lunedì 12 dicembre 2016

Westbrook Mexican Cake Imperial Stout

Westbrook Brewing viene fondata nel dicembre 2010 da Edward e Morgan Westbrook, marito e moglie che grazie ad una campagna di equity funding riescono a racimolare gli investimenti necessari per acquistare un terreno nel sobborgo Charleston di Mount Pleasant, Carolina del Sud.  Il birrificio (1700 metri quadri) viene costruito da zero, installando un impianto da 35 ettolitri affiancato da uno pilota da 23 ettolitri. 
Ai tempi del college per Edward la birra coincideva con il nome di Budweiser; fu una vacanza in Europa a fargli capire che esisteva anche della birra che avesse anche un gusto: prima la Guinness in Spagna (sic!), poi l’Inghilterra con le sue Real Ales e soprattutto con la Theakston's Old Peculier. Di ritorno negli Stati Uniti, Edward scopre che è possibile cercare di replicare quelle birre anche in casa: negli ultimi anni alla Furman University si cimenta con l’homebrewing ed inizia a frequentare i pochi microbirrifici presenti nei dintorni: Blue Ridge, RJ Rockers e Thomas Creek, quest’ultimo volenteroso nel dispensare consigli su come fare la birra in garage e nel fornirgli le materie prime. La fidanzata Morgan lo sprona e l’homebrewing diventa il loro hobby preferito: "era meraviglioso riuscire a produrre un keg di birra (141 pinte!) con soli 20 dollari. Alle feste studentesche potevo far pagare ogni pinta 5 dollari e con quelli pagarmi gli studi..”  Edward fonda anche un piccolo club locale di homebrewers guadagnandosi il soprannome di “Prolific Ed” in quanto ogni mese portava alle riunioni 5- 10 birre diverse; terminato il college e la Clemson University con un  Master in Business Administration, dopo circa quattro anni di homebrewing Westbrook a 25 anni apre il proprio birrificio facendosi aiutare nei primi passi da un birraio professionista. 
All’inizio sono solamente due le birre prodotte regolarmente tutto l’anno, in lattina: la Westbrook IPA e la White Thai, una witbier speziata con lemongrass e zenzero e ispirata dalla cucina asiatica; il resto della produzione Westbrook è fatto di birre stagionali o occasionali, esperimenti, leggere variazioni sul tema. Per Edward fare la birra è come cucinare, e quindi ama sperimentare ogni volta ingredienti diversi toccando quasi tutte le tradizioni brassicole: UK, Germania, Belgio, Polonia; non tardano ad arrivare anche gli invecchiamenti in botte. Una buona parte della capacità produttiva è inoltre destinata a produrre alcune birre per la beerfirm Evil Twin.

La birra.
Cinque mesi dopo l’apertura del birrificio Edward e Morgan Westbrook si sposano e per la festa Edward realizza una imperial stout prodotta con habaneros, stecche di cannella, vaniglia e fave di cacao che vengono aggiunte durante la fase di fermentazione: tutti i partecipanti ala cerimonia ricevono una bottiglia da portare a casa. La birra riscuote pareri entusiasti e viene quindi deciso di replicarla in occasione del primo anniversario del birrificio Westbrook, che arriva nel gennaio 2012: da allora ogni anno nel mese di maggio, mese in cui cade l’anniversario di matrimonio dei coniugi Westbrook, la Mexican Cake viene messa in commercio diventando una delle birre più famose e ricercate del birrificio della Carolina del Sud. Inevitabile il proliferare di innumerevoli varianti di una ricetta azzeccata; oltre alle versioni barricate (Bourbon, Pappy, Cognac, Tequila, Maple Bourbon e vino rosso) ne esistono  altre con aggiunta di caffè, ciliegia, chipotle, cocco, churro (!), cioccolato e fragole.
Nel bicchiere arriva oggi l’edizione 2016, imbottigliata lo scorso maggio; "best consumed fresh, do not age" sono le indicazioni riportate in etichetta. Il suo colore è il nero, mentre la schiuma quasi fatica a formarsi: quel mezzo dito che appare è molto rapido nel dissolversi. L'aroma è purtroppo altrettanto fiacco: la componente etilica è preponderante e tende a coprire quasi tutto. Molto in sottofondo si scorgono lievi tostature, cioccolato al latte, vaniglia, caramello. Pulizia ed eleganza, di quel poco che c'è, non sono esemplari. Le cose vanno leggermente meglio in bocca, ma non c'è da esultare; anche qui l'alcool è molto, troppo in evidenza allontanando dal palcoscenico quelli che dovrebbero essere i protagonisti: tostature, cioccolato, caffè, caramello bruciato, lieve fruit cake. La cannella non è pervenuta ed il peperoncino è molto ben dosato facendosi sentire solo a fine bevuta  aggiungendo ulteriore calore a quello già derivante dall'alcool; nel finale il palato è ben ripulito dal luppolo (resina) il cui amaro ben si amalgama con quello del torrefatto. Al palato è oleosa e morbida, con corpo medio e poche bollicine: un buon mouthfeel che tuttavia non risolleva una bottiglia onestamente deludente. Pulizia solo discreta, troppo alcool, birra che si sorseggia con un po' di fatica e tanta noia: sicuramente "sfortunata" e il rammarico é direttamente proporzionale al prezzo del biglietto, in questo caso non economico.
Formato: 65 cl., alc. 10.5%, IBU 50, imbottigliata 23/05/2016, prezzo indicativo in Europa 17.00/19.00 Euro (beershop).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

