domenica 11 ottobre 2015

Struise Aestatis

Il già ampio catalogo del birrificio belga De Struise, guidato da Carlo Grootaert e Urbain Coutteau, viene arricchito nella primavera del 2015 da un'ulteriore novità. La birra viene realizzata in collaborazione con il Monk's Cafè di Stoccolma, un brewpub con una serie di bar e locali disseminati nella capitale svedese e da tempo "partner" commerciale degli Struise. Per il Monk's il birrificio aveva già prodotto la Svea IPA, e assieme al Monks gli Struise inaugurarono nel settembre 2013 il loro bar a Stoccolma, all'interno del Monks Whisky Paradise in Munkbron 15. 
La Scandinavia e la Svezia in particolare sono uno dei mercati che "gli Struzzi" hanno particolarmente a cuore e dove le loro (spesso molto alcoliche) produzioni vengono apprezzate. Non è quindi una sorpresa che dalla collaborazione con il proprio partner svedese nasca un'assurda "Imperial Saison" con un ABV dell'11% e chiamata con un bel po' di ironia Aestatis, ovvero "estate". Vero che le Saison erano le birre che i contadini ed i braccianti bevevano in quella stagione dell'anno per dissetarsi e rinfrescarsi durante le dure giornate di lavoro: ma si trattava per ovvi motivi di birre dal basso contenuto alcolico che dovevano sostituire l'acqua, spesso ritenuta poco salubre.
Bottiglia di Aestatis ("Vintage 2015" in etichetta) che si presenta nel bicchiere di colore ambrato velato, con qualche riflesso arancio; la schiuma è abbastanza fine e cremosa, compatta, ed ha una buona persistenza. L'aroma è quasi sfacciato e butta nella mischia un carico importante di dolce frutta tropicale (papaia, mango), pesca, arancia e fragola; l'impressione non è esattamente quella di frutta fresca ma piuttosto di sciroppo, di marmellata, di canditi. La schiuma regala sentori floreali, i malti quelli di biscotto mentre l'alcool porta il suo benvenuto anche al naso; in questo caso l'opulenza non viaggia a pari passo con l'eleganza. 
E' sufficiente il primo sorso a mettere le cose in chiaro: al dispetto del nome "estivo", questa è una birra che riscalda e che va sorseggiata con calma. Il corpo è medio, mentre la sua consistenza oleosa e leggermente viscosa al palato non si sposa bene con la vivace carbonazione. Il gusto è piuttosto dolce e zuccherino, ricco della stessa frutta dell'aroma nella forma dei canditi, della marmellata e dello sciroppo, con note biscottate e, lievissime, di caramello; a contrastarlo ci sono una leggera acidità, un discreto calore etilico e una chiusura amara (erbacea, terrosa) che si limita al ruolo di sparring partner senza ambizioni di protagonismo. L'attenuazione è tutto sommato buona, se si considera la gradazione alcolica, e concede al palato quei pochi istanti di riposo necessari per poi assaporare il lungo retrogusto dolce di frutta sotto spirito nel quale l'alcool, benché morbido e non "bruciante" si fa comunque sentire parecchio. Del carattere rustico e "ruspante" di una saison non v'è ovviamente traccia,  con l'espressività del lievito che viene completamente oscurata da quel "tanto", da quel "troppo" che costituisce la spina dorsale di questa Aestatis. 
Una birra molto intensa ma altrettanto noiosa ed inutile, nel senso che non aggiunge nulla a quanto già fatto dagli Struise: se volete qualcosa di molto alcolico da sorseggiare con calma dopocena per scaldarvi ci sono  già Pannepot e Black Albert, nelle loro innumerevoli declinazioni, che svolgono alla perfezione il compito.
Formato: 33 cl., alc. 11%, IBU 59, lotto 130391214, scad. 21/06/2020, pagata 3.20 Euro (drink store, Belgio).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

