giovedì 31 gennaio 2013

Struise Pannepot Grand Reserva 2008

Non è la prima "Struise" che ospitiamo su questo blog, ma fino ad ora non avevamo mai approfondito la loro storia. Gli Struise sono quattro appassionati (Urbain Coutteau, Carlo Grootaert, Peter Braem e Phil Driessens) che iniziano la loro avventura come homebrewers: la produzione avviene sotto una tenda nel cortile di un agriturismo dove venivano anche allevati degli struzzi (struise). Ancora senza impianti propri, commercializzano la loro prima birra nel 2001 utilizzando gli impianti della Caulier. Nel 2005 si spostano alla Deca di Woesten Vleteren, approfittando del vuoto produttivo lasciato dalla partenze di De Ranke; la produzione di birre leggere e di facile bevuta viene progressivamente oscurata da quelle di birre molto "importanti" ed alcoliche, spesso invecchiate in botte. Arriva così la notorietà, con il discusso award di Ratebeer del 2008:  miglior birrificio al mondo...  pur non avendo (ancora) un proprio birrificio! Lacuna colmata ad inizio 2010, quando gli Struise ristrutturano i locali di una scuola ad Oostvleteren, a pochi chilometri dall'abbazia di St. Sixtus/Westvleteren, installandoci finalmente i proprio impianti produttivi con beershop annesso. Birrificio molto amato da americani e beer geeks, si posiziona nel 2013 alla 23esima posizione dei migliori birrifici di Ratebeer, infilando due birre (Pannepot e Black Albert) tra le migliori 50 al mondo. Un risultato di poco conto, se paragonato all'exploit del 2007 dove ne avevano piazzate ben nove tra le prime 100. Ma lasciamo da parte queste divertenti classifiche per ritornare alla Pannepot, della quale abbiamo oggi l'edizione Grand Reserva 2008. La Pannepot base viene invecchiata per 14 mesi in botti di quercia francese e poi è  affinata per altri 8 mesi in botti che hanno contenuto Calvados. Un iter che dura quindi quasi due anni; la produzione 2008 è stata di 30 ettolitri. In etichetta è raffigurata la P50 Pannepot, imbarcazione utilizzata dai pescatori del villaggio di De Panne; gli Struise raccontano che la barca raffigurata era appartenuta al nonno di Carlo Grootaert; i pescatori, per riscaldarsi dal freddo e dalle intemperie, erano soliti concedersi una birra scura speziata  e molto alcolica (a volte arricchita con zucchero e tuorli d'uva). Non ci sono ovviamente uova in questa versione contemporanea di quella fisherman's ale, che si presenta di color ebano scuro, quasi nero; molto fine e cremosa la schiuma beige che si forma, per restare abbastanza a lungo nel bicchiere. E' una birra molto complessa, che richiede abbastanza impegno (e tempo) per essere identificata in alcune delle sue sfaccettature. Al naso troviamo pane nero, vaniglia, sentori di legno umido, alcool, prugne, uvetta, una leggera speziatura. L'ABV è 10% ma ha un corpo medio, una carbonazione contenuta ed una consistenza oleosa. Complesso anche il gusto, con note di liquirizia, cioccolato, frutta sotto spirito (prugna ed uvetta, mela, banana matura); l'alcool è presente in maniera molto discreta, con note di Calvados che accompagnano ad un finale sorprendente, preceduto da una bella chiusura tannica. Il retrogusto parte con il caffè, e man mano che la birra raggiunge la temperatura ambiente emergono note di Calvados che virano poi verso il vino liquoroso. Birra molto pulita e molto ben bilanciata in tutte le sue diverse componenti, con l'alcool sorprendentemente celato; bevuta molto appagante per una birra molto complessa che quasi ad ogni sorso sembra regalare una piccola sorpresa. Formato: 33 cl., alc. 10%, scad. 16/08/2016, prezzo 6.30 Euro (beershop, Italia).

Loroyse Bière d'Hiver

Si trova ai margini del parco nazionale della Lorena la Brasserie Les Brasseurs de Lorraine, sulle rive della Mosella, a Pont-à-Mousson, esattamente a metà strada tra Metz e Nancy. Si tratta del birrificio indipendente/artigianale più grande della Francia orientale; viene fondato nel 2003 da Régis Bouillon e Jean-François Drouin. Loroyse è la prima birra mai prodotta dal birrificio, ed in inverno viene leggermente modificata (o "rietichettata"?) come Loroyse d'Hiver; sempre tre i tipi di malto usati, (da cui il Triple D'Hiver) ed immutata la gradazione alcolica (ABV 8%). Si presenta di colore arancio,  torbido, con una piccola testa di schiuma bianca, fine e cremosa, dalla discreta persistenza. Naso "chiuso", un po' polveroso, ci mette qualche minuto ad aprirsi ma non è un trionfo di pulito, anzi: arancio, miele, sentori di coriandolo, leggero zolfo. Leggermente meglio in bocca, con un gusto dolce di polpa d'arancio e di miele, un po' sciropposo, che ricalca l'aroma con qualche nota di cereali e coriandolo. Anche qui non c'è molta pulizia, e la secchezza non è esemplare; c'è molto curaçao in bocca, con un amaro che bilancia l'attacco ma il retrogusto è di nuovo dolce e fruttato: arancia, cereali, coriandolo, leggera scorza d'agrumi. Aggiungiamo un altro tassello poco convincente alla serie di birre francesi bevute in questi anni: poco profumata e poco pulita,   ha il pregio d'avere l'alcool ben nascosto e di essere facile da bere. D'altro canto, non è certo un winter warmer e si porta dietro qualche difettino al naso ed in bocca. Formato: 33 cl., alc. 8%, lotto sconosciuto, scad. 10/2013, prezzo 2.45 Euro.

martedì 29 gennaio 2013

Ridgeway Criminally Bad Elf

Ennesima birra natalizia del birrificio inglese Ridgeway, che ne produce circa una dozzina; per adesso il nostro "bilancio" personale è in pareggio: bene la Lump of Coal, meno bene la Santa's Butt Winter Porter. Questa è invece la volta di un barley wine, chiamato Criminally Bad Elf.  Dolicissima sin dal momento in cui viene stappata: melassa, sciroppo d'acero, ciliegia sciroppata, marmellata d'albicocca, caramello, zucchero di canna. Una specie di "bomba zuccherina ad orologeria" che puntualmente esplode in bocca, senza quasi attenuazione: caramello, frutta sotto spirito (uvetta, albicocca, ciliegie) ed una componente etilica abbastanza marcata. . Dal corpo medio e poco carbonata, si spegne un po' nel finale, assottigliandosi e rendendo un po' più sopportabile il dolce ma sacrificando quel retrogusto morbido, caldo ed appagante che ti aspetteresti da un buon barley wine. Ma il problema principale di questa bottiglia è che manca un equilibrio, non c'è praticamente amaro a contrastare un dolce fruttato sciropposo ed alcolico. La consistenza al palato è abbastanza leggera, ma non basta; si fa fatica a finire un bicchiere, figuriamoci la stucchevole bottiglia.  E' ambrata/ramata, leggermente velata; piccolo cappello di schiuma, ocra, abbastanza persistente. Formato: 50 cl., alc. 10.5%, scad. 19/10/2013.

lunedì 28 gennaio 2013

Saint-Monon Cuvée Ermesinde

La Brasserie Saint-Monon si trova nella frazione di Ambly (Nassogne), una decina di chilometri ad est di Rochefort; viene fondata nel 1996 dal  giovane Pierre Jacob, figlio di agricoltori; il birrificio ha infatti sede in una porzione della casa di campagna  dei genitori. Saint Monon era un monaco scozzese arrivato nel settimo secolo a Rochefort per evangelizzare la regione di Nassogne. Questa belgian strong ale chiamata Cuvée Ermesinde venne in origine prodotta per Arel Bières di Arlon;  non trovando ora nessun indicazione sull'etichetta, supponiamo che sia entrata stabilmente a far parte delle produzione Saint-Monon. Di colore ambrato, velato, ha una testa di schiuma ocra, cremosa ma non molto persistente. Al naso c'è un bel bouquet che include spezie (soprattutto pepe in evidenza), agrumi, sentori floreali (geranio ?) ed erbacee (salvia, forse timo?). L'ingresso in bocca è di caramello, cui seguono spezie ed agrumi (arancio); il corpo è leggero, la carbonazione media. Il percorso vira poi verso l'amaro, con un finale molto timido erbaceo con una nota che ricorda il curaçao; birra che parte con un aroma convincente, nasconde bene l'alcool (8%) per tutta la bevuta, ma ha un calo improvviso proprio in vista del traguardo, dileguandosi invece che lasciare un bel (persistente) ricordo di sé. Leggero diacetile in bocca. Formato: 75 cl., alc. 8%, lotto non riportato, scad. 19/11/2013, prezzo 3.77 Euro (supermercato, Belgio).