domenica 11 dicembre 2016

EastSide Brewing: SunnySide & SeraNera

Debutta oggi sul blog Eastside Brewing, birrificio di Latina fondato nel 2013 da cinque soci: Luciano Landolfi, Tommaso Marchionne, Alessio Maurizi, Cristiano Lucarini e Fabio Muzio. 
La storia di EastSide inizia con l'homebrewing o meglio dall'incontro di due homebrewers, Luciano e Tommaso, che uniscono le loro forze e iniziano a far assaggiare le proprie birre a parenti e conoscenti. Tra questi vi è Alessio, amico e compagno di squadra di Luciano a partire dalle giovanili della Virtus Basket Latina, già imprenditore nel settore delle energie rinnovabili: è lui a spronare i due homebrewer a passare nel mondo dei professionisti e così, dopo qualche tentennamento, nasce nel 2013 la beerfirm EastSide che si appoggia inizialmente agli impianti di Malto Vivo, a quel tempo guidato dal birraio Luigi Serpe. 
Il debutto avviene con la APA Soul Kiss, il cui riscontro positivo spinge i birrai a cimentarsi con altre due ricette, la IPA SunnySide a la Brown Ale Sweet Earth. La messa in funzione degli impianti propri arriva prima del previsto bruciando un po' la  tabella di marcia che i soci si erano prefissati dall'inizio: nel 2015 viene inaugurato il birrificio di Latina, sala cotte a 2 tini da 14 ettolitri con sei fermentatori da 30 HL e 2 da 15 HL. 
La produzione è oggi divisa tra sei birre disponibili tutto l'anno (SunnySide, Soul Kiss, SeraNera, Sweet Heart, Beeraway e Berenice) e quattro stagionali, se non erro al momento disponibili solo in fusto: Spring Break (American Wheat), l'estiva Six Heaven (American IPA con cocco tostato), l'autunnale Bimba Mia (Hoppy Saison con brettanomiceti) e l'invernale Fumo Lento (Smoked Baltic Porter). In aggiunta ci sono anche una decina di altre birre prodotte occasionalmente con l'intento di farle entrare un giorno in produzione più o meno regolare.
Devo innanzitutto ringraziare Luciano di EastSide che mi ha inviato da assaggiare le sei birre prodotte tutto l'anno, disponibili in formato 33 e 75 centilitri; quest'ultimo è pensato alla ristorazione, settore in cui il birrificio - nonostante la situazione nel nostro paese non sia  ancora molto incoraggiante - dice di credere moltissimo.
Prima di partire con gli assaggi non resta che citare le belle etichette realizzate da Roberto Terrinoni, ognuna delle quali racconta una breve storia per immagini collegata alla birra o alle passioni dei soci del birrificio. 

Le birre.
Partiamo dalla American IPA SunnySide, la cui etichetta richiama il (falso) mito delle IPA nate per essere inviate ai coloni inglesi ed il sole della West Coast, mentre il nome riguarda l'esposizione privilegiata alla luce del sole che nel corso dell'anno ha la città di Latina: lo sapevate? L'interpretazione West Coast avviene per mezzo di Citra, Simcoe, Columbus, Chinook e Mosaic.
Al solito la fotografia rende la birra più scura del reale: nel bicchiere è solare (oro antico) e leggermente velata; la bianca schiuma, non troppo generosa, è cremosa e compatta ed ha un'ottima persistenza. La bottiglia ha poche settimane di vita ed il naso trasmette freschi profumi di pompelmo e arancio, frutta tropicale (mango e ananas); in sottofondo qualche nota dank a completare un bouquet semplice ma elegante e pulito, dall'ottima intensità. Il percorso continua in linea retta al palato dove c'è un bel carattere fruttato a guidare le danze: sopratutto pompelmo, con frutta tropicale ad aggiungere preziosi dettagli. Presenza dei malti (lieve biscotto, cereale) molto leggera, ottima attenuazione e finale che spinge sull'amaro della resina e del pompelmo senza eccessi e mantenendo sempre un buon equilibrio. IPA pulita e facile da bere, alcool (7%) ben nascosto, corpo medio e poche bollicine a formare un mouthfeel morbido, molto gradevole.  Interpretazione stilistica scevra di caramello che rientra perfettamente nelle mie corde: profumi e gusto sono valorizzati al massimo dalla freschezza, ottima intensità, carattere fruttato dominante ma non cafone, davvero una bella bevuta.