sabato 10 ottobre 2015

Canediguerra Brown Porter

Tra i debutti del 2015 c'è anche quello di Canediguerra, birrificio dal nome abbastanza originale con richiami musicali che portano in direzione di Francesco De Gregori o, se devo seguire il mio gusto, dei Pink Floyd. Il debutto è solo di nome, perché di fatto alla guida di Canediguerra c'è un birraio che qualsiasi appassionato di vecchia data riconosce: si tratta di Alessio "Allo" Gatti, un passato da homebrewer sin dai tempi delle scuole superiori e un carriera professionale che inizia al Birrificio Bruton per poi proseguire da Birra del Borgo, Toccalmatto, Brewfist e Bad Attitude.  Colui che è probabilmente il birraio più "zingaro" d'Italia (o il Bobo Vieri dei birrai, se preferite) ha finalmente aperto le porte del proprio birrificio lo scorso gennaio ad Alessandria.
La produzione, in attesa del Belgio, parte con una Bohemian Pilsner che viene seguita da un American IPA; l'ultima arrivata guarda invece alla tradizione anglosassone ed è una Brown Porter. Molto minimalista l'impostazione grafica sia del sito internet, ancora piuttosto avaro di contenuti, che della grafica delle etichetta, costituita da semplici e ripetitivi pattern geometrici.
Il debutto sul blog avviene proprio con la Brown Porter, che riempie la pinta di un bel color ebano scuro, impreziosito da riflessi ambrati; la schiuma beige è impeccabilmente compatta e cremosa, con una persistenza molto buona. La semplicità, la precisione e la pulizia grafica dell'etichetta si ritrovano anche nel bicchiere, a partire dall'aroma: pochi elementi ma tutti al posto giusto, in equilibrio tra di loro, amalgamati con grande eleganza.
Caffè in grani, cioccolato al latte, orzo tostato e pane nero, mirtilli, qualche sentore di frutta secca e di liquirizia. In bocca arriva leggera e scorrevolissima, mentre la carbonazione è solo un po' più alta del dovuto: poco male, perché a fronte di una gradazione alcolica ampiamente entro la soglia della "session beer" c'è un'intensità che non ha nulla da invidiare a birre molto più alcoliche: l'amaro del caffè e delle tostature è bilanciato dalle note dolci del caramello leggermente bruciato. E' una porter che si lascia bere con la stessa facilità di un bicchiere d'acqua, scomparendo dal bicchiere in pochissimi minuti; in chiusura c'è la leggera acidità dei malti scuri e soprattutto il finale ricco di caffè liquido, tostature e qualche note di liquirizia. Birra pulitissima ed elegante, molto rispettosa della tradizione alla quale porge uno splendido tributo, non fosse per il formato da trentatré centilitri che - purtroppo -  rimpiazza il classico mezzo litro anglosassone. Canediguerra debutta in maniera assolutamente positiva: birra da cercare e da comprare senza esitazioni.
Formato: 33 cl., alc. 3.8%, IBU 18, lotto 151460, scad. 26/01/2016, pagata 4.00 Euro (beershop, Italia).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

venerdì 9 ottobre 2015

Bolderiaan

In Belgio ci sono circa 150 birrifici, un numero molto piccolo se lo si confronta con quello italiano, ma non è sempre facile districarsi tra le migliaia di birre che appaiono sugli scaffali, prodotte per beerfirm,  distributori di bevande e per conto di esercenti (bar, beershop) che hanno la licenza di venere alcolici. Non sempre le etichette fanno chiarezza sulla provenienza di quello che c'è all'interno della bottiglia; prendiamo come esempio quella di questa Bolderiaan, descritta come una birra creata dal birraio Gunther Bensch della Brouwerij Montaigu per la Columbus Management, una beerfirm nota soprattutto per la gamma di birre Zonderik. Montaigu era partita inizialmente come beerfirm ma ha attualmente impianti propri; l'etichetta tuttavia non riporta che la birra è stata invece prodotta presso la Brouwerij Anders di Halen. La ricetta prevede malti Pilsner, Vienna e Monaco, luppoli Simcoe e Centennial ed una speziatura a base di vaniglia e zafferano. 
Alla Brussels Beer Challenge del 2013 ha conquistato il primo premio nella categoria  “Blonde/Golden Ales” e, a novembre dello stesso anno, la medaglia d’oro alla manifestazione “Limburgse Biervrienden” di Hasselt.
Nel bicchiere arriva velata e di color oro, con una schiuma ocra compatta e "croccante" dalla lunga persistenza.  Il naso ha una buona intensità, nella quale spiccano sopratutto il dolce del miele millefiori, dei canditi e del biscotto, della zucchero vanigliato e dello zafferano, quest'ultimo un po' troppo in evidenza; in sottofondo qualche leggero sentore di frutta tropicale. 
Il gusto prosegue questo percorso in linea retta, senza deviazioni; il corpo medio, con una vivace carbonazione che tuttavia non preclude una buona morbidezza al palato. Miele, biscotto, canditi, zafferano, pesca ed albicocca disidratata, un tocco di frutta tropicale (mango, ananas); il gusto è piuttosto dolce e zuccherino ma viene bilanciato da una lieve acidità e da un finale abbastanza secco e una chiusura amaricante vegetale con qualche incursione nel resinoso. L'alcool (8%) dà il suo contributo in modo piuttosto discreto, facendosi notare solo nel retrogusto, dove ritorna lo zafferano. La bevuta è pulita, molto intensa e molto dolce, con la frutta che assume la forma della marmellata piuttosto che della freschezza; la data di scadenza ormai prossima è indice di una birra che ha ormai una certa età e nella quale il contributo dei luppoli si è senz'altro indebolito col tempo. Una discreta strong ale che personalmente ho trovato un po' troppo caratterizzata dallo zenzero e, come molti birrai belgi ci insegnano, "quando si riesce identificare il nome delle spezie usate vuol dire che ne sono state messe troppe"
Formato: 33 cl., alc. 8%, IBU 40, scad. 14/01/2016, pagata 1.90 Euro (drink store, Belgio).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

