ZOInBdX8flI6QO1JLPArTr3NixuCVfux_aO5gqLAADSL5rjqqQZfxV91Yo4LAKxrV3xLV_6V9vy94G4ah8HRTIwNA67aUaQwU/w400-h113/Other+Half+Brewing.jpg" width="400" /></a></div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Dopo aver studiato Fermentation Science alla Oregon State University, Sam Richardson ha iniziato la sua carriera professionale lavorando come birraio prima al brewpub The Rake di Seattle e poi al birrificio Pyramid di Portland. Mentre si trovava sulla costa ad est a far visita ai genitori della moglie, Richardson risponde ad un annuncio del birrificio Greenpoint Beer Works di Brooklyn che cercava un birraio, ed ottiene il posto trasferendosi con tutta la famiglia. Alla Greenpoint incontra Matt Monahan, un ex-cuoco stanco degli orari imposti dal mondo della ristorazione: era diventato padre e pensava che lavorando come birraio avrebbe potuto conciliare meglio lavoro e famiglia. I due diventano amici e utilizzano gli impianti della Greenpoint – birrificio che opera soprattutto per conto terzi - <span style="text-align: left;">per produrre quattro birre destinate alle spine di un ristorante pop-up di Andrew Burman, un vecchio conoscente di Monahan. Le birre ottengono grande successo, la voce si sparge, Richardson e Monahan ricevono richieste da altri operatori di settore che vogliono delle birre per i loro locali. <br /></span><span style="text-align: left;">I due amici capiscono che ci sono delle opportunità e vorrebbero mettersi in proprio, ma il problema principale sono i costi della Grande Mela: ci mettono quasi due anni per trovare una location dal prezzo accettabile nel quartiere di Carroll Gardens, a Brooklyn, sotto ai piloni della Gowanus Expressway, grazie ad un <u><a href="https://drinks.seriouseats.com/2014/03/behind-scenes-new-brooklyn-brewery-to-watch-other-half-gowanus-ipa-brewer.html" target="_blank">annuncio su Craigslist</a></u>: </span><span style="text-align: left;"><i>“siamo stati fortunati </i>– ricorda Monahan – <i>questo spazio era completamente vuoto ed aveva quindi un costo accessibile. Abbiamo installato l’impianto, costruito una cella frigo e ricavato una piccola taproom dove c’era un piccolo ufficio”</i>. <br /></span><span style="text-align: left;">Nel gennaio del 2014 Richardson, Monahan e Burman lasciano Greenpoint e lanciano il birrificio Other Half: “l’altra metà”, quella artigianale, dell’industria. L’idea è di concentrarsi su IPA e birre luppolate, puntando tutto sulla loro freschezza: <i>“abbiamo centinaia di clienti, bar e ristoranti che sono nel raggio di dieci chilometri a cui possiamo consegnare la birra in un’ora. Alla sera i pub possono attaccare il fusto di una birra che alla mattina era ancora nei nostri fermentatori</i>”. </span><span style="text-align: left;">Le birre di Richardson sono buone e la loro freschezza le valorizza al massimo: il debutto avviene con la Doug Cascadian Dark Ale (un omaggio al suo nord-ovest) , la Other Half IPA e una Imperial Stout. Ricorda Richardson: “<i>sono cresciuto sulla costa ad ovest e volevo quindi fare una West Coast IPA; quando iniziammo a New York c’erano molte IPA ma erano tutte abbastanza anonime e blande</i>”. Ma il 2014 è anche l’anno in cui il New England spinge la California giù dal trono della Craft Beer: The Alchemist, Trillium e Tree House spodestano i grandi birrifici di San Diego e dintorni in cima alla lista dei desideri dei beergeeks. <br /></span><span style="text-align: left;">Richardson è attento ed è bravo ad intercettare quella fetta di mercato realizzando All Green Everything, probabilmente la prima <u><a href="https://www.grubstreet.com/2019/04/other-half-hottest-brewery-in-new-york-city.html" target="_blank">New England IPA prodotta a New York</a></u>: </span><span style="text-align: left;"><i>“mi accorsi che la gente era interessata a quello stile e le nostre IPA un po’ già ci assomigliavano. Non ho mai detto di averle inventate io, ma siamo stati tra i primi a farle e siamo divenuti famosi per quelle”</i>. <br /></span><span style="text-align: left;">Ma c’è <u><a href="https://thinknydrinkny.com/how-the-craft-ny-act-changed-ny-craft-beer-forever/" target="_blank">un altro fattore determinante</a></u>: </span><span style="text-align: left;">alla fine del 2014 viene approvato il <u><a href="https://www.governor.ny.gov/news/governor-cuomo-signs-craft-new-york-act-and-announces-3-million-promotional-funds-further-raise" target="_blank">Craft