domenica 30 giugno 2013

Tiny Rebel Urban IPA

Tiny Rebel Brewery  viene fondata ad Aprile 2012 da due ingegneri, Gareth “Gazz” Williams (31 anni) e Bradley Cummings (25) a Newport, Galles.  Gareth forse eredita la passione dell’homebrewing dal nonno, ma la mette in pratica solamente nel 1996 assieme al cognato Bradley che, dalle lager del supermercato, viene convertito a bere real ales in cask ed a fare esperimenti di homebrewing in garage. Il sogno di aprire un microbirrificio si concretizza con l’acquisizione di uno stabile di 3000 metri quadri nell’area industriale di Maesglas, nel quale trova posto un impianto da 10 barili; iniziano con due birre (la pale ale FUBAR e la Urban IPA, rapidamente affiancate da altre, incluso le immancabili "barrel aged") che iniziano ad essere distribuite in alcuni pub (al momento se ne contano almeno 14) della zona. Evidentemente ai due non mancano i fondi economici o la propensione al rischio degli investimenti, visto che secondo questo articolo hanno già in programma, oltre ad all'espansione degli impianti produttivi, anche l'apertura di alcuni bar/pub di proprietà. Al momento è operativo una sorta di "tap room", al piano sopraelevato del birrificio; non è aperta regolarmente, in quanto il birrificio non ha sempre a disposizione le birre per la mescita. Se pensate di visitarla, vi conviene prima contattare il birrificio, che organizza anche dei tour guidati quando si raggiunge il numero di 15 persone. In giro per le strade di Newport potreste anche trovare questo loro furgoncino, un furgone Bedford da gelataio nel 1960 che è stato brillantemente riconvertito in punto vendita di birre in bottiglia e merchandising. Molto curata l'identità visiva, con un sito internet molto efficace e caratterizzato dall'azzeccata immagine dell'orsetto "minuscolo ribelle" (Tiny Rebel). Non solo apparenza, però. All'ultimo Great Welsh Beer Festival dello scorso Giugno (d'accordo, non stiamo parlando del GBBF), Tiny Rebel fa incetta di premi piazzando tre birre ai primi  tre posti del podio del Champion Beer of Wales 2013:   1. Tiny Rebel Dirty Stop Out 2. Tiny Rebel Fubar 3. Tiny Rebel Urban IPA. In aggiunta, vittoria anche nelle seguenti categorie: Strong Bitter (Tiny Rebel Urban IPA), Golden Ale (Tiny Rebel Fubar), Stouts (Tiny Rebel Dirty Stop Out) e Barley Wine (Tiny Rebel Hadouken). Nel nostro piccolo noi ci limitiamo solamente a proclamare l'etichetta di questa Urban IPA come "etichetta del mese", o forse anche dei primi sei mesi dell'anno. Proprio l'etichetta ci annuncia che IPA sta in realtà per Intercontinental Pale Ale, visto che i luppoli utilizzati sono americani, europei e sloveni. Apriamola: color arancio ramato, velato. La schiuma, color avorio, è fine e cremosa ed ha una buona persistenza. Il naso non è molto pronunciato, ma ugualmente molto pulito ed elegante, ancora abbastanza fresco: mandarino, ananas, passion fruit, e polpa d'arancia, mentre più in sottofondo ci sembra di avvertire sentori di frutti rossi (lampone). Al palato questa Urban IPA parte con un imbocco maltato (biscotto e leggero caramello) abbastanza rotondo, andando poi ad assottigliarsi man mano che la bevuta prosegue e vira in territorio luppolato con un veloce passaggio dolce (polpa d'arancia) ed un finale amaro spiccatamente "zesty", con scorza di pompelmo e lime. Corpo medio leggero, bollicine moderate, è una IPA che si beve con buona facilità, dal bel finale secco e dissetante; birrificio giovane ma che sembra già partito con il piede giusto. Formato: 33 cl., alc. 5.5%, IBU 60, lotto 83, scad. 31/01/2014, pagata 3.78 Euro (beershop, Inghilterra).

