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martedì 11 ottobre 2016

Clown Shoes Undead Party Crasher

Nuovo appuntamento con Clown Shoes, beerfirm statunitense del Massachusetts fondata da Gregg Bermam nel 2009 del quale vi avevo parlato già parlato in occasione dell’ottima Chocolate Sombrero.  Oggi tocca ad un’altra imperial stout, proposta da Clown Shoes inizialmente come “anniversary ale” all’inizio del 2012 per festeggiare il proprio secondo compleanno: venne chiamata  Vampire Slayer suscitando subito qualche polemica per essere stata prodotta con acqua santa acquistata presso il sito  Discount Catholic Products, in quanto “avevamo chiamato alcuni preti a benedire la birra con la propria acqua santa, ma non accettarono”
Neppure il tempo di godersi il successo della birra che, un anno dopo, Clown Shoes (e i birrifici presso i quali produce, ovvero Mercury Brewing, Somerville Beer Company e Frosty Knuckle Brewing Company)  anziché ricevere la solita lettera di “cease and desist” (un’intimazione a smettere)  sono oggetto di un’azione legale da parte degli avvocati della TI Beverage Group, azienda che produce e commercia  bevande alcoliche a tema “vampiresco” come ad esempio i vini Vampire Vineyards, Chateau du Vampir e soprattutto la Vampire Pale Ale. La birra, prodotta in Belgio, era stata commercializzata sei mesi dopo rispetto alla Vampire Slayer ma Clown Shoes non ne aveva di registrato il nome e il TI Beverage Group ne lamentava  la concorrenza sleale che poteva creare confusione tra i consumatori. 
Secondo quanto dichiara Gregg Bermam, Clown Shoes avrebbe avuto buone possibilità di vincere la causa giudiziaria ma c’erano da reperire 300/400.000 dollari per coprire le spese legali;  le due parti arrivarono ad un accordo – mai rivelato – con il quale la TI Beverage autorizzava Clown Shoes ad utilizzare il nome Vampire Slayer, probabilmente in cambio di una qualche percentuale sulle vendite. Subito dopo aver ricevuto l’autorizzazione Clown Shows annunciò però l’interruzione della produzione della Vampire Slayer; la muscolosa imperial stout sarebbe stata sostituita da un’altra birra chiamata Undead Party Crasher, anch’essa prodotta con acqua santa e malti affumicati con legno di faggio e carya. La birra è rimasta la stessa ma l’etichetta ne ha tratto beneficio: il nuovo artwork, realizzato da Michael Axt, mette su carta pensieri e sentimenti del birrificio riguardo a quanto capitato, con un ammazzavampiri (Vampire Slayer) che se la prende con un lupo/avvocato di uno studio legale specializzato in copyright.

La birra.
Dipinge il bicchiere di un color ebano scurissimo, ai confini del nero, formando una generosa e compatta testa di schiuma color nocciola, cremosa e dall'ottima persistenza. L'aroma tiene testa all'aspetto "goloso", disegnando un bouquet dolce nel quale s'intrecciano note di fruit cake, caramello e melassa accompagnate dalle tostature dell'orzo, da qualche ricordo di caffè e da una carezza affumicata. Il tutto ben annaffiato da una morbida presenza etilica che completa un aroma pulito, abbastanza semplice ma di buona intensità. Nulla da dire sulla sensazione palatale, più o meno quella che vorrei sempre trovare quando bevo una robusta (10%) imperial stout: corpo medio-pieno, poche bollicine, consistenza oleosa e morbida che non pregiudica una discreta facilità di bevuta. Anche il gusto si mantiene sul versante dolce con fruit cake, caramello e melassa solo parzialmente bilanciate da qualche tostatura e da accenni di caffè; a due anni e mezzo dall'imbottigliamento la luppolatura ha ovviamente perso smalto, lasciando solo qualche traccia resinosa nel finale. L'alcool riscalda la bevuta senza mai eccedere, il retrogusto abbina la frutta sotto spirito a qualche nota affumicata completando una birra di alto livello e molto pulita ma un po' sbilanciata sul dolce che, a due anni dalla messa in bottiglia, non trova un adeguato sparring partner. 
Formato: 65 cl., alc. 10%, imbott. 13/05/2014, prezzo indicativo 15.00/18.00 Euro (beershop, Italia).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 3 febbraio 2015

