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martedì 18 settembre 2018

Stone (Berlin) / Hanscraft & Co Quince-Essential

Sono passati ormai due anni dallo sbarco di Stone Brewing sul continente europeo, avvenuto nell’estate del 2016 a Berlino, location scelta dal birrificio come quartier generale per le proprie operazioni: per noi europei era l’opportunità di bere le aggressive e muscolose birre californiane fresche e senza doverle far attraversare l’oceano. Tutto bene? No, perché l’avventura europea di Stone non è iniziata col piede giusto e, a due anni di distanza, le birre che escono da Berlino sono ancora delle lontane parenti di quelle che vengono prodotte ed Escondido (o almeno che lo erano: è da qualche anno che non bevo le Stone luppolate americane). 
L’ambizioso progetto europeo di Stone ha già subito qualche accorgimento: enorme (americana!) e bellissima la sede di Berlino, ma terribilmente isolata nel quartiere periferico di Mariendorf che si trova a 12 chilometri dal “centro” (virgolette obbligatorie, per la capitale tedesca).  Nel frattempo, grazie anche al traino di Stone stessa, la craft beer è cresciuta e a Berlino sono spuntati molti altri locali dove bere bene in zone molto meno periferiche: alla Stone sono corsi ai ripari inaugurando la Stone Brewing Tap Room nel più comodo quartiere di Prenzlauer Berg, in prossimità del quale si sono posizionati anche Mikkeller, BrewDog e l’italiano Birra. Anche la distribuzione ha subito inevitabili modifiche: dalle rigorose intenzioni del debutto di utilizzare solo locali selezionati che avrebbero garantito la catena del freddo si è arrivati alla grande distribuzione e oggi le lattine di Stone si trovano (al caldo) sugli scaffali di alcuni supermercati europei.  Lattine: la craft beer non era ancora stata contagiata dalla “lattina-mania”  e in questo senso alla Stone ci avevano azzeccato e avevano anticipato un po’ i tempi. Per restare al passo con la moda è bastato solo qualche accorgimento: ampliare il formato del contenitore (50 cl.) e variarne il contenuto con la maggior frequenza possibile per accontentare chi è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da bere. 
E’ questo il concetto dietro alla nuova serie Uniqcan che ha debuttato lo scorso giugno: edizioni limitate (Uniq) in lattina (can), una novità al mese, nessuna replica futura?  Il progetto altro non è che l’evoluzione della Stone Berlin Pilot Series, collaborazioni, edizioni limitate e esperimenti disponibili solamente alle spine di Berlino o in pochi locali selezionati.  Ad inaugurarla è stata la Stone Tangerine Express IPA, versione europea di quella lanciata negli USA nel 2017 e precedentemente nota come Stone Pilot Series 2018 IPA Tangerine, una IPA prodotta con mandarino ed ananas; a luglio è arrivata la Quince-Essential Hazy Ale, seguita in agosto dalla CoCo-POW! Porter, altresì nota come Pilot Series 2018 Coconut Coffee Porter.

La birra.
La Uniqcan di luglio 2017 è una “Hazy Ale” che abbraccia il protocollo New England ma che vede l’inusuale aggiunta di cotogne; la ricetta viene elaborata da Thomas Tyrell, headbrewer di Stone Berlino e Christian Hans Müller del birrificio francone Hanscraft & Co. Nel bicchiere è di colore arancio pallido, opaco ma non torbido: la schiuma è abbastanza compatta ed ha una buona persistenza. L’aroma è pulito e piuttosto gradevole e sul trenino di frutta tropicale che sfreccia davanti alle narici identifico ananas, papaia e mango, maracuia o forse la mela cotogna; tra gli agrumi, cedro e lime, c’è una netta sensazione di candito. La sensazione palatale è morbida e gradevole (o “cremosa”, secondo le intenzioni del birrificio) senza raggiungere un livello tale da rallentare troppo la bevuta e rispettare quindi la tradizione tedesca. Il gusto è tuttavia meno pulito, meno definito e meno intenso dell’aroma: pane, miele, frutta candita e tropicale delineano una bevuta piuttosto dolce e poco secca che termina con un amaro resinoso e zesty, corto e di bassa intensità. Un delicato tepore etilico fa capolino in conclusione di una birra che risulta molto meno rinfrescante di quello che potrebbe essere e, soprattutto, poco esplosiva, timida, col freno a mano tirato. Più o meno gli stessi appunti fatti su altre Stone europee bevute tempo fa: niente di nuovo da Berlino, insomma.
Formato 50 cl., alc. 6.3%, IBU 35, lotto 18/07/2018, scad. 15/11/2018, prezzo indicativo 6.00 euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio

giovedì 9 marzo 2017

Stone (Berlin) Xocoveza for the Holidays & the New Year

Ogni anno il birrificio americano Stone organizza la Stone Homebrew Competition in collaborazione con l’American Homebrewers Association; in premio per il vincitore c’è l’opportunità di realizzare la propria ricetta in grande scala sugli impianti del birrificio di Escondido, California. 
Lo scorso novembre si è tenuta l’edizione 2016, il cui verdetto non è ancora stato reso noto. Nel 2015 aveva vinto la homebrewer Juli Goldenberg, prima donna in assoluto, che aveva poi realizzato la Stone Carrot Golden Ale, praticamente la versione liquida di una Carrot Cake; nel 2013  Robert Masterson e Ryan Reschan realizzarono la Stone Coconut IPA, nel 2012  Kelsey McNair vinse con la San Diego County Session Ale, poi realizzata commercialmente in collaborazione con Ballast Point e Stone. Nel 2011 il primo posto era invece stato assegnato a  Ken Schmidt, dalla cui ricetta erano poi nate la Stone Kona Coffee Macadamia Nut Porter e la Stone Mint Chocolate Imperial Stout. 
Parliamo ora dell’edizione 2014 vinta da Chris Banker; la sua birra, dopo aver subito qualche aggiustamento per la realizzazione su scala commerciale, ha debuttato nel settembre 2014 con il nome di Xocoveza Mocha Stout; alla stesura finale hanno collaborato Mitch Steele, ex brewmaster di Stone ed Iván Morales, birraio della Cervecería Insurgente, Baja California, Messico. 
Chris Banker ha iniziato con l’homebrewing nel 2009, quando dal Massachusetts si è trasferito in California; col tempo è diventato un Certified Beer Judge ed un membro della American Homebrewers Association, della North County Homebrewers Association, della Quality Ale and Fermentation Fraternity  ed ha fondato la Queso Diego – The San Diego Cheese Club. “La ricetta - racconta Banler - è stata ispirata dalla torta di cioccolato messicana; cannella, vaniglia e noce moscata si abbinano benissimo al cioccolato. I miei genitori erano appena tornati da una vacanza in Messico e mi avevano portato dei baccelli di vaniglia messicana che ho utilizzato per la birra del concorso. Ho preso la ricetta di una mia stout e l’ho leggermente modificata per farla rientrare nei parametri dello stile stabiliti dal Beer Judge Certification Program (BJCP). Dopo aver vinto il concorso, Mitch Steele di Stone suggerì di aumentare la gradazione alcolica per darle potenziale d’invecchiamento e la Cervezería Insurgente apportò qualche altra modifica per rendere la birra più “piccante/caliente”. 

