domenica 28 luglio 2013

Cantillon Rosé De Gambrinus

Solitamente quando ospitiamo un birrificio per la prima volta ne facciamo un breve profilo storico, ma nel caso della Brasserie Cantillon dobbiamo fare una doverosa eccezione. Non solo il nome non ha bisogno di nessuna presentazione per gli appassionati di birra, ma ci è impossibile riassumere in poche righe (per i meno esperti) la storia di questo produttore di lambic. Vi invitiamo quindi a googolare, se volete saperne di più.  Noi procediamo rapidamente: attivo dal 1900, anno in cui fu fondato da Jean Cantillon a Bruxelles, in quello che visto dall'esterno non sembra altro che uno dei tanti anonimi garage. Dentro, vi attende un viaggio a ritroso nel tempo che vi riporterà proprio agli inizi del secolo scorso, visto che quasi nulla è cambiato da allora: gli stessi macchinari, le stesse vasche, lo stesso ambiente (polvere, legno, ragnatele e ragni) e la stessa aria che contamina il mosto con lieviti e batteri selvaggi. Negli anni 70 il birrificio passa nelle mani di Jean-Pierre Van Roy (sposo di Claude Cantillon) che riesce con grande fatica a rilevare la proprietà dagli altri membri della famiglia Cantillon, poco propensi a continuare un'attività (produttore di lambic) che secondo loro non aveva nessun futuro. Assolutamente imperdibile la visita guidata al birrificio (nonchè Musée Bruxellois de la Gueuze, se vi trovate a Bruxelles). Oltre a Lambic puro e Gueuze (assemblaggio di due o più lambic di età diversa), Cantillon è anche produttore di lambic "alla frutta," come ad esempio Kriek (aggiunta di ciliegie acidule) e Framboise (lamponi). Proprio a questa seconda categoria appartiene la Rosè de Gambrinus;  le prime tracce di una Framboise si trovano nei documenti dell'archivio Cantillon sin dal 1909; la prima guerra mondiale vide - per ovvie ragioni - la dismissione di qualsiasi birra alla frutta. Mentre le Kriek Cantillon tornarono ad essere prodotte regolarmente a partire dal 1922,  la Framboise venne prodotta saltuariamente solo negli anni trenta, per poi scomparire sino al 1973 quando un amico di Van Roy, Willy Gigounon, si presentò in Rue Gheude con 150 chili di lamponi. Nel frattempo, nell'immaginario dei consumatori, il nome "framboise" era ormai associato a birre dolciastre prodotte con l'aggiunta di aromi artificiali; per differenziare la propria "creatura", Van Roy decide di chiamarla Rosè, dedicandola, piuttosto che a Bacco, al suo alter ego birrario: Gambrinus. Bevuta giovane (entro un anno dall'imbottigliamento, secondo il birrificio), la Rosé De Gambrinus evidenzia tutto il suo potenziale fruttato; lasciandola invecchiare, divengono invece dominanti le tipiche caratteristiche del lambic a discapito dei lamponi. Scegliamo la prima strada, quella che "preferisce" anche Van Roy, è stappiamo una bottiglia del 26 Settembre 2012. Splendido rosso con riflessi ambra, con una generosa testa di schiuma rosa, molto fine ma poco persistente. Aroma fortissimo di lamponi maturi, opulente e dolce, che domina completamente la scena a scapito del lambic. Avvertiamo solo qualche sentore di fragola (giusto per concedere una piccola deviazione) e lattico. Splendida anche in bocca, leggera, frizzante e vivace, quasi sbarazzina: l'inizio è dolce di lampone, con una progressione aspra prima di frutti rossi e poi quasi di limone, per un finale molto secco, acido (lattico) e dissetante. Sotto questa apparenza "rosa" si cela una complessità appena sbocciata (visto la ancora giovane età) che porta per il momento solo qualche sentore terroso e rustico, di cantina. Compagna ideale di un'afosa serata estiva, si beve con impressionante facilità che disseta e rinfresca (decisamente appropriate le temperature consigliate in etichetta, 6-7 gradi).  Può fare da aperitivo ma anche da semplice pausa rinfrescante in qualsiasi momento della giornata. Come detto, lamponi in assoluta evidenza, quasi "troppi": rimandiamo al futuro l'assaggio di una bottiglia con qualche anno in più sulle spalle per scoprire le differenze. Formato: 75 cl., alc. 5%, lotto 26/09/2012, scad. 12/2022, pagata 12.90 Euro (beershop, Italia).

sabato 27 luglio 2013

Birrificio Italiano BRQ SC#3

Dietro alla sigla in codice BRQ SC#3  si cela una delle produzioni speciali del Birrificio Italiano. Non ci vuole poi molto a decifrarla: BRQ è abbreviazione di  barrique, “SC” rappresenta invece le iniziali di Scirés (ciliegie, in dialetto milanese), l’acida “convenzionale” del Birrificio Italiano che viene prodotta con il 25% in peso di ciliegie di Vignola (Durone, Moretta e Ciliegione). Una Scirés barricata quindi, la cui produzione 2009  è stata fermentata a bassissima temperatura per tre mesi e poi ha riposato in botti (legno francese ex Barbera) da dicembre sino a settembre 2010; ne sono uscite 1222 bottiglie. Breve rassegna dei riconoscimenti ottenuti:  secondo posto a Birra dell’Anno 2006 (categoria Birre Acide, Affumicate e Maturate in legno), primo a Birra dell’Anno 2008 (Birre aromatizzate con spezie o frutta) e di nuovo secondo posto a Birra dell’anno 2012 (Categoria 19, Birre Acide) e 2013 (categoria 23, Birre Acide), bronzo alla European Beer Star 2012 (categoria Belgian-Style Fruit Sour Ale). Birra nel bicchiere, torbido color ambra-rossastro; schiuma frizzante e generosa, fine, di color ocra, che sparisce molto velocemente lasciando solo un minuto “pizzo” ai bordi del bicchiere. Naso complesso, pulito e mutevole con l’alzarsi della temperatura: subito note di ciliegia, aceto di mela, uva, legno, ci sembra anche un po’ di vaniglia; a temperatura ambiente sentori lattici, uvetta, ciliegia candita, prugna secca.  In bocca è leggera, con una carbonazione abbastanza vivace; il gusto è un po’ meno pulito dell’aroma, subito aspro di uva ed amarene con note più dolci di ciliegia a bilanciare. Troviamo legno, terra umida, con un finale decisamente vinoso con tannini, un lieve tepore etilico, ed una nota amara di mandorla. L’etichetta consiglia il servizio a 10/12 gradi, ma noi l’abbiamo apprezzata meglio a temperature ancora più alte, prossime ai 20.  Una birra non esattamente rinfrescante, ma molto ben fatta, complessa e versatile anche durante un pasto, proprio in sostituzione del vino, magari di un rosso frizzante. E, visto il nostro pedigree emiliano, oltre alle ciliegie della vicina Vignola il pensiero va anche al Lambrusco. Formato: 37,5 cl., alc. 8%, lotto 0295/1222, scad. 31/12/2014, pagata 6.20 Euro (beershop, Italia).