Jester King Farmhouse Black Metal Imperial Stout

Ospitiamo oggi un nuovo birrificio, si tratta degli americani della Jester King Craft Brewery, fondato nell’autunno del 2010 ad Austin, in Texas. E’ giudato dal birraio Jeffrey Stuffings, aiutato dal fratello Michael e da Ron Extract. Un birrificio giovane che è però partito subito a tutta velocità cimentandosi in molti diversi stili: dalle fermentazioni spontanee agli invecchiamenti in botte, dalla Berliner Weisse alle Saison, passando per imperial stout (anche in versione sour) ed alcune collaborazioni con Mikkeller che hanno portato l'attesa risonanza nell’affollato panorama dei Beer Geeks. Non è comunque facile produrre birra in Texas, dove è ancora in vigore una severa ed ormai obsoleta regolamentazione (TABC - Texas Alcohol and Beverage Commission) sulla produzione e sulla somministrazione delle bevande alcoliche, con molti scheletri rimasti dall’epoca del proibizioismo. Ad un birrificio è ad esempio vietato vendere la birra direttamente ai consumatori finali; niente “tasting room” quindi, ma solo degustazioni gratuite abbinate al tour del birrificio. Ad un brewpub è invece concessa la somministrazione di birra a pagamento ai propri clienti, ma non è permessa la distribuzione commerciale al di fuori dei locali. Mentre i più numerosi produttori vinicoli Texani sono riusciti a far modificare la TABC, ed a farsi concedere il permesso di vendere direttamente il proprio prodotto, il numero più esiguo di birrifici non ha ancora trovato i giusti appigli per scardinare la diverse lobbies che al momento mantengono in vigore questa situazione che favorisce ovviamente chi distribuisce la birra nei confronti di chi la produce. Jester King sin dalla nascita ha iniziato la battaglia per modificare la TABC, ed i primi risultati stanno iniziando ad arrivare; nel 2011 un giudice ha obbligato la TABC a modificare alcuni dei suoi articoli, in particolare quello che vietava ai birrifici di comunicare al pubblico in quali negozi si possono trovare le proprie birre. Prima di questa modifica, la classica sezione sul sito internet del birrificio “where to buy” sarebbe stata illegale. Altre modifiche del 2011 hanno riguardato le informazioni da riportare sull’etichetta; in precedenza, potevano essere definite “birra” solamente quelle con un ABV compreso tra 0.5 e 5%; per le gradazioni alcoliche superiori  era necessario utilizzare la terminologia “ale” o “malt liquor”. Le conseguenze di questa legge erano che nessuno poteva far pubblicità in Texas includendo la parola “birra” di qualsiasi “birra” che avesse un ABV superiore al 5% ; allo stesso modo non era possibile per i commercianti e distributori Texani mettere in vendita nessuna bottiglia con ABV superiore al 5% la cui etichetta riportasse la parola “birra”. Per molti texani, insomma, l'unico modo di mettere le proprie mani su una bottiglia di craft beer  era andare a fare spesa oltre confine. Era senz'altro meno problematico acquistare un fucile. Da luglio 2011 i birrifici texani possono chiamare i loro prodotti con qualsiasi nome (beer, ale, malt beverage) indipendentemente dalla percentuale di alcool, purché questa sia riportata in etichetta. 
La produzione di Jester King viene principalmente imbottigliata (75 cl.) ed in quantità minore infustata; l’amore del birraio Jeffrey Stuffings per un certo tipo di musica è evidente dal nome e dalla etichetta di questa farmhouse ale, Farmhouse Black Metal. Si tratta di una imperial stout prodotta con acqua del pozzo del birrificio, malti Pale, Black, Chocolate, Caramalt, Carafa, Dark Crystal e orzo tostato; i luppoli sono Millennium ed East Kent Goldings, il lievito è farmhouse.
Il colore tiene fede al nome: assolutamente nera, splendida, con generoso cappello di schiuma color marrone chiaro: molto cremosa e molto persistente, come mostra la foto in calce al post.  Aroma elegante ed opulente: cioccolato amaro, orzo tostato, caffè, sentori di frutti di bosco (mirtilli); più nascosti troviamo un leggero affumicato e qualche sentore terroso, quasi umido. Ottime premesse, che il gusto non disattende: il corpo è medio-pieno, con una carbonazione abbastanza sostenuta per lo stile. C'è corrispondenza con il naso: caffè, cioccolato amaro, tostature, mirtilli; la texture è oleosa, con una leggera acidità a snellire la bevuta ed a ripulire il palato ad ogni sorso. Il finale è un ritorno all'inizio, con un intenso retrogusto amaro, molto persistente, carico di caffè, tostature, cenere e tabacco; l'alcool (9%) è molto ben nascosto per tutta la bevuta, regalando solamente nel retrogusto una piacevolissima nota di bourbon che riscalda ben sposandosi con una nota pepata, quasi piccante. Imperial Stout sontuosa, peccato per la carbonazione un po' troppo alta che la rende meno morbida in bocca di quello che potrebbe essere; molto soddisfacente ed appagante, liquido che arriva in Italia ad un prezzo molto poco economico ma che non fa rimpiangerne l'acquisto. Formato: 75 cl., alc. 9%, lotto e scadenza non riportati, prezzo 18.00 Euro (beershop, Italia).




sabato 26 gennaio 2013

Buskers Devochka

Torniamo ad incontrare i Buskers, progetto "itinerante", secondo la loro propria definizione, che abbiamo presentato in questa occasione. Questa volta la collaborazione è con Extraomnes, situato nella provincia (belga) di Marnate (Va); va da sé che una bottiglia uscita dalle porte di Marnate si porti dietro forti legami con la tradizione brassicola belga; ma il nome Devochka è prima di tutto un omaggio allo Stanley Kubrick di Arancia Meccanica. Nel personale linguaggio dei drughi kubrickiani, "devochka" significa "ragazza"; molto bella la surreale etichetta (cane volante a due teste e tentacoli), realizzata da Felideus. Per la ricetta sono stati impiegati malti Pils e Cara, lievito Trappist e, tra i luppoli utilizzati, c'è l'E.K. Goldings per l'amaro ed il Centennial in dry hopping. All'aspetto è di color oro carico, velato; la schiuma, generosa, è leggermente "sporca", cremosa e molto persistente. L'aroma è molto pulito ed elegante: agrumi (arancio e mandarino), pesca bianca, ci sembra anche d'intercettare qualche sentore di frutti di bosco rossi (fragola e lampone?), spezie. La carbonazione abbastanza contenuta ci sorprende un po'; per il resto è una birra dal corpo medio che ha una buona morbidezza in bocca. Il gusto ci sembra più muscoloso e meno raffinato dell'aroma: leggera entrata di biscotto, seguita da un fruttato dolce e sciropposo molto intenso (arancio e pesca gialla), caramello; "a rimorchio" arriva un amaro deciso, erbaceo e pepato, a punzecchiare la bocca venendo un po' in soccorso di una carbonazione bassa. Bella chiusura secca, a ripulire completamente il palato, seguito da un retrogusto che ricalca l'amaro descritto in precedenza. L'alcool (8.8%) è molto ben nascosto, portando un leggero tepore etilico solo a fine corsa. Si tratta di una belgian strong ale molto luppolata ("let there be hop", recita in un angolo l'etichetta) che, giusto per dare un'idea a chi fosse interessato a provarla, si potrebbe vagamente accomunare alla Chouffe Houblon, alla Urthel Hop-It o alla Troubadour Magma. Formato: 33 cl., alc. 8.8%, lotto 168 12, scad. 01/2014,  prezzo 4.30 Euro (beershop, Italia).