Oscuriamo ora il bicchiere e passiamo alla Sera Nera, una Cascadian Dark Ale la cui etichetta rappresenta il momento ispiratore di uno scritto, nel caso specifico la ricetta di una birra, con le gocce d'inchiostro che rivelano la notte, la luna e le stelle. Il nome è un omaggio all'omonima canzone di Tiziano Ferro, nato a Latina. Cascadian Dark Ale quindi, stile che nei concorsi e in quasi tutte le guide agli stili (BJCP in primis) viene equiparato a quello delle Black IPA. In realtà ci sarebbero delle leggere differenze, come spiega Mitch Steele nel suo libro IPA: le Black IPA sono nate all'inizio degli anni 90 in Vermont, mentre qualche anno dopo sull'altra costa statunitense, in Oregon, delle birre scure abbondantemente luppolate presero il nome di Cascadian Dark Ale, come omaggio alle materie prime (luppolo) locali. Le Black IPA sarebbero sostanzialmente delle semplici IPA colorate di nero, con un carattere tostato quasi impercettibile; le CDA non sarebbero invece neppure nere ma di color marrone scuro e le tostature, benché non pronunciate come in una Stout/Porter luppolata, non dovrebbero essere completamente eclissate dalla luppolatura.
Cascade, Columbus, Chinook e Simcoe sono i luppoli utilizzati da EastSide in una birra che appare comunque di color nero, con un compatto e cremoso cappello di schiuma che rimane per lungo tempo nel bicchiere. L'intensità dell'aroma fa qualche passo indietro rispetto alla SunnySide ma è ugualmente pulito: pompelmo, caffè, tostature e note terrose convincono fianco a fianco rilegando in sottofondo qualche accenno di frutta tropicale. Il gusto riporta subito in alto l'asticella dell'intensità con una bevuta nella quale entrano in campo all'inizio caffè, orzo tostato e torrefatto, seguiti dal pompelmo e, in quantità minore, frutta tropicale; c'è un sottofondo torrefatto che entra ed esce delicatamente di scena più volte nel corso della bevuta, mentre nel finale amaro convivono note resinose, tostate e terrose, con il pompelmo che non disdegna di fare un capolino anche nel retrogusto. Anche qui c'è una bella intensità, una buona secchezza ed un ottimo livello di pulizia; poche bollicine, corpo medio, la sensazione palatale rimane ugualmente morbida e leggermente cremosa nonostante la ricetta prevede una piccola percentuale di segale; le poche settimane di questa bottiglia fanno il resto valorizzando la generosa luppolatura.
Due birre ben fatte e di ottimo livello, debutto convincete sul blog di un birrificio ancora giovane ma che sta lavorando davvero bene: teneteli d'occhio.
Nel dettaglio: 
SunnySide, formato 33 cl., alc. 7%, lotto 51 16, scad. 11/2017, prezzo indicativo 4.50 Euro
SeraNera, formato 33 cl., alc. 6.5%, lotto 48 16, scad. 11/2017, prezzo indicativo 4.50 Euro

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

sabato 10 dicembre 2016

DALLA CANTINA: Struise / Stillwater Outblack 2011

Eccoci ad un altro appuntamento con la rubrica "Dalla Cantinadedicata al vintage, alle birre che hanno superato la loro data di scadenza, a quelle dimenticate in cantina... appunto. Ancora una volta il protagonista è il birrificio belga De Struise, con un altra delle loro robuste Belgian Strong Dark Ales che ben si prestano ad essere conservate per molti anni.
Outblack è una collaborazione datata 2011 con la beerfirm americana Stillwater Artisanal Ales: da notare che a quel tempo anche gli Struise erano una beerfim che produceva presso gli impianti della Deca di Woesten Vleteren. I lavori di ristrutturazione dei locali di una scuola di Oostvleteren a pochi chilometri dall'abbazia di St. Sixtus/Westvleteren stavano per essere terminati e gli impianti produttivi di proprietà stavano per essere finalmente messi in funzione. 
A fine 2010 Urbain Coutteau, Carlo Grootaert e l'americano Brian Strumke si recano alla Deca per produrre la Outblack: come l'etichetta riporta, "ci sono voluti 29 giorni per sviluppare la ricetta, 12 ore per realizzarla, 44 minuti per assaggiare questo gioiello e 2.8 secondi per vedere un sorriso apparire sui nostri volti". La Outblack viene descritta commercialmente come "una Belgian Strong Ale sposata ad uno stile giovane ma molto potente, le Black IPA": difficile dire a cinque anni dalla messa in bottiglia se fosse effettivamente quello il risultato ottenuto. Il giorno successivo della cotta Strumke rimase alla Deca a realizzare la propria strong ale Jaded

La birra.
Non ci sono molte notizie sugli ingredienti utilizzati: in aggiunta a luppolo e malti, l'etichetta cita anche avena, frumento e segale. Nel bicchiere si presenta di color ebano scuro, opaco: forma un discreto cappello di schiuma nocciola cremoso e compatto, dalla buona persistenza. Al naso l'intensità è buona, con un apporto molto positivo dato dal passare del tempo: netti i profumi di vino liquoroso, di porto, liquirizia, uvetta e prugne disidratate, zucchero candido, cuoio/pelle. Con un corpo tra il medio ed il pieno, al palato è morbida ed avvolgente, oleosa, con una carbonazione media. La ricchezza del gusto ricorda in alcuni tratti la Pannepot degli Struise: biscotto, zucchero candito, liquirizia, prugna e uvetta, caramello brunito. Il risultato è simile a quello di un vino liquoroso che scalda ma si sorseggia senza grosse difficoltà; la bevuta dolce è bilanciata da un sorprendente finale quasi rinfrescante, con la generosa luppolatura (di un tempo) che ancora ripulisce bene il palato con una nota amaricante che ricorda il rabarbaro e la china, e il pensiero vola in direzione del barolo chinato. 
La Outblack ha retto piuttosto bene ai cinque anni di cantina virando positivamente nel territorio del  vino marsalato e fortificato; gli aspetti negativi dovuti all'età (cartone bagnato, salsa di soia al naso) sono davvero ridotti ai minimi termini e quasi impercettibili. Il risultato è una birra avvolgente e calda, pulita e potente, solida, perfetta da gustare in tutta tranquillità dopocena. 
Fomato: 33 cl. alc. 10%, lotto 01/01/2011, scad. 01/02/2016, pagata 4.60 Euro.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