mercoledì 7 ottobre 2015

Olimp Sophia

Negli ultimi mesi sul blog è transitato qualche birrificio polacco, i protagonisti di “un’avanguardia” che si sta diffondendo piuttosto rapidamente in una nazione dall’elevato consumo procapite; nella maggior parte dei casi da queste nuove beerfirm non hanno fatto altro che portare in Polonia un pezzo dell’inizio della  Craft Beer Revolution Americana, producendo soprattutto IPA o altre birre abbondantemente luppolate. Eppure nella ricca tradizione brassicola polacca non mancano alcuni stili “autoctoni” che risultano (almeno ad un birrofilo “estero”) molto più interessanti di una delle tante IPA; pensiamo ad esempio alle Baltic Porter che i paesi baltici, Polonia inclusa, iniziarono a produrre ispirati da quelle che nel diciottesimo secolo venivano esportate dall’Inghilterra  verso la Russia. La tradizione è stata riproposta anche dai nuovi birrifici polacchi, con interpretazioni che – per quel poco che ho assaggiato – hanno però completamente stravolto lo stile: si veda ad esempio la Imperator Bałtycki di  Browar Pinta bevuta qualche settimana fa. 
Un altro pezzo di storia brassicola polacca è rappresentato dalle Grodziskie o Grätzer: il nome punta dritto alla citta di Grodzisk (o Grätz, come fu rinominata dai tedeschi nel diciannovesimo secolo):  in questo periodo nel distretto di Poznań, che includeva Grätz, esistevano 158 fabbriche di birra delle quali 101 producevano Grätzer con in mano il 37% di fetta di mercato. In città ve n’erano cinque i cui nomi, se non erro, erano  Bahnischa, Grunberg, Bibrowicz, Habocka e Bohnstedta. Si tratta di una birra realizzata con il 100% di malto di frumento affumicato con legno di quercia e generosamente luppolata  sia con luppoli locali (Nowotomyski , Lublin) che con quelli provenienti dalle nazioni vicine come Tettnanger, Hallertauer o Saaz: una birra facile da bere, solitamente filtrata, le cui prime versioni avevano un contenuto alcolico del 5% circa:  il progressivo aumento delle imposte sulla birra e sul frumento spinse i birrifici ad abbassarlo al 3-3.5%. Più controversa è invece la discussione sul carattere “acido” di questo stile: lo storico Ron Pattinson  sostiene con convinzione che non vi sia nessuna evidenza storica a provare che le Grodziskie fossero birre acide; per qualcun altro non è così, e vi rimando a questa discussione sul blog di Pattinson se avete voglia di approfondire. 
Le Grodziskie iniziarono il loro declino nel ventesimo secolo: dopo la seconda guerra mondiale l’intera industria brassicola polacca fu nazionalizzata dal governo comunista che riservò poca attenzione per i prodotti “locali”, preferendo quelli di largo consumo nazionale, le lager, che arrivavano anche dalla vicina Germania Orientale.  L’ultimo birrificio ancora in attività a  Grätz  fu acquistato dalla Poznan Brewery  che ne sospese nel 1993 l’attività in quanto non più redditizia; in quell'anno si concluse di fatto la produzione commerciale di  Grodziskie. Rimasero solamente gli homebrewers che decisero nel 2011  di formare una “Associazione per la rinascita della  Grodziskie”, con lo scopo di riportare in vita un pezzo di storia brassicola della loro nazione. 
Nel 2013 l’homebrewer americano Cesar Marron partecipa all’annuale LongShot American Homebrew Contest organizzato da Samuel Adams con una birra chiamata semplicemente Grätzer, ispirata da alcune ricette storiche pubblicate in internet e vincendo tra oltre 1000 partecipanti.  Il premio prevede la messa in produzione l’anno successivo della Grätzer che viene venduta nel “LongShot Six-pack”  suscitando l’interesse di molti bevitori e produttori americani, che si cimentano anch’essi nell’interpretare lo stile.  In Italia il primo (e unico?) esempio di Grodziskie viene dal Birrificio Amiata, con il nome Polska: il birraio Claudio Cerullo ha anche scritto un interessante articolo a riguardo che non posso non citare.
Del birrificio polacco Olimp vi avevo già parlato in occasione della Polka Pils prodotta da Brouwar Wasosz; Olimp ne è infatti una costola, essendo stata creata da Michal Olszewski e Martin Ostajewski, rispettivamente proprietario e birraio di Wasosz. I nomi delle birre sono tutti ispirati alla mitologia greca e il mio primo incontro con una Grodziskie è dunque con Sophia, nome che fa ovvio riferimento alla dea greca della sapienza, raffigurata con un libro in mano dell'etichetta realizzata da Adam Szary. La birra è in realtà nata da una collaborazione con l'homebrewer dal nome per me improponibile di  Łukaszem "Absztyfikantem” Szynkiewiczem che con questa Grodziskie ha vinto il secondo premio assoluto ed il primo premio nella categoria di stile del concorso Birofilia 2014.
Da quanto capisco la birra è stata realizzata con frumento maltato affumicato, luppolo polacco Iunga e lievito US-05 (!): non avendo bevuto altre Grodziskie non posso fare confronti e dirvi quanto la versione di Olimp sia aderente allo stile.
Ad ogni modo, si presenta nel bicchiere di color giallo paglierino, quasi limpido, con una velatura che appare solo dopo aver versato  tutta la birra nel bicchiere. L'aroma è piuttosto scarso: l'affumicato è davvero leggero, si avvertono i lievi profumi del miele e quelli del frumento. I miglioramenti sono per fortuna evidenti al palato: si tratta ovviamente di una birra leggerissima (2.7%), mediamente carbonata, che scorre come un bicchiere d'acqua senza tuttavia risultare annacquata. C'è piuttosto una buona intensità che si compone si pane, cereali, limone e lime, per un'asprezza piuttosto marcata che viene sostenuta da delle lievi note dolci di miele d'arancio. L'affumicato rimane inizialmente piuttosto nascosto, emergendo alla distanza solamente nel finale e quando la birra si scalda; la bevuta risulta secchissima e assolutamente rinfrescante, con un finale amaro decisamente "zesty" di breve durata che lascia subito spazio ad un leggero strascico affumicato. Una birra piuttosto semplice ma non per questo da snobbare, tutt'altro: si rivela un ottimo elisir dissetante nei mesi più caldi dell'anno, anche grazie alla leggera acidità donata dal frumento. L'affumicato potrebbe sembrare un po' fuori posto in una birra così leggera e fresca, ma la sua presenza rimane nelle retrovie lasciando il palcoscenico alla fragranza del frumento e alle note aspre e agrumate della generosa luppolatura. E, con una gradazione alcolica così contenuta, la potete tranquillamente sostituire all'acqua senza rischiare di riscaldarvi e sudare.
Formato: 50 cl., alc. 2.7%, IBU 21, scad. 24/11/2015, pagata 4.00 Euro (beershop, Italia)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 6 ottobre 2015