venerdì 25 gennaio 2013

Youngs Double Chocolate Stout

Wells & Young's nasce nel 2006 dalla fusione di due storici birrifici britannici a conduzione familiare: la Charles Wells Ltd e la Young and Co. La storia del primo inizia nel 1875 quando Charles Wells acquista ad un'asta per 16.700 sterline un birrificio e 32 pubs; Charles lavorava nel commercio via nave da oltre 20 anni, ma l'unico modo che aveva per convincere il padre della fidanzata Josephine ad acconsentire alle nozze era quello di abbandonare i viaggi marittimi e piantare definitivamente i piedi sulla terraferma di Bedford. I suoi eredi assicurano all'azienda il futuro attraverso acquisizioni di piccoli birrifici locali e di numerosi altri pubs;  mediante accordi commerciali si assicurano la distribuzione esclusiva nel Regno Unito, a partire dagli anni '90, di alcune lager molto commerciali come la giapponese Kirin Ichiban, la messicana Corona Extra e la spagnola Estrella Damm. Alla fusione con la Young's fa seguito l'acquisizione dalla Scottish & Newcastle dello storico marchio inglese Courage; nel 2011 i discendenti di Charles Wells acquistano anche il restante 40% di Wells & Young's posseduto dalla famiglia Young. Dalla vasta offerta Wells & Young's abbiamo scelto una bottiglia di Youngs Double Chocolate Stout;  prodotta con malti Pale Ale, Crystal e Chocolate, una miscela speciale di zuccheri, luppoli Fuggle e Goldings, cioccolato amaro ed essenza di cioccolato. Nella pinta è di colore ebano scurissimo; la schiuma, che ha buona persistenza, è cremosa e di colore beige. Al naso è netto il cioccolato amaro, in secondo piano sentori di mirtilli ed orzo tostato; aroma semplice, discretamente intenso, pulito. Non ci sono grandi cambiamenti di rotta in bocca, con una corrispondenza pressoché completa con l'aroma: tostature, cioccolato amaro, leggere note di caffè. Il gusto non è pulitissimo, spunta qualche nota metallica, ma l'intensità è superiore di quella dell'aroma, per un compromesso molto riuscito tra intensità e scorrevolezza. Non è infatti una stout cremosa, ma ha un corpo leggero ed una consistenza watery, abbinata ad una carbonazione molto contenuta. Considerando che si tratta di una birra pastorizzata, filtrata e non rifermentata, il risultato è alla fine piuttosto positivo. Formato: 50 cl., alc. 5.2%, lotto 2122 15:14, scad. 01/05/2013, prezzo 1.98 Euro.

giovedì 24 gennaio 2013

Panil Brune

Secondo assaggio del birrificio Panil/Torrechiara, incontrato per la prima volta in questa occasione; lo ricordiamo brevemente, Panil (guidato fino al 2012 da Renzo Losi) fu tra i primi birrifici in Italia a sperimentare con fermentazioni spontanee ed invecchiamenti in legno; a Maggio dell'anno scorso Losi ha deciso di lasciare l'azienda di famiglia ed in sala cottura è arrivato "l'ex-astemio" ed homebrewer dal 2005 Andrea Lui. Rimandiamo ancora un po' l'apertura delle birre passate in legno e di quelle acide per assaggiare la Brune; la ricetta fu creata da Renzo Losi in collaborazione con l'amico ed homebrewer Marco Bellini. E' liberamente ispirata alle birre trappiste, e pensata come "birra da meditazione" (sic); la bottiglia in nostro possesso è stata riempita a Febbraio del 2012,  ed è stata quindi realizzata ancora da Renzo Losi. Sontuoso l'aspetto: ambrato molto carico, quasi tonaca di frate; schiuma molto persistente, fine e cremosa, color ocra. Il naso è molto chiuso e debole, quasi assente; emergono a fatica sentori aspri di prugna acerba, frutta secca, lievito, polvere. Le cose migliorano lievemente in bocca, dove questa Brune mostra un corpo da medio a leggero, una consistenza quasi watery ed una carbonazione media. Il gusto è abbastanza aspro ed astringente (leggero lattico); c'è frutta acerba (uva e prugna), speziatura da levito, ma soprattutto c'è poca pulizia. Nel finale c'è un taglio netto, acidulo e secco, che ripulisce completamente il palato lasciando qualche istante di "vuoto": segue un lieve retrogusto amaricante, con leggere note di tostatura e frutta secca. Il gusto migliora un po' lasciando la birra riposare nel bicchiere; l'astringenza si attenua e la bevuta diviene un po' più morbida; per curiosità l'abbiamo bevuta metà, richiusa la bottiglia e riassaggiata dopo 24 ore. La birra ha ovviamente perso un po' di "bollicine" ma ha tenuto abbastanza bene, smussando un po' le note fruttate ed aspre. Rimane una bottiglia abbastanza difficile da decifrare a causa di una scarsa pulizia; tuttavia il risultato, nel suo complesso, risulta gradevole. Formato: 75 cl., alc. 7.5%, lotto 2/12, scad. 2/14, prezzo 6.00 Euro.

mercoledì 23 gennaio 2013

Zischke Kellerbier Original

Prendiamo una piccola pausa "defaticante" dalle birra natalizie e dagli impegnativi winter warmer che vanno un po' a monopolizzare i mesi più freddi dell'anno. Andiamo allora virtualmente in Germania, la nazione   del "bere semplice" per eccellenza. A Coblenza (Koblenz), nel centro storico, viene fondata nel 1689 la Koblenzer Brauerei; per quasi centocinquanta anni la vita scorre tranquilla ed immutabile sulle rive del fiume Reno ma poi si susseguono diversi cambiamenti di proprietà. Agli inizi del 1800, terminata l'occupazione francese, il birrificio viene acquistato nel 1814 da Joahnn Stahl che poi lo cede nel 1885 a Josef Thillmann; è lui a cambiare nome (Bierbrauerei Josef Thilmann) ed a spostare il luogo di produzione dal centro città a qualche chilometro più a sud, sulla riva del Reno, in una posizione strategicamente perfetta in quanto servita sia dal trasporto fluviale che da quello ferroviario retrostante. Nel 1900 altro cambio di nome (Königsbacher Brauerei) seguito da moltissime acquisizioni ed incorporazioni di altri birrifici. Nel 1992 viene acquistata dalla Karlsberg di Homburg (da non confondersi con la Carlsberg) che nel 2010 cede i marchi Königsbacher e Nette Edel-Pils al gruppo Bitburger, anche se la produzione di queste birre rimane a Coblenza. Nel gennaio 2012, due avvocati di Coblenza (Isabell Schulte-Wissermann ed Egon Heckmann) rilevano la proprietà ripristinando il nome originale di Koblenzer Brauerei, per continuando a produrre i due marchi sopra citati per la Bitburger. Zischke è invece il marchio "di casa", che include una scura (la Dunkel) ed una chiara, questa Kellerbier Original. In rete abbiamo letto dei giudizi abbastanza impietosi, ma noi tutto sommato ci è sembrata una birra abbastanza godibile, che forse ha beneficiato del cambio di proprietà e dell'allontanamento dal colosso Birburger. Classico color dorato pallido, opaco, con una bella testa di schiuma bianchissima e compatta, pannosa. Il naso offre sentori di camomilla, cereali, leggero agrume e qualche nota di burro; non è un'aroma freschissimo ma sostanzialmente accettabile ed abbastanza intenso.  Un po' meno bene in bocca, dove intensità e pulizia calano. Troviamo, in sequenza, crosta di pane, un leggero aggrumato ed una chiusura amaricante erbacea; anche qui un leggero diacetile che va a penalizzare il finale, dove la chiusura non è molto secca. Segue un retrogusto di cereali, scorza di limone ed erbaceo. Birra ovviamene facilissima da bere, un discreto prodotto che tuttavia manca un po' di quella fragranza e di quella freschezza che vorremmo sempre trovare in questa categoria stilistica. Formato: 50 cl., alc. 4.8%, lotto 10:17, scad. 29/04/2013, prezzo 1.15 Euro.