mercoledì 24 luglio 2013

Montegioco La Mummia 2009

Continuiamo il nostro viaggio nell’acido (anche se detto così sembra un po’ troppo psichedelico) con una delle birre italiane più note e significative. Si tratta della Mummia del birrificio piemontese Montegioco di Riccardo Franzosi.  La base di partenza della prima versione di Mummia fu la birra base del birrificio, ovvero la blonde ale Runa, che viene invecchiata per diversi mesi in barrique;  per la prima versione vennero utilizzati botti che avevano ospitato la Creatina di Elisa Semino (Azienda Agricola La Colombera). Di tanto in tanto Riccardo assaggiava, spesso in compagnia di Kuaska, senza però mai trovare un riscontrare un risultato soddisfacente. Il fusto era ormai finito nel dimenticatoio quando Kuaska chiese a Riccardo di riassaggiare quel suo "tentativo di birra acida"; questa volta il pollice si alzò verso l'alto, ed fu Kuaska stesso a "battezzare" la birra, ancora senza nome: visto che era stata "dimenticata" per così tanto tempo in una sorta di botte/sarcofago, Mummia era il nome più appropriato.  Oggi La Mummia viene lasciata invecchiare per tre anni in botti ricondizionate ex-Barbera (Bigolla, di Walter Massa); la base di partenza è sempre la Runa, anche se il blog del birrificio parla anche di un possibile assemblaggio di diverse barrique che possono contenere Rat Weizen e Tibir. Successivamente si applica quello che Riccardino Franzosi chiama il metodo “cadrega” (vedi queste splendide fotografie) , ovvero "mettiti a sedere a lascia che sia il tempo a fare quello che c’è da fare. E’ disponibile sia in versione liscia che rifermentata, o anche in altre versioni (T-Mummia, McMummy) a seconda del tipo di birra base utilizzata; la nostra “Vintage 2009”, commercializzata nel 2012,  è del primo tipo, e si presenta nel bicchiere di un bellissimo colore oro antico, limpido; ovviamente la schiuma è assente, le poche bolle  grossolane che si formano spariscono immediatamente. Il naso è vinoso, ma accanto alla frutta (cedro, uva) ci sono sentori molto più “ostici” di legno, di yogurt acido (lattico), cuoio, sudore, aceto di mele. In bocca è piatta e leggera, rivelando da subito una facilità di bevuta commuovente, quasi fosse acqua.  Ingresso aspro (lattico) ma molto morbido, subito stemperato con note fruttate di mela verde, limone, uva e frutta a pasta bianca,  ed una nota quasi “polverosa di cantina” (non sapremmo come meglio definirla). Ritorno aspro nel finale, astringente, molto dissetante e rinfrescante, seguito da un lungo retrogusto vinoso con legno, tannini e frutta (a pasta bianca). Grande birra, elegantissima, molto complessa ma facilissima da bere al tempo stesso; giustamente definita da Manuele Colonna "la prima session sour", è una birra alla quale il formato da 33 cl. sta assolutamente stretto. Se la trovate, visto che non si vede in giro molto spesso, il consiglio è di afferrarne almeno un paio da 75 centilitri. Formato 33 cl., alc. 4.8%, lotto 10/2012, scad. 30/06/2017, pagata 7.50 Euro  (beershop, Italia).

lunedì 22 luglio 2013

Rodenbach Grand Cru

Rodenbach è un nome che non necessità di presentazioni per tutti gli appassionati di birra; per chi invece si è da poco interessato al mondo della birra, e capita magari per caso su queste pagine, facciamo un breve riassunto storico, ricavato per lo più dall'imprescindibile libro di Michael Jackson "Great Beers Of Belgium", che parte dal lontano 1820 quando Alexander Rodenbach (la famiglia era originaria di Coblenza, in Germania) acquista assieme ai fratelli Pedro, Ferdinand e Constantijn il birrificio St. George di Roeselare; tra di loro c'è l'accordo di gestire assieme il birrificio per quindici anni. Alla scadenza del vincolo, Pedro e sua moglie Regina Wauters rilevano per intero la proprietà, lasciandola poi in eredità al figlio Edward al quale succede nel 1878 il figlio Eugene, che apprende il mestiere del birraio nell'Inghilterra delle Porter, allora realizzate con un blend di birra giovane e di birra più vecchia maturata in botti di legno. E' lui a costruire la grande cantina, con enormi tini di quercia, che ancora oggi potere visitare alla Rodenbach e che è stata dichiarata monumento d'archeologia industriale dalla comunità fiamminga di Roeselare. Eugene non ebbe figli maschi, e la famiglia Rodenbach decide di costituire una società a cui affidare il controllo del birrificio; nel corso degli anni le quote dei discendenti della famiglia Rodenbach si sono sempre più ridotte, per arrivare alla cessione, nel 1998, alla Palm Brewery. Come purtroppo la storia insegna, il cambiamento di proprietà spesso comporta anche un cambiamento dei prodotti, per la necessità di ridurre i costi di produzione, ed anche le birre della Rodenbach non sono state immuni da questo, come fanno notare i più esperti bevitori. Rimane comunque ancora un bel bere, come dimostra questa bottiglia di Grand Cru (brassata per la prima volta alla fine del 1800), ottimo esempio di una Flanders Red Ale (categoria  stilistica che Beer Advocate mantiene, mentre Ratebeer opta per il "sour red/brown ale") che viene ottenuta miscelando un terzo di birra giovane con due terzi di birre invecchiate per due anni in enormi botti di rovere. All'aspetto è di colore rosso borgogna, scuro, splendido, e forma una schiuma ocra, fine e cremosa, poco persistente. Il naso è molto  complesso, lattico ed acetico convivono assieme a sentori di terra umida, legno, frutti rossi come ribes ed amarena, mela; quando la birra si scalda emergono anche note più dolci di prugna secca e di ciliegia matura. Il gusto ha una buona corrispondenza con l'aroma, aspro di frutti rossi, mela renetta, anche se in secondo piano c'è una sottile dolcezza (ciliegia sciroppata) a stemperarlo. Le caratteristiche vinose, di un vino inevecchiato, sono più evidenti man mano che la birra s'avvicina alla temperatura ambiente; chiude con uno splendido finale secco e tannico,  con una punta amarognola (nocciolo di pesca) e legnosa. Birra complessa ma molto facile da bere, versatile sia come aperitivo che, grazie alla marcata acidità, in abbinamento gastronomico.  Non a caso l'ultimo Michael Jackson la definiva contemporaneamente "the most refershing beer in the world" e "the most food-friendly beer in the world" senza dimenticare, ovviamente, la sua prima definizione della Rodenbach Grand Cru: "il Borgogna del Belgio". Formato: 33 cl., alc. 6%, IBU 8, lotto 3.20 13:10, scad. 04/11/2014, pagata 3.50 Euro (foodstore, Italia).