sabato 29 giugno 2013

Brewfist Green Petrol

Con questa sono sette le Brewfist che sono passate su queste pagine; l'ottimo birrificio di Codogno (Lodi) continua ad aggiungere novità alla sua gamma (ma non al sito internet, ahimè) che potete assaggiare sia in bottiglia che direttamente a quello che, in modo riduttivo, si potrebbe definire la "tap room" del birrificio, ovvero il locale Terminal 1.  La propensione di Brewfist per le luppolature americane è ormai evidente dalle "IPA e dintorni" che  sono stare prodotte sino ad ora: le IPA Burocracy, Spaceman,  la double IPA Too Late, e la (molto luppolata) American Pale Ale in collaborazione con Beer Here, la Caterpillar. Il tassello quasi scontato che mancava era rappresentato dall'assenza di una Black IPA, lacuna prontamente colmata con l'uscita di questa Green Petrol;  stappiamola dunque, questa bottiglia di "benzina verde" (ove il verde è ovviamente quello del luppolo) che si presenta praticamente nera, con una testa molto persistente di schiuma color beige, fine, compatta e cremosa. Ottimo l'aroma, fine, pulito,  con agrumi (arancia e pompelmo) in evidenza e qualche sentore di tropicale a rendere il bouquet olfattivo più variegato. Man mano che la birra si scalda emergono i sentori di tostato, caffè ed un leggero affumicato. Percorso che continua in bocca con un ingresso leggermente tostato seguito da un fruttato che richiama l'aroma (pompelmo e tropicale); la seconda parte della bevuta vira invece decisa sull’amaro tra tostato, resinoso e caffè, che si dividono quasi equamente il palcoscenico e rimangono protagonisti anche del lungo retrogusto. Leggermente meno pulita in bocca rispetto al naso, ha comunque un bell'equilibrio complessivo tra le varie componenti, amaro e dolce, ed un contenuto alcolico (8.2%) nascosto benissimo. Birra solida ed intensa, corpo da medio a pieno, carbonatazione moderata, viscosità oleosa, bevuta appagante: se la gioca con i migliori esemplari  italiani di (ambigua) categoria che abbiamo bevuto, ovvero  Due Di Picche (Menaresta), B Space Invader (Toccalmatto), Bombay Cat (Revelation Cat) e Paranoid (Buskers).  L’American Brewers Association da qualche anno ha decretato la "morte" dell' (ossimoro) Black IPA sostituendolo con quello più versatile di American Black Ale ( siamo pigri, riportiamo in inglese: American-style black ales are very dark to black. The perception of caramel malt and dark roasted malt flavor and aroma is at a medium level. High astringency and high degree of burnt roast malt character should be absent. Hop bitterness is perceived to be medium-high to high. Hop flavor and aroma is medium-high. Fruity, floral and herbal character from hops of all origins may contribute character. American-style black ale has medium body).
Formato: 33 cl., alc. 8.2%, IBU 60, lotto 3135, scad.30/04/2014, pagata 4.50 Euro (beershop, Italia)

venerdì 28 giugno 2013

Crouch Vale Amarillo

Dopo l'ottima Brewers Gold, che ci siamo goduti in questa occasione, è il momento di stappare un'altra birra dell'interessante birrificio inglese Crouch Vale. Ovviamente il luppolo protagonista è l'Armarillo, ma probabilmente non si tratta di una single-hop (come ad esempio quelle di The Kernel, Mikkeller e De Molen), visto che l'etichetta fa riferimento solamente a questo luppolo nella fase del "late-hopping". Un luppolo che al massimo della freschezza ha delle straordinarie proprietà aromatiche che purtroppo questa bottiglia non riesce a riportarci: aroma spento, che vira subito verso la marmellata d'arancio e di pesca, il miele, piuttosto che verso la polpa di frutta fresca appena tagliata. Un po' meglio in bocca, dove c'è un bell'equilibrio tra le note maltate (biscotto) e quelle dolci di polpa d'arancia, albicocca e qualche accenno di frutta tropicale; più intensa la parte centrale della bevuta rispetto a quella finale, dove i luppoli evanescenti non regalano quella degna chiusura amara, pungente e dissetante che ci si aspetterebbe da una golden ale da manuale. Troviamo solo qualche nota di scorza di pompelmo e, di nuovo, polpa d'arancio. Birra dorata, praticamente limpida, con un dito di schiuma biancastra, dalla trama fine ma poco persistente. Facilissima da bere, leggera e poco carbonara, dalla secchezza non encomiabile (leggero burro in bocca); una golden ale che generalmente riscuote grossi consensi, ma che purtroppo abbiamo trovato in condizioni di forma pessime. Al prossimo incontro. Formato: 50 cl., alc. 5%, lotto 3102 12:36, scad. 11/2013, pagata 4.19 Euro (beershop, Inghilterra).

