L’origine del French Toast sembra essere piuttosto umile ma non certa: pane raffermo (“pain perdu”, in francese) al quale veniva data nuova vita immergendolo in un liquido: acqua o latte, ad esempio. Nella lingua anglosassone il termine apparve per la prima volta in Irlanda nel 1660 nel libro The Accomplisht Cook: in questo caso l’aggettivo “french” non era però riferito alla provenienza geografica ma al verbo “to french” che significava “tagliare a fette”. Alla metà del diciannovesimo secolo la grande carestia costrinse molti irlandesi ad emigrare negli Stati Uniti portandosi dietro usi e costumi: la frase “french toast” apparve per la prima volta nel 1871 nella Encyclopedia of American Food and Drink.
Secondo altri il French Toast fu un’invenzione di Joseph French che in una taverna di Albany (New York), ebbe nel 1724 l’idea d’immergere del pane in una pastella di uova, latte e zucchero e friggere il tutto nel burro. La grammatica non era il suo forte e quindi dimenticò il genitivo sassone che gli avrebbe attributo la paternità del French’s Toast. La ricetta si diffuse rapidamente su tutta la costa orientale; l’idea che si trattasse di un piatto proveniente dalla raffinata tradizione culinaria francese era oltretutto un’ottima scusa per far pagare ai clienti qualche dollaro in più. Vaniglia, cannella e sciroppo d’acero completano un piatto “americano” il cui apporto calorico potrebbe probabilmente soddisfare il vostro fabbisogno di un’intera giornata. Magari del 28 di Novembre, giorno in cui si celebra il French Toast National Day.
Del birrificio Wicked Weed di Asheville, Carolina del Nord, abbiamo già parlato in più di un’occasione. Lo hanno fondato nel 2012 Walt e Luke Dickinson per poi cederlo nella primavera del 2017 alla multinazionale AB-InBev. Nel 2014 alla taproom di Asheville era possibile assaggiare la versione liquida di un French Toast, ovvero una Stout (8.8%) prodotta con aggiunta di cannella, vaniglia e sciroppo d’acero. All’inizio del 2016 la Stout è poi stata per la prima volta messa anche in lattina e distribuita al di fuori delle porte del birrificio. A novembre, dopo qualche mese, è arrivata in bottiglia la versione invecchiata in botti ex-bourbon provenienti dal Kentucky; anche questa birra era stata precedentemente disponibile in anteprima esclusiva alla taproom (2015).
Nel bicchiere è quasi nera, la schiuma è generosa e abbastanza compatta. L’aroma mantiene le promesse scritte in etichetta: domina lo sciroppo d’acero affiancato dal dolce della vaniglia, del caramello e della frutta sotto spirito. La cannella rimane fortunatamente nelle retrovie, il bourbon completa un naso intenso, caldo e avvolgente. Oggi quando in etichetta sono presenti determinati ingredienti c’è sempre il rischio di trovarsi di fronte ad una “pastry”: c’è chi le adora, chi le sopporta a fatica. Fortunatamente questa di Wicked Weed è ancora un birra e non un maldestro dessert in forma liquida: gli “adjuncts” non vanno oltre il limite ma il suo problema di fondo è l’essere eccessivamente dolce. Da una birra chiamata “French Toast“ non mi aspettavo certamente una valanga di caffè e di torrefatto, ma qui manca equilibrio. Il dolce di sciroppo d’acero, melassa, vaniglia, datteri e uvetta trova solo un parziale antagonista nel legno e nell’alcool del bourbon che tuttavia fanno quello che possono. Il risultato è gradevole per qualche sorso, ma alla lunga satura il palato e ci vuole più del previsto per finire la bottiglia: meglio se la condividete con qualcuno. E in assenza di amaro dovrete provvedere da soli: magari abbinateci qualche chicco di caffè ricoperto di cioccolato fondente.
Formato 37,5 cl., alc. 11.4%, imbott. 10/01/2018, prezzo indicativo 10-12 euro (beershop)NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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