venerdì 19 luglio 2013

Panil Divina (Barrel Aged)

Piena estate, temperatura esterna che supera i 35 gradi; cerchiamo un po’ di refrigerio con una serie di birre acide, rinfrescanti e dissetanti.  Il punto di partenza, in Italia, non può essere che il Birrificio Torrechiara – Panil,  un tempo guidato dal birraio Renzo Losi che, se non erriamo, fu il primo in Italia a sperimentare le fermentazioni spontanee controllate. Come noto agli addetti ai lavori, a Maggio del 2012 Renzo ha sorprendentemente lasciato il birrificio (che si trova all’interno dell’azienda agricola di proprietà della famiglia) ed il testimone è passato al nuovo birraio Andrea Lui.  La Panil Divina è un inizio di percorso quasi obbligato, visto che fu la prima birra italiana a fermentazione spontanea (2 Aprile 2007); la prima versione venne inoculata di notte (luna piena, recita l’etichetta) in una vasca d’acciaio all’aria aperta. Le versioni successive vengono invece inoculate direttamente con l’aria della cantina di fermentazione, e poi fatte maturare per tre mesi in botti di rovere francese. La nostra bottiglia è stata imbottigliata a Maggio 2012, e si tratta quindi di una delle ultime (se non l’ultima) cotta realizza da Renzo prima di lasciare Torrechiara per fondare Black Barrels. Prodotta con malto pils (100%), è un prodotto assimilabile per molti aspetti al Lambic, ovviamente con le dovute distinzioni. All'aspetto è di colore oro pallido, velato;  forma una piccola schiuma bianca, fine ma poco persistente. Il naso non è molto pronunciato ma abbastanza complesso e pulito: sentori minerali, legno bagnato, sughero ed altre caratteristiche tipiche del lambic, come sudore, formaggio, "polvere di cantina". In bocca si presenta molto poco carbonata, con un corpo leggero: l'inizio è marcatamente aspro (uva) con una virata quasi sorprendente verso territori (quasi) dolci di frutta a pasta gialla, con un ritorno finale acidulo (lattico) ed un finale un po' vinoso che porta in dota un leggero tepore alcolico, una punta d'amaro (nocciolo di pesca). Man mano che la birra si scalda tendono a diventare più evidenti le caratteristiche vinose e legnose; birra molto facile da bere e dissetante, sembra avere anche un ottimo potenziale con abbinamenti gastronomici. Formato: 75 cl., alc. 6.5%,  lotto 5/5/2012, scad. 5/5/2017, pagata 6.00 Euro (birrificio).

giovedì 18 luglio 2013

Redchurch Bethnal Pale Ale

Il primo incontro con la Redchurch Brewery di Gary Ward e Tracey Cleland  è stata la Great Eastern IPA; oggi stappiamo una bottiglia di Bethnal Pale Ale, che se non erriamo è stata anche le prima birra  che il birrificio ha commercializzato. Il nome fa riferimento all’affollata e poco distante Bethnal Green Road di Londra, alla cui fermata della metropolitana Central Line dovete scendere se avete intenzione di visitare il birrificio . Si tratta di una Pale Ale ispirata alle American Pale Ales, prodotta con “generose” quantità di Columbus, Nugget e Cascade. Arriva nel bicchiere con un bel colore dorato, riflessi arancio, ed una piccola “testa” di schiuma biancastra, che ha buona persistenza.  Ottimo aroma, fresco, pungente, pulito ed elegante, di agrumi appena “aperti”  (arancio, mandarino, pompelmo), di ananas e di melone retato.  Il naso preannuncia una birra molto ruffiana e piaciona, sulla falsariga di quelle che diversi birrifici di Londra stanno attualmente producendo, ed il gusto non smentisce affatto l’impressione: leggerissima base maltata (pane), gusto subito agrumat(issim)o con polpa (arancio) e scorza (pompelmo, lime), con qualche intermezzo dolce di frutta tropicale. Grande secchezza, birra facilissima  da bere ed estremamente dissetante; chiude quasi astringente, con un finale molto “zesty” ricco di scorza di pompelmo e lime. Ispirata come detto alle American Pale Ale, ma con un carattere decisamente più agrumato e più secco  rispetto al benchmark dello stile, la Sierra Nevada, ma anche rispetto ad altre ottime APA come quella di  Firestone Walker o Deschutes.  Nulla da eccepire, comunque: birra profmatissima da bere a galloni, anche se siamo un po’ sopra la soglia della session beer.  Soprattutto in estate, una vera goduria rinfrescante per il palato. Volendo per forza fare un appunto, sembra un po’ troppo un “copia & incolla” di una delle tante produzioni The Kernel o Partizan; la scena brassicola inglese si sta velocemente affollando di birre come questa, presto sarà forse necessario per i birrifici pensare a qualcos’altro per emergere e differenziare. Nel frattempo, beviamo(ne) e godiamo(ne).  Formato: 33 cl., alc. 5.5%,  IBU 44, lotto 86, scad. 25/03/2014, pagata 3.48 euro (beershop, Inghilterra).