La birra.
La Xocoveza Mocha Stout ha riscosso un ottimo successo ed è entrata tra le birre stagionali che Stone produce ogni anno con il nuovo nome  Xocoveza for the Holidays & the New Year;  luppoli inglesi Challenger ed East Kent Golding ed un parterre non specificato di malti costituiscono la base per l’abbondante speziatura a base di cacao, caffè Mostra, peperoncini Pasilla, vaniglia, cannella, noce moscata e lattosio: l’edizione 2016  ha debuttato negli Stati Uniti il 3 ottobre. Mi era capitato di provare alla spina la Xocoveza a dicembre 2015, quando fu fatta in Italia la presentazione ufficiale di Stone Berlino e furono fatti arrivare alcuni fusti prodotti negli Stati Uniti. 
Anche la succursale europea di Stone, a Berlino, ha deciso quest’anno di produrre per la prima volta la Xocoveza che, con un po’ di ritardo, è arrivata in Italia pochissimi giorni prima delle festività natalizie. Nel bicchiere è di colore ebano scuro e forma un bel cappello di schiuma cremosa e compatta, dalla discreta persistenza. L’aroma non è esattamente un manifesto di pulizia e di eleganza ma ci convivono con discreto successo caffè e cioccolato al latte, orzo tostato e peperoncino, vaniglia e cannella. Un po’ confuso ma comunque soddisfacente è anche il gusto, sebbene i vari elementi della “torta messicana” non mi sembrino amalgamati tra loro alla perfezione: caramello e caffè, noce moscata, vaniglia e cioccolato al latte. Al contrario di altre birre simili assaggiate (qui e qui) nelle quali il peperoncino si avvertiva solamente alla fine, nella Xocoveza di Stone Berlino si sente da subito. Il mouthfeel è per me un po’ troppo leggero: è un’imperial stout molto scorrevole ma completamente priva di viscosità o morbidezza e con un po’ di bollicine in eccesso; chiude il suo percorso con il calore del peperoncino e dell’alcool ad accompagnare l’amaro del caffè e delle tostature. 
Nel complesso la bevuta risulta discreta, anche se priva del carattere e del “tiro” della versione USA che mi era capitato d’assaggiare qualche tempo fa: il rapporto qualità-prezzo inizia ad intravedersi, ma dal debutto delle prime lattine di Stone Berlino avvenuto a giugno 2016, il livello generale mi sembra purtroppo ancora ben lontano da quello della casa madre di Escondido.
Formato: 33 cl., alc. 8.1%, IBU 50, imbott. 09/12/2016, scad. 05/09/2017, prezzo indicativo 4.00 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

sabato 30 luglio 2016

Stone (Berlin) Arrogant Bastard Ale vs Stone Arrogant Bastard Ale - Bourbon Barrel