New York Ac</a></u>t, una legge che consente ai birrifici di vendere direttamente al pubblico lattine e bottiglie senza essere obbligati a passare tramite un distributore. </span><span style="text-align: left;">Per Other Half è una grande opportunità di incrementare i propri margini, e per i beergeeks newyorkesi di fare quello che i loro amici fanno in molti stati americani: gli appostamenti fuori dal birrificio nel giorno della messa in vendita delle birre. Con pochissimo budget per marketing e pubblicità, Other Half si affida ai social media ed al passaparola tra gli appassionati; dopo due anni, all’inizio del 2017, il <u><a href="https://www.nytimes.com/2017/02/06/dining/craft-breweries-lines-ale.html" target="_blank">New York Times</a></u> </span><span style="text-align: left;">regala ad Other Half quella pubblicità che qualsiasi birrificio vorrebbe: un articolo che descrive la pazzia di centinaia di beergeeks disposti a sfidare il freddo e restare in fila undici ore per riuscire ad accaparrarsi qualche four pack di Green Diamonds o All Green Everything. Nello stesso anno Other Half amplia la propria taproom per meglio accogliere le migliaia di persone (appassionati e curiosi) che nel weekend affollano Carroll Gardens; il magazzino viene spostato in un altro edificio dello stesso isolato. <br />Nell’agosto del 2018 <u><a href="https://brooklyneagle.com/articles/2018/08/07/brooklyns-other-half-brewing-co-finds-second-home-with-upstate-brewery/" target="_blank">Richardson e soci annunciano</a></u> </span><span style="text-align: left;">di avere acquistato per 660.000 dollari gli edifici abbandonati del birrificio Nedloh a East Bloomfield, nei dintorni di Rochester, non lontano dalle rive del Lago Ontario. Oltre ad aumentare la produzione portandola da 11.000 a 16.00 ettolitri, il nuovo birrificio doveva anche dare il via alla produzione di birre acide: per l’occasione viene reclutato Eric Salazar, birraio con esperienza ventennale alla New Belgium, Colorado, in cerca d’occupazione in quella zona. Ma dopo nove mesi Salazar è ancora con le mani in mano in quanto barili e foeders in legno non sono mai arrivati; i tre Other Half stanno infatti progettando l’apertura di altre succursali a Brooklyn e Washington e hanno deciso di posticipare la produzione di sour e wild ales. <u><a href="https://eu.democratandchronicle.com/story/lifestyle/rocflavors/2019/09/19/eric-salazar-other-half-brewing-bloomfield-rochester-ny-beer/2373228001/" target="_blank">Salazar se ne va</a></u> </span><span style="text-align: left;">mentre Monahan <u><a href="https://ny.eater.com/2019/2/11/18220257/other-half-brewing-williamsburg-domino-development" target="_blank">presenta la seconda location</a></u> a Domino Park, </span><span style="text-align: left;">Brooklyn, sotto al Ponte di Williamsburg; l’emergenza Covid-19 ne ha fatto slittare l’inaugurazione che <u><a href="https://www.brooklynpaper.com/other-half-brewing-domino-park/" target="_blank">dovrebbe avvenire</a></u> proprio in queste settimane (ottobre 2020). <br /></span><span style="text-align: left;"><u><a href="https://districtfray.com/articles/other-half-brewing-dc/" target="_blank">Stesse tempistiche </a></u></span><span style="text-align: left;">anche per Other Half Washington, D.C.: gli impianti del nuovo birrificio nella città natale di Burman e Monahan (2000 metri quadri) sono già operativi mentre la taproom con 900 posti a sedere e beer garden da 800 metri quadri potrebbe essere riaperta in questi giorni. <i>“Siamo entusiasti di poter aumentare la produzione delle nostre IPA</i> – ha detto Monahan – <i>ma con questo impianto potremo anche produrre imperial stout e barley wine molto più potenti e anche molte basse fermentazioni”</i>.</span></div><p><b>Le birre.</b><br /></p><div style="text-align: justify;">Buone notizie per gli appassionati europei: in ottobre una selezione di lattine è arrivata anche nel nostro continente, dopo poco più di un mese di viaggio. L’aumentata capacità produttiva di Other Half e, immagino, un calo della domanda domestica dovuta al Covid lo hanno reso possibile. Vediamole rapidamente in ordine di ABV decrescente cercando di rispondere alla solita domanda: “is the hype real?”