venerdì 9 dicembre 2016

Parma Aurea Birra: Istrice APA & Tiritera IPA

Parma Aurea Birra: non si trova nessuna informazione in internet su questo marchio che, almeno in alcune città dell'Emilia Romagna, si trova sugli scaffali di qualche supermercato. L'etichetta indica comunque chiaramente che le birre sono prodotte presso il birrificio Farnese di Fontevivo (Parma), il cui sito internet però non ne dà notizia. Non so quindi se si tratti di una linea "secondaria" che il birrificio ha pensato appositamente per la GDO o se si tratti di alcune birre che Farnese ha prodotto su richiesta di qualche distributore. 
Delle quattro etichette a scaffale, ne ho reperite due: un'American Pale Ale chiamata Istrice (5.8%) ed una India Pale Ale chiamata Tiritera (6.3%): il contenuto alcolico è lo stesso della APA Calumet e della IPA Pashà prodotte da Farnese. In assenza di ulteriori informazioni non posso ovviamente affermare che Istrice e Tiritera siano delle semplici rietichettature. Tutte la gamma Parma Aurea Birra viene venduta a circa 8 euro al litro, un prezzo sensibilmente inferiore rispetto ad altre birre "artigianali" presenti nella grande distribuzione.

Le birre.
Partiamo dalla Istrice, descritta in etichetta come "ambrata con note di pompelmo e caramello": è effettivamente ambrata, con qualche riflesso ramato ed un bel cappello di schiuma color ocra compatta e cremosa, dall'ottima persistenza. L'aroma è piuttosto scarso, s'avvertono deboli profumi di marmellata d'agrumi e caramello; ancora più nascosti quelli floreali, di pompelmo ed erbacei.  Il gusto mantiene quanto dichiarato in etichetta, senza raggiungere livelli di fragranza e di eleganza degni di nota; caramello e biscotto introducono qualche nota di marmellata d'agrumi prima che la bevuta viri in territorio amaro con pompelmo, resina e terra. Il corpo è medio-leggero, ci sono poche bollicine e la consistenza watery la rende scorrevole ma ogni tanto scivola in qualche eccesso acquoso. L'intensità non è degna di nota, tuttavia la bevuta si mantiene sufficiente a patto che vi accontentiate e non siate in cerca di emozioni in una birra che si basa sul facile canovaccio caramello-pompelmo-resina.

Tiritera (filastrocca ma anche "discorso lungo, noioso, in cui si ripetono continuamente le stesse cose") è invece il nome piuttosto appropriato dato ad una IPA che si presenta all'aspetto piuttosto simile alla APA ma con una schiuma leggermente meno generosa e più rapida nel dissolversi nel bicchiere. Al naso profumi floreali s'accompagnano al dolce della marmellata d'arancia; più in sottofondo accenni di frutta tropicale, pesca bianca, un indefinito dolce che oscilla tra il lampone ed il bubble-gum.  Caramello e biscotto sorreggono la bevuta che, dopo un veloce passaggio di frutta tropicale, s'incanala nel territorio amaro del pompelmo, della resina e del terroso; a riportare nuovamente in equilibrio l'asticella c'è un po' di caramello nel retrogusto. Non ci sono difetti ma anche qui, come per la APA, la pulizia potrebbe essere migliore e non c'è fragranza, freschezza, carattere: l'aroma (luppoli pacifici?) risulta sicuramente più interessante del gusto.
Due birre sufficienti che però risultano abbastanza noiose a chi naviga da tempo nel mare della cosiddetta "birra artigianale"; per chi invece sta facendo i primi passi lontano dalle blande birre industriali possono senz'altro rappresentare una discreta opportunità di bere meglio ad un prezzo abbastanza contenuto, considerata la media italiana.
Nel dettaglio: 
Istrice, formato 50 cl., alc. 5.8%, lotto 126/127 16, scad. 30/04/2018, pagata 4.09 Euro (supermercato)
Tiritera, formato 50 cl., alc. 6.3%, lotto 77/78 16, scad. 12/2017, pagata 3.99 Euro (supermercato)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

giovedì 8 dicembre 2016

Le Trou du Diable Albert 3

Dopo un assenza di un paio d'anni ritorna sul blog il birrificio canadese Le Trou du Diable,  “il buco del diavolo”: con lo stesso nome vengono chiamate le rapide del fiume Saint-Maurice che  - si dice – sembrano precipitare così in basso da arrivare all’inferno. Il brewpub viene aperto nel 2005 nella cittadina industriale di Shawinigan (150 chilometri da Montreal, Québec) da André Trudel, Issac Tremblay ed altri tre soci. La formazione brassicola di Trudel parte dal Belgio e dall'homebrewing per sfociare in un birrificio che pian piano si specializza in fermentazioni spontanee ed invecchiamenti in botte.
E' in Belgio, al Moeder Lambic, che Trudel ammette di aver scoperto la birra con la "B" maiuscola: il suo amore per quella nazione è stato sigillato nel 2015 per mezzo di un accordo che ha nominato Trou Du Diable importatore ufficiale di Cantillon per la regione del Québec.
Il brewpub è oggi affiancato da un secondo stabilimento produttivo che ha consentito di aumentare i volumi e di espandere un ambizioso programma di barrel ageing. A fine 2014 è stato anche inaugurato lo Shop du Trou du Diable - Salon Wabasso, un luogo dove poter assaggiare ed acquistare le bottiglie: per quella occasione vennero anche commercializzate per la prima volte tre birre: una al miele (Melliferabee), un blend di saison invecchiate in botti di Banyuls e una Bière de table chiamata Albert 3.