lunedì 21 gennaio 2013

Cajun Saison

Il nostro primo incontro con il birrificio Cajun di Marradi (Firenze) non fu molto fortunato; è situato nel cuore dell'Appennino Tosco-Emiliano, nel paese famoso per il tipico "marrone" (marrone del Mugello IGP). Viene fondato nel 2008 da Walter Franchi e Gianfranco Amadori. Non abbiamo ancora avuto l'occasione di assaggiare la loro birra (forse) più rappresentativa, chiamata Lom, prodotta proprio con il Marrone Buono di Marradi; tra le mani abbiamo invece una bottiglia di Saison, una produzione stagionale destinata ai mesi estivi. La ricetta Cajun dichiara in etichetta l'utilizzo di coriandolo; si presenta nel bicchiere di colore arancio opalescente; all'apertura della bottiglia la schiuma esce copiosa, ma riusciamo ad evitare danni; è bianca, un po' grossolana, mediamente persistente. Al naso sentori di scorza d'arancio, una speziatura molto pronunciata (soprattutto pepe) con coriandolo in secondo piano;  c'è anche una lieve infezione lattica che si fa più presente nell'aroma man mano che la birra si scalda. In bocca arriva leggera, molto carbonata, con un una consistenza molto snella/watery; purtroppo non brilla  di pulito, e l'infezione lattica è molto più presente che al naso; ritroviamo agrumi (arancio), coriandolo, con una chiusura amara di scorza d'arancio e leggermente erbacea. Anche in questa seconda esperienza "Cajun" ci tocca purtroppo raccontare di una birra non a posto; saremmo stati sfortunati, ma con due bottiglie su due molto poco convincenti riteniamo conclusa la nostra esperienza con un birrificio che ci sembra abbia molto lavoro da fare per garantire la costanza qualitativa dei propri prodotti. Formato: 75 cl., alc. 5.2%, IBU 33, lotto 01-11, scad. 06/2013, prezzo 6.00 Euro.

domenica 20 gennaio 2013

Diekirch Reserve

Prima birra dal Lussemburgo bevuta in vita nostra; un paese che confina in buona parte con il Belgio, ma non ne condivide la stessa nobile tradizione brassicola, volgendo piuttosto lo sguardo ad ovest, verso il corso della Mosella che marca il confine con la Germania disegnando una morbida sequenza di colline dove abbondano i vigneti ed i grandi Riesling. Il panorama brassicolo è invece dominato dalle etichetta industriali (InBev) con qualche timido produttore artigianale del quale parleremo prossimamente. La Brasserie de Diekirch nasce nel 1871 e nel 1900 è già il maggior birrificio del gran ducato per volumi prodotti; un secolo dopo avviene la fusione con la Brasseries réunies de Luxembourg che dà origine al nuovo gruppo chiamato Brasserie de Luxembourg Mousel-Diekirch, acquistato poi nel 2002 dai belgi della Interbrew (dal 2005 AB-InBev). Ci accingiamo ad assaggiare un prodotto industriale, quindi, chiamato Diekirch Reserve; si tratta di una riedizione di una ricetta del 1953, messa sul mercato nel 2011 (con il nome di Grand Reserve) per celebrare i 140 anni del birrificio. Oggi fa parte della produzione standard della Diekirch, ed è disponibile tutto l'anno. Si presenta con un bel color ambrato, ovviamente limpido. La schiuma è di dimensioni modeste, fine e cremosa, ed ha una buona persistenza. Al naso caramello, burro, sentori di sciroppo dolce di frutta (ciliegia e prugna); in bocca c'è una corrispondenza assoluta con l'aroma. Il corpo è medio-leggero, la carbonazione è media ed ha una discreta morbidezza al palato: imbocco di caramello, seguito da dolci note fruttate, finale erbaceo a chiudere. Manca di secchezza, con un evidente diacetile (burro) che lascia la bocca sempre appiccicosa. Il guasto è tuttavia abbastanza intenso, per i parametri di un prodotto industriale. Retrogusto amaro (erbaceo, frutta secca) con qualche sgradevole nota di cartone bagnato e di gomma bruciata. Il rapporto qualità prezzo (2.88 Euro al litro) è tutto sommato accettabile, ma la cosa che più ci è piaciuta di questa Reserve rimane senza dubio l'etichetta-omaggio all'architettura razionalista. Ratebeer la classifica come Belgian Ale (?). Formato: 33 cl., alc. 6.5%, scad. 24/05/2013, prezzo 0.98 Euro.

sabato 19 gennaio 2013

Hoppin Frog Barrel Aged BORIS The Crusher

Dopo aver assaggiato diverse IPA, purtroppo non tutte in condizioni ottimali, cambiamo percorso e passiamo al lato più "oscuro" del birrificio americano Hoppin Frog. Per produrla il birrificio dell'Ohio utilizza la sua oatmeal imperial stout "Boris the Crusher" invecchiata in botti di Heaven Hill Whiskey. Medaglia d'oro al Great American Beer Festival del 2008, medaglia d'oro alla World Beer Cup del 2012 tenutasi a San Diego. Passiamo ai "beer-raters": nel 2008 Ratebeer la elencava tra le 50 migliori birre al mondo; oggi mantiene sempre un punteggio di 100/100, ma non figura neppure tra le 25 migliori imperial stout al mondo. L'americano Beer Advocate le attribuisce 95/100 e la mette alla posizione 27 tra le migliori birre di categoria al mondo. Terminata la parte "frivola", passiamo alla sostanza. Il tappo color oro indica che si tratta di una bottiglia prodotta nel 2009 (Aprile e Luglio); impressiona la sua viscosità mentre la versiamo nel bicchiere, sembra davvero di travasare dell'olio motore di colore nero. Si forma un centimetro di schiuma, cremosa, color marrone, evanescente. Al naso mostra subito i muscoli: "sventagliata" etilica (whisky), sentori di legno bagnato, caffè, cacao, frutta sotto spirito (uvetta) e liquirizia. Anche al palato è l'alcool/whisky a dare il benvenuto; sarà lui ad accompagnarci per quasi tutta la bevuta, mettendosi in primo piano davanti alle attese note di caffè, tostature , cioccolato amaro che sembrerebbero non avere nessun'ambizione di protagonismo, ma solamente la funzione di portare equilibrio e contrastare la predominanza etilica. In sottofondo si percepiscono anche leggerissime note di vaniglia e di legno. Ci sorprende il finale, dove sbuca inattesa una nota luppolata e resinosa che ripulisce bene il palato, rinfrescandolo e rinfrancandolo. E' una birra davvero molto solida ed intensa, con il whisky che riscalda tutta la bevuta, pur non risultando mai eccessivo; corpo pieno, molto poco carbonata, densa ed oleosa, abbastanza morbida in bocca. Ottima compagna da dopocena, almeno per i quattro mesi più freddi dell'anno; passata la stagione, potreste aver bisogno di una doccia rinfrescante per smaltirla. Si sorseggia con buona facilità, ma la "rana" BORIS non fa sconti: l'alcool non è scandalosamente eccessivo (9.4%), ma i 65 cl. affrontati in solitudine mi hanno quasi messo al tappeto. Formato: 65 cl., alc. 9.4%, IBU 60, lotto 2009, scad. non riportata, prezzo 17.40 Euro.