mercoledì 17 luglio 2013

Birra del Borgo Duchessic

Duchessic, ovvero l’incontro tra Duchessa (la saison al farro di Birra del Borgo) ed il lambic della Brasserie Cantillon; una birra collaborativa a due mani, atipica che, anche per il 2013, viene commercializzata proprio in questo mese di Luglio tra la linea “Le Bizzarre” di Birra del Borgo.  La prima versione risale, se non erriamo, al 2008; nel corso degli anni (da quanto ci è sembrato di capire) sono state leggermente modificate le percentuali del blend che, per la versione attuale, sono un 90% di Duchessa ed un 20% di lambic  di Cantillon invecchiato un anno. Il blend viene poi affinato per almeno sei mesi in bottiglia ma, non essendo sempre controllabile l’evoluzione del lambic, la data di commercializzazione della birra è vincolata dalla sua stessa naturale evoluzione, come spiega questo video relativo alla verisione del 2011.  Dalla cantina noi recuperiamo invece una bottiglia del 2012; si presenta nel bicchiere di color arancio, opaco; compatta e fine la schiuma, bianca, che ha una buona persistenza. L’aroma presenta subito i classici sentori del lambic: acido (attico), sudore, odore di cantina e di polvere, legno umido. A stemperare, in sottofondo, sentori dolci di frutta, soprattutto di pesca gialla sciroppata. Molto vivace e snella in bocca, scorrevolissima, con un attacco subito aspro (uva spina e limone), vinoso, con in secondo piano note di pesca gialla;  molto secca, rinfrescante e dissetante, chiude con un finale leggermente amaro che ricorda il nocciolo di pesca e la scorza di limone. La bevuta è attraversata da una gradevole nota rustica (o "funky", per dirla all'americana) e qualche accenno di cereali. Grande pulizia, leggero carattere vinoso, in una ottima  birra molto estiva con una grande capacità di dissetare e rinfrescare, molto ben fatta; complessa ma al tempo stesso semplicissima da bere. Mostra anche un grande potenziale sia come aperitivo che in abbinamento gastronomico (pesce), ma questo è un terreno nel quale preferiamo non addentrarci. Anche bevuta in solitudine, è una gran bella soddisfazione. Formato: 75 cl., alc. 5.8%, lotto LS6712, scad. 06/2014, pagata 9.50 Euro (foodstore, Italia).

lunedì 15 luglio 2013

Birra Bellazzi Jake

Dopo l'ottimo primo incontro con la Alley Hop, stappiamo la seconda birra al momento prodotta da Birra Bellazzi; si tratta della Kohatu Experience Pacific Pale Ale, brassata con i luppoli neozelandesi Pacific Jade e Kohatu. Viene ufficialmente presentata il 31 Maggio scorso, ovviamente a Bologna, dove la beer firm ha sede, presso la pizzeria/birroteca Ranzani 13. Bella etichetta, e birra nel bicchiere che appare di colore dorato, velato; la schiuma è bianca , fine, cremosa, dalla buona persistente. Il naso offre sentori vegetali  d'erba appena tagliata ed in lontananza sentori di agrumi; man mano che la birra si scalda emergono, netti, sentiti di cipolla, mais in scatola e cavolo cotto. Evidente presenza di DMS anche in bocca, che tende a coprire sia l'ingresso di malto che la presenza degli agrumi. Finale quasi assente, leggero ricordo di scorza di pompelmo,ma ė davvero difficile continuare la bevuta. Bottiglia con evidenti problemi; in rete avevamo letto delle impressioni positive, speriamo di riuscire ad assaggiarla prossimamente in condizioni migliori. Formato: 50 cl.,  alc. 5.5%, lotto 13015, scad. 05/2104, pagata 5.00 euro (beershop. Italia). 