. Le birre sono state tutte prodotte sull’impianto di Brooklyn e non su quello di Rochester: per i beergeeks anche questo è un dettaglio importante. </div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6V8jfSktEuAT-xZuauJXKKfahz6maWM-KZrcDCDZXJkRzKa6VINnCcmC7rDAozkuxXyPXTAVi0FBheohIMj9fnMSPeyxjxYezupRcmwXClWQxZLx2DhY6PVhFpI2OP9JMyjATit9T9qo/s600/Other+Half+Triple+Cream2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6V8jfSktEuAT-xZuauJXKKfahz6maWM-KZrcDCDZXJkRzKa6VINnCcmC7rDAozkuxXyPXTAVi0FBheohIMj9fnMSPeyxjxYezupRcmwXClWQxZLx2DhY6PVhFpI2OP9JMyjATit9T9qo/w200-h200/Other+Half+Triple+Cream2.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Partiamo dalla Double NEIPA Triple Cream (10%) il cui nome fa riferimento alla cremosità donatole dall’avena e al triplo dry-hopping. Citra, Eukanot, Khatu, Wai-Iti sono i luppoli utilizzati, mentre per l’ultimo dry-hopping sono stati usati Galaxy e Citra Lupulin in polvere. Visivamente simile ad un torbido succo di frutta all’albicocca, ha una bella schiuma cremosa e compatta. Mango, albicocca, pesca percoca e papaia formano una macedonia di frutta molto matura nella quale ci finisce anche qualche frammento di pompelmo. Il gusto è coerente, dolce ma non troppo, merito di una chiusura sorprendente secca che fa il miracolo in assenza pressochè totale di amaro. S’avverte giusto uno zic resinoso. Il corpo è quasi pieno, è una birra masticabile ma non particolarmente cremosa. L’alcool si sente solamente a fine corsa ma il suo maggior pregio è la completa mancanza di quegli spigoli e di quelle incrinature (hop burn) che spesso affliggono il mondo delle NEIPA. Impalcatura ineccepibile, birra molto buona e pulita: nonostante questo le Double NEIPA raramente riescono ad emozionarmi e questa non fa eccezione. Colpa mia.</div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6HLglN0KolxlVK-xn1oJoFU6wiCbPYXrvzocykhkbKEv_9TzduWpO-tztsZMZ2t6rH2tSlPnlfnQ73zAhFSKWElKAlN8NGChpICzSBMPy0MCzxzsRpgN66yJ0IdPX-CZA0BxSoB5gLzw/s600/Other+Half+DDH+Half+Citra+Galaxy2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6HLglN0KolxlVK-xn1oJoFU6wiCbPYXrvzocykhkbKEv_9TzduWpO-tztsZMZ2t6rH2tSlPnlfnQ73zAhFSKWElKAlN8NGChpICzSBMPy0MCzxzsRpgN66yJ0IdPX-CZA0BxSoB5gLzw/w200-h200/Other+Half+DDH+Half+Citra+Galaxy2.jpg" width="200" /></a></div>Passiamo alla DDH Citra + Galaxy, altra Imperial IPA (8.5%) dove imperversano Citra, Galaxy e luppolina di Citra. Visivamente identica alla sorella maggiore, ha un profilo aromatico abbastanza simile nel quale emergono pesca, albicocca, papaia e mango. Definizione e precisione potrebbero però essere migliori. Al palato si ha la sensazione di sorseggiare un succo di frutta tropicaleggiante, le bollicine sono un po’ più presenti del dovuto e quindi il mouthfeel NEIPA ne risulta un po’ penalizzato all’inizio. L’alcool è ben gestito ma è maggiormente in evidenza rispetto alla Triple Cream, soprattutto nel finale: chiude con un amaro resinoso/vegetale piuttosto educato, che non lascia nessun grattino. Double NEIPA ben fatta, di nuovo avara di emozioni e non impeccabile per quel che riguarda definizione e pulizia.</span></div><p></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-8LGqbXhPih9nhX4-WoNbDvUm_k3E2CBNZZ-QP1yJv1p0KGtfWFpqacEd2MAfWuSVjlBptCumkXt1uLDSjL3Opy8I_WEuA2SgSvo8EbJGUekAYstQyYMWsWSVhZPIFwfj1_QE5d7eMck/s600/Other+Half+DDH+Small+Citra+Everything2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-8LGqbXhPih9nhX4-WoNbDvUm_k3E2CBNZZ-QP1yJv1p0KGtfWFpqacEd2MAfWuSVjlBptCumkXt1uLDSjL3Opy8I_WEuA2SgSvo8EbJGUekAYstQyYMWsWSVhZPIFwfj1_QE5d7eMck/w200-h200/Other+Half+DDH+Small+Citra+Everything2.jpg" width="200" /></a></div>Continuiamo a percorre la scala ABV scendendo a 6.5% con la IPA Small Citra Everything; questa single-hop è di color arancio, torbido ma luminoso: anche in questo caso la schiuma è cremosa, compatta e molto persistente, cosa che non accade sempre nelle NEIPA. E Citra sia: arancia, mandarino, pompelmo dominano un aroma nel quale avverto anche qualche nota di ananas. In questo caso la pulizia è maggiore dell’intensità e i profumi non sono esplosivi. Non si tratta tuttavia di un succo di frutta sfacciato: si riesce ancora a percepire l’elemento birra (pane, crackers) prima di un finale zesty, a tutta scorza d’agrumi. Sarebbe una birra piuttosto gradevole ma c’è una nota amara vegetale, piuttosto pesante, che non rientra esattamente nella mie corde. Questione di gusti. Non amo le IPA mono-Citra, in particolare per quel che riguarda l’amaro che quel luppolo impartisce: avesse un bel finale resinoso in stile West Coast guadagnerebbe un paio di punti.