venerdì 18 gennaio 2013

Emelisse Black IPA

Terminiamo la "trilogia" delle IPA prodotte dal birrificio olandese Emelisse; dopo la TIPA e la DIPA, ecco l'ora della Black IPA (o, giustamente, chiamata anche BIPA). Nel bicchiere è di un bel color ebano scuro, con riflessi rosso rubino, leggermente velato; la schiuma, beige, è cremosa e fine, con una buona persistenza. Annusandola ad occhi chiusi si ha l'impressione di aver davanti una IPA Americana: pompelmo, leggeri aghi di pino, pesca bianca, sentori di lampone. Aroma molto fine e pulitissimo, con qualche leggero sentore di tostatura che è avvertibile solo quando la birra raggiunge la temperatura ambiente. In bocca, il "black" è più percepibile, a partire da un inizio leggermente tostato, seguito da note di pompelmo (polpa e scorza) che caratterizzano tutta la bevuta fino al finale, dove tra resina e scorza di pompelmo rifà capolino una leggera tostatura. Il gusto non ha però la stessa finezza ed eleganza del "naso", che rimane secondo noi la parte migliore di questa bottiglia. E' comunque una birra ben fatta, senza off-flavours, con l'alcool (8%) molto ben nascosto; si beve molto facilmente ma, sensazione assolutamente personale, non è riuscita ad emozionarci. Black IPA dal profilo "perfettino" ma un po' "fredda" e noiosa, dopo alcuni sorsi, per il nostro palato. Formato: 33 cl., alc. 8%, lotto A, scad. 09/2014, prezzo 4.00 Euro.

giovedì 17 gennaio 2013

Croce di Malto Triplexxx

Ci sono delle birre che segnano in modo indelebile la storia di un birrificio, ed è il caso dellla Triplexxx per quel che riguarda il giovane birrificio novarese Croce di Malto. Le porte si aprono alla fine del 2008, grazie all'impegno di Alessio Selvaggio (homebrewer) della moglie Erika Ferrazzi, e dei compagni d'avventura Stefano e Massimo Leoni (titolari del locale La Frottola, a Vigevano) e Federico Casari. Non passa neppure un anno dell'apertura che, alla prima edizione europea del Mondial de la Bière, tenuta a Strasburgo ad ottobre 2009, la TripleXXX ottiene la medaglia di Platino, risultando così la migliore tra tutte le birre iscritte al concorso. La vittoria risuona ovviamente anche al di fuori dei confini italiani proiettando il giovanissimo birrificio in una dimensione molto più ampia; il successo ottenuto permette anche ad Alessio e a Federico di dedicare più tempo al birrificio per affinare ulteriormente le ricette. Il nome della birra Triplexxx fa riferimento al fatto che per produrla vengono utilizzati tre cereali (orzo, avena e frumento), tre luppoli e tre spezie. E' di un bel dorato antico, velato, con un'ampia testa di schiuma bianca, cremosa e  trama fine, dalla buona persistenza. Appena versata regala un fortissimo profumo di spezie, soprattutto pepe, seguito da eleganti sentori fruttati di banana acerba, mela verde; una volta dissipatasi la schiuma, troviamo arancia e pesca gialla. Un ottimo biglietto da visita che introduce al palato un rapido imbocco di malto biscotto, seguito da un netto richiamo dell'aroma con frutta gialla, arancia e spezie. Ha corpo medio ed una carbonazione molto alta che se da un lato ben si sposa con il profilo speziato, dall'altro penalizza un po' la percezione di tutti i sapori. Chiude con un bel finale secco che non riesce però a ripulire completamente il palato (leggero diacetile); il retrogusto rimane abboccato tra scorza d'agrumi e frutta gialla, con una timida nota alcolica a riscaldare. Strong Ale belga che si beve facilmente, solida e ben fatta, profumata e pulita, che ci piacerebbe ritornare a bere con un po' meno "bollicine". Formato: 33 cl., alc. 7.8%, lotto 707812 (?), scad. 30/09/2013, prezzo 3.00 Euro. 

mercoledì 16 gennaio 2013

Fantôme Chocolat

Ritorniamo dopo qualche tempo a stappare una bottiglia dell'estrosa   Brasserie Fantôme (a Soy, Belgio) capitanata dal "pazzo" (in senso buono, ovviamente) Dany Prignon. Birrificio non molto amato in patria, (quasi) adorato negli Stati Uniti, si caratterizza per produzioni estrose/geniali che possono alternativamente diventare capolavori o disastri da versare nel lavandino; inutile chiedere spiegazioni a Dany, il birraio vi risponderà con la nota omertà belga di mettere nel fermentatore quello che ha a disposizione sottomano, senza neppure ricordarsi che cosa ed in quali quantità. E' così assolutamente normale, nell'universo Fantôme, acquistare una birra chiamata Chocolat e scoprirla di colore dorato, torbido, con una bianchissima e generosa "testa" di schiuma, molto persistente. Pensavate a qualcosa simile ad una stout, ricca di tostature e cioccolato fondente ? Niente di più errato; il naso di QUESTA Chocolat ricorda quello di una gueuze: sentori di sudore, legno (sughero), polvere di cantina, stantio, quasi ragnatele, formaggio, netto acido lattico. A chi ha poca familiarità con le fermentazioni spontanee potrebbe sembrare già dall'aroma una birra impossibile da bere, ma è proprio in bocca che avviene invece un piccolo miracolo. Non c'è ovviamente nessuna traccia di cioccolata, piuttosto una carbonazione decisa ma molto gradevole con un corpo medio-leggero che la porta nel territorio degli champagne, non fosse per l'opalescenza del colore e l'assenza di perlage. Caratterizzata da una marcata acidità, molto rinfrescante e dissetante, richiama per pochi brevi istanti l'aroma all'imbocco (sudore) per poi evolvere in eleganti note aspre di uva, frutta secca, mandorla e legno. Bevuta molto piacevole e facile (ABV 8% assolutamente inavvertibile) che termina con un taglio finale molto asciutto e ripulente, che permette di assaporare in pieno il retrogusto amaro con nocciolo di pesca, frutta secca e scorza di limone. Una splendida creatura (vivente, è quasi il caso di dirlo) partorita da Dany, in grandissimo spolvero anche oltre la data di scadenza riportata. Una birra che toglie la seta, ma con una buona struttura che la rende perfettamente idonea ad abbinamenti gastronomici, non fosse che non sarete (quasi) mai certi di trovarne un'altra bottiglia identica. Formato: 75 cl., alc. 8%, lotto B, scad. 07/2012, prezzo 4.25 Euro.

L'Alsacienne de Noël

La Brasserie Gambrinus della bella cittadina alsaziana di Mulhouse (Francia) commissiona alla belga Brasserie Lefebvre una serie di birre chiamate L'Alsacienne sans Culotte (letteralmente, "l'alsaziana senza mutandine") corredate da divertenti etichette-fumetto che ritraggono una prosperosa ragazza alsaziana che sculetta mostrando quello che si trova al di sotto del tipico costume alsaziano. Tra le tante etichette ospitiamo quella più "casta" e natalizia, che mette in primo piano Babbo Natale e la sua renna lasciando sullo sfondo, appena visibile, l'alsaziana smutandata che regge in mano un calice di birra natalizia. L'etichetta non riporta il produttore (Lefebvre), ma l'averlo scoperto prima di bere la birra ci ha tranquillizzato dal pericolo di trovare nel bicchiere un'altra delle tante mediocri birre francesi che abbiamo bevuto in questi anni. Apriamo quindi questo residuo natalizio, la cui ricetta prevede anche l'uso di miele, curaçao e coriandolo. Bello l'aspetto, marrone scuro con riflessi rosso rubino; la schiuma è un po' grossolana, poco persistente, color beige chiaro. L'anima belga di questa birra si manifesta sin dall'aroma, con un bouquet speziato (anice, coriandolo) seguito da sentori di caramello, curaçao, china, leggera scorza d'arancio. Non c'è molto di diverso in bocca; non è tuttavia la classica birra dolce che solitamente associamo alla tradizione belga; il gusto di questa Alsacienne de Noël si mantiene più sull'amaro (curaçao, liquirizia) una volta passato l'imbocco di caramello (bruciato, tipo creme brulé) e toffee. La carbonazione abbastanza sostenuta la rende vivace e ne enfatizza la speziatura. L'intensità del gusto è modesta, ma c'è pulizia ed equilibrio; nel finale si fa più presente l'anice che, se da un lato rinfresca ed asciuga il palato, dall'altro elimina qualsiasi possibilità di tepore etilico. Ci ha ricordato un po', con le debite differenze d'intensità, la Floreffe Prima Melior, guarda caso anch'essa prodotta dalla Lefebvre. Sarebbe una bella sorpresa natalizia francese, ma è prodotta in Belgio ed a questo punto conviene buttarsi direttamente sulla sorella "maggiore" Floreffe. Formato: 33 cl., alc. 8%, lotto 11:12, scad. 14/09/2014, prezzo 2.80 Euro.