Saison Dupont Cuvée Dry Hopping 2015

Lo dichiaro subito apertamente: mi è difficile essere imparziale quando si tratta di Saison Dupont. E’ una birra che amo e che berrei ogni giorno e in ogni stagione, prima, durante o dopo un pasto. E’ una birra che dietro ad una straordinaria facilità di bevuta rivela una bella complessità di profumi e sapori ed ha un elevatissimo rapporto qualità prezzo (soprattutto se riuscite ad acquistarla nei posti “giusti”). 
Nel 2010 Olivier Dedeycker, direttore e birraio della Brasserie Dupont, annuncia una novità che è in realtà un ritorno al passato; una versione di Saison con dry-hopping, come la Dupont era solita produrre sino agli anni ’60.  La prima edizione – riservata al mercato domestico e ai “migliori” clienti  - consiste in 250 fusti e 500 bottiglie magnum; negli anni successivi si ripete la produzione, una volta l’anno, in quantità sempre maggiori. Ogni anno Dedeycker seleziona una diversa varietà di luppolo i cui fiori (no pellets) vengono utilizzati per il dry-hopping.  Nel 2013 fu utilizzato l'alsaziano Triskel, mentre nel 2014 è stata la volta del Challenger, coltivato in Belgio: fu proprio questa versione che riuscii ad assaggiare qualche mese fa, purtroppo dopo quasi un anno dalla sua messa in bottiglia, un lasso di tempo non certo ottimale per apprezzare l’apporto del dry-hopping. 
Questa volta sono stato più fortunato e a distanza di qualche mese posso già stappare l’edizione 2015, messa in vendita lo scorso luglio; il luppolo scelto è l’inglese Minstrel, una varietà ottenuta dalla Charles Faram &  Co Ltd incrociando (se le informazioni  che ho trovato in internet sono corrette) Cascade e Sovereign; il produttore sul proprio sito utilizza descrittori come “Herbal, Orange, Spiced Berries”.
Il suo colore è il tipico arancio con riflessi dorati, opalescente: la testa di schiuma è perfettamente bianca e compatta, cremosa ed ha una lunga persistenza. Pulizia ed eleganza spalancano le porte di un "naso" ricco di sentori floreali ed erbacei, pane e crackers, una delicata punta di pepe bianco e di banana, scorza di limone, polpa e scorza d'arancia; a completamente il carattere rustico di paglia, terriccio umido, qualche traccia di sughero. Il "mouthfeel" è una sorta di manuale di come dovrebbe essere una saison: corpo "quasi" medio, vivaci bollicine che tuttavia non le precludono di risultare comunque morbida, massima scorrevolezza. In bocca c'è tutto lo splendore di una classica Saison Dupont: pane, crackers, un tocco di miele, il dolce fruttato di arancia, albicocca e pesca, la delicata speziatura (pepe) che corre a braccetto con le bollicine. E' solo a fine corsa che noto qualche divergenza tra questa Cuvée Dry Hopping 2015 ed una classica Saison: è l'amaro ad essere un po' più intenso e marcato del solito, con le classiche note erbacee, terrose e leggermente "zesty" che fanno qualche sconfinamento in territorio resinoso. Inutile ricordare come l'alcool sia ben nascosto in una saison dalla scorrevolezza impressionante e dalla bevibilità "assassina". Birra pulitissima ed intensa, superbamente bilanciata tra dolce, amaro, una lieve acidità ed una perfetta attenuazione che la rende un indispensabile strumento per rinfrescarsi e dissetarsi. Bottiglia in splendida forma di Cuvée Dry Hopping che si mantiene piuttosto fedele alla "madre", costituendone di fatto una leggera variazione probabilmente non necessaria, se non che costruisce di fatto una scusa (come se ce ne fosse bisogno) per stappare e bersi un'altra Dupont. Alleluia! 
Formato: 37.5 cl., alc. 6.5%, lotto 15215A 10:07:55, scad 07/2018, pagata 1,60 Euro (drink store, Belgio).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