<br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhWeYc_QEGE4WST8DIUeaiHGbWbmwo5IODjGcTkOmz0k8OzHIOJuqroCVdQQ_cHUDM5x-ylFWqIZ6JP5ed3EQHFLdJV-goQgWHDNsL1zLSjqtCAJ5PvRA8IvgKfm2hgTCI4S5bWK4zYuWk/s600/Other+Half+DDH+Space+Dream2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhWeYc_QEGE4WST8DIUeaiHGbWbmwo5IODjGcTkOmz0k8OzHIOJuqroCVdQQ_cHUDM5x-ylFWqIZ6JP5ed3EQHFLdJV-goQgWHDNsL1zLSjqtCAJ5PvRA8IvgKfm2hgTCI4S5bWK4zYuWk/w200-h200/Other+Half+DDH+Space+Dream2.jpg" width="200" /></a></div>Space Dream è invece una IPA (6%) nel quale il Galaxy è affiancato da lattosio ed avena per darle un mouthfeel lussureggiante: operazione riuscita solo in parte, la birra è solida e chewy ma non particolarmente morbida. Pesca, mango, ananas, arancia e pompelmo sono affiancate da qualche suggestione di panna donata dal lattosio. Anche Space Dream mantiene le parvenze di una birra, dietro alla sembianze “Juicy”: non è una NEIPA estrema e sfacciata, peccato che il gusto sia meno definito e preciso rispetto all’aroma. Il testimone passa dalla frutta tropicale agli agrumi in un finale nel quale è protagonista il pompelmo, affiancato da una nota amara resinosa che non gratta e che lascia una scia abbastanza breve. Nessuna Madonna, ma senz’altro una bella bevuta.<br /></span><span style="text-align: left;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCZtlIJxaBjZM-uEJr3dkr72970jNaCIhj-i2bUr4IfhgJdaPnQhvBqeJXhCPHVbVxFJFWYRiaF-kWEOX-Q9dDRuV6imDGuMAjKhkg139I4kTqQFvipqBtzhpgRJaxFAX4qik5-0x5x6A/s600/Other+Half+DDH+Small+Green+Everything2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCZtlIJxaBjZM-uEJr3dkr72970jNaCIhj-i2bUr4IfhgJdaPnQhvBqeJXhCPHVbVxFJFWYRiaF-kWEOX-Q9dDRuV6imDGuMAjKhkg139I4kTqQFvipqBtzhpgRJaxFAX4qik5-0x5x6A/w200-h200/Other+Half+DDH+Small+Green+Everything2.jpg" width="200" /></a></div>Chiudiamo questa breve rassegna con Small Green Everything (4.8%), sorellina della più famosa Double IPA All Green Everything, una delle prime NEIPA prodotte da Other Half e una delle birre che hanno contribuito al suo successo. Il suo colore velato oscilla tra il dorato e l’arancio, mentre al naso c’è un bouquet abbastanza intenso e pulito composto da note dank, arancia, pompelmo e frutta tropicale. Pane e crackers, frutta tropicale dolce, finale amaro che oscilla tra zesty, dank e resinoso: ci sono tutte le caratteristiche per una (Session) IPA moderna e l’esecuzione di Other Half è convincente. Alcool fantasma, grande facilità di bevuta, buona presenza palatale, finale secco, amaro educato ed abbastanza persistente. Potere della semplicità: se siete un po’ fuori moda e amate la birra che sa di birra, questa è senz’altro la Other Half che vi consiglierei di bere tra quelle arrivate in Europa.<br /></span><span style="text-align: left;">Non mi soffermerei troppo sul fattore prezzo. Vale la pena spendere 25 euro al litro per una IPA (4.8%)? Ovviamente no, ma se siete beergeeks incalliti o grandi appassionati è un’occasione ghiotta per provare delle birre che potreste altrimenti bere solo a New York. Il viaggio vi costerebbe di più, e chissà quando potrete farlo. </span><span style="text-align: left;">Per chi invece ama soltanto bere una buona NEIPA, ci sono alternative altrettanto valide in Italia e in Europa: non vi bastano i già (tanti) 12-15 euro al litro ?</span></div><p>Nel dettaglio<br />Triple Cream, 47,3 cl., alc. 10%, lotto 03/09/2020, prezzo indicativo 14,00 euro (beershop) <br />DDH Half Citra + Galaxy, 47,3 cl., alc. 8.5%, lotto 01/09/2020, prezzo indicativo 13,00 euro (beershop) <br />DDH Small Citra Everything, 47.3 cl., alc. 6.5%, lotto 07/09/2020, prezzo indicativo 12,00 euro (beershop)<br />DDH Space Dream, 47.3 cl., alc. 6%, lotto 31/08/2020, prezzo indicativo 12,00 euro (beershop)<br />DDH Small Green Everything, , 47.3 cl., alc. 4.8%, lotto 27/08/2020, prezzo indicativo 12,00 euro (beershop)</p><p><br /><span style="font-size: x-small;"><i>NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio</i></span><br /></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-26274563196007143482020-10-21T23:17:00.001+02:002020-10-21T23:17:16.271+02:00Almanac Sunshine and Opportunity - Barrel Aged<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh00JfdBkgpchzQ6-xFVAlAP9x9c8J6nNXEkqSBj-6b9VQIZhxem7sJeJO7Tl-daP9l7Up2qDvSL8xI5WSbRXjluKK3feo2LtvDN4yZETPfnfCXrVQe0url0qrxIkiaek4nEdZeDg6KJnc/s600/Almanac+Sunshine+and+Opportunity.