martedì 15 gennaio 2013

Freigeist Caulfield Mocha Flush

Sebastian Sauer è un attivissimo protagonista di un "sottobosco" brassicolo che in Germania sta cercando di portare un po' di innovazione ad una tradizione secolare che sembrava immutabile. Assieme a Peter Esser dirige a Colonia il brewpub Braustelle Brauerei ed il beershop on line Bierkompass.de (dal quale potreste forse acquistare importazioni dagli USA a prezzi quasi più convenienti che in Italia). Ma utilizza anche gli impianti del brewpub per dare vita ad alcuni beer firm: con la propria (ex) fidanzata mette in piedi la Monarchy Of Musselland, che dura giusto il tempo della loro relazione, con tanto di addio comunicato su Facebook (sic); poi c'è il progetto Freigeist Biercultur. Quello che certo non manca a Sebastian ed a Peter è una buona dose di follia e di voglia di "farlo strano".  Internet non abbonda di notizie, ma ci sembra di capire che le "innovazioni" della tradizione tedesca vengono fatte principalmente con il marchio Braustelle (una berliner weisse con malto affumicato, una koelsch con amarillo, una dark gose barricata, solo per citare alcuni esempi), mentre Freigeist  attinge al resto del mondo (soprattutto USA), non disdegnando le irrinunciabili collaborazioni (una sour ale affumicata con i texani Jester King, ad esempio) ed i tanto odiati/amati blend (come quello con un altro birrificio che ama "farlo strano", i belgi dell'Alvinne). A complicare le cose, Freigeist ha anche una gose fermentata con arance (sic), una imperial alt, ed una gueuze assemblando imprecisate bottiglie di Hanssens, 3 Fonteinen, Oud Beersel, Cantillon, Lindemans e Mort Subite. Tanta, troppa carne al fuoco, un numero di birre one shot già molto elevato, e qualche problema di costanza produttiva; più che a perfezionare quello che fa, Sebastian sembra perennemente impegnato a cercare qualcosa "di diverso" da fare, con risultati altalenanti. Nel mucchio abbiamo pescato la Caulfield Mocha Flush, ovvero una imperial stout (Caulfield) che matura con chips di quercia. Molto amatoriale (e brutta) l'etichetta, che contiene solamente la lista degli ingredienti in inglese/tedesco/italiano e riporta la data d'imbottigliamento (Marzo 2012) e quella di scadenza, stranamente ravvicinata per lo stile  (Marzo 2013). E' quasi nera, non forma nessuna schiuma bel bicchiere se non una timida patina color nocciola che forma un piccolo pizzo. L'aroma è quasi assente: avvertiamo una decisa presenza etilica, sentori di salsa di soia, forse cuoio, qualche puzzetta di formaggio. La sensazione al palato è ancora peggiore: ha una viscosità quasi "gommosa", una sorta di gel liquido che rimane appiccicato al palato, quasi privo di carbonazione. Il gusto è incomprensibile; molto acido lattico, una netta nota salmastra che fa assomigliare questa birra ad una salamoia nera, con l'alcool sempre ben in evidenza. Una vera zozzeria che probabilmente non ha gradito neppure il lavandino. Ci sarà capitata una bottiglia sfortunata; le 46 persone "fortunate" che ad oggi l'hanno assaggiata e votata su Ratebeer le attribuiscono un punteggio di 95/100, per quello che piò significare. Formato: 33 cl., alc. 10%, lotto 03/2012, scad. 03/2013, prezzo 5.60 Euro.

domenica 13 gennaio 2013

Gouden Carolus Tripel

Aggiungiamo un altro "tassello" all'ampia gamma Gouden Carolus prodotta dal birrificio belga Het Anker. Dopo la natalizia, proseguiamo con una classica triple. Si presenta nel bicchiere di color arancio pallido, velato; la schiuma bianca è generosa, molto persistente, bianca e cremosa. Il naso apre con una bella speziatura diffusa dai lieviti (pepe, coriandolo, curaçao), scorza d'arancia. In bocca è caratterizzata da una frizzantezza molto vivace che tuttavia non pregiudica una sensazione di morbidezza in bocca; il corpo è medio, l'alcool (9%) è molto ben nascosto; si parte con leggerissime note di crosta di pane che lasciano subito il posto a tanta frutta gialla (pesca, albicocca, ananas). La marcata dolcezza è mitigata da una secchezza quasi encomiabile, con una nota leggermente amaricante (scorza d'arancio/curaçao) in chiusura. Una tripel molto pulita e ben fatta,  molto facile da bere e rispettosa dello stile; regala una bevuta molto vivace grazie alle "bollicine" che solleticano lingua e palato enfatizzando la speziatura dei lieviti. Formato: 75 cl., alc. 9%, lotto 1080, scad. 14/09/2013, prezzo 3.99 Euro.

sabato 12 gennaio 2013

Opperbacco 10 e lode

Opperbacco è la "creatura" di Luigi Recchiuti, laurea in scienze agrarie, passato decennale di homebrewer che sfocia, dopo le solite difficoltà burocratiche, prima nell'apertura di un circolo/pub e poi, a Gennaio del 2009, nell'avventura Opperbacco, con il nome che sembra quasi scherzosamente prendersi gioco della zona in cui si trova (Notaresco, Teramo), caratterizzata da un'alta densità di produttori di vino (Montepulciano e Trebbiano d'Abruzzo). Per la messa in moto degli impianti viene aiutato da Leonardo Di Vincenzo, quasi un vicino di casa visto che Birra del Borgo dista da Notaresco un centinaio di chilometri percorribili quasi tutti sulla A24. In birrificio viene aiutato dalla moglie Arianna e dall'assistente Marco; dopo la TriplIpa e la 6sonIpa, assaggiate in queste occasioni, è il momento di passare "all'ammiraglia" del birrificio, la 10 e lode, dichiaratamente ispirata alla grandi birre trappiste belghe (Rochefort 10, Wesvleteren 12) e la cui ricetta prevede malti pilsner, cara munich, special B, biscuit, aromatic ed avena, luppoli hallertau e styrian goldings. Un confronto molto impegnativo che parte dallo splendido color marrone scuro con intensi riflessi rossastri; la schiuma è beige chiaro, cremosa, molto persistente. Il naso è molto pulito e raffinato, davvero intrigante: apre con dolci sentori di marzapane, zucchero di canna, banana, frutta secca e datteri, affiancati da una leggera asprezza di ciliegia. Ottime premesse confermate anche in bocca: corpo pieno, grande morbidezza al palato, bassa carbonazione; il gusto è ricco di frutta (datteri, prugne, uvetta) ma ci sono anche note più sottili di liquirizia, cioccolato, tabacco e caffè a movimentare la bevuta. La grande pulizia permette di assaporare tutte le complesse sfumature di un gusto che rimane comunque abbastanza dolce, se si eccettua un finale leggermente amaricante (radici, tostature, frutta secca). L'alcool è importante (10%) ma è mascherato davvero molto bene e la bevuta non risulta particolarmente impegnativa: chiude in bellezza con un leggero calore etilico che accompagna il lungo retrogusto di frutta sotto spirito. Birra molto solida, che lascia intravedere anche delle potenzialità d'invecchiamento di diverse bottiglie che purtroppo gli alti prezzi della birra italiana non rendono facile. Evidente l'ispirazione trappista, questa 10 e lode non ha la secchezza e (ovviamente) il complesso profilo donato dai lieviti che ha una Rochefort 10, ma se la gioca tranquillamente alla pari con molte (grandi) birre belghe. Uno dei migliori tributi italiani alla tradizione trappista che abbiamo bevuto. Ne esiste anche una versione "extravecchia" (affumicata con fumo di sigaro toscano), una barricata (botti di vino Neromoro di Nicodemi), una "sour" (barriques inacidite) ed una "extravecchia barricata".  Formato: 75 cl., alc. 10%, IBU 32, lotto LO311, scad. 04/2013, prezzo 10.60 Euro.