Clown Shoes Chocolate Sombrero

Fondata nel 1989 da Joel Berman la Arborway Imports,importa e distribuisce vini in tutto il Massachusetts. Gregg Bermam riceve il testimone dal padre all’inizio del ventunesimo secolo; negli Stati Uniti la richiesta di “craft beer” è in costante crescita e, su iniziativa di Jesse Dooley,  responsabile commerciale di Arborway, le bottiglie di birra si affiancano al business del vino. Gregg Berman nel giro di pochi anni diventa un appassionato birrofilo,  ma a quanto pare  non è così facile entrare di punto in bianco nel giro di distribuzione della birra, e sono più le porte che gli vengono chiuse in faccia rispetto a quelle che si aprono. 
Nel 2009, quasi per gioco, decide allora di togliersi lo sfizio di farsi produrre su commissione una birra propria; dopo tutto, possedeva già la licenza di distribuzione ed i clienti: far circolare la propria birra sarebbe stato più facile rispetto a quella degli altri. Trova la disponibilità della Mercury Brewing Company di Ispwich  (Massachusetts) per mettere a punto la ricetta e farsi produrre la Black IPA Hoppy Feet.
Decide di chiamare la propria beer-firm “Clown Shoes”, un nome che lui stesso aveva già proposto sul forum di Beer Advocate pochi mesi prima, quando era stato indetto un concorso per scegliere il nome di una birra collaborativa tra Dogfish Head ed i fratelli Todd e Jason Alström, fondatori di Beer Advocate, da presentare durante l’Extreme Beer Fest di  Boston del 2010. Il nome proposto non viene scelto, la birra viene invece chiamata Wrath of Pecant, e Gregg Bermam decide allora di utilizzarlo per se stesso: "con i clown ho un rapporto conflittuale, ma le loro scarpe mi hanno sempre fatto ridere; mi ricordano che c’è sempre bisogno di restare umili e di cercare il lato divertente della vita". Le vendite della Hoppy Feet vanno oltre le più rosee aspettative, e quello che era partito come un gioco diventa un business serio: Bermam discute assieme a Dan Lipke, birraio di Mercury, una serie di nuove birre da commercializzare.
Libero dagli impegni di sala cottura, Gregg si concentra al massimo sull’identità del nuovo brand: inventa dei nomi non banali per le proprie birre  e affida a Stacey George il compito di illustrarle, con il testimone che in seguito viene raccolto da Michael Axt, reclutato attraverso il sito “Hire an illustrator.”   Impossibile non notare le splendide etichette sugli scaffali, nel loro efficace mix di demoni, cacciatori di mostri e cultura pop.
Un successo che si porta dietro anche qualche strascico polemico ma, come si dice in questi casi, “bene o male, purché se ne parli”.  Proprio dal forum di Beer Advocate partono le prime accuse: l’etichetta della Lubrification (raffigura un robot-benzinaio con la pistola della pompa posizionata all’altezza del pube) è l’ultima goccia che fa traboccare il vaso.  E’ Candice Alström, Director of Special Events per Beer Advocate  e  moglie di uno dei fratelli fondatori del sito di beer rating ad accusare il birrificio di volgarità, sessismo e razzismo. In un post ora rimosso (la maggior parte dei forumisti aveva preso le difese di Clown Shoes accusando la Alström di abusare della sua posizione privilegiata in Beer Advocate) la signora puntava scandalizzata il dito anche contro le etichette di Brown Angel e di Tramp Stamp (oltretutto ideate da una donna, Stacey George) che secondo lei raffiguravano donne-oggetto con il posteriore ben in evidenza.  
Più innocente (e meno riuscita, secondo me) è invece l’etichetta della birra di oggi,  Chocolate Sombrero. Si tratta di una sostanziosa imperial stout prodotta con abbondate utilizzo di malti scuri (soprattutto Chocolate), peperoncino messicano Poblano (o Ancho Chile), cannella, estratto di vaniglia ed altri non specificati aromi naturali. L’elenco degli ingredienti vi spaventa? Niente paura, perché quello che c’è nel bicchiere è invece godibile e ben assemblato.
Splendida nel bicchiere, completamente nera con un cremoso e compatto cappello di schiuma nocciola, molto persistente. L’aroma offre caffè in grani, vaniglia, cioccolato al latte, qualche accenno di gianduia, orzo tostato ed amaretto; la finezza e la pulizia potrebbero essere migliori, discreta l’intensità, non pervenuta la cannella, ma la bottiglia ha ormai un anno di vita alle spalle e le spezie sono solitamente le prime ad “andarsene”. Ottima invece la sensazione palatale: birra morbidissima e dal corpo medio, cremosa e scorrevole al tempo stesso, poche bollicine. La bevuta parte dolce, con il caramello, la vaniglia ed il cioccolato al latte, per poi essere bilanciata da note più amare ed acidule di caffè, orzo tostato e liquirizia; l’alcool (9%) è molto ben nascosto, facendosi notare solo nel finale, in un bel retrogusto amaro di caffè che riscalda e rincuora . E il peperoncino messicano? Eccolo qui, proprio alla fine: evaporati i fumi dell’alcool ed il caffè, c'è quel leggero tocco piccante che non ti aspetti. Ne’ troppo amara/caffettosa, né troppo dolce o piccante, questo “sombrero al cioccolato” è una bella bevuta ben bilanciata con buoni margini di miglioramento nell’eleganza (sarà l’effetto Vanillina?) e nella pulizia; mi sembra quasi che il birraio abbia scelto di non correre troppi rischi, accontentando quasi tutti senza però far innamorare nessuno.
Formato: 65 cl., alc. 9%, lotto 28/04/2014, scad. (data dall’importatore italiano) 16/05/2016, pagata 14.00 Euro (beershop, Italia).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.