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="394" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh00JfdBkgpchzQ6-xFVAlAP9x9c8J6nNXEkqSBj-6b9VQIZhxem7sJeJO7Tl-daP9l7Up2qDvSL8xI5WSbRXjluKK3feo2LtvDN4yZETPfnfCXrVQe0url0qrxIkiaek4nEdZeDg6KJnc/s320/Almanac+Sunshine+and+Opportunity.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;">Di Almanac Beer Company <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2014/11/almanac-farmers-reserve-citrus.html" target="_blank">vi avevo parlato nel 2014</a></u>: beerfirm fondata a San Francisco da Jesse Friedman e Damian Fagan, dopo essersi conosciuti nel 2007 ad un club di homebrewing si scoprono appassionati anche di cibo di qualità, di prodotti a Km 0 e di mercati contadini. Abbozzano qualche idea per iniziare assieme una professione: un bar, un cafè o un negozio per homebrew? Meglio ancora un birrificio: in mancanza di capitali per dotarsi d’impianti propri i due optano per la soluzione low cost della beer firm. <br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Dopo tre anni passati ad esercitarsi ed affinare le ricette nei rispettivi appartamenti, a cotte da venti litri per volta, nel 2010 i due sarebbero pronti per partire ma scoprono che il nome da loro scelto, Old Oak Beer Co., potrebbe infrangere qualche copyright; per evitare qualsiasi noia legale, decidono di cambiarlo in Almanac Beer Co., corredato dal motto “Farm to Bottle” (dalla fattoria alla bottiglia) mutuato dalla filosofia del “Farm to Table”. La scelta vuole mettere in risalto il legame con il territorio circostante che i due imprenditori intendono valorizzare: l’Almanacco è quello dell’agricoltore, della stagionalità delle colture: l’idea è di utilizzare frutti o altri ingredienti provenienti dalle fattorie della California settentrionale per produrre birre maturate in legno, destinate alla tavola ed agli abbinamenti gastronomici. </span><span style="text-align: left;">A giugno 2011 arrivano le prime bottiglie della Summer 2010 Blackberry Ale, una birra acida realizzata con quattro diverse varietà di more provenienti dalla Sebastopol Berry Farm della contea di Sonoma ed invecchiata per undici mesi in botti di vino rosso. Viene prodotta presso gli impianti della Drake’s di San Leandro, nella baia di San Francisco, mentre le altre birre saranno principalmente realizzate alla Hermitage Brewing Co. di San Jose. Nelle birre ci finiscono progressivamente moltissimi altri ingredienti provenienti da aziende agricole e da piccoli produttori californiani: agrumi, uva, prugne, pesche, miele, cacao, vaniglia e finocchio, solo per citarne alcuni. Almanac si specializza in birre acide affinate in legno e, anziché in un impianto di produzione, Friedman e Fagan preferiscono acquistare un migliaio di botti e due tini di rovere da 4000 litri. Ma nel 2014 è anche arrivata la prima birra “normale” per Almanac: una India Pale Ale, nonostante Friedman e Fagan si erano sempre dichiarati contrari a realizzare una birra che avrebbe avuto – a loro dire – troppa concorrenza. <br />Alla fine del 2016 Almanac <u><a href="https://sf.eater.com/2016/12/30/14115566/almanac-taproom-open-photos-san-francisco#0" target="_blank">inaugura la taproom</a></u> </span><span style="text-align: left;">nel Mission District di San Francisco: una dozzina di spine, 75 posti a sedere all’interno, altri 25 nel piccolo beer garden e cucina informale affidata al cuoco Chad Arnold. </span><span style="text-align: left;">Ma il vero cambiamento arriva nel 2018 quando viene inaugurata la nuova sede ad Alameda in un ex hangar aeronautico del 1942 fatto ristrutturare dal birrificio ThirstyBear di San Francisco per ospitare il suo progetto <u><a href="https://admiralmaltings.com/" target="_blank">Admiral Maltings</a></u>: </span><span style="text-align: left;">l’ultima malteria in California aveva chiuso i battenti un secolo prima. Almanac prende in affitto una parte del fabbricato – 3000 metri quadri – nel quale trovano posto gli impianti di produzione, una taproom e un beergarden. <i>“Il nostro mercato di riferimento è diventato molto affollato</i> - <u><a href="https://companyweek.com/article/almanac-beer-company" target="_blank">dichiarò Fagan</a></u> - </span><span style="text-align: left;"><i>improvvisamente quasi tutti I birrifici si sono messi a fare birre acide e i prezzi sono scesi. Il nostro modello d’impresa non sarebbe stato sostenibile a lungo”</i>.