"Questa è un birra aggressiva. Probabilmente non ti piacerà. E' abbastanza improbabile che tu abbia il gusto o la sofisticatezza per apprezzare una birra di tale qualità e profondità. Non ne sei degno". Con queste parole il 7 novembre del 1997 Stone Brewing lancia l'Arrogant Bastard Ale; una American Strong Ale aggressivamente luppolata che contribuirà a fare la fortuna del birrificio californiano, arrivando ad occupare il 30% della produzione.
Facciamo un passo indietro al 1995, anche se la storia già l'avevo raccontata qui: Steve Wagner, prossimo ad aprire Stone assieme a Greg Koch, ha appena acquistato un nuovo impianto casalingo e sta facendo i lotti pilota di quella che poi diventerà la Stone Pale Ale. Qualcosa va storto nell'adattare la ricetta al nuovo impianto più capiente: nella pentola ci finiscono un po' troppi malti e una quantità esagerata di luppolo. Da qui i ricordi di Wagner e Koch divergono: il primo sostiene di essersene accorto solo al momento di assaggiare la birra pronta. Koch ricorda invece che l'errore fu subito scoperto, ma i due decisero di non buttare la cotta e portare comunque a termine la fermentazione per vedere che cosa ne era venuto fuori. Il risultato è comunque lo stesso: al momento dell'assaggio entrambi la trovano fantastica, anche se sono consapevoli che poche persone saranno in grado di apprezzare una birra così amara.  Il nome Arrogant Bastard Ale nasce spontaneo. 
Ma nel primo anno anno dall'apertura (1996), Stone non naviga nell'oro e fatica a far tornare i conti; i soci di Wagner e Koch li sentono ogni tanto parlare di questa "Arrogant Bastard", trovano che il nome sia di grande effetto e spingono per commercializzarla, pur non avendola mai assaggiata. 
Wagner e Koch sono però dubbiosi: "la maggioranza della gente non era sicuramente degna di bere questa birra. Non volevo che qualcuno la comprasse per poi vuotarla nel lavandino; la nostra idea iniziale era di farne solamente una cotta, un'edizione limitata e quindi destinarla soltanto a quei pochi individui che l'avrebbero apprezzata". Prima ancora di iniziare a vendere la birra, Koch mette in vendita nell'estate del 1996 allo spaccio di Stone alcuni bicchieri con il logo Arrogant Bastard Ale: voleva vedere la reazione della gente al nome, e quelle pinte vanno subito a ruba. Ci vorrà però ancora un anno, e presumibilmente numerosi tentativi per affinare la ricetta, prima delle première del primo fusto di Arrogant Bastard che avviene il primo novembre del 1997 in un affollatissimo Pizza Port di Carlsbad.
Koch è poi bravo a costruire attorno al nome della birra un'aggressiva campagna di marketing che lancia la sfida nei confronti di bevitori "non degni" di berla: "agli eventi - racconta sempre Kock - la gente veniva al nostro stand, vedeva le bottiglie, e la voleva provare solo per il suo nome. Ma io dicevo loro di no. Prima dovete assaggiare la Stone Pale Ale, poi la Smoked Porter, poi la IPA e solo dopo, se siete interessati ad andare avanti, ve la farò assaggiare".  Un tipo di comunicazione che ha fatto scuola e che ha ispirato molti altri birrifici, gli scozzesi di BrewDog in primis.
Il successo dell'Arrogant Bastard ne ha fatto ovviamente nascere molteplici variazioni e, nel 2015, ha determinato la separazione del brand: è sempre Stone a produrla, ma il suo nome scompare a favore dell'Arrogant Brewing. Nella gamma ci sono la la Double Bastard (1998, 11%), la Oak Arrogant Bastard Ale (con chips di rovere, 2004), la Lucky Bastard (2010, un blend delle quattro birre precedenti), la Bourbon Barrel (2014), la Depth Charged Double Bastard (Double Bastard con aggiunta di caffè, 2015) e la sua versione barricata in botti di bourbon e sciroppo d'acero chiamata Bastard's Midnight Brunch, la Bastard in the Rye (Double Bastard invecchiata in botti di Rye Whiskey), e la piccantissime Crime (9.6%) e Punishment (12%), anche esse ora disponibile in versione Barrel Aged.
Il debutto di Stone Berlino non poteva quindi esimersi dal proporre, oltre alla Stone IPA, anche l'altra flahsghip beer del birrificio californiano; mettiamo a confronto una delle prime lattine arrivate da Berlino ed una bottiglia di Arrogant Bastard Ale Bourbon Barrel prodotta invece ad Escondido.