La birra.
Parliamo proprio di quest'ultima, Albert 3, che il birrificio definisce "una bestia coraggiosa inviata nello spazio per conquistare quei palati in cerca di birre secche e luppolate"; leggo che un tempo era chiamata Le P’tite Buteuse, ovvero una versione "ridotta" di una delle birre più apprezzate di Le Trou du Diable, la tripel La Buteuse.
Nel bicchiere si presenta di color arancio/dorato pallido, velato e sormontato da un generoso cappello di schiuma cremosa e compatta, bianca, quasi indissolubile. L'aroma ha un bel taglio rustico, con profumi di paglia, fiori e frumento subito incalzati dagli agrumi (mandarino, limone) e da qualche nota di banana. In sottofondo si scorge anche il profumo del pane e qualche accenno di ananas. Al palato è perfetta: anche se la sua gradazione alcolica (5.49%) è un po' troppo alta per una Bière de Table, scorre velocissima con una vivace carbonazione ed una consistenza watery ma mai sfuggente. L'utilizzo di segale la rende un po' ruvida e rustica, mentre pane, cereali ed una delicata speziatura introducono le delicate note di frutta a pasta gialla, tropicale e di agrumi:  limone, lime, scorza d'arancia a formano un carattere fruttato molto meno evidente in confronto all'aroma. Splendido il finale, secchissimo, con un amaro di media intensità che si sviluppa tra note zesty e terrose; palato fresco e di nuovo assetato, subito pronto a bere un altro sorso. 
Belgian Ale pulitissima che riesce a trovare un azzeccato punto d'incontro tra eleganza e rusticità: una session beer che sfora la soglia del 4.5% ma che si lascia bere come acqua per tutta la serata. Riuscitissima interpretazione moderna della tradizione belga, gran lavoro del lievito, bilanciata, pungente, delicatamente speziata e piacevolmente luppolata. Come la Saison du Tracteur, anche qui il livello è molto alto.
Formato: 60 cl., alc. 5,49%, imbottigliata 14/03/2016, prezzo indicativo in Italia: 8.00-9.50 Euro (beershop). 

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

mercoledì 7 dicembre 2016

Les 3 Fourquets Lupulus

Ritorna sul blog la Brasserie Les 3 Fourquets che si trova a Gouvy (provincia del Lussemburgo belga), a soli 15 chilometri di distanza da Achouffe. Lo fondano Chris Bauweraerts e il cognato Pierre Goubron, gli stessi che il 27 agosto del 1982 produssero i primi 50 litri (!) di “La Chouffe” birra d’esordio della Brasserie d'Achouffe. Il birrificio raggiunse in un ventennio dimensioni importanti, arrivando a produrre più di 20.000 barili l’anno prima di essere ceduto nel settembre del 2006  alla  Duvel-Moortgat. 
Chiusa la parentesi Achouffe, Bauweraerts e Goubron, decidono di continuare a produrre birra in un nuovo progetto di dimensioni più modeste e, soprattutto, dai ritmi produttivi meno frenetici di quelli richiesti dall’industria; negli edifici di proprietà a Gouvy, a soli 15 chilometri di distanza da Achouffe, aprono un ristorante affidandolo al talentuoso chef Gilles Poncin, proveniente dalla cucina del “La Pomme Cannelle" di  Houffalize.  Contestualmente nasce anche la Microbrasserie Les 3 Fourquets, inizialmente con lo scopo di produrre semplicemente i fusti di birra necessari per soddisfare il consumo della Brasserie, per poi passare in un secondo tempo alle bottiglie. Arrivano così La  Bleuette (fruit beer al mirtillo), La Boquette (Bock), la Béole (Belgian Strong Ale), La Celisette (ovviamente una Witbier), La  Fourquette (Hefeweizen) e la La Pilsette  (Pilsener) ma  è stata la gamma Lupulus quella che sino ad oggi ha dato notorietà a Les 3 Fourquets:  birre dedicate al lupo che un tempo abitava la regione delle Ardenne, ma il riferimento è ovviamente anche al luppolo, ovvero Humulus Lupulus. Si va dall’invernale Hibernatus, alla Lupulus Brune passando per le più leggere ”Lupulus Fructus”, “Lupulus HopEra” e “Lupulus Printemps”.  
All’appello sul blog mancava la flagship Lupulus, una Tripel/Belgian Strong Ale che ha inaugurato il marchio nel 2008: a questa lacuna ha provveduto il negozio Iperdrink inviandomi una bottiglia d’assaggiare.