domenica 14 luglio 2013

Williams Brothers Birds and Bees

La storia della Williams Bros. Brewing Co. inizia come un più umile negozio di homebrewing (Glenbrew) a Glashow. Nel 1988, una signora di origine gallese si presenta in negozio con la traduzione di un ricetta di un’antica birra gallese (la Leanne Fraoch, erica e mirto al posto del luppolo); vorrebbe (ri)produrre un po’ di questa antica birra per berla con la famiglia. Bruce Williams accetta di aiutarla con la condizione di poter poi avere “in uso” la ricetta. La prima cotta viene prodotta in un microbirrificio a Taynuilt  ed ottiene un buon successo non solo tra i familiari della signora committente; il primo lotto viene infatti venduto completamente in poco tempo. Per due anni la produzione continua a Taynuilt, ed alla Froach Heather Ale si affiancano alcune altre riproduzioni di antiche ricette scozzesi, come un’antica birra alle alghe di mare ('Kelpie – Seaweed Ale'), una birra scura un tempo brassata dai druidi con bacche di sambuco ('Ebulum – Elderberry Black Ale') ed una birra con frumento ed uva spina ('Grozet – Gooseberry Wheat Ale') basata su una ricetta di un monastero del sedicesimo secolo. La limitata capacità produttiva dell'impianto di Taynuilt (permetteva di rifornire di cask solamente cinque pub locali)  rende necessario perfezionare le nuove birre altrove, prima usando gli impianti del birrificio Maclay ad Alloa, e poi finalmente nel birrificio di proprietà che i fratelli Williams (entra in società anche Scott) acquistano a Craigmill, Strathaven, nel 1998. Nel 2004 una nuova espansione con l'acquisto del vecchio birrificio Forth Brewery a Kellibank, Alloa; grazie all'aumentata capacità produttiva, alle birre “storiche” si aggiungono altre 25 ricette questa volta contemporanee. Gli impianti consentono anche al birrificio di produrre ed imbottigliare birre per altri colleghi scozzesi, diventando così in breve tempo uno dei più prolifici birrifici scozzesi indipendenti. 
Rispettosi della stagionalità, assaggiamo la loro birra estiva chiamata Birds and Bees (Uccelli ed Api) che vede l'utilizzo, secondo il sito del birrificio di malto lager, frumentato maltato, luppoli Bobek, Cascade, Amarillo e Nelson Sauvin. Secondo l'etichetta della bottiglia che abbiamo bevuto, il malto è Pale (belga), i luppolo sono Amarillo e Nelson Sauvin; in entrambi i casi, "confermato" l'uso di fiori di sambuco in infusione. Dorata, leggermente velata, forma un paio di dita di schiuma bianchissima, fine e cremosa, dalla buona persistenza. L'aroma non brilla particolarmente di fresco, ed appare un po' stanco, accaldato: arancio (marmellata), cereali, qualche remoto sentore floreale (sambuco). Lo stesso problema lo  ritroviamo in bocca, con un gusto poco intenso e, privo di freschezza e fragranza, molto poco estivo; imbocco maltato di cereali e crosta di pane, agrumi, soprattutto polpa d'arancio ed un finale abbastanza corto, amaro di scorza di pompelmo. Golden Ale appena sufficiente, facile da bere ma in una bottiglia priva di quella freschezza e vitalità che vorremmo sempre trovare in una birra estiva; il corpo leggero e la bassa carbonatazione, uniti ad un gusto poco intenso, non fanno altro che metterne in evidenza le debolezze. Non ottiene grossi punteggi neppure sullo (spesso troppo) generoso Ratebeer, per quello che conta. Formato: 50 cl., alc. 4.3%, scad. 07/2014, pagata 5.50 Euro (enoteca, Italia).

venerdì 12 luglio 2013

Birra del Carrobiolo O.G. 1045

Ci eravamo congedati qualche mese fa con la birra invernale del birrificio Fermentum - Birra del Carrobiolo, ed ora che siamo in piena estate è il momento di tornare (virtualmente) in quel di Monza per assaggiare la loro produzione estiva, la O.G. 1045.  Il birrificio la descrive come una rivisitazione (molto) personale di una koelsch; la ricetta prevede un ceppo di lievito utilizzato è originale di Colonia (la città delle koelsch), malto pilsner, frumento ed un solo luppolo, il neozelandese Nelson Sauvin. Si presenta di colore oro pallido, velato; la schiuma è bianchissima, fine e cremosa, buona la persistenza. Molto sapiente e ben dosato l'uso del Nelson Sauvin: il naso è molto elegante e pulitissimo, regalando qualche sentore floreale, di frutta tropicale ma soprattutto di agrumi, come arancio e mandarino. Se le premesse aromatiche sono molto buone, il gusto è ancora meglio: ancora estrema pulizia, imbocco di cereali e crosta di pane, ritorno di agrumi e leggere note tropicali che rimandano subito all'aroma. Scorrevolissima, dal corpo leggero e vivacemente carbonata, chiude secca con un finale erbaceo che porta in dota anche qualche leggera nota di scorza di limone. Birra molto semplice ma disarmante nella sua capacità di dissetare e rinfrescare, il tutto "condito" da un bel bouquet profumato, basilare ma molto fine. Ovviamente molto distante da una classica koelsch tedesca, ma qui non siamo ad un concorso (e noi non siamo giudici) e quello che c'interessa sono le sensazioni provate nel berla: grande birra estiva, da bere e ribere in continuazione ed in grande quantità (in palese disaccordo con la scritta in etichetta "bevi con sobrietà"). Quasi necessario, all'inizio di ogni estate, farne una buona scorta e riempire il frigorifero; noi ci mettiamo già in coda per la cotta 2014. Formato: 50 cl., alc. 5%, lotto 1311, scad. 11/2013, pagata 9.00 Euro (Refettorio Simplicitas).

giovedì 11 luglio 2013

Mikkeller Invasion Farmhouse IPA

Dopo la moda del luppolo e delle IPA / double IPA, che ha caratterizzato il panaroma della birra "artigianale" non solo italiana ma anche internazionale, c'è una nuova tendenza che si sta lentamente diffondendo in tutto il globo: quella dei "brett", per dirlo all'americana o, per essere più precisi, dei Brettanomyces bruxellensis o, in italiano, Brettanomiceti. Una tendenza che ovviamente non poteva sfuggire ad uno dei birrai zingari (ovvero senza impianti propri) più "alla moda" dell'intero globo, Mikkeller. Il nome "Invasion" viene utilzzato per la prima volta da Mikkeller per il suo primo "umile" sbarco in territorio americano; lui che solitamente produceva la birra da De Proef (Belgio) ed a Nogne Ø (Norvegia), realizza la Pre Invasion IPA (alla Triple Rock, California), poi la Invasion IPA presso gli impianti di Drakes Brewing Company (California) che viene replicata alla Against the Grain Brewery (Kentucky). A giugno del 2012 si reca alla Anchorage Brewing Co. (Alaska), forse ispirato dalla Galaxy White IPA che il birrificio produce, per apportare una variazione sul tema e brassare una nuova versione della Invasion IPA utilizzando, questa volta, i brettanomiceti. In Italia inizia ad arrivare nei negozi a quasi un anno di distanza, quando i lieviti selvaggi già stanno lavorando da tempo. Di colore arancio, torbido, riempie subito il bicchiere di schiuma biancastra, grossolana, che scompare molto in fretta. L'aroma, ancora molto intenso, è quello atteso: nette le note dei "bretta" (sudore, cuoio, pelle di animale, acido lattico, terra) affiancate a quelle più convenzionali di erba appena tagliata, scorza di limone. Ugualmente complesso il gusto, che inizia da un attacco biscottato seguito da un passaggio aspro di agrumi, sopratutto lime e pompelmo; l'intera bevuta è attraversata da note rustiche, polverose, di cuoio e di sudore, coerentemente con quanto preannunciato dall'aroma.  Il finale è secchissimo, retrogusto lungo ed amaro, ricco di scorza di limone, pompelmo e pepe. Corpo medio, carbonatazione medio-alta, alcool (8%) molto ben celato: l'incontro tra lieviti selvaggi e luppolatura massiccia dà come risultato un birra interessante, rustica, abbastanza facile da bere, dissetante ma, probabilmente, non per tutti i gusti. Al di là delle preferenze personali, e dal prezzo abbastanza elevato, è comunque una birra coerente dall'inizio alla fine, molto ben fatta, pulita e solida.  Formato 75 cl., alc. 8%, lotto 2012, scad. non riportata, pagata 18.00 Euro (beershop, Italia).