mercoledì 26 giugno 2013

Birrificio Decimoprimo D-Day

Ospitiamo molto volentieri su queste pagine un birrificio pugliese, regione che secondo Microbirrifici.org conta ormai più di venti produttori le cui birre non sono però spesso facilmente reperibili nei beershop del nord Italia; ci siamo volutamente soffermati sui "numeri" perché il birrificio di oggi si chiama Decimoprimo, nome scelto proprio perché al momento dell'inaugurazione, a marzo 2012, era l'undicesimo birrificio attivo in Puglia. Guidato dal birraio Michele Cognetti a Trinitapoli (BT), non ha ancora un sito internet funzionante ma per fortuna ci viene in soccorso un'attivo profilo Facebook; cinque le birre attualmente prodotte, una cream ale (Karibu), una belgian ale (Juissance), una natalizia (Sweet Notel), una alla zucca (Kowacchy) ed una India Pale Ale (D-Day). Impianto da 10 ettolitri della Steel Food, e formato delle bottiglie abbastanza insolito per il panorma italiano; non tanto per i cinquanta centilitri, ma piuttosto per le bottiglie più piccole distribuite nel formato "venticinque". Molto belle l'etichette, in particolare quella della D-Day, un ben riuscito gioco di parole tra il giorno "d'inizio delle operazioni" ed il "Decimoprimo-day"; etichetta che pare sia stata recentemente rivisitata dal birrificio, con uno schiarimento dei colori (giallo e rosso) e l'eliminazione dell'errore di stampa "IndiaN Pale Ale". Centennial ed E.K. Goldings i luppoli usati, se non erriamo, per una birra che arriva nella pinta di color arancio/rame opaco; la schiuma biancastra, è fine, compatta e molto persistente. L'aroma non è molto pronunciato: agrumi (mandarino), sentori di pesca, leggero caramello. Non c'è molta pulizia, e man mano che la birra si scalda emerge anche una leggera nota metallica che, assieme ai sentori di lievito, vanno a sporcare il "naso" di questa birra. Uno scenario analogo ci si ripropone in bocca: gusto non molto pulito, bevuta appesantita e rallentata da una "lievitosità" eccessiva. L'ingresso presenta note di biscotto e, più leggere, di caramello, con un amaro di scorza di pompelmo che va subito a solleticare i lati della lingua; c'è un richiamo dolce alla frutta dell'aroma (polpa d'agrumi e frutta gialla), con accellerata amara finale che sfocia in retrogusto molto zesty, ricco di scorza di pompelmo e lemon grass. Leggera astringenza finale e, ci sembra, una puntina di "bruciato" che accompagna il retrogusto amaro. Bottiglia che non dovrebbe avere molti mesi sulle spalle (il lotto 13001 ci fa pensare ad una produzione 2013) ma che non brilla di fresco e che abbiamo trovato sottotono. Corpo leggero, bassa carbonazione, alcool abbastanza contenuto (5.5%): tutti elementi "facilitanti" la bevuta, ma ci tocca invece ammettere di aver faticato un po' per svuotare la pinta; di questa D-Day ne avevamo sentito parlare bene, speriamo quindi di poterla assaggiare di nuovo in condizioni migliori.  Formato: 50 cl., alc. 5.5%, IBU 45, lotto 13001, scad. 11/2013, pagata 5.50 Euro (beershop, Italia).