La birra.
Di colore arancio, con qualche riflesso dorato, è velata e forma un’abbondante testa di schiuma bianca, cremosa e compatta, dall’ottima persistenza. Profumi floreali ed una delicata speziatura danno il benvenuto aromatico: seguono frutta candita (albicocca, scorza d’arancia), qualche accenno di banana e di biscotto, zucchero candito. Un profilo semplice ma intenso ed elegante, molto pulito. Al palato riesce a nascondere l’alcool (8.5%) in modo subdolo come forse solo i belgi sanno fare: corpo medio, molte bollicine a renderla vivace, scorre pericolosamente mostrando buona corrispondenza con l’aroma. Il dolce del biscotto e del miele, dell’arancia candita e della frutta a pasta gialla è ben bilanciato da un’ottima attenuazione e da una leggera acidità; chiude con un tocco d’amaro terroso appena percepibile, mentre il retrogusto è di nuovo dolce e riscaldato dal calore della frutta sotto spirito che ben s’abbina ad una delicata nota pepata del lievito. 
Una Tripel ben fatta nella quale il lievito ha lavorato piuttosto bene,  molto pulita ed elegante, che si beve senza nessuna difficoltà: relativamente pochi elementi in gioco ma è un altro di quei casi in cui la semplicità paga e regala una bevuta molto soddisfacente. Se volete, la potete acquistare qui.
Formato: 75 cl., alc. 8.5%, lotto 3, scad. 12/2019

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 6 dicembre 2016

Flying Monkeys The Chocolate Manifesto

Barrie, 115 chilometri a nord di Toronto  e 120.000 abitanti che vivono sulle rive del lago Simcoe: da qui arriva Flying Monkeys, birrificio che si auto-considera uno dei pionieri della craft beer revolution in Ontario. Il fondatore è Peter Chiodo, nato in Canada ma  cresciuto frequentando l’università negli Stati Uniti, in Alabama ed in Mississippi, scoprendo l’homebrewing e la birra dei birrifici craft a stelle e a strisce; ritornato in Canada Chiodo si è esercitato per un altro anno nel proprio garage prima di inaugurare nel 2005 la Robert Simpsons Brewery. 
Robert Simpson fu il primo sindaco di Barrie (1871-1872) ma ancora prima fu un birraio di grande esperienza: fu lui a fondare il primo birrificio di Barrie, la Simcoe Steam Brewery. Chiodo dedica il suo birrificio a Simpson ma nel 2009 cambia idea rinominandolo Flying Monkeys suscitando più di un malumore tra i propri concittadini:  “avere il nome di un morto non è molto eccitante – dirà –  e la birra dovrebbe essere molto più divertente di una lezione di storia. Non abbiamo assolutamente nulla contro Simpson, ma pensiamo che  Flying Monkeys meglio rappresenti chi siamo e dove vogliamo arrivare.  Non vogliamo che il nome Simpson ci accomuni a produttori storici canadesi come Labatt o Sleeman”. 
La produzione passa dalle classiche Golden Ale / English Pale Ale / Amber Ale / Lager  di Robert Simpson ai più svariati stili:  IPA ed Imperial IPA costituiscono il nucleo di una gamma che guarda soprattutto alla Craft Beer Revolution statunitense, paese verso il quale inizia anche l’esportazione. Il cambio di nome comporta anche il completo completo re-branding “psichedelico” delle etichette realizzato da Andrea, la moglie di Peter; il nome questa volta fa riferimento alle scimmie volanti del Mago di Oz. La produzione annua s’attesta intorno ai 10.000 barili, oltre 250 le diverse etichette elencate da Ratebeer: in sala cottura c’è attualmente l’head brewer Paul Buttery.

La birra.
Chocolate Manifesto: una massiccia (Triple) Imperial (Milk) Stout che debutta come produzione stagionale a novembre 2013 ed arriva all’interno di una divertente scatola tutta da leggere che proclama: “Chocolate Manifesto crea una di quelle rare “esbirrienze” (exbeeriences) di lussuria e trascedenza”. Più in concreto: malti Chocolate, Dark Crystal. Pale, Roasted Barley e fiocchi d’avena, lattosio. Il luppolo amaricante è il Millennium; oltre al malto Chocolate, gli altri due elementi che formano questa “Triple Chocolate Stout“ sono le fave di cacao ed il cacao in polvere forniti dalla ChocoSol di Toronto.  
Completamente nera ed impenetrabile, forma nel bicchiere una generosa e golosa testa di schiuma color cappuccino, dall’ottima persistenza. Il naso è effettivamente un trionfo del cioccolato, nel bene e nel male; quasi sfacciati i profumi di cioccolato al latte, gianduia e cacao in polvere, con quest’ultimo che contribuisce un po’ troppo a creare un “effetto Nesquik”. L’aroma-dessert si completa con note di caffelatte, caramello bruciato, orzo tostato. La gradazione alcolica  è importante (10%) ma questa Chocolate Manifesto è sorprendentemente docile al palato: corpo medio, poche bollicine ed una texture leggermente oleosa che sacrifica un po’ la morbidezza/cremosità in funzione della scorrevolezza.  Il gusto si mostra coerente con l’aroma riproponendo con grande intensità cioccolato al latte, gianduia, caramello bruciato, caffelatte (molto zuccherato); il  lattosio suggerisce la panna, forse anche la vaniglia ed è quasi con sollievo che nel finale arriva finalmente l’amato dell’orzo tostato e del caffè a portare un po’ d’amaro che bilancia di fatto la bevuta. L’alcool è gestito davvero molto bene ed è solo alla fine che viene a riscaldare la bevuta creando una sorta di liquore al cioccolato, impreziosito da qualche tostatura, il cui calore si diffonde nel lungo retrogusto. 
La Chocolate Manifesto di  Flying Monkeys tiene fede al suo nome: il cioccolato non è uno dei tanti elementi in gioco ma domina in lungo e in largo in quella che il birrificio stesso definisce una birra dessert. Pulita, intensa e facile da sorseggiare, convince a patto che vi piacciano questo tipo di birre: riesce a farsi perdonare anche qualche scivolone, soprattutto aromatico, nell’artificialità o, se preferite, nel “cioccolato/dolce industriale”. Molto buona ma, come spesso accade per questo tipo di birre, la generosa bottiglia da 75 è onestamente difficile d’affrontare in solitudine e non a causa del suo contenuto alcolico: il consiglio è di trovarvi un/una compagno/a di bevute, quando decidete di stapparla. 
Formato: 75 cl., alc. 10%, lotto e scadenza non riportati, prezzo indicativo in Europa  17.00/20.00 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