<br /></span><span style="text-align: left;">Almanac non è più una beerfirm, diventa birrificio ma dopo pochi mesi <u><a href="https://www.sfchronicle.com/food/article/Co-founder-Jesse-Friedman-steps-down-from-Almanac-13141779.php" target="_blank">Jesse Friedman se ne va</a></u>, </span><span style="text-align: left;">mantenendo le proprie quote societarie ma lasciando il ruolo di birraio a Phil Emerson. Le ragioni della separazione non sono mai state rese note. All’inizio del 2019 la taproom di San Francisco <u><a href="https://sf.eater.com/2019/1/7/18172226/almanac-beer-closing-san-francisco-taproom-mission-brewery" target="_blank">viene definitivamente chiusa</a></u>. </span></div></div><p></p><p><b>La birra.</b><br /></p><div style="text-align: justify;"><u><a href="https://beerpulse.com/2016/05/almanac-beer-co-releases-beer-in-cans-4228/" target="_blank">La prima birra in lattina</a></u> di Almanac risale alla primavera del 2016, grazie ad una collaborazione con il birrificio collaboration with Speakeasy di San Francisco: pilsner, due saison e una IPA. Oggi anche le birre acide affinate in botte vengono commercializzate nello stesso formato, come ad esempio la Farmhouse Sour Ale chiamata Sunshine & Opportunity, riferimento alla California: terra “del sole e delle opportunità”. Questa Sour Ale viene prodotta con malti Admiral Pale, Aromatic, frumento, avena e viene poi invecchiata in botti di rovere con aggiunta di succo di pera e con un delicato dry-hopping di Citra, Sabro e Mosaic. <span style="text-align: left;">Ne sono state realizzate anche una versione Lavender Honey Edition, con aggiunta di lavanda e miele, ed una colorata Rosé Edition con uva Merlot e ibisco.<br /></span><span style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxQ5eiRkRWm3QrsFgyoDjkhpDjAW2JIN7Nb7PzYPx5_HpIQ1slb3ee2ZPAtJIbk3Dqv09xY3guNxpCrcJEfsENj-GFEsaLovrT3QFfWWOjLoiHu0lGay0NbQIBnnfaxQmws3nzFyUlRWk/s600/Almanac+Sunshine+and+Opportunity2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxQ5eiRkRWm3QrsFgyoDjkhpDjAW2JIN7Nb7PzYPx5_HpIQ1slb3ee2ZPAtJIbk3Dqv09xY3guNxpCrcJEfsENj-GFEsaLovrT3QFfWWOjLoiHu0lGay0NbQIBnnfaxQmws3nzFyUlRWk/w200-h200/Almanac+Sunshine+and+Opportunity2.jpg" width="200" /></a></div>Restiamo sulla Sunshine & Opportunity originale che si presenta di color dorato, quasi limpido e un generoso cappello di schiuma pannosa dall’ottima persistenza. Agrumi, pera, frutta tropicale, pepe bianco, lime, legno e un lieve carattere funky/rustico: l’interazione tra luppoli, lievito e botte funziona alla perfezione e regala un naso fresco, pulito, elegante e intenso. L’etichetta mette in evidenza lo slogan <i>tart-refreshing-tropical</i> e la birra mantiene le promesse: al palato è piacevolmente acidula, un tappeto dolce di tropicale e pera bilancia la secchezza e l’asprezza degli agrumi. A fronte di una bella intensità non c’è tuttavia grande profondità e s’avverte qualche accenno legnoso solo nel finale. E’ una Sour Ale ruffiana e piaciona nella quale la frutta eclissa il funky: l’alcool (5.8%) è inesistente e la birra è assolutamente rinfrescante, perfetta per i mesi più caldi dell’anno. Sunshine & Opportunity, ovvero una <i>Gently Sour </i>fatta per piacere che coglie nel segno. <br /></span><span style="text-align: left;">Formato 47,3 cl., alc. 5.8%, lotto 29/01/2020, prezzo indicativo 9.00 euro (beershop)</span></div><p></p><p></p><p><span style="font-size: x-small;"><i>NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio</i></span><br /></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3863088219538276735.post-74148781696824047952020-10-16T22:24:00.007+02:002020-10-19T09:04:17.918+02:00Track Brewing Co.: Track Half Dome Pale Ale & Paper Moon IPA<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8ra3oqCvgWqptre86x2K8-HWM_XnYx_-oM1U8VIlRAzaJ4Uzs4y3q6LZoNU-h-QEx7y0f47dJKD0huw8KawvZbU-6VeQUn6GT2G8R62gZNo0w_lsoep_qNccvnOmQV4vk_kmWx8n0TxM/s801/Track+Track+Half+Dome+%2526+Paper+Moon+.