lunedì 5 ottobre 2015

Birrificio del Ducato Beersel Morning 2013

L’episodio è quello raccontatovi qualche anno fa accaduto a Berseel, comune belga situato alle porte meridionali di Bruxelles con un passato ricco, come quello di tanti altri comuni della provincia del Brabante Fiammingo,  di produttori di Lambi(e)k e di assemblatori di Geuze (Geuzestekerij). Oud Beersel e Drie Fonteinen  sono gli unici ad aver superato le difficoltà economiche e ad essere ancora in attività;  il primo è rinato dalle proprie ceneri nel 2005, quando l’azienda fondata  (1882) da Henri Vandervelden  è stata  rilevata da  Gert Christiaens. Il secondo è di fondazione più recente: era il 1953 quando Gaston Debelder acquistò il 3 Fonteinen Café da Tisjke e Maree Potter iniziando la sua attività di assemblatore di lambic  per poi passare il testimone al figlio Armand alla fine degli anni ’90. E’ in questo periodo che 3 Fonteinen acquista un impianto diventando così anche un produttore di lambic, e non solo un assemblatore di quelli acquistati altrove. 
Il 16 maggio 2009 a causa di un termostato guasto (secondo la versione “ufficiale”) la temperatura della sala di fermentazione passa da 16 a 60 gradi. Il risultato, quantificabile in oltre 200.000 euro di danni, parla di quasi cinquantamila litri di  lambic da buttare via: in parole povere, ciò significa anche l'impossibilità per i prossimi tre anni di utilizzare il proprio lambic per l'assemblaggio di geuze. La bancarotta viene evitata con la vendita dell'impianto appena installato; una piccola parte di quel lambic viene distillato (Eau de Vie van Oude Geuze) e venduto con l'apposito scopo di racimolare fondi per la ripartenza. Da un amico americano arriva invece il suggerimento di immettere sul mercato delle edizioni limitate assemblate con i lambic degli anni precedenti, da vendere ad un prezzo più elevato; nel 2010 arrivano quattro speciali blend, diciassettemila bottiglie dedicate alle quattro stagioni e vendute in un'elegante confezione: Lente, Zomer, Herfst  e Winter. 
L’aiuto a Gaston Debelder arriva anche da alcuni birrai italiani: Giovanni Campari del Birrificio del Ducato si reca in Belgio per acquistare il contenuto di tre botti di lambic di 18 mesi che viene pompato in una cisterna e trasportato in Italia. Il lambic viene “blendato” (18%) con la saison New Morning e il risultato, imbottigliato manualmente, viene lasciato ad affinare per almeno 12 mesi.  Per le versioni più recenti il lambic di 3 Fonteinen è stato sostituito da quello di Oud Beersel. 
Bottiglia anno 2013 e birra che arriva nel bicchiere con un colore a metà strada tra il dorato e l’arancio, velato; la schiuma biancastra, benché generosa,  non è molto compatta e si dissipa piuttosto rapidamente. L’aroma è molto pulito e inizialmente dominato dai profumi tipici del lambic: lattico, sudore, legno, cuoio e cantina. E’ solo in un secondo tempo che la  componente “saison” mette la testa fuori dal guscio regalando sentori più “rassicuranti” di fiori, agrumi, una delicata speziatura, un accenno di ananas.  La bevuta, per chi non ha familiarità con le fermentazioni spontanee, risulta meno “spiazzante” dell’aroma: l’ingresso (pane e cereali) è forse un po’ timido ma poi è uno splendido susseguirsi di note aspre (uva, mela acerba, agrumi) e lattiche sostenute da un elegante “sottofondo” dolce che richiama il miele, la pesca e l’ananas, fino ad arrivare alla chiusura leggermente amara di nocciolo di pesca e acido lattico.  La bevuta è fresca e vibrante, sostenuta da una carbonazione molto vivace e da una grande secchezza che invoglia a bere ed a ribere: il risultato è una birra rustica, dissetante e molto rinfrescante, se bevuta a bassa temperatura. Lasciatela arrivare a temperatura ambiente se volete far emergere la delicata vinosità del lambic invecchiato, capace di portare in superficie un leggero tepore di quell'alcool che sino ad allora era stato praticamente impercettibile.
Beersel Morning, ovvero un matrimonio assolutamente ben riuscito tra un lambic ed una saison: a due anni di distanza dall'imbottigliamento la parte "selvaggia" è già predominante ma non al punto da risultare indigesta a chi non ha esperienza con le birre acide. Bevetela subito se volete che l'asticella dell'equilibrio si orienti verso il lato "saison", oppure dimenticatevela in cantina per gli anni a venire. Ci sarebbe da farne scorta ed aprirne una bottiglia ogni tanto, ma purtroppo il suo costo rende molto difficile l'operazione.
Formato: 75 cl., alc. 6.2%, lotto BM140 13, scad. 09/2033, pagata 17.00 Euro (beershop, Italia).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