sabato 3 dicembre 2016

Stigbergets: American Pale Ale Amarillo Citra & West Coast IPA

Torniamo a parlare del birrificio svedese Stigbergets, incontrato soltanto pochi giorni fa con la Amazing Haze IPA: lo stile dovrebbe sempre portarsi dietro la parola "freschezza", e visto che in frigorifero ne ho altre due ho preferito stapparle rapidamente. Il birrificio guidato dal birraio Olle Andersson ha in un certo senso sposato la moda proveniente dal New England statunitense, anche se lui dice di replicare soltanto le birre che era solito fare in casa con le pentole: torbidissime, utilizzo dei luppoli nell'ultimissima fase della bollitura, dry-hopping spinti e utilizzo di cereali non malati. Eccone altri due esempi.

Partiamo dall'American Pale Ale Amarillo Citra: il nome indica chiaramente che cosa aspettarsi nel bicchiere. Il suo colore è un arancio pallido molto torbido, impenetrabile alla luce che viene sormontato da cremoso e compatto cappello di schiuma bianca, molto persistente. L'aroma è leggermente meno esplosivo rispetto agli "standard Stigbergets" ma è ugualmente ricchissimo di frutta tropicale (ananas, mango), melone bianco, pesca bianca e arancia. Pulito, fresco ed elegante, per nulla cafone; difficile resistere alla tentazione di portare subito il bicchiere alla bocca. Contrariamente alle altre Stigbergets assaggiate, qui i malti riescono a dare un timido segno della propria presenza (cereale, crackers): è tuttavia un passaggio brevissimo prima del dolce della frutta tropicale (mango e ananas) che sfuma poi in territorio agrumato, con arancia e pompelmo sugli scudi. L'intensità del fruttato è tuttavia minore rispetto all'aroma, e c'è anche un po' meno pulizia ad essere sinceri; la chiusura amara, zesty e terrosa, è delicata e come al solito non reclama un ruolo da protagonista, mentre nel retrogusto c'è un inaspettato ritorno di cereale. Molto secca, dissetante e rinfrescante, facilissima da bere: convince sicuramente più al naso che al palato ma è indubbiamente un'ottima birra-succo-di-frutta, anche se un gradino sotto le altre produzioni Stigbergets che ho assaggiato.
Formato: 33 cl., alc. 5.2%, lotto 526, scad. 20/03/2017.

Passiamo ora ad una West Coast IPA, in un'interpretazione svedese che prevede il solito aspetto torbido e un colore arancio pallido: ottima la persistenza della schiuma, bianca, cremosa e compatta. Il naso è un trionfo di frutta, a partire dal cedro, con qualche sconfinamento nel candito, per passare al pompelmo, al mango, all'ananas; c'è una netta componente dank (pensate alla marijuana, per semplificare) che emerge man mano che la birra si scalda. Intensità, fragranza, pulizia ed eleganza sono a livelli davvero elevati mentre la sensazione palatale è ottima, morbida: poche bollicine, corpo medio. Il gusto segue passo passo l'aroma: impossibile avvertire i malti in un  tripudio di frutta tropicale e di agrumi che entrano ed escono di scena cambiandosi di posto al variare della temperatura nel bicchiere. Il canovaccio è quello delle altre Stigbergets bevute, ma in questo caso l'amaro è leggermente più pronunciato: scorza d'agrumi, resina e quel dank che ritorna anche a conclusione di un percorso davvero intenso a fronte di una facilità di bevuta eccellente. L'alcool (6.5%) si avverte solamente nel finale, restando sempre ben mascherato da carattere fruttato di questa birra. West Coast IPA in un'interpretazione atipica che si colloca idealmente a metà tra le due coste statunitensi: c'è la resina, c'è il dank della costa occidentale ma c'è un carattere dominante fruttato ed un aspetto che rimanda alla costa ad est. Il risultato, al netto di tante belle parole, è tanto ruffiano quanto positivo: IPA riuscitissima, comprare subito.
Formato: 33 cl., alc. 6.5%, lotto e scadenza non riportati.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

venerdì 2 dicembre 2016

De Lustige Brouwers Eden Quadrupel

De Lustige Brouwers, ovvero “i birrai felici”: nel 2012  Tom Segers ed un amico vedono in televisione un annuncio per il concorso  Brouwland Biercompetitie 2013 e decidono di parteciparvi iscrivendo la propria Quadrupel che si piazza al primo posto nella categoria “studenti”. Sei mesi dopo Segers ha già creato la propria beerfirm De Lustige Brouwers e venduto i 500 litri prodotti sugli impianti del birrificio Anders di Halen che costituivano il premio del concorso realizzandone poi ulteriori 2500. L'anno successivo è la Eden Blond a vincere un'altro concorso e ad entrare anch'essa in produzione sugli impianti della Anders; nel frattempo la Eden Quadrupel si rende disponibile anche in versione barricata in botti ex-cognac. 
Quest'anno altro concorso ed altra vittoria per Tom Segers: all''Innovation Beer Festival di Lovanio presenta una sorta di Belgian IPA prodotta con aggiunta di patate dolci che sbaraglia le altre 23 birre presenti. Anche il primo premio di questo concorso, organizzato dal birrificio Hof Ten Dormaal, consiste nell'opportunità di produrre 1000 litri di birra su impianto professionale: la cotta dovrebbe essere stata realizzata proprio nelle scorse settimane. In attesa di svelare il nome della sua IPA con patate dolci, Segers accarezza il sogno di riuscire presto ad aprire il proprio microbirrificio a Weelde, dove attualmente risiede.