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="801" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8ra3oqCvgWqptre86x2K8-HWM_XnYx_-oM1U8VIlRAzaJ4Uzs4y3q6LZoNU-h-QEx7y0f47dJKD0huw8KawvZbU-6VeQUn6GT2G8R62gZNo0w_lsoep_qNccvnOmQV4vk_kmWx8n0TxM/w400-h300/Track+Track+Half+Dome+%2526+Paper+Moon+.jpg" width="400" /></a></div><br /><p style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Torniamo a parlare di Track Brewing, birrificio di Manchester che avevamo incontrato per la prima volta un paio di anni fa. La sua sede è in quel Piccadilly Beer Mile che cerca di replicare il più famoso Bermondsey Beer Mile di Londra, ovvero un chilometro di strada ad alta concentrazioni di birrifici e pub sotto le arcate della ferrovia. Partendo dalla stazione di Piccadilly passerete in rassegna Beer Nouveau, Chorlton Brewing Company, Manchester Brewing Company, Manchester Union Brewery, Alphabet Brewing Company, The Runaway Brewery, Blackjack Brewery, The Marble Arch, Cloudwater e Track Brewing. La maggior parte di loro è aperta solo il weekend, ma negli altri giorni la birra non manca grazie al Beatnikz Republic Bar, alla Port Street Beer House e alla Seven Brothers Beerhouse. <br /></span><span style="text-align: left;">Track fu fondato alla fine del 2014 da Sam Dyson: aveva fatto un po’ di homebrewing ai tempi dell’università ma fu un lungo tour in bicicletta (7500 chilometri!) negli Stati Uniti, dall'Oregon al Colorado, passando per la California, <u><a href="https://www.brewersjournal.info/heading-in-the-right-direction-track-brewing-co/" target="_blank">a far scattare in lui </a></u>la voglia di mettere in piedi un microbirrificio:<i> </i></span><span style="text-align: left;"><i>“in ogni città, in ogni paese c’era un birrificio e – credetemi- dopo un giorno passato a pedalare tutto quello che desideri è una birra fresca. Ho bevuto degli stili che neppure sapevo esistessero da birrifici a me sconosciuti come Russian River o New Belgium. Ma oltre alla birra mi colpì la gente che incontravo in quei posti, di ogni ceto sociale, tutti che bevevano assieme. Mi chiesi se posti come quelli esistessero nel Regno Unito. Avrei dovuto iniziare a fare birra al ritorno dal mio viaggio negli USA ma non conoscevo nessuno nel mondo della birra. Così mi rimisi in sella e passai altri due anni in giro per Nuova Zelanda e Australia, Turchia, Sud America”.<br /></i></span><span style="text-align: left;">Rientrato a Londra, Dyson scopre che le cose stanno cambiando anche nel Regno Unito: lavorava e alloggiava proprio nella zona di Bermondsey, viveva la rinascita brassicola londinese e iniziò a frequentare un corso sulla produzione per poi fare pratica alla Camden Brewery, anche se ma <i>“mi fu subito chiaro che non mi sarei mai potuto permettere di aprire un birrificio a Londra”</i>. </span><span style="text-align: left;">La scelta cade sulla nativa Manchester, nei pressi della stazione ferroviaria di Piccadilly (5 Sheffield Street), sfruttando i prezzi contenuti e la temperatura costante nel corso dell'anno (15-18 gradi) che quei locali offrono. Ad aiutarlo arriva dopo qualche anno il birraio Matt Dutton, fresco vincitore del National Homebrew Champion organizzato dal Brewdog bar di Manchester; del team fanno oggi parte anche Will Harris e Lewis Horne (ex Northern Monk) che si occupano delle birre acide e degli invecchiamenti in botte. <br />Ma la birra che ha permesso a Track di spiccare il volo è la Pale Ale Sonoma (3.8%) che ancora oggi occupa il 50% della capacità produttiva. </span><span style="text-align: left;">Il birrificio si è subito dotato di una piccola taproom che alla fine del 2018 è stata spostata per fare spazio agli impianti nel vicino complesso di Crusader Mill, con una bella vista sui tetti di Manchester; il contratto d’affitto di Track è però scaduto nel 2019 e non è stato rinnovato in quanto Crusader Mill è sottoposto ad una ristrutturazione edilizia. In soccorso sono arrivati gli amici di Cloudwater che hanno messo a disposizione loro un piccolo spazio all’interno del proprio edificio nel Piccadilly Trading Estate per permettere a Track di realizzare un “pop-up taproom e beershop”. Dyson sembra intenzionato a lanciare una campagna di crowdfunding per espandersi e trasferire definitivamente il proprio birrificio nel Piccadilly Trading Estate, proprio di fronte a Cloudwater.