martedì 25 giugno 2013

Redchurch Great Eastern IPA

Ancora un debutto, sulle pagine del blog, ed ancora una volta Londra, tanto per continuare l'esplorazione della new wave di birrifici che si stanno pian piano riappropriando della capitale. Siamo ancora nella zona (nord) est, quella dove al momento si sono stabiliti la maggior parte dei nuovi birrifici: la fermata della metropolitana della Central Line è quella di Bethnal Green, l'indirizzo è invece 275-276 Poyser Street, appena un chilometro più a sud di un altro birrificio, London Fields. Anche Redchurch Brewery, che prende il nome dalla poco distante Redchurch Street, dove i fondatori Gary Ward e Tracey Cleland vivono, ha trovato casa sotto le solite arcate della linea ferroviaria. Il debutto avviene a settembre 2011 con una ricetta realizzata dall'ancora homebrewer Gary presso gli impianti della succursale di Bethnal Green Road della Mason & Taylor, chiusa poi a settembre 2012 per lasciare il posto al Brewdog Shoreditch. Una volta pronto l'impianto da 10 barrel, la produzione si è spostata nel sito attuale, che da Marzo 2013 ospita anche, al livello superiore, un piccolo bar dove potete bere le birre della casa e quelle di alcuni ospiti (al momento The Kernel). Personalmente apprezzo la scelta grafica del birrificio, molto pulita, essenziale, quasi minimalista. Passando invece alla sostanza, è il momento della Great Eastern, una India Pale Ale che vede l'utilizzo esclusivo di luppoli americani chinook, columbus e nugget. Si presenta di color oro con riflessi arancio, opaco, ed una bella testa di schiuma biancastra, fine, cremosa, persistente. Ottimo l'aroma, fresco, pulito e raffinato, con pungenti sentori di ananas sopra ogni cosa, ed in secondo piano passion fruit, pompelmo, mandarino. Le ottime premesse sono però molto disattese in bocca, dove scompare quasi tutta la freschezza fruttata dell'aroma per lasciare posto alla solida base maltata (biscotto) dell'ingresso che porta direttamente all'amaro di scorza di pompelmo, resinoso e pepato. Nel "mezzo" c'è una sorta di passaggio a vuoto nel quale l'alcool (7.4%) si fa particolarmente sentire; ne risulta una birra un po' impegnativa da bere, ruvida e monocorde, che manca al palato di quella finezza e di quella pulizia protagoniste dell'aroma. Ha un bel taglio finale secco, che ripulisce bene la bocca preparandola al lungo retrogusto resinoso ed etilico, ma non basta; IPA discreta che, nella mia modesta opinione, inizia benissimo ma si perde un po' per strada. Formato: 33 cl., alc. 7.4%, IBU 55, lotto 87, scad. 25/03/2014, pagata 4.13 Euro (beershop, Inghilterra).

StataleNove 428 Cobra Jet

Dopo un buon annetto ritorniamo a versare nel bicchiere qualcosa del birrificio Statale Nove, ottima realtà brassicola che ogni anno colleziona medaglie al concorso di birra dell'anno. Quest'anno ne sono arrivate ben cinque:  argento alla Miss Kartola (Ambrate e scure, alta e bassa fermentazione, basso grado alcolico, d'ispirazione tedesca), argento alla JandB (Bassa fermentazione, alto grado alcolico, d'ispirazione tedesca), bronzo alla Shamrock (Alta fermentazione, alto grado alcolico, d'ispirazione angloamericana), oro alla Kristal (Spezie e cereali, alta e bassa fermentazione) e bronzo alla Preda (Affumicate, alta e bassa fermentazione). Non ha invece mai ottenuto un riconoscimento questa 428 Cobra Jet, interpretazione di un'American Pale Ale, il cui nome è un tributo all'omonimo e poderoso motore Ford da 410 HP lanciato nell'aprile del 1968 che equipaggiava, tra le altre, anche un modello speciale di Ford Mustang, la Shelby Mustang, che nel 1968 venne commercializzata con il nome Shelby Cobra GT 500KR. La potenza del motore alla quale è dedicata mi sembra sia stata riversata in una versione "potenziata" di American Pale Ale che, a partire dal contenuto alcolico (7.5%), supera per molti elementi i parametri determinati dalla categoria stilistica. E' di un intenso color ambrato, opaco; la schiuma, ocra, è cremosa, compatta ed ha una buona persistenza.  L'etichetta cita un dry-hopping ma l'aroma apre con sentori di caramello, miele, marmellata d'arancia amara, qualche sentore resinoso; non esattamente l'immagine della freschezza o di quel profumo di fiori di luppolo che ci si attenderebbe. In bocca si procede più o meno sullo stesso percorso, con una parte maltata molto solida (biscotto e caramello), marmellata d'arancio e poi un amaro  deciso, pungente/pepato e resinoso. Il corpo medio e l'amaro non la rendono esattamente scorrevole e facile da bere come dovrebbe essere un'American Pale Ale, dando piuttosto l'impressione di avere nel bicchiere una muscolosa IPA o, se vogliamo far nascere degli ibridi, una Extra Pale Ale. La deriva amara che caratterizza la seconda parte della bevuta sfocia in un lungo retrogusto resinoso e vegetale, rompendo definitivamente gli argini; al tempo stesso l'alcool si mostra per quello che è, senza fare grossi sconti a chi beve. L'ho provata anche spillata a pompa, direttamente al birrificio, ricavandone l'identica impressione. Lotto non all'altezza della altre produzioni Statale Nove, che ho sempre trovato molto bilanciate e facili da bere, e neppure della sorella minore 426 Hemi, un'altra APA molto gustosa dalla quale si differenzia completamente. Formato: 75 cl., alc. 7.5%, IBU 55, lotto 245, scad. 31/12/2013, pagata 6.50 Euro (birrificio).