domenica 4 ottobre 2015

St Feuillien Saison

La Brasserie Saint Feuillien viene fondata nel 1873, dalla famiglia Friart, a Le Roeulx; prende il nome da un missionario irlandese, Saint Foillan o Faelan (nato nel 655) che morì decapitato in quella che era una foresta prima della costruzione di Le Roeulx; sul luogo del suo decesso, i suoi discepoli costruirono nel 1125 una cappella che poi divenne l'Abbazia di Premontres, in seguito nota come l'Abbazia di St. Feuillien da Roeulx. L'edificio venne poi distrutto durante i tumulti della Rivoluzione Francese. Il birrificio continuò ad operare sino al 1980, quando venne chiuso; la famiglia Friart continuò comunque ad operare come distributore di bevande e di birra, mentre la produzione di alcune birre continuò presso gli impianti della Du Bocq. Nel 1988 alcuni eredi (Benoit e Dominique Friart) riaprirono il birrificio a nome Brasserie Friart, ricambiandone poi il nome nel  2000. Nel primi anni la produzione si occupò soprattutto di produrre su commissione Heineken il marchio Affligem, continuando invece a realizzare la proprie birre presso la Du Bocq. Solamente negli ultimi anni, a seguito dell'ampliamento degli impianti produttivi, la maggior parte delle birre St. Feuillien sono tornate "a casa". Al tempo stesso il birrificio ha intensificato i rapporti commerciali con gli Stati Uniti: ricordo la Black Saison (2009) realizzata assieme ai californiani di Green Flash che appaltano poi la produzione europea della loro West Coast IPA proprio alla  St. Feuillien.
E' proprio su specifica richiesta dell'importatore americano che Dominique Friart decide nel 2009 di realizzare una Saison; l'etichetta utilizza infatti il termine "farmhouse ale" tanto di moda oggi negli Stati Uniti, viene effettuate un dry-hopping e c'è l'inusuale aggiunta di liquirizia: il suo debutto in società avviene a New York, e nel continente americano può vantarsi di essere la prima (e l'unica, credo) Saison belga ad essere venduta anche in lattina.
Si presenta di un bel color oro carico, velato, e la tipica generosa  testa di schiuma bianca, cremosa e "croccante", compatta e molto persistente. Al naso spiccano i sentori di fiori bianchi, di cereali e agrumi (mandarino e arancia), pera, miele millefiori ed una delicata speziatura che porta ricordi di coriandolo e pepe. L'intensità è solo discreta, ma nulla da eccepire per quel che riguarda la pulizia. Nessuna sorpresa al palato, dove ci sono tutte le caratteristiche tipiche dello stile: vivaci bollicine, corpo medio, un'ottima scorrevolezza e alcool (6.5%) quasi non pervenuto. La bevuta è ricca di certezze ma avara di sorprese, muovendo i propri passi sulle note del pane e dei cereali, del dolce della pesca, della polpa d'arancia e dell'albicocca, bilanciati da una leggera acidità e da una chiusura delicatamente amara, terrosa e leggermente zesty. L'equilibrio regna, la speziatura è molto delicata, l'intensità è discreta e rivelando un po' di timidezza: ne beneficia senz'altro la bevibilità, davvero altissima, nonostante la secchezza non sia impeccabile ed il palato si ritrovi avvolto da una leggera patina dolce. Una Saison che svolge comune il suo compito con onore: ci si disseta e ci si rinfresca con gusto, senza tuttavia provare grosse emozioni.
Formato: 33 cl., alc. 6.5%, lotto 6391 11:35, scad. 29/03/2017, pagata 1.31 Euro (supermercato, Belgio).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