martedì 9 luglio 2013

Gambolò Nowhere Pale Ale


Birrificio molto giovane, Gambolò, situato nell'omonimo comune della provincia di Pavia e guidato da Simone Ghiro, diploma universitario d'insegnante di educazione fisica ma passione per la birra che scorre nel sangue. Frequenta diversi corsi, diventa degustatore ADB, partecipa come giudice ad un paio di edizioni di Birra dell'Anno. Appena può, frequenta altri microbirrifici per apprendere quanto più possibile; sono il Birrificio Menaresta ma, soprattutto, Fermentum - Birrificio del Carrobiolo di Monza. E' proprio Pietro Fontana, birraio di Carrobiolo, a guidare i primi passi nella pratica e nella burocrazia di Simone che, dopo oltre un decennio di homebrewing si decide nel 2010 a fare il grande salto nel mondo dei professionisti. Un paio d'anni di preparativi, tanta burocrazia e finalmente, a dicembre 2012, l'apertura delle porte. Per approfondire, vi segnaliamo questo articolo. Il primo "grande" appuntamento che il birrificio decide di affrontare è quello di Birra dell'Anno 2013; dopo averla vissuta ai tavoli dei giudici, questa volta Simone passa dall'altra parte della barricata. La spedizione di Rimini si rivela un buon successo, con la birra "Nowhere" che si aggiudica la medaglia d'oro nella propria categoria (8: Chiare e ambrate, alta fermentazione, alto grado alcolico, luppolate, d’ispirazione angloamericana).  Cinque sono al momento le birre prodotte; oltre alla citata Nowhere Pale Ale, la Gasoline (blonde ale), Gasoline Super (IPA), Little Storm (mild ale) e la Jiango (che il birrificio definisce una Witbier 2.0).  Ma ritorniamo alla "medagliata" Nowhere Pale Ale, protagonista di questo post; il birrificio la definisce "un'ambrata tra lo stile English Strong Ale e West Coast IPA". I luppoli utilizzati abbracciano tre continenti: Europa (Saaz), USA (Chinook, Columbus e Cascade) e Nuova Zelanda (Nelson Sauvin). Dall'impossibilità di localizzare questa pale ale in uno specifico territorio, ecco il nome  "Nowhere Pale Ale", ovvero "da nessun luogo". Si presenta di colore ambra carico, rossastro; la schiuma, color avorio, è molto persistente, generosa, compatta, cremosa. Purtroppo l'aroma non ci dà quel benvenuto che ci saremmo aspettati: naso scarico, poco fresco, con sentori di pompelmo, marmellata d'arancia, caramello ed etilici. In bocca ci accoglie un ingresso maltato (biscotto e leggero caramello), seguito da un passaggio centrale dolce (soprattutto marmellata d'arancia dolce), preludio ad un finale amaro resinoso e pepato, abbastanza intenso. L'alcool (6.8%) si sente tutto, ed il risultato, unito alla mancanza di fragranza, è una bevibilità meno agevole di quello che ci si attenderebbe da una profumata (american) pale ale. Chiude abbastanza secca, con un retrogusto corto e resinoso, con qualche traccia di caramello. Corpo medio, carbonazione medio-bassa, consistenza oleosa: birra che abbiamo incontrato in una bottiglia poco profumata e che non brilla di fresco, nonostante un lotto produttivo (sembra) abbastanza recente. C'è una buona intensità, ma il risultato di questa bevuta è, per noi, solo discreto e, visto le premesse, un po' insoddisfacente. Speriamo di aver l'occasione di riassaggiarla presto. Formato: 33 cl., alc. 6-8%, lotto 0213, scad. 12/02/2014, pagata 4.50 Euro (beershop, Italia).

Extraomnes Hopbloem

Viene presentata all'Italia Beer Festival di Milano dello scorso marzo 2013, ma la Hopbloem non è l'ultima "nata" in casa Extraomnes, visto che le sono rapidamente succedute la Wallonië e, da qualche settimana, la Quadrupel. Se la Zest di Extraomnes aveva sbancato l'IBF Milano del 2011, debuttando ed ottenendo il premio di miglior birra della manifestazione (voto del pubblico), la Hopbloem non fa il bis ma si candida ugualmente per essere una delle birre "definitive" di ogni estate, a partire da questa. Belgian ale brassata con lievito da witbier, malto d'orzo, luppoli Mosaic e Galaxy, aromatizzata con foglie di Citrus Hystrix (ho gugolato, lo ammetto: combava). All'aspetto è arancio, opalescente, e la schiuma che si forma è pressoché perfetta: compatta e fine, una sorta di mousse bianca, viene quasi voglia di prendere dal cassetto un cucchiaino. Aroma pulito, elegante, molto forte, straripante di agrumi: a dominare sono il lime, il limone, la citronella, con qualche leggero sentore di tropicale e di pompelmo che affiora solo man mano che la birra si riscalda ed una leggera rusticità donata dal lievito. In bocca la Hopbloem è probabilmente la birra più "estrema" che sino ad ora sia stata fatta da Extraomnes: secchissima ed agrumatissima, la primissima sensazione è simile a quella di succhiare direttamente uno spicchio di lime/limone. Ma una volta che il palato si è abituato all'attacco iniziale, la grande pulizia permette di cogliere tutte le altre sfumature meno evidenti: c'è una (leggera) base maltata di pane e cereali, qualche note di frutta gialla, dolce, che placa per qualche secondo l'ondata di scorza d'agrumi. E' una quiete illusoria, perché il finale è un trionfo  amaro di "zest", di scorza di agrume (con una leggera nota rustica) che a prosciuga e disseta il palato, per poi riassetarlo. Ruffiana e piaciona. Una birra che andrebbe proibita: crea irrimediabile dipendenza, soprattutto se la temperatura esterna è intorno ai 30 gradi. Ne abbiamo comprata solo una, ma vista la velocità con la quale è scomparsa dal bicchiere, andrebbe acquistata solamente (almeno) a multipli di sei. Formato: 33 cl., alc. 5.7%, lotto 112 13, scad. 31/10/2014, pagata 3.80 Euro (beershop, Italia).