Le birre.
L'Arrogant Bastard Ale di Berlino è di uno splendido color ambrato carico, appena velato, con intense sfumature rosso rubino e sormontata da un perfetto  e generoso cappello di schiuma ocra, compatta e cremosa, dall'ottima persistenza. L'aroma non è particolarmente intenso e la generosa luppolatua (resina) non è affatto in primo piano; ci sono invece toffee, pane nero, profumi terrosi, di zucchero caramellato, qualche accenno fruttato (prugna) e di alcool. Nel complesso pulizia ed eleganza sono abbastanza buoni. Ottima la sensazione palatale, corpo medio, la giusta quantità di bollicine, morbidezza ed una scorrevolezza che quasi contrastano con il marketing aggressivo. Il caramello ed il  pane nero leggermente tostato riprendono l'aroma ma è solo una breve introduzione a quello che è il vero protagonista dell'Arrogant Bastard: l'amaro, resinoso ed intenso, piccante, affiancato da note terrose e da leggerissime tostature, che avvolge il palato in lungo e in largo, senza abbandonarlo più. E si continua senza sosta anche nel lungo retrogusto, dove alcool ed caramello continuano a supportare l'ondata amara che solletica per diversi minuti il palato, senza mai perdere di vista una certa eleganza. La pulizia  nel complesso è buona ma ci sono margini di miglioramento, sopratutto se confrontata con la sorella prodotta in California.
Ad ormai venti anni dalla sua nascita l'Arrogant Bastard continua a rimaner un'intensa bevuta, benché nel frattempo il palato del beergeek si sia ormai abituato a certi livelli di amaro e non ne rimane quindi particolarmente sconvolto; non c'è invero molta complessità, c'è quel gusto di pane nero (schwarzbrot!) che fa molto Germania e che non riscontro nella versione americana, ma nel complesso mi sembra una replica abbastanza vicina a quella che viene fatta ad Escondido, benché più mansueta e meno aggressiva.
Passiamo ora all'Arrogant Bastard Ale Bourbon Barrel, produzione californiana che debutta nell'ottobre del 2014 all'interno dell'Arrogant Bastard Box, un 4 pack che per una ventina di dollari vi offre una bottiglia da 65 cl. di  Arrogant Bastard Ale, Double Bastard Ale, Lukcy Bastard Ale e la nuova Bourbon Barrel-Aged.
Perfettamente limpida nel bicchiere, anche lei è di color ambrato carico con intensi riflessi rossastri; la schiuma ocra è compatta e cremosa ed ha un'ottima persistenza. Il naso, piuttosto pulito e di buona intensità , regala caldi ed eleganti profumi di caramello e vaniglia, bourbon, uvetta e prugna, toffee, legno, zucchero caramellato. Consistenza oleosa, poche bollicine, mouthfeel corretto per una bevuta lenta e morbida che riscalda ed appaga con il dolce del biscotto, del caramello e della vaniglia, dell'uvetta e della prugna. La chiusura è ovviamente meno amara rispetto alla sorella fresca: qui la resina ed il terroso non sono protagonisti ma contribuiscono a bilanciare il dolce di inizio bevuta, assieme all'alcool e ad una buona attenuazione. Il retrogusto è dolce di bourbon, vaniglia e caramello, con dettagli legnosi e un morbido tepore etilico che rincuora e riscalda, anche se siamo in piena estate e non ce ne sarebbe bisogno.
L'invecchiamento in botte le toglie ovviamente buona parte "dell'arroganza amara" che possiede la versione base ma l'arricchisce con bourbon, vaniglia e legno; ne risulta una birra il cui vigore e la cui potenza non scaturiscono dal luppolo ma dalla componente etilica, con il risultato di una bevuta più bilanciata e non priva di una certa eleganza. Molto bene.

Nel dettaglio:
Stone Brewing Berlin Arrogant Bastard Ale, formato 50 cl., alc. 7.2%, lotto 10/06/2016, scad. 07/03/2017, prezzo indicativo 5.00 Euro (beershop, Italia)
Stone Brewing Arrogant Bastard Ale - Bourbon Barrel, formato 35.5. cl., alc. 8.1%, lotto 23/12/2015, prezzo indicativo 5.50 Euro.