La birra.
Nel bicchiere si presenta del classico color tonaca di frate, opaco; la generosa schiuma è cremosa e compatta e rivela un'ottima persistenza. Al naso c'è pulizia ed intensità: una delicata speziatura fa da collante tra i profumi di mela al forno, uvetta e datteri, zucchero candito, accenni di tostato. Corpo tra il medio e il pieno, sensazione palatale morbida e scorrevole con una presenza piuttosto contenuta di bollicine: il gusto mostra piena corrispondenza con l'aroma passando in rassegna biscotto, pane leggermente tostato, caramello, mela, uvetta, datteri e zucchero candito. Dolce ma ben attenuata, piacevolmente "movimentata" da una lieve speziatura, chiude con un breve passaggio amaricante nel quale s'intravedono accenni di tostato e, sorpresa, una suggestione di cioccolato: il retrogusto è dolce e tiepido di frutta sotto spirito e riscalda con garbo. Una sorpresa davvero positiva questa Eden Quadrupel: molto ben fatta, pulita e bilanciata, mette in evidenzia una bella espressività del lievito. Ogni sorso ne richiama subito un altro ed è facile sorseggiarla in tutta tranquillità. 
Formato 33 cl., alc. 9.6%, imbott. 08/2014, scad. 20/08/2017, pagata 1,85 Euro (drink store, Belgio)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

giovedì 1 dicembre 2016

Traquair House Ale

Traquair è un maniero nel piccolo paese di Innerleithen, 50 chilometri a sud di Edimburgo, Scozia. Pare che sia la casa ininterrottamente abitata  più antica di tutta la Scozia: le sue origini sono sconosciute, sebbene le prime prove certe dell'esistenza di un fabbricato in quel luogo risalgano al 1107. Nel castello trovava ovviamente spazio un birrificio che veniva utilizzato per le necessità domestiche e che fu utilizzato sino agli inizi del 1800.  
Gli impianti sono rimasti poi in disuso sino al 1965, quando Peter Maxwell Stuart, ventesimo Laird di Traquair ne scopre l’esistenza durante alcuni lavori di ristrutturazione: con l’aiuto di Sandy Hunter, a quel tempo del birrificio Belhaven, decide di riprendere la produzione.  Alla sua morte, nel 1990, gli succedono la moglie Flora e la figlia Catherine; nel 1997 Traquair diventa una società a responsabilità limitata. La produzione attuale si attesta intorno ai 600-700 barili l'anno, utilizzando ancora i vecchi tini di fermentazioni di quercia. Sono circa 6 le birre prodotte regolarmente, con qualche birra celebrativa prodotta occasionalmente. 
Negli ultimi ventotto anni la produzione di Traquair è stata affidata al birraio Ian Cameron che lo scorso febbraio è andato in pensione lasciando il posto a Frank Smith, da oltre vent’anni al suo fianco, e al suo nuovo assistente Ross Doherty.Cameron, perito elettronico, era stato assunto a Trauqair nel 1970 per fare lavori occasionali e poi definitivamente come giardiniere iniziando di tanto in tanto ad affiancare Lord Maxwell al birrificio arrivando ad occuparsene in toto a partire dal 1988.

La birra.
Traquair House Ale, letteralmente “la birra della casa” è stata la prima birra prodotta a Traquair nel 1965 e ancora oggi matura nei vecchi tini di quercia. Splendida nel bicchiere, di colore tonaca di frate con intense e limpide venature rosso rubino ed una compatta schiuma color crema dalla discreta persistenza. Caramello, ciliegia, pane nero e uvetta danno il benvenuto al naso, dolce e di buona intensità: più in secondo piano profumi di biscotto, crostata di prugna, lievi tostature. Il gusto prosegue nella stessa direzione alzando l’asticella dell’intensità: gli stessi elementi ritornano a formare una bevuta dolce ma bilanciata, facile e sorretta da un leggero alcool warning in sottofondo. Corpo medio e poche bollicine rendono il mouthfeel morbido mentre al palato  s’aggiungono lievi note di pane tostato e interessanti note di vino liquoroso e di legno; chiude con una buona attenuazione che asciuga bene il dolce ed un accenno d’amaro terroso. Morbido e delicatamente caldo, dolce di frutta sotto spirito è il retrogusto di una Scotch Ale (o Wee Heavy) ben fatta e soddisfacente, molto pulita, quasi un “piccolo liquore” da bersi in tutta tranquillità. Si trova ogni tanto anche nei supermercati ad un rapporto qualità prezzo da non lasciarsi sfuggire.
Formato: 33 cl., alc. 7.2%, lotto 2304, scad. 01/12/2018, pagata 2.70 Euro (supermercato, Italia)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.