domenica 7 luglio 2013

To Øl First Frontier IPA

Ve li abbiamo presentati in questa occasione i due "allievi"'di Mikkeller, anch'essi birrai zingari senza impianti propri. Questa First Frontier inaugura una mini serie di birre che hanno come tema la "frontiera". Se questa "prima frontiera" è un'american IPA (warrior, simcoe e centennial i luppoli), l'ultima frontiera  di To Øl non puó essere altro che una Double IPA; completa la serie una Sans Frontiere, una saison molto luppolata che vede anche l'utilizzo di brettanomiceti. Iniziamo dal principio, da questa IPA brassata negli impianti dello stakanovista De Proef che, ormai, si puó ritenere a tutti gli effetti il "miglior birrificio danese" (cit.). Deliberatamente "povera" di malto, dichiarano i due creatori della ricetta, con solamente un pochino di malto caramello ed avena a fare da contorno ed a colorarla di un pallido arancio, opaco; la schiuma, biancastra, è abbondante, cremosa, molto persistente. Naso pulito ed elegante, anche se non particolarmente pronunciato: pompelmo, lime e varie declinazioni d'agrume ne compongono l'ossatura, lasciando emergere qualche nota più dolce di pesca gialla solo quando la birra si scalda. Nessun colpo di scena in bocca: ancora agrumi, più scorza che polpa, per una IPA secchissima e molto rinfrescante che trabocca di pompelmo e limone/lime. Dissetante, leggermente astringente, ha un corpo leggero ed una carbonatazione vivace; alcool (7.1%) non pervenuto, grande scorrevolezza al palato. Chiude ovviamente zesty, amara; molto pulita, porta in dote un notevole livello di ruffianeria che la rende molto piaciona al primo incontro, ma forse due pinte di questa spremuta di agrumi potrebbero essere troppe. Un bel giochino insomma, che però rischia di stancare presto. Per trentatré centilitri, comunque, va (molto) bene così. Formato 33 cl., alc. 7.1%, scad. 20/03/2015, pagata 5.00 Euro (beershop, Italia).

venerdì 5 luglio 2013

Birra Bellazzi Alley Hop

Ospitiamo oggi una nuova beer firm, fenomeno che al momento in Italia è in netta crescita e che sembra al momento difficile da arginare. Volenti o nolenti, sugli scaffali della maggior parte dei beershop vi troverete ad aver a che fare con una birra che è stata prodotta presso impianti terzi. Birra Bellazzi si è aggiunta da qualche mese (2013) all’affollato elenco delle beer firm; sede legale a Bologna nella centrale via Riva di Reno, fondata da due amici prima appassionati bevitori, poi provetti homebrewer prima da kit, poi da "estratto e grani" ed infine da “all grain”. Insomma, un percorso lineare perfettamente coerente che, risorse economiche permettendo, dovrebbe sfociare nell’apertura di un proprio microbirrificio. Questi passaggi sono stati intramezzati da diversi corsi di degustazione e produzione, fino a quello “tecnico-gestionale per imprenditori della birra" del maggio 2012 all'Università di Udine. In attesa di reperire i fondi necessari (il sito parla del tentativo di evitare il più possibile le banche e di utilizzare il crowdfunding, Bellazzi  (il nome deriva dall’esclamazione/saluto  romanesco “Bella Zì!”), i due amici non hanno perso tempo ed hanno optato per produrre le proprie ricette su impianti terzi, quelli del birrificio Retorto.  Due sono le birre al momento disponibili, e noi partiamo dalla più “sostanziosa”, ovvero una Double/Imperial IPA (8.5%) chiamata Alley Hop - Dream Team American Hops; columbus, simcoe e centennial  sono i luppoli utilizzati.  Il colore è rame/ambra, torbido, con un cappello di schiuma ocra, fine e cremosa, dalla buona persistenza.  Ottimo il naso, fresco, pungente, molto elegante, carico di frutta appena tagliata: mandarino, pompelmo,  melone retato, frutta tropicale  (ananas e  passion fruit). Un bell’inizio che trova conferma anche in bocca: corpo pieno, carbonazione (molto) bassa, consistenza oleosa; avremmo gradito qualche bollicina in più, ma la sensazione al palato è ugualmente soddisfacente. Anche il gusto è molto pulito e, ricco di agrumi e tropicale, ruffiano al punto giusto da nascondere molto bene l’alcool nella prima parte della bevuta: questa Alley Hop scende con pericolosa facilità, rendendo evidente la percezione alcolica solamente verso il finale, dove la frutta lascia il posto ad una  (sorprendente) chiusura (quasi) maltata, invece dell’attesa ondata amara/resinosa. Come per le bollicine, forse un pelino in più di amaro in fondo le darebbe maggior carattere. Una Double IPA che punta più all’equilibrio che all’esibizione dei muscoli o all’asfaltatura del palato, con l’amaro che arriva netto solamente nel retrogusto: note di resina, pepe, ed un po’ di calore etilico.  Bellazzi ci sorprende in positivo; Alley Hop è una double IPA solida, ben costruita, bilanciata, profumata e molto pulita (inutile cercare il paragone con le inimitabili originali della West Coast). Si beve molto bene ma 50 centilitri di ABV 8.5% lasciano un po’ il segno; affrettatevi a recuperarla, le (double) IPA vanno bevute molto fresche; il passare dei mesi modifica il loro equilibrio, i luppoli svaniscono e quel bel equilibrio tra frutta ed alcool spesso evolve in una birra molto alcolica e meno scorrevole. Formato: 50 cl., alc. 8.5%, IBU 84, lotto 13020, scad. 31/05/2014, pagata 6.00 Euro (beershop, Italia).

martedì 2 luglio 2013

Windsor & Eton Conqueror 1075

Se la località di Windsor è al mondo nota per il maestoso ed omonimo castello, per noi significa invece spostarsi a piedi di circa un miglio dai cancelli d’ingresso del castello per bussare alla più umile porta della Windsor & Eton Brewery che, dopo la chiusura nel 1931 della Burge’s Brewery, rappresenta il ritorno della produzione di birra in una località che vantava una tradizione lunga più di tre secoli. Viene fondata il primo Marzo 2010 dai fratelli Bob e Jim Morrison, Willie Calvert e Paddy Johnson; il 23 Aprile dello stesso anno, la loro prima birra (Guardsman Best Bitter) viene servita ad un pub. Paddy Johnson, il birraio, ha un passato come “operations director” alla Scottish & Newcastle Brewery; Will Calvert ha lavorato come biologo alla Allied Breweries  (ha un dottorato in “fisiologia del lievito”) e quindi come birraio alla Courage, dove ha incontrato Paddy. In seguito Will ha lavorato per la Mars (industria dolciaria) dove ha conosciuto Jim e Bob Morrison.  Paddy stava da tempo pensando di aprire un microbirrificio nell’area di Manchester: ne parla con Will, anch’esso entusiasta, che coinvolge i suoi due amici Jim e Bob. Visto che tre “soci” su quattro abitavano molto più a sud di Manchester, la scelta cade su Windsor.    Per un bel tour virtuale del birrificio, vi rimandiamo a questo bel articolo di Martyn Cornell. Le birre prodotte sono ormai una dozzina, tutte o quasi con un qualche riferimento alla storia di Windsor. Non fa eccezione questa Conqueror 1075, una birra dedicata all’anno (1075) in cui Guglielmo I d'Inghilterra (1028 – 1087) iniziò la costruzione del castello. Si tratta di una Black IPA (7.4% ABV) la cui base è la ricetta della sorella minore Conqueror Black IPA (5%), ovvero un mix di cinque malti diversi (tra i quali Chocolate, dark Crystal, Carafa e Smoked) e luppoli Cascade e Pacific  Jade. E’ disponibile in cask solamente nel periodo natalizio, mentre le bottiglie sono reperibili tutto l’anno. Ha già ottenuto diversi riconoscimenti:  argento alla SIBA National Beer Competition 2013 (bottled porters, milds, old ales and stouts category), oro alla SIBA South East Region Beer Competition 2012 (bottled porters, milds, old ales and stouts category), argento alla SIBA South East Region Beer Competition 2012 (Champion bottled beer category). E' di un splendido color ebano scuro, con testa di schiuma beige, molto fine e cremosa, dalla buona persistenza. L'aroma, non molto pronunciato, è pulito ed elegante: sentori di agrumi, soprattutto pompelmo, e di orzo tostato Un discreto biglietto da visita che però non stupisce più di tanto; le cose però vanno decisamente migliorando in bocca. Sin dall'imbocco, questa Conqueror 1075 si mette in evidenza per una sontuosa sensazione palatale: birra rotonda e morbida, molto appagante, dal corpo medio e moderatamente carbonata. L'inizio è "black", di orzo tostato, seguito da frutta dolce (polpa di pompelmo ed arancia) e da una parte finale amara quasi equamente divisa tra scorza di pompelmo, caffè e tostature. La chiusura è molto secca, preludio ad un retrogusto che non cambia direzione e dosa equamente malto (tostature) e luppolo (scorza di pompelmo). Abbiamo volutamente proceduto per sezioni, quasi in modo schematico, perché questa è un po' l'impressione che ci ha dato questa Conqueror 1075. Pulitissima al gusto, intensa e, come già detto, dall'ottimo "mouthfeel", si spinge ben oltre l'idea di "black IPA" con delle tostature molto evidenti che procedono parallelamente all'anima "luppolata". Benchè ottime e molto eleganti se considerate singolarmente, la parte "Black" e la parte "IPA" sembrano quasi evitarsi, collaborano poco, con un risultato complessivo molto inferiore rispetto alla somma del potenziale delle due componenti; il livello è comunque alto, ma una volta finito il bicchiere un pizzico di delusione rimane. Alcool sempre molto ben nascosto, leggero calore etilico avvertibile solamente con birra a temperatura quasi ambiente. Formato: 33 cl., alc. 7.4%, scad. 26/05/2014, pagata 3.78 Euro (beershop, Inghilterra).

lunedì 1 luglio 2013

Statale Nove Edo

E' proprio il caso di dire "l'ultima nata in casa Statale Nove", visto che si tratta di una birra che il birraio Filippo Bitelli dedica al suo primo nipotino, Edoardo, nato come indica l'etichetta il 26 Maggio 2012. La birra celebrativa arriva quindi allo spegnimento della prima candelina, nel mese di Maggio, lo stesso mese in cui, cinque anni fa, venne aperto il birrificio. La Edo Bitter viene quindi ufficialmente presentata  nell'evento del quinto compleanno (che da quelle parti chiamano "Miglia") di Statale Nove, celebrato lo scorso 18 maggio.  E' di un bel colore ambrato, velato, con una generosa (per lo stile) testa di schiuma biancastra, cremosa, dalla buona persistenza. Al naso molta frutta secca, nocciola, mandorla, toffee e sentori dolci di ciliegia; aroma pulito, ma non molto pronunciato. In bocca il percorso continua linearmente; malto sempre protagonista di un gusto pulito che regala note di biscotto, toffee e frutta secca, fino al finale amaro ricco di mandorla amara con qualche accenno erbaceo. La carbonazione è correttamente bassa, il corpo leggero; una bitter secca e molto pulita dal bel profilo maltato (sottolinearlo è importante, visto che la categoria "bitter" è abbastanza ambigua e vasta, e si possono trovare bitter nelle quali è invece il luppolo ad essere protagonista) con una appagante chiusura luppolata. Bella interpretazione "bolognese" (citando l'etichetta) che si beve con grande facilità. Formato: 75 cl., 23 IBU, alc. 4.2%, lotto 261, scad. 14/01/2014, pagata 6.50 Euro (birrificio).