venerdì 11 gennaio 2013

Mikkeller Black Tie

Dopo quasi un anno e mezzo ritorniamo ad aprire una Mikkeller, probabilmente la beer firm per eccellenza più famosa al mondo. E' il periodo giusto dell'anno per recuperare in cantina una bottiglia di Black Tie, corposa imperial stout maturata per quattro mesi in barili di whisky scozzese e prodotta con una piccola percentuale (3%) di miele. Inizialmente la birra (senza il passaggio in botte) fu prodotta esclusivamente per il mercato svedese con il nome di Mandeol; essendo Mikkeller privo di impianti produttivi propri, la birra è stata fatta in Norvegia alla Nøgne Ø.  Nel bicchiere è assolutamente nera, con una stupenda schiuma marrone, fine e cremosa, molto persistente. L'aspetto invitante e sontuoso si porta dietro un aroma complesso, pulito, molto elegante: il primo impatto è di una "vampata" alcolica (whisky), avvertibile anche a debita distanza dal bicchiere; seguono sentori di torba/affumicato, frutta sotto spirito, uva passa, frutta secca e miele. La viscosità che si percepisce versando la birra nel bicchiere trova riscontro in bocca; la sensazione al palato è di grande morbidezza e rotondità: corpo pieno, carbonazione bassa, consistenza cremosa, calda, appagante. Il gusto è però leggermente meno pulito dell'aroma, pur mantenendone l'intensità; anche qui il benvenuto lo dà l'alcool, ma c'è poi un bell'equilibrio tra reminiscenze di whisky, caffè e tostature, liquirizia. Il finale vira deciso in territorio amaro, molto amaro, ricco di caffè e torrefazione, ma si fa largo anche una leggera nota di cioccolato amaro e di affumicato, con quest'ultima  che aumenta d'intensità nel lungo retrogusto etilico, caldo. "Birrone" massiccio (11.5% alc.), solo minimamente alleggerito da una leggera acidità che ne permette un lento sorseggiare per riscaldarsi in un dopo cena di una fredda sera d'inverno. Molto ben fatta ed interessante, con l'alcool che fa sentire sempre di più la sua presenza man mano che la birra raggiunge la temperatura ambiente; bottiglia da 50 cl. forse sovradimensionata, se la si beve in solitudine. Un bicchiere ci sembra sufficiente per digerire il pasto ed andare a letto felici e contenti. Formato: 50 cl., alc. 11.5%, lotto 427, imbottigliata il 16/05/2009, scad. 18/05/2014, prezzo 10.05 €.


giovedì 10 gennaio 2013

Ridgeway Lump of Coal

Ridgeway Brewery è una beerfirm fondata da Peter Scholey, ex birraio alle Brakspear che ha messo in piedi la Beer Counter Ltd; oltre a produrre la proprie birre a nome Ridgeway, Peter realizza su commissione anche birre per altri come ad esempio la Bluebird Bitter per la Consiton. Per la produzione si affida generalmente agli impianti della Hepworth Brewery. Due le cose che ci colpiscono di questa beer firm: la mancanza di un sito internet (siamo nel 2013 !) e l'impressionante abbondanza di birre "natalizie": Bad Elf, Criminally Bad Elf, Insanely Bad Elf, Raindeer Droppings, Raindeer's Revolt, Santa's Butt, Seriously Bad Elf, Very Bad Elf, Warm Welcome e Lump of Coal.  Dopo la poco positiva esperienza con la Santa's Butt, riproviamo stappando una bottiglia di Lump of Coal, ovvero quel pezzo di carbone nero (di zucchero) che a Natale viene dato a coloro che nel corso dell'anno sono stati cattivi.  Non è nero, il colore, ma poco ci manca: ebano scurissimo con riflessi color "cola"; la schiuma ricorda un cappuccino, piccola ma cremosa, molto persistente. Al naso ci sono tostature, caffè, mirtilli, orzo tostato e una netta mineralità; aroma non molto forte, ma pulito. Si continua sulla stessa linea anche in bocca, con un gusto che si sviluppa tra tostature, caffè e leggere note di cioccolato amaro. C'è una leggera acidità ed una buona secchezza a pulire bene il palato, con un retrogusto abbastanza intenso di tostature, caffè ed una leggera nota di cenere. Stout "irrobustita" (8%) per riscaldare il bevitore natalizio, che ha corpo medio, bassa carbonazione ed una consistenza leggera, ai confini del watery a donarle una buona scorrevolezza in bocca. Sostanzialmente pulita, ha una discreta intensità di gusto ed una timida nota etilica che cerca di portare qualche tepore; birra corretta che però non ha suscitato in noi grandi emozioni. Formato: 50 cl., alc. 8%, scad. 18/09/2014.

mercoledì 9 gennaio 2013

De Molen / Hoppin' Frog Super-Charged Saison IPA

All'inizio dell'estate del 2012 Fred Karm del birrificio americano (Ohio) Hoppin Frog passa qualche mese in Europa per abbinare alle vacanze anche qualche collaborazione con i colleghi europei per una serie di birre chiamate "U.S. Meets Europe". La prima tappa è in Olanda, al birrificio De Molen dove lo aspetta Menno Oliver. I due decidono di realizzare un incrocio tra una saison ed una american (double) IPA, che viene poi chiamata Super-Charged Saison IPA. L'idea è un po' quella di realizzare una saison-americanata, estrema,  una "double o imperial Saison"(chiamatela un po' come vi pare) con un ABV molto elevato (10.4%) ed un uso massiccio di luppolo (premiant, saaz, columbus e cascade). Purtroppo non tutte le ciambelle vengono con il buco, e ci sembra che per questa birra qualcosa non abbia funzionato a dovere. Si presenta di color marrone con riflessi aranci, quasi tonaca di frate; la schiuma è quasi pannosa e "croccante", color ocra, molto persistente. Il naso è ricolmo di frutta tropicale (mango, ananas maturo, papaia), caramello ed una discreta presenza etilica; aroma dolcissimo, di frutta (molto) matura, che purtroppo con la birra a temperatura ambiente arriva quasi a ricordare l'odore della frutta troppo matura, con un principio di marciscenza. L'aroma è molto forte ma non esattamente elegante. In bocca si presenta quasi sotto forma di sciroppo liquoroso; c'è molto alcool, presente sin dall'imbocco a mettere un freno alla facilità di bevuta; la birra ha un corpo pieno, è morbida, ha una carbonazione non eccessiva ma comunque vivace, che si unisce all'alcool punzecchiando lingua e palato. Il gusto è quello di una dolce marmellata d'agrumi (pompelmo su tutto), che sfocia poi in un finale amaro, intenso ma abbastanza corto, di resina e scorza di pompelmo seguito da un caldo retrogusto di alcool e frutta liquorosa. I due stili sembrano respingersi, piuttosto che incontrarsi, e la metà americana (IPA) prende il sopravvento eclissando la saison europa; la birra è massiccia ed impegnativa, non brilla di pulito e si lascia solamente sorseggiare piuttosto che bere. I lieviti sono oscurati dai luppoli, ed il risultato è abbastanza paragonabile a quello di una American Double IPA non molto in forma, molto dolce, molto alcolica, con luppoli poco freschi. Una grossa delusione se pensiamo al "calibro" dei due birrifici coinvolti; su You Tube trovate anche un breve video che illustra alcuni momenti della collaborazione. Ne esistono già due versioni, una realizzata presso gli impianti di De Molen ed una realizzata negli Stati Uniti; noi abbiamo assaggiato la prima, che ottiene un punteggio di 95/100 su Ratebeer vs. i 70/100 della gemella americana. Beer Advocate elenca solamente quest'ultima, con un punteggio di 81/100. Formato: 75 cl., 54 IBU, alc. 10.4%, lotto 12/07/2012, scad 07/2022, prezzo 15.50 Euro.