lunedì 24 giugno 2013

Camden Town Camden Pale Ale

All'inizio degli anni '90 andavo a Camden Town, a Londra, per quella che era la sua attrattiva turistica principale: un pittoresco mercato (fondato nel 1973) pieno di piccole bancarelle che potremmo definire generalmente come "alternative", in una zona molto giovane e vibrante della città; per un appassionato di musica significava passare un'intera giornata tra banchi che vendevano dischi usati, rari, bootlegs, vhs pirate di concerti, magliette ed altre cose che in Italia arrivavano con il contagocce. Oggi è possibile trovare tutto questo con un semplice click su Ebay, ed oggi il famoso mercato di Camden è sempre affollatissimo durante il weekend ma, visitarlo di nuovo qualche anno fa, mi ha profondamente riempito di tristezza. Gli affitti dei locali che nel frattempo sono aumentati hanno allontanato i rivenditori indipendenti ed "alternativi", sostituendoli con marchi più noti e commerciali e le bancarelle del mercato sono ormai quasi un monopolio di venditori cinesi o indiani, per un "alternativo" che ormai coincide con la parola "paccottaglia". Il dubbio "sono cambiato io o è cambiata Camden" è durato il tempo di pochi secondi. Se comunque non resistete alla curiosità di andare ugualmente a The Stables Market, potete in seguito riprendervi dalla delusione facendo un chilometro a piedi e visitare, sotto le immancabili arcate  della linea ferroviaria, la Camden Town Brewery. Sagacemente aperta nel 2010 in uno dei quartieri dalla più alta densità giovanile - e turistica, nei weekend - di Londra, Camden Town è in poco tempo diventato il terzo produttore di birra della capitale, dietro a Fullers e Meantime grazie anche all'apertura, a Marzo 2012, del Camden Town Brewery Bar, dovete potrete bere la birra direttamente da chi la produce e la vende a circa 250 pub sparsi in tutta Londra. Responsabile di tutto questo è un australiano, Jasper Cuppaidge, stabilitosi a Londra 15 anni fa. Suo nonno, Laurie McLaughlin, ha diretto dal 1910 al 1960 la McLaughlin Brewery in Australia; alla sua morte prematura, la madre di Jasper decide prima di affidarla in gestione e poi di venderla definitivamente. Dopo aver riesumato la passione del nonno nel seminterrato dell'Horseshoe pub di Hampstead, dove ha lavorato per cinque anni, Jasper ottiene l'aiuto economico da tre amici (proprietari della catena di pub Barworks) per aprire un microbirrifici a Camden. Inizialmente vorrebbe chiamarla Mac's Brewery in onore del nonno birraio, ma il nome è già stato registrato da un produttore Neo Zelandese. Poco male, perché Camden Town Brewery, supportato da un bel progetto grafico, funziona secondo me mille volte meglio. Dall'apertura la produzione è già quadruplicata, ed al momento Cuppaidge sta cercando dei locali più grandi dove trasferirsi, aprire una specie di "gastropub" ed incrementare ulteriormente la quantità di birra prodotta; Camden Town Brewery sembra prediligere birre leggere, semplici, da bere con grande facilità e - volendo - in grossa quantità. Le uniche birre che eccedono il 5% di alcool sono due collaborazioni con birrifici americani: una Baltic Porter (con Odell), che debutta proprio a fine Giugno, ed una Imperial Lager con la Ska Brewing (6.8%). La gamma delle session beers prodotte tutto l'anno include una lager, una kellerbier, una wit, una weizen, una stout e questa American pale ale chiamata semplicemente Camden Pale Ale. L'etichetta annuncia un'impressionante batteria di luppoli: columbus, cascade, centennial, amarillo, simcoe, citra e calypso, su una base di malti Pale, Munich, Cara e Wheat. Forse ci è toccata una bottiglia poco fortunata, ma l'aroma non è certo un trionfo di profumi e di freschezza; ci sono mango, passion fruit, pompelmo, melone, caramello ma il bouquet olfattivo è - sebben pulito - poco affascinante e fragrante. La scarsa freschezza dei luppoli si riflette anche in bocca, dopo l'ingresso maltato di biscotto e cereali, andando ad appesantire la bevuta con note dolciastre di marmellata e di frutti tropicali; per fortuna c'è una buona secchezza a ripulire la bocca, con un retrogusto amaro, discretamente intenso, di scorza di pompelmo ed erbaceo. Il corpo è leggero, la carbonazione è contenuta in una bottiglia solo sufficiente che presenta un'evidente mancanza di freschezza e che risulta assai meno "sessionabile" di quello che dovrebbe. La riprova, se mai accadrà, spero di farla direttamente a Camden Town. Formato: 33 cl., alc. 4%, IBU 40,  scad. 08/10/2013, pagata 3.24 Euro (beershop, Inghilterra).