</span></p><p><b>Le birre. </b><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCo8bwOhzK3vFALo3mEFgAvQxUjdMc_PpZu-vl8PSZnOQSKL50mbCg9V0EwzPFs_A4JuBjYJo6LwY6LTtrksCFVr2BVaGdTsX0Mm2XEEXl4ouJwBrZd3-yT9x3Vk7Zu6llhlE-9tMZ_Ps/s600/Track+Track+Half+Dome+.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCo8bwOhzK3vFALo3mEFgAvQxUjdMc_PpZu-vl8PSZnOQSKL50mbCg9V0EwzPFs_A4JuBjYJo6LwY6LTtrksCFVr2BVaGdTsX0Mm2XEEXl4ouJwBrZd3-yT9x3Vk7Zu6llhlE-9tMZ_Ps/w200-h200/Track+Track+Half+Dome+.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Dopo le ottime impressioni sulla <u><a href="https://unabirralgiorno.blogspot.com/2018/01/track-brewing-wylam-loose-morals-rye-ipa.html" target="_blank">IPA Loose Morals</a></u> realizzata in collaborazione con Wylam, vediamo altre due produzioni Track partendo dalla Pale Ale Half Dome (5.3%): il nome è ovviamente un riferimento all’enorme roccia di granito nella Yosemite Valley, mentre il mix di luppoli include Galaxy, Citra e Simcoe. Nel bicchiere è di color arancio pallido, piuttosto velato, mentre l’esuberante schiuma, parecchio scomposta, ha lunga ritenzione. Cedro, bergamotto, mandarino, limone, fiori: il bouquet dominato dagli agrumi è fresco e pulito, intenso, elegante. Al palato l’intensità cala un po’ di tono ma non ci si può lamentare visto che stiamo parlando di una birra dalla gradazione alcolica contenuta. Sono sempre gli agrumi a guidare le danze di una bevuta molto zesty, secca e pulita, sorretta da un sottofondo dolce di agrumi canditi ed ananas. In alcuni passaggi c’è davvero il rischio dell’effetto “aranciata”, dovuto anche al fatto che questa Pale Ale è praticamente priva di amaro e nel finale si spegne: personalmente credo che un po’ di quel carattere terroso-lemongrass tipico della tradizione anglosassone le gioverebbe moltissimo. Ma il suo problema principale è l’eccessiva carbonazione, annunciata da un leggero gushing: se avete la pazienza di aspettare che le bollicine si calmino, berrete una birra molto pulita e ben fatta.</div><p></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5ufl5yt6yQdC_AydsB45eP8UUdJDSBZvd-MMxZ99TEN37Ra6xJBV5i4t4cLsrF8uJtxivCfhd7UuHbh40NLz2UqHnfR1K5lzLlvB6CstWwowaNW8BP__bvQOOdwrULpu7qmv24W8XoBo/s600/Track+Paper+Moon2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5ufl5yt6yQdC_AydsB45eP8UUdJDSBZvd-MMxZ99TEN37Ra6xJBV5i4t4cLsrF8uJtxivCfhd7UuHbh40NLz2UqHnfR1K5lzLlvB6CstWwowaNW8BP__bvQOOdwrULpu7qmv24W8XoBo/w200-h200/Track+Paper+Moon2.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Passiamo a Paper Moon, una nuova NEIPA (6%) che ha debuttato lo scorso luglio a ritmo di Mosaic, Citra e Vic Secret. Anche lei si presenta di color arancio pallido, piuttosto torbido, e una schiuma fin troppo generosa e molto persistente. Il suo biglietto da visita è un naso fresco ed intenso, fine, molto pulito: ananas, arancia, cedro, lychee, pesca, accenni dank e floreali. Anche Paper Moo paga il pegno di una carbonazione troppo elevata che compromette quella morbidezza palatale che una NEIPA dovrebbe avere. E anche i sapori sono meno definiti e meno eccitanti rispetto ai fuochi d’artificio dei profumi: diamo un po’ di colpa alle bollicine in eccesso, ma il calo d’intensità da profumi a sapori è un problema che affligge molte NEIPA. Un po’ di delusione c’è, ma la bevuta è comunque di buon livello, un succo di frutta molto gradevole che termina con un finale resinoso cortissimo. Il suo potenziale è un po’ inespresso e bisogna aver un po’ di pazienza ed aspettare che la carbonazione si calmi un po’. A parte questo difetti che le fanno perdere un paio di punti, nel bicchiere c’è una NEIPA dal grande aroma e – fattore di importanza fondamentale per me – priva di quegli spigoli e di quelle ruvidezze (<i>hop burn</i>) che spesso rendono meno piacevole del previsto la bevuta di queste birre alla moda.<br /><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Nel dettaglio: <br /></span><span style="text-align: left;">Half Dome, 44 cl., alc.5.3%, lotto 06/08/2020, scad. 06/12/2020, prezzo indicativo 6,00 euro (beershop)<br /></span><span style="text-align: left;">Track Paper, 44 cl., alc. 6.o%, lotto 15/07/2020, scad. 15/11/2020, prezzo indicativo 6,50 euro (beershop)</span></div></div><p><span style="font-size: x-small;"><i> NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio</i></span><br /></p>UBAG - Una Birra Al Giorno.http://www.blogger.com/profile/05021665359599062673noreply@blogger.com0