NOTA:  la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio della bottiglia in questione e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

lunedì 25 luglio 2016

Stone (Berlin) IPA (& Stone Delicious IPA)

Sono passati due anni da quel 19 luglio del 2014 in cui Greg Koch, CEO e co-fondatore di Stone Brewing Company, annunciava un investimento da 25 milioni di dollari per l'apertura di una succursale a Berlino. Un edificio del 1901 precedentemente adibito al trattamento di gas industriale è stato completamente ristrutturato e riconvertito in un moderno birrificio nel periferico quartiere Mariendorf (Marienpark 23, metro U6 - Alt-Mariendorf); i lavori di quella che sarà sostanzialmente una replica della location di Escondido, California, sono ancora in corso ma il birrificio è finalmente operativo e le prime lattine sono arrivate in quasi tutti i paesi europei.
Gli impianti si trovano nell'edificio principale (4000 metri quadri) assieme allo spazio merchandising e a quello che sarà lo Stone Bistro, ovvero un ristorante "farm to table" che utilizzerà soprattutto ingredienti provenienti da piccoli produttori locali.  Un secondo edificio di 2000 metri quadri ospita i fermentatori e le linee di packaging: soprattutto lattine. Un ultimo edificio di 120 metri quadri, immerso nei giardini circostanti, sarà utilizzato come sede di eventi. 
Un primo assaggio delle Stone berlinesi, prodotte sull'impianto pilota, è arrivato il 7 dicembre 2015 con un "tap takeover" nei locali Baladin di Milano, Torino e Roma, oltre che in altri locali europei selezionati; lo scorso aprile "il messia" Greg Koch ha invece tenuto una sorta di tour europeo per presentare ufficialmente i primi fusti dell'impianto da 100 hl ed incontrare i giornalisti. In Italia è toccato di nuovo a Milano (20 aprile da Baladin e Lambrate) ed il giorno successivo ci si è spostati a Roma (Ma Che Siete Venuti A Fà e Open Baladin). Per vedere le prime lattine in Italia si è invece dovuto attendere qualche altro mese, ma verso la fine di giugno hanno finalmente debuttato due birre che hanno reso famosa Stone dall'altra parte dell'oceano: IPA e Arrogant Bastard Ale.