sabato 22 giugno 2013

Moncada Notting Hill Blonde

Continuiamo il "viaggio" tra i nuovi birrifici di Londra, bussando questa volta alle porta della Moncada Brewery, aperto ad Agosto 2011 in Conlan Street, Ladbroke Grove, zona Nord Ovest, su un'immaginaria linea diagonale che dal centro della city porta allo stadio di Wembley. Tecnicamente siamo nel Royal Borough of Kensington and Chelsea, ad un chilometro e mezzo dal quartiere di Notting Hill e dal famoso mercato di Portobello Road.  Moncada è Julio Moncada, un argentino di 35 anni che ha aperto questo nuovo microbirrificio assieme alla moglie Eleonora, greca, ed all'aiutante-birraio Sam Dicksion. Entrambi arrivati a Londra per studiare, Eleonora è microbiologa mentre Julio, dopo un timido approccio con il design industriale, studia cucina ed inizia a lavorare come cuoco in diversi ristoranti per fare esperienza. Un giorno (era il 2001) viene incuriosito dalla visione di una "handpump" in un pub inglese; chiede al publican di potere provare e rimane "folgorato" dall'assaggio di una real ale in cask. Un mondo di profumi e di sapori mai provati gli si apre davanti, incuriosendolo al punto di iniziare con l'homebrewing. L'incontro con Eleonora porta anche la nascita di un figlio, rendendo difficilmente sopportabile l'intenso lavoro da sedici ore al giorno al ristorante. Inizialmente intende aprire un negozio di specialità alimentari, con  magari un piccolo impianto di produzione di birra annesso da somministrare ai propri clienti. Inizia allora a frequentare i corsi al Brewlab di Sunderland (prima tre giorni, poi tre settimane ed infine tre mesi) e, una volta terminati, comunica alla moglie la decisione di non aprire più un negozio di "delicatessen" ma un birrificio. Eleonora non è molto entusiasta, ma dopo una lunga opera di persuasione accetta di mettere il suo background di microbiologa al servizio della produzione di birra. Una bitter, una blonde ed una amber ale segnano il debutto di Moncada, che avviene alla London Brewer Showcase del 22 Ottobre 2011. Birre sostanzialmente tradizionali, in contrasto con la maggior parte delle produzioni dei birrifici di Londra, spesso IPA infarcite di luppoli esotici. Lo studio del brand e del logo, molto ben curato, viene affidato alla Yardpartners. Birrificio di recente apertura, quindi, e birraio con ancora poca esperienza che sta affinando le proprie capacità in ititnere; tutti fattori che ci sembra di aver "ritrovato" in questa bottiglia di Notting Hill Blonde che abbiamo assaggiato. Bottle conditioned, dal bel color oro, velato, che forma due dita di schiuma bianca, abbastanza fine e cremosa. Il naso non brilla particolarmente di fresco, c'è qualche leggero off-flavor (stantio) e deboli sentori di agrumi, soprattutto arancio, cereali, accenni di miele. Un po' meglio in bocca;  session beer (4.2%) leggera e moderatamente carbonara, watery quanto basta; base di malto (pane/cereali)  quasi impercettibile, un po' di frutta a richiamo dell'aroma, chiusura amara-ma-non-troppo di scorza di limone e lemon grass, Una golden ale sufficiente, che disseta e rinfresca senza tuttavia brillare né per l'intensità né per la pulizia del gusto. Impressione ovviamente limitata alla bottiglia in questione, che rappresenta sino ad ora il nostro unico punto di riferimento di questo nuovo birrificio. Formato: 50 cl., alc. 4.2%, scad. 18/11/2013, pagata 4.54 Euro (beershop, Inghilterra).

