venerdì 31 agosto 2018

Ritual LAB: Too Nerdy & Double Super Lemon Ale


2018 ricco di eventi importanti per Ritual LAB, birrificio operativo dal 2015 e guidato dal birraio Giovanni Faenza. Lo scorso febbraio c’è stata a Firenze l’incoronazione come Birraio Emergente del 2017 alla manifestazione Birraio dell’Anno organizzata da Fermento Birra e a metà giugno è stato inaugurato a Roma (zona Olgiata) il locale Punto Ritual, sei spine dedicate principalmente alle birre della casa e una selezione di bottiglie estere. Il Punto Ritual viene  parzialmente a colmare il vuoto lasciato dalla scomparsa del Ritual Pab, aperto nel settembre 2017 in Piazza Cavour, in pieno centro città, e improvvisamente chiuso alla fine dello scorso giugno. Dovrebbe comunque trattarsi di un arrivederci e non di un vero e proprio addio;  voci già parlano della riapertura del locale in una diversa zona della città. 
Per quel che riguarda la birra, il mercato impone di non fermarsi mai e di sfornare continuamente novità, che a volte coincidono con rielaborazioni di ricette già note; è il caso delle birre di oggi, due versioni “on steorids” di due classici Ritual: la session IPA Nerd Choice e la APA Super Lemon Ale.

Le birre.
Non è esattamente una novità visto che se non erro ha debuttato nel luglio del 2017 la Double IPA Too Nerdy (8%), versione potenziata della Nerd Choice della quale riprende anche la splendida etichetta metafisica  realizzata dall'artista e tatuatore romano Robert Figlia. I luppoli utilizzati per la Session IPA sono se non erro Simcoe, Citra, Amarillo ed Equinox, qui ovviamente aggiunti in maggiori quantità. 
Dorata e leggermente velata, forma nel bicchiere una bella schiuma cremosa e compatta.  Al naso un sottofondo dank accompagna i profumi di cedro, limone candito, pompelmo e bergamotto: intensità e pulizia non mancano. L’assenza di frutta tropicale, ormai caratteristica imprescindibile di ogni IPA moderna, è solo momentanea: al palato c’è un lieve sottofondo che, assieme a pane e miele, bilancia un amaro resinoso di buon livello ma di durata abbastanza limitata. Abbastanza secca e molto bilanciata, questa Too Nerdy è una Double IPA che procede seguendo con buona precisione la scuola della SoCal, la California del Sud.  Pochi fronzoli, alcool ben gestito, pulizia ed equilibrio: i bevitori “vittime delle mode” forse le contesteranno la mancanza di esplosività o spavalderia, per quel che mi riguarda questo non è assolutamente un problema ma un pregio.

E’ arrivata lo scorso marzo 2018 la Double Super Lemon Ale, versione amplificata di una della birre che ha contribuito al successo di Ritual Lab: l’American Pale Ale Super Lemon Ale che vi ricordo, a dispetto del nome, non utilizza nessun frutto. Il merito è tutto del luppolo Citra.  
Nel bicchiere è più scura della propria sorella, l’aroma è una gradevole macedonia composta da frutta tropicale (mango, papaia, ananas) e agrumi.  Fresco e pulito, possiede quel carattere un po’ ruffiano assente nella Too Nerdy; anche lei non si fa però mancare qualche nota dank.  Al palato i malti affiancano qualche lieve nota biscottata al binomio pane-miele, mentre a dispetto del nome (Lemon Ale) è soprattutto il dolce della frutta tropicale a dominare la bevuta prima di una chiusura amara, resinosa, dank e pungente, potenziata da un leggero tepore etilico (8%), piccolo avvertimento al bevitore incauto. Anche qui non mancano pulizia, intensità ed equilibrio. 
Due birre di ottimo livello che in un’ideale classifica di un campionato di Double IPA italiane entrambe occuperebbero posizioni di rilievo.
Nel dettaglio:
Too Nerdy, 33 cl., alc. 8%, lotto 22, scad. 01/12/2018, prezzo indicativo 5.00-6.00 euro (beershop)
Double Super Lemon Ale, 33 cl., alc. 8%, lotto 20, scad 01/12/2018,  prezzo indicativo 5.00-6.00 euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio

mercoledì 29 agosto 2018

Crooked Stave: St. Bretta (Gold Nugget Mandarin) 2015 & Vieille Artisanal 2015


Ritorna sul blog Crooked Stave, il birrificio della "doga piegata": il perché del nome è presto detto, mettere la birra dentro le botti è quello che al fondatore Chad Yakobson piace fare. La sua seconda passione sono i brettanomiceti, al punto d'aver dedicato a questi lieviti selvaggi la sua tesi di laurea all'International Centre for Brewing and Distilling dell'Università di Edimburgo, in Scozia. Ritornato a Fort Collins, Colorado,  Yakobson ha fondato Crooked Stave che ha debuttato come beerfirm a cavallo tra il 2010 ed il 2011, in attesa di riuscire a reperire i fondi necessari per installare i propri impianti.  Chad fa maturare la birra in botti e foeders situati in un magazzino nel quartiere industriale di Sunnyside, inaugurato a settembre 2012. L’anno successivo viene aperto la tap room chiamata The Source all’interno di una ex fabbrica di mattoni del 1880:  l’idea di era di riuscire a installare il proprio impianto all’interno di questo complesso già entro la fine del 2013 ma qualcosa è andato storto e i suoi piani per passare da beerfirm a produttore hanno subito un forte rallentamento. 
E’ solo a gennaio 2016 che Crooked Stave  ha potuto tagliare il nastro del proprio impianto da 25 ettolitri spostandosi a Denver; ad aiutare Chad ci sono il birraio Danny Oberle, suo compagno d’infanzia, il grafico Travis Olsen e il birraio Brian Grace, proveniente da un’interessante esperienza presso Jolly Pumpkin. Sono circa 3500 gli ettolitri prodotti ogni anno da Crooked Stave, la metà dei quali destinati al mercato del Colorado; in parallelo opera anche la Crooked Stave Artisans Beer Distributing, un’attività che si occupa di distribuire birra, sidri, vini ed alcolici in diversi stati americani. 
A giugno 2017 anche  Crooked Stave ha introdotto le lattine, formato ormai indispensabile se si vuole essere al passo coi tempi e non perdere quote di mercato: St. Bretta, Hop Savant e Colorado Wild Sage le tre birre brettate scelte per il debutto con una grafica rinnovata – ahimè – non per il meglio. Qualche settimana fa i Chad Yakobson ha annunciato l’apertura di una taproom a Fort Collins, dove Crooked Stave era nata e dove aveva sempre desiderato ritornare. I trecento metri quadrati all’interno dell’Exchange, nuovo polo commerciale al 612 della North College Avenue, ospiteranno una ventina di spine equamente divise tra acide e non. L’inaugurazione è prevista per la fine del 2018 e nei mesi successivi sarà anche messo in funzione un piccolo impianto produttivo.

Le birre.
Saint Bretta è una witbier fermentata al  100% con brettanomiceti; si tratta dell’evoluzione di una delle prime ricette di Crooked Stave, la witbier chiamata Wild Wild Brett Orange alla quale venivano aggiunte arancia rosse.  La St. Bretta diventa una birra stagionale, prodotta quattro volte all’anno e che in ogni stagione utilizza un agrume diverso.  In questa bottiglia di maggio 2015 è stato utilizzato il Gold Nugget, una recente varietà di mandarino sviluppata dalla University of California Riverside. 
Nel bicchiere è dorata e inquietantemente limpida, la schiuma è pannosa, compatta ed ha un’ottima persistenza. Nonostante i tre anni passati dalla messa in bottiglia l’aroma è ancora fresco e caratterizzato da profumi floreali, di mandarino e limone, ananas, cedro; in secondo piano c’è la componente “funky” che richiama soprattutto cuoio, legno e sudore. La bevuta è vivacemente carbonata e molto secca, dominata dall’asprezza di mandarino e lemongrass, ribes e uvaspina, mentre in sottofondo c’è un velo dolce a suggerire ananas e  cedro candito. E’ una birra piuttosto fruttata, pulitissima ed elegante che tuttavia non rinnega il suo carattere rustico; l’alcool (5.5%)  non è pervenuto, l’acidità è abbastanza contenuta e il finale amaro è, ovviamente, ricco di scorza d’agrume.  Una bella complessità che non preclude una grande facilità di bevuta: intensità, una sorprendente freschezza a tre anni di vita, difficile chiedere di più. Ottima, davvero.  

Proseguiamo con la Vieille Artisanal, sorella minore (4.2% ABV) della Surette Provision Saison; anch’essa fermentata con brettanomiceti e maturata in botti di legno, dove riceve un leggero dry-hopping. 
La sua limpidezza nel bicchiere è in antitesi al concetto di “Vieille Saison”, ma l’aroma fa già ritornare il sorriso con il suo mix di funk (cuoio/pelle, legno, paglia, sudore) e frutta: ananas, limone e pompelmo i primi a colpire i sensi. Al palato le manca un po’ di vitalità (bollicine) e la bevuta è meno rustica rispetto al naso; pane e cereali, l’asprezza di limone, lime ed uva acerba viene bilanciata dal dolce di ananas e frutta a pasta gialla. E’ una saison aspra, moderatamente acida, forse un po’ troppo patinata ma non priva di quel carattere ruspante che non dovrebbe mai mancarle: il percorso si chiude con il legno e con un amaro terroso che lascia il palato pulito e secco, subito avido di un nuovo sorso. Mi sembra meno compiuta/riuscita della St. Bretta ma anche la Vieille Artisanal di è una bevuta soddisfacente che rinfresca e disseta svolgendo il suo compito con grande efficacia Anche questa bottiglia ha tre anni di vita: non abbiate quindi timore di dimenticare in cantina qualche Crooked Stave.
Nel dettaglio:
St. Bretta (Gold Nugget Mandarin), 37.5 cl., alc. 5.5%, lotto 05/2015, prezzo indicativo 10,00 Euro (beershop)
Vieille Artisanal Saison, 37.5 cl., alc. 4.2%, lotto 04/2015, prezzo indicativo 8,00 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio

martedì 28 agosto 2018

Zago IPA

Anche se le birre marchio Zago sono arrivate soltanto di recente, è dal 1978 che l’azienda pordenonese fondata da Mario Chiaradia opera nel settore. In quegli anni, in collaborazione con i frati dell’omonima abbazia, nacque la Belgian Strong Ale Abbaye de Bonne Esperance prodotta presso la Brasserie Lefebvre ed esportata poi nel nostro paese. A metà degli anni ’90 debuttò la gamma HΨ (HΨ  Super Beer e HΨ Cuvée), sempre prodotta in Belgio (Brouwerij Van Steenberge ma anche Het Anker, se non erro) e destinata soprattutto alla ristorazione: il suo elegante packaging ammicca al mondo delle bollicine, la rifermentazione in bottiglia viene elevata a “metodo simile allo Champagne, secondo un’antica ricetta a rifermentazione naturale in bottiglia o in fusto”. E c’è Zago anche dietro al marchio Saint Hubert (Artisanale De Luxe, Blonde d'Abbaye e Premier Grand Cru); anch’esse prodotte in Belgio e commercializzate sul nostro territorio, soprattutto attraverso la grande distribuzione.  In Germania vengono invece prodotte le tre birre (Pils, Keller non filtrata e Weiss) della gamma Edikt 1516 che richiama direttamente l’anno in cui fu redatto il famoso Reinheistgebot. 
Nel 2017  Zago è divenuto finalmente anche un birrificio (ovviamente agricolo per i motivi che potete immaginare): impianti a Villotta di Chions, orzo e anche luppolo coltivati neri campi di proprietà a Taiedo; l’azienda agricola è inoltre produttrice di prosecco.  A nome Zago vengono oggi realizzate le birre della gamma “Le Naturali”, con bottiglie che richiamano di nuovo il mondo enologico: La Luppolata (un’IPA ambrata), L’Integrale (descritta come una bassa fermentazione non filtrata) e La Leggera (anche questa a bassa fermentazione, senza glutine). Le birre “agricole”, e quindi credo le uniche prodotte sugli impianti di proprietà, sono invece sei:  un’IPA, una Golden Ale, la Bianca (blanche/witbier), la Scotch Ale, la (Belgian) Strong Ale e l’Italiana, una generica alta fermentazione dorata. Non è difficile incontrarle anche sugli scaffali della grande distribuzione.

La birra.
Si inizia (purtroppo) reiterando il falso mito sull’origine delle India Pale Ale: “il paesaggio raffigura le case dei sudditi inglesi in India, dove originariamente giungeva questa birra dall’Inghilterra, ricca di luppolo per conservare il prodotto durante il lungo viaggio”. 
Poco male: anche se la foto inganna, la IPA di Zago è di colore dorato piuttosto carico e velato; la schiuma è cremosa e compatta ed ha un’ottima persistenza.  Al naso profumi floreali, di arancia e pompelmo: intensità modesta, finezza migliorabile ma c’è comunque un buon livello di pulizia. In bocca scorre senza intoppi, anche se per il mio gusto ci trovo qualche bollicina in eccesso. E’ una IPA che parte abbastanza bene e procede in equilibrio tra malti (pane, qualche tocco caramellato) e agrumi; la bevuta si perde però un po’ per strada e cala d’intensità in un finale timido e corto con un amaro debole caratterizzato da note terrose, erbacee e zesty. Una maggior secchezza la renderebbe sicuramente più dissetante ma nel complesso è una birra che si difende con dignità sugli scaffali della grande distribuzione; non è certamente la birra che andrete a cercare se volete bere “alla moda” e, per ovvi motivi, se desiderate qualcosa di esplosivo, fragrante/fresco. Dalla sua parte un rapporto qualità prezzo (8 euro al litro) tutto sommato accettabile, se volete bere qualcosa senza fronzoli e senza incidere troppo sul budget.
Formato 50 cl., alc. 5.5%, lotto LIPA04, scad. 31/03/2020, prezzo indicativo 3,99 euro (supermercato)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.