La birra.
La IPA di Stone nasce nell'agosto del 1997, quando Stone spegne la sua prima candelina; a San Marcos a quel tempo si produceva solamente una birra, la Stone Pale Ale.  E' strano immaginare che nella contea di San Diego, ora vera e propria mecca del luppolo, allora vi era praticamente solo Vince Marsaglia (Pizza Port) che osava sfidare il palato dei bevitori con delle birre molto, troppo amare per la maggior parte di loro; sempre in California, molto più a nord, c'era Vinne Cilurzo con la sua Blind Pig IPA.
La principale difficoltà che incontravano Wagner e Koch era che la Stone Pale Ale era considerata "troppo amara" da molti dei locali in cui andavano a proporla: "avremmo potuto ascoltarli e andarci più piano col luppolo - ricorda Wagner - ma noi volevamo fare prima di tutto le birre che ci piacevano bere. Se a molti non piacevano, non importa, avremo trovato qualcuno a cui sarebbero piaciute... almeno lo speravamo".  Wagner, co-fondatore e allora birraio di Stone, era un assiduo frequentatore dei Pizza Port e fu proprio una birra di Marsaglia, la Swami's IPA, ad ispirarlo per la prima Anniversary Ale di Stone:  "non abbiamo mai fatto un lotto-pilota della nostra IPA. Non avevamo spazio, tutta la nostra capacità era occupata; così abbiamo pensato ad una ricetta molto semplice e abbiamo incrociato le dita sperando che andasse bene al primo tentativo".
Quella che in seguito diventò la birra più famosa e venduta di Stone si basava su malti Pale e Crystal, luppoli Chinook, Centennial e Columbus; attualmente quest'ultimo è stato sostituito dal Magnum.
Nel bicchiere è del classico limpido colore West Coast, dorato con riflessi arancio, ed una perfetta schiuma bianca, compatta, fine e cremosa, dall'ottima persistenza. In lattina è stata messa lo scorso 13 giugno, ma l'ancor giovane età purtroppo non si riflette nell'aroma: intensità piuttosto dimessa e alquanto deludente per quel che riguarda la fragranza. Sentori floreali, un leggera presenza di aghi di pino: tutto qui.  Bene invece la sensazione palatale; il corpo è medio, con poche bollicine a dar forma ad una birra morbida che scorre molto bene. Al gusto c'è un leggero miglioramento, ma siamo ben lontani dagli standard californiani: la base maltata è lieve (miele, un tocco di caramello) così come quel carattere fruttato che dovrebbe invece rappresentare la spina dorsale di una West Coast IPA. Gli agrumi ci sono, ma è quasi più marmellata che frutta fresca, mentre bisogna arrivare proprio a fine bevuta per veder emergere un po' di personalità e di carattere: l'amaro è finalmente intenso e pungente, resinoso, delicatamente accompagnato dal caramello e da un leggero tepore etilico.
Una IPA piuttosto deludente e sottotono, devo dire a malincuore la verità, soprattutto perché ancora fresca; pochissimi profumi, fragranza che già latita, pulizia non impeccabile. A scanso di equivoci chiarisco che non ho nessun pregiudizio contro Stone e contro la "campagna di evangelizzazione" europea che Greg Koch ha messo in atto. Sono invece "affezionato" a questo birrificio, il primo che ho visitato in California quattro anni fa, restando quasi stupefatto dalle dimensioni di quello che negli Stati Uniti è considerato un "piccolo" birrificio; non per "tirarmela" ma proprio perché questa birra l'ho bevuta più di una volta in California, posso assicurare che è tutt'altra cosa rispetto a quella che oggi mi sono trovato nel bicchiere. Possiamo invocare "la lattina sfortunata", possiamo appellarci al fatto che il birrificio è ancora in rodaggio, ma la strada da fare per proporre agli europei una vera West Coast IPA che non abbia sofferto il viaggio oceanico è purtroppo ancora lunga. Rimango però con una domanda: la Stone IPA americana ha scadenza a 90 giorni, perché a quella tedesca viene invece data una shelf life a nove mesi ?

Il debutto delle lattine europee di Stone Berlin è stato accompagnato da un insolito carico di produzioni americane in bottiglia, sino ad ora disponibili quasi solo presso i BrewDog bar nel Regno Unito, paese del quale il birrificio scozzese è importatore ufficiale. Purtroppo ha poco senso che mi metta a descrivere la Delicious IPA, birra a basso contenuto di glutine che è stata commercializzata da Stone (USA) per la prima volta a gennaio 2015, in quanto a me pervenuta piuttosto malandata. Lemondrop ed El Dorado sono i due luppoli utilizzati, ma nella bottiglia da me bevuta, imbottigliata lo scorso aprile, la stanchezza regna sovrana: a partire dall'aroma, piuttosto sottotono, dal quale emergono profumi poco fragranti di marmellata d'agrumi e di aghi di pino, per proseguire poi al palato, completamente scevro di quella componente fruttata che la birra aveva in origine. Rimangono i malti (pane, miele ed un accenno biscottato) ed un amaro che si sviluppa più su stanchi toni vegetali che sulle pungenti note di resina. Senza la parte fruttata a bilanciare, la bevuta diventa subito una tisana verde che satura il palato dopo pochi sorsi: quattro i mesi sulle spalle, ma sembrano almeno il triplo. Un pessimo viaggio o, se preferite, la solita bottiglia sfortunata.

Nei dettagli
Stone Berlin IPA
Formato: 33 cl., alc. 6.9%, IBU 77, lotto 13/06/2016, scad. 10/03/2017, 4.00 Euro (beershop, Italia).

Stone Delicious IPA)
Formato 35.5 cl., alc. 7.7%, IBU 80, lotto 19/04/2016, scad. 14/01/2017, 5.00 Euro (beershop, Italia).

NOTA:  la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio della bottiglia in questione e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.