venerdì 21 giugno 2013

Saison du BUFF

Chiudiamo il piccolo “trittico” delle saison con una birra un po’ speciale: la Saison du BUFF, ovvero una collaborazione tra Sam Calagione (Dogfish Head – Delaware), Greg Koch (Stone Brewing Co. - California) e Bill Covaleski (Victory Brewing Co. - Pennsylvania).  L’idea per questa birra risale addirittura al 2003, quando i tre birrai sopra citati formano la BUFF Alliance (Brewers United for Freedom of Flavor), ovvero un’associazione che intendeva diffondere la passione e il senso d’appartenenza alla scena della birra artigianale americana. E’ però solamente nel 2010 che dalle parole si passa ai fatti, ed i tre birrai si trovano al sole della California per elaborare la ricetta di una birra one-shot, la Saison du BUFF.  La prima birra viene brassata alla Stone, e poi replicata da ciascun birrificio presso i propri impianti; nel 2012 i birrai decidono che è il momento di  tornare a farla: a Marzo 2012 viene commercializzata la Dogfish, ad Aprile quella di Victory e, il 18 Giugno la produzione Stone. Questa volta i birrai riescono a reperire tutte le erbe necessarie (prezzemolo, salvia, rosmarino e timo) presso la Stone Farms, l’azienda agricola di proprietà del birrificio che rifornisce di materie prime biologiche lo Stone Bistro & Garden. Per l'occasione viene anche registrato un breve video promozionale. La ricetta viene pubblicata sul libro The Craft of Stone Brewing Co., che racconta i primi 15 anni di vita dal birrificio fondato da Greg Koch e Steve Wagner. Per chi fosse interessato, la può trovare qui.   E' di un bel color oro, quasi limpido; la schiuma, bianca, ha trama fine, e cremosa ed ha buona persistenza. Al naso il primo impatto è di agrumi, mandarino, lime/limone (c'è un dry-hopping di Citra) che ben presto si mescolano a note insolite di salvia e rosmarino e, più in secondo piano, di prezzemolo. Ad un anno di distanza dall'imbottigliamento l'aroma non può essere molto forte, ma è molto pulito, ben equilibrato tra i vari elementi, lievemente rustico, permettendo di individuare le diverse erbe utilizzate nella ricetta. Ottima la sensazione palatale: corpo medio, con una carbonazione forse un po' troppo bassa per lo stile ma che regala comunque una grande sensazione di rotondità e di morbidezza. Il gusto continua in linea retta il percorso aromatico: dopo un ingresso di pane, troviamo frutta dolce (pesca, mango e polpa d'arancio) con, a bilanciare, un amaro  morbido, rinfrescante,  prevalentemente vegetale/erbaceo che ripropone salvia, timo e rosmarino. L'alcool (7.7%) è nascosto in una maniera impressionante; questa Saison du BUFF ha una bevibilità quasi commuovente, un bel profilo secco, dissetante e rinfrescante; il mix di erbe annunciato in etichetta ci aveva un po' "spaventato" (sembrava un po' di leggere il tubetto di una crema rinfrescante), ma il loro sapiente dosaggio aggiunge complessità ad una birra solida che si divincola tra note di frutta (agrumi/tropicale) ed erbacee, con una grande eleganza che forse ne sacrificà un po' il lato rustico. Il birrificio la consiglia in abbinamento con: tortino di granchio, gamberi grigliati, hummus, pollo arrosto, salmone grigliato, ceasar salad, tikka masala. Formato: 35.5 cl., alc. 7.7%, IBU 52,  lotto 02/05/2012, pagata 2.50 Euro (birrificio, USA).