sabato 3 ottobre 2015

Nøgne Ø / Bridge Road Aurora Australis

Ci vogliono circa 38 ore e almeno tre scali per andare in aereo da Grimstad, Norvegia, dove ha sede il birrificio Nøgne Ø  a Beechworth, in Austrialia, presso la Bridge Road Brewers. Immaginate di dover percorrere il tragitto via mare, attraversando due oceani: è questo il lungo viaggio al quale sono stati sottoposti alcuni barili di birra, facendo rivivere un'antica tradizione norvegese nata da un curioso "incidente" avvenuto nel diciannovesimo secolo, quando un distillatore aveva spedito dei barili in Australia; le vendite non furono buone, e cinque barili invenduti furono rispediti in Norvegia dopo un po' di tempo. Al loro arrivo, il produttore notò come il distillato risultasse più morbido e ricco: il miglioramento fu attribuito, oltre che alla permanenza in botte, agli scuotimenti subiti nella stiva della nave e alle variazioni climatiche incontrate nel viaggio oceanico. Ancora oggi, i barili della Linie Aquavit vengono caricati su una nave e spediti in giro per il mondo; sul sito del produttore, inserendo la data impressa sulla bottiglia è possibile risalire all'esatto itinerario percorso.
Nøgne Ø  e Bridge Road Brewers avevano già collaborato assieme realizzando la India Saison. Il loro secondo incontro avviene a distanza: in Norvegia viene prodotta una Quadrupel che viene poi messa in botti ex-whisky e spedita in Australia via nave, senza refrigerazione: prende il nome di Aurora Borealis. Nell'altro emisfero, la Bridge Road produce la stessa Quadrupel, la mette in barili che avevano contenuto Pinot Nero e li imbarca per la Norvegia, dove viene poi imbottigliata con il nome di Aurora Australis.
Bottiglia millesimo 2012, che riempie il bicchiere - dopo un leggero gushing - di un bel color tonaca di frate scuro, dai riflessi ambrati: la schiuma beige è molto generosa. L'aroma è molto interessante, con una bella complessità fatta di sentori di legno e frutti di bosco, zucchero caramellato, prugne e fichi disidratati, vaniglia e tracce di vino liquoroso, porto. Eccellente la pulizia, bene l'eleganza. Il suo corpo è tra il medio e il pieno, con una carbonazione sottile e abbastanza contenuta: la consistenza oleosa la rende morbida e molto gradevole al palato. La bevuta inizia piuttosto dolce di caramello, prugna, uvetta sottospirito e vino liquoroso, per poi essere bilanciata da note aspre di frutti rossi e uva acerba; in sottofondo ci sono le note legnose, l'alcool scalda quanto basta per attenuare il dolce e riscaldare il palato, mentre è nell'ultima parte della bevuta che emerge chiaramente il suo carattere vinoso trasmesso dall'invecchiamento in botte, sopratutto nel bel finale ricco di tannini che apportano secchezza ed una leggerissima nota amaricante. E' una Strong Ale /Quadrupel davvero interessante che si sorseggia lentamente con grande soddisfazione: pulita e molto ben fatta, bilanciata, morbida, calda, avvolgente, perfetta per chiudere in tranquillità una delle tante frenetiche giornate di lavoro viaggiando con il pensiero nei silenziosi panorami norvegesi.
Formato: 25 cl., alc. 11%, IBU 30, lotto 866B, imbott. 20/12/2012, scad. 20/12/2017, pagata 10,22 Euro (Vinmonopolet, Norvegia).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

venerdì 2 ottobre 2015

De Maeght van Gottem

Avevo  già avuto a che fare con il “Doctor Canarus” alias Piet Meirhaeghe un po’ di anni fa;   appassionato birrofilo, Piet inizia con con l’homebrewing principalmente per il consumo personale. Nel 1993 si trasferisce da Astene a Gottem dove conosce uno dei direttori del birrificio Riva di Dentergem e due settimane dopo l’incontro viene assunto a lavorare. Per un po’ di anni Piet produce la sua birra in casa al mattino presto prima di recarsi sul lavoro, arrivando ad assemblare con mezzi di fortuna un impianto che gli consente di produrre 70 litri da “vendere” ad amici e conoscenti; dalla Riva ottiene il permesso di portare a casa alcune vecchie caldaie non più utilizzate  e pian piano realizza cotte “casalinghe” da 200 litri. Nel 1999 acquista un casolare vicino alla chiesa di Gottem, lo ristruttura e in una parte del fabbricato installa il proprio birrificio aumentando la capacità a 800 litri grazie all’acquisto di altre attrezzature usate; nel 2002 decide di abbandonare la Riva (dove non erano molto entusiasti della sua attività parallela) per aprire ufficialmente il proprio microbirrificio. Dalla Germania arrivano due fermentatori usati da  1250  e 3000 litri ma la capacità produttiva rimane insufficiente a soddisfare tutte le richieste Piet va a produrre alcune birre alla Deca di Vleteren e da De Proef.  Nel 2011 acquista un’imbottigliatrice usata e nel 2012 un’etichettatrice proveniente dalla Germania. 
Rimane da raccontare del nome “sint canarus” (“sempre ubriaco”), una parodia del motto "da semper paratus" ("sempre pronti") dei Vigili del Fuoco del vicino paese di Deinze, e di una birra che il Doctor Canarus produce per la prima volta nel 2011, “De Maeght van Gottem”. 
La “Vergine di Gottem” diventa famosa per contenere all’interno di ogni bottiglia un cono di luppolo; un artifizio non del tutto nuovo, un “dry-hopping” in bottiglia che sicuramente molti homebrewer avranno provato nei loro esperimenti casalinghi. Per la realizzazione dell’etichetta viene organizzato un concorso che vede vincitore Bart Simoens con la sua interpretazione di “vergine” vestita di un verde cono diluppolo.  
Fate attenzione quando stappate una bottiglia di De Maeght van Gottem: il cono di luppolo EK Goldings  depositato sul fondo della bottiglia verrà immediatamente espulso dal collo con un leggero gushing che si riesce comunque a controllare senza troppa difficoltà. Il suo colore si colloca tra l'arancio ed il dorato, opaco, sormontato da una generosa schiuma biancastra, pannosa e un po' scomposta, dalla buona persistenza. Nonostante il luppolo sia protagonista fuori e dentro la bottiglia, la mano esecutrice  è quella belga e quindi non aspettatevi un'ondata amara. L'aroma è piuttosto bilanciato tra pane, biscotto, frutta secca, una delicata speziatura e sentori di arancio e mandarino; purtroppo quando la schiuma svanisce e la birra si scalda emerge anche un po' di gomma bruciata. Il gusto è meno pulito dell'aroma, ma inizia abbastanza bene con miele e biscotto seguiti dal dolce dell'albicocca matura, della pesca e della polpa d'arancia; fin qui quasi tutto bene, ma il finale amaro è infestato dalla stessa presenza  di gomma dell'aroma, sempre più evidente man mano che la birra si scalda. Le bollicine sono vivaci e rendono agile una birra dal corpo medio-leggero che scorre con facilità: la bevuta però è praticabile solo per metà, rovinata da un finale sgradevole che purtroppo cancella quanto di buono l'ha preceduto.
Formato: 33 cl., alc. 6.5%, lotto A, scad. 05/2017, pagata 3.75 Euro (beershop, Belgio)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

giovedì 1 ottobre 2015

Retorto Black Lullaby

Ritorna sul blog dopo una colpevole assenza di oltre un anno il birrificio piacentino Retorto, guidato dal  birraio Marcello Ceresa che, dopo l’homebrewing e le esperienze formative presso il brewpub Docks e soprattutto Toccalmetto  si è messo in proprio  con l’aiuto del fratello Davide e della sorella Monica. Dal  debutto del 2012 Retorto ha ottenuto numerosi riconoscimenti nei concorsi nazionali (CIBA e Birra dell’Anno); oltre al formato 75 sono finalmente da un po’ di tempo arrivate anche le più piccole trentatré centilitri con un completo restyling delle etichette. Dopo la Daughter of Autumn ecco un’altra birra che ben si presta all’arrivo della stagione autunnale e ai primi freddi: Black Lullaby, una Strong Dark Ale belga che nel CIBA 2012 fu eletta come la migliore nella categoria Belgian Pale Ale, Belgian Strong Ale, Dubbel, Dark Strong Ale e come miglior birra in assoluto di tutta la manifestazione.  Il successo nella categoria stilistica si è poi ripetuto nel CIBA 2014. 
Black Lullaby di Retorto tiene fede al suo nome, presentandosi di color tonaca di frate molto scuro e con bel cappello di schiuma beige, compatto e “croccante”, cremoso, dalla buona persistenza. Al naso è notevole l’espressività del lievito belga, con i suoi esteri fruttati (mela al forno, pera) ed il delicato tocco di spezie che ben s’amalgamano con i profumi del biscotto al burro, frutta secca, ciliegia e uvetta, zucchero candito e caramello, cioccolato al latte. 
Eccellente la pulizia, ottima l’intensità e bevuta che prosegue senza deludere le aspettative: caramello, biscotto, qualche accenno di panettone, uvetta, prugna e frutta secca. Anche il gusto è molto pulito ed equilibrato, con la dolcezza che viene stemperata dalla vivace carbonazione, dall’ottima attenuazione e dall’alcool, che scalda (e riscalda) asciugando il palato senza mai bruciarlo; il finale è lungo e morbido, ricco di frutta sotto spirito. 
Dark Lullaby è una convincente interpretazione di una strong dark ale belga che lascia molto soddisfatti, con  il lievito lavora benissimo caratterizzando la birra con molta eleganza; volendo fare i pignoli le bollicine sono all’inizio un po’ eccessive anche per il DNA belga, ma basta avere qualche minuto di pazienza. L’alcool non disturba affatto e, anche se  non nascosto in modo “subdolo” alla maniera belga, si fa sentire quel tanto che basta per  tenere fede al nome della birra: una calda  “ninna nanna scura” che, dopo aver finito il bicchiere, vi accompagna direttamente tra le braccia di Morfeo.
Formato: 33 cl., alc. 8.3%, IBU 20, lotto 14073, scad. 04/2016, pagata 4.00 Euro.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.