martedì 8 gennaio 2013

Hibu Natale

Inauguriamo l'anno con un birrificio che incontriamo per la prima volta; si tratta del brianzolo Hibu, con sede a Bernareggio. Dietro al nome scelto ci sono il birraio Raimondo Cetani, Gianluca Boretta (commerciale) e "Rox" (sul quale non abbiamo trovato ulteriori informazioni); attivo dal 2007, il birrificio è comunque il punto di arrivo di un percorso decennale iniziato come al solito da un appassionato homebrewing. Sei le birre al momento prodotte, tutte ad alta fermentazione, quasi equamente divise tra rimandi a Belgio, Inghilterra e Stati Uniti. Approfittiamo del periodo dell'anno per assaggiare la produzione natalizia del birrificio, chiamata semplicemente Natale e dichiaratamente ispirata alle birre natalizie belghe anche se la ricetta prevede due ingredienti abbastanza insoliti per la nazione a cui ci si vuole ispirare: zucca e fave di Tonka. All'aspetto è di color ambra/rame, velato; la schiuma che si forma non è molto ampia, è cremosa ed ha una persistenza modesta. Il naso è pulito ed apre con sentori dolci di miele d'acacia, frutta candita, buccia d'arancia ed una leggera speziatura da lievito. Il percorso continua con buona corrispondenza in bocca: caramello, frutta candita, miele, leggere note di zucca. Il gusto è dolce ma è ben bilanciato da una sterzata finale che porta un po' d'amaro (radici, frutta secca, mandorla) e da un bel taglio finale secco ripulente. Lascia un po' insoddisfatti il retrogusto, che porta una nota amaricante di frutta secca ma che ha una persistenza abbastanza breve.  Birra profumata e pulita che nasconde molto bene l'alcool facendosi bere moto facilmente ma sacrificando un po' quel "warming", quella sensazione di calore che vorremmo trovare in una birra invernale e/o natalizia. La bottiglia finisce molto velocemente, e se ciò sarebbe normalmente un pregio assoluto, in questo periodo dell'anno l'assenza di una calda nota etilica ci è sembrata una mancanza da colmare. I presupposti sono molto positivi, speriamo quindi in una edizione 2013 un po' meno timida che sappia riscaldarci maggiormente. Formato: 75 cl., alc. 7.7%, scad. 03/12/2013, prezzo 10.00 Euro.

lunedì 7 gennaio 2013

A.D. 2012

Fine Anno/Inizio Anno:  periodo di bilanci, riflessioni, statistiche.

Nei post non siamo soliti dare “voti” alle birre che beviamo, ma questa volta abbiamo voluto un po’ tirare le somme dell’anno appena concluso, ricapitolare in modo schematico quello che di meglio abbiamo bevuto nel corso del 2012 e divertirci con un po’ di numeri. 
Iniziamo con qualche dato generale.  Per la cronaca, sono state “stappate” 293 birre, per un totale di 148,48 litri bevuti; sono “solamente”  40 centilitri al giorno, sostanzialmente in piena coerenza con il nome di questo blog (una birra – da 33 – al giorno). La media della percentuale alcolica in volume delle birre bevute è stata di 7,1%, non esattamente da “session drinking”, insomma. Il costo medio di ogni “bevuta” è stato di 4.74 Euro  per un prezzo medio, al litro, di 9.23 €; questa informazione ha una rilevanza relativa, visto che i prezzi d’acquisto vanno dallo spaccio del birrificio al supermercato, dal beershop al prezzo ci somministrazione al tavolo (ristorante/pub),dall’Italia all’Estero.

Passiamo agli stili; la categoria più bevuta è stata di gran lunga quella delle IPA (41 birre), complice la nostra vacanza estiva nella West Coast USA. Seguono le le BELGIAN STRONG ALE (28),  le DOUBLE IPA (18), le APA (15) e le BLOND/GOLDEN ALE (16).  Con 109 birre l’Italia è stata la nazione maggiormente bevuta; seguono gli USA (48), la Germania (40), l’Inghilterra (35) e la Svizzera (27). Chiaramente la stratificazione per nazioni riflette quello che abbiamo in cantina, principalmente proveniente da acquisti effettuati nei paesi in cui ci siamo recati; questa puntualizzazione giusto per spiegare la mancanza del Belgio, che comunque segue la Svizzera con (solo) 20 birre. Se fossimo andati in vacanza in Belgio, il panorama sarebbe profondamente cambiato.
Tra i birrifici, per quantità di birre bevute nel 2012 vince il Dada (11 birre), seguito da Toccalmatto (8), Birrificio Ticinese/Bad Attitude (8), Stone (USA – 6 birre) e il marchio tedesco BraufactuM (6). Qui domina il  “drink local”, con due birrifici (quasi) vicino casa che hanno sede nella nostra  Emilia Romagna.

Passiamo ora alla parte (forse) più interessante, ovvero: quali sono state le birre bevute nel 2012 che ci sono piaciute di più?
Prima di passarle in rassegna, è necessario precisare che non abbiamo assolutamente l’ambizione di voler stillare una classifica di merito assoluta.  Abbiamo bevuto le birre una sola volta, e nel bene e nel male il nostro “giudizio“ si è basato solamente su quella bottiglia, fortunata o sfortunata che fosse.  Ecco quindi la “Top 25” (Top 24, per accorpamento di punteggio), con i voti espressi in cinquantesimi.  “Classifica” assolutamente influenzata (e dominata) dalla nostra vacanza estiva sulla West Coast USA; le IPA/DIPA bevute fresche, direttamente “alla fonte”, hanno lasciato il segno sull’anno appena trascorso.





Se mettiamo per un attimo da parte le americane, che oltretutto (e purtroppo) per la stragrande maggioranza non sono reperibili in Italia, la Top 25 (che diventa una “Top 28”, per accorpamento di punteggi)i, sarebbe la seguente:


Da quanto ne sappiamo tutte queste birre (escluso Bristol Beer Factory,  forse Moor Fusion e Trois Dames) sono reperibili in Italia e quindi speriamo che questa lista possa essere per qualcuno un utile suggerimento d'acquisto.

Concentrandoci solamente sul nostro paese, ecco le birre che ci sono piaciute di più tra quelle bevute nel 2012:
























Ma possiamo divertirci a stillare qualche altra classifica meno "seriosa" :

Le birre più alcoliche bevute:













Le 10 birre più esose (prezzo al litro, escludendo quelle bevute “al tavolo”):















E le 10 birre meno care, dove non c’è stata “partita” e la Germania (acquisto in supermercati tedeschi) ha dominato in lungo ed in largo:















Per chi fosse interessato alla lista completa, la trovate qui:

-    ORDINATA PER STILE (secondo la classificazione di RATEBEER, non vogliatecene male)

Siccome siamo (quasi) in periodo di par condicio, ci piacerebbe sapere quali sono state le migliori birre da voi bevute, i consigli per gli acquisti sono sempre benvenuti.

Teniamo a precisare ancora una volta che queste "classifiche" sono solamente un riepilogo schematico delle impressioni di quanto abbiamo bevuto (e pagato di tasca nostra) nel corso del 2012. Siccome c'è molta permalosità nel mondo (dei produttori) di birra artigianale italiana, sappiate che non abbiamo voluto fare una lista dei buoni e dei cattivi. Non siamo così superbi da credere che ci siano così tanti birrai che leggono questo umile blog amatoriale, ma nel caso qualcuno si sentisse offeso per l'assenza di una qualsiasi delle sue birre, beh l'unico motivo è semplicemente perché non l'abbiamo bevuta nel 2012. Se invece qualche produttore non fosse d'accordo con la "votazione" ricevuta, saremo ben felici di riprovare la birra in una bottiglia più "fortunata" (come si usa dire).

E dopo tutto questo snocciolamento di numeri, ci è venuta sete;  andiamo allora stappare le prima bottiglia del 2013.