giovedì 20 giugno 2013

Birrificio del Ducato Saison

Continuiamo nel nostro percorso estivo tra le saison extra-belghe che, dopo l'Inghilterra visitata ieri, ci porta in Italia.  Il Birrificio del Ducato ha al momento in produzione ben tre rappresentanti della categoria stilistica. La più famosa è probabilmente la New Morning, bevuta molto, troppo tempo fa ormai, che di recente è stata affiancata da una "sorella" chiamata semplicemente "Saison". La gamma è poi completata dalla Vieille Ville Saison (con brettanomiceti) che sta riposando in cantina. Il sito del birrificio riporta che questa "Saison" nasce come evoluzione della "Blonde", come spiega Giovanni Campari: "l’ispirazione per questa birra mi è venuta bevendo alcune birre belghe di nuova generazione, dove l’uso dei luppoli di Poperinge completava il carattere particolare dato dai lieviti tipici per questo stile. La fermentazione di questa birra è decisamente lenta e viene condotta a temperature inusuali, cosa che spinge il lievito a produrre una serie di composti aromatici caratterizzati da note citriche e pepate che le donano grande freschezza e croccantezza". Nel bicchiere è di colore oro pallido, opaco, con un cappello di schiuma biancastro, generoso ma non molto persistente. Il naso è un po' timido, chiuso: il primo impatto è poco pulito con dei sentori di chiuso, quasi polverosi, di cereali: per fortuna dopo qualche secondo l'aroma si "apre" ed è possibile percepire arancio, leggeri sentori di banana acerba, una leggera speziatura donata dai lieviti. Il livello sale decisamente in bocca, dove questa Saison si rivela una birra estremamente facile da bere, vivacemente carbonata; su una base di pane e cereali troviamo leggere note di miele, pesca, banana, polpa d'arancio, il tutto perfettamente equilibrato dall'amaro dei luppoli, che porta in dote note di scorza d'agrumi e di lemon grass. Una leggerissima acidità ed una secchezza quasi esemplare la rendono estremamente rinfrescante e dissetante; birra molto ben riuscita, e ben fatta, piacevolmente rustica, da bere ad oltranza. L'immagine che Giovanni Campari descrive sul sito del birrificio è pressoché esemplare:  "ricordo che d’estate, quando torno a casa dopo una lunga giornata di lavoro e il sole non è ancora del tutto tramontato, spesso mi concedo un aperitivo sul balcone mentre osservo le colline e il cielo che si colora di rosa, rosso e arancione nell’ora del crepuscolo. La Saison mi accompagna sempre in quei momenti: ne bevo almeno una bottiglia da 75, anzi, spesso più di una."  La nostra unica colpa è di averla trovata in formato trentatré. Formato: 33 cl., alc. 6%, lotto 060 13, scad. 10/2014, pagata 4.50 Euro (beershop, Italia)

lunedì 17 giugno 2013

Partizan Saison Galaxy

Approfittiamo del caldo per abbassare la nostra scorta in frigorifero di saison che, lo ricordiamo per i "neofiti", rappresenta un stile brassicolo originario della regione belga della Vallonia verso la fine dell'ottocento; erano birre  che venivano prodotte alla fine della stagione fredda e, grazie al loro discreto tenore alcolico, erano destinate a durare e ad essere consumate durante la stagione estiva, durante la quale non era possibile birrificare a causa delle alte temperature.  Iniziamo un piccolo “trittico” di saison partendo da questa Saison Galaxy del nuovo ed interessante birrificio londinese Partizan, del quale trovate un breve profilo qui.  Il nome è (ovviamente, per gli addetti ai lavori) un riferimento all’omonimo luppolo australiano, un ibrido sperimentale creato alla metà degli anni novanta dall'incrocio di luppoli autoctoni con altri tedeschi (perle); il primo raccolto venne commercializzato nel 2009. Molto carina l'etichetta di questa birra, disegnata - come tutte le altre - da Alec Doherty, che gioca con immagini che ricordano il duro lavoro estivo nei campi per comporre le lettere della parola s a i s o n.  Leggermente meno bella è la birra nel bicchiere, di un torbidissimo color arancio sul quale si forma una solida "testa" di schiuma bianca, quasi pannosa, molto persistente. Immaginiamo si tratti di una saison "single hop" a tutto Galaxy, e il naso apre effettivamente con i profumi tipici del luppolo australiano; molti agrumi, pompelmo, lime, scorza di mandarino, un leggerissimo accenno di frutto della passione e, a completare un ottimo bouquet, pulito e complesso, troviamo sentori di cereali, fieno, pepe. L'asticella rimane alta anche al palato, con una birra dal corpo medio-leggero, vivacemente carbonata, che scende benissimo grazie ad una giusta dose di "acquosità". Rapida introduzione di biscotto ai cereali, poi a salire in cattedra sono gli agrumi come pompelmo, lime e limone, per un gusto che fa poche concessioni alla polpa (dolce) per privilegiare invece l'amaro della scorza. Il risultato è una saison molto secca, dissetante e rinfrescante, fruttatissima, dal finale quasi tagliente ed "ultra zesty".  E' solamente nell'aroma che troviamo leggere tracce di quella rusticità che vorremmo trovare in ogni saison; il gusto vira invece dal bucolico ottocento verso territori contemporanei, ruffiani, seguendo un po' l'ultima moda del "cocktail di frutta". Il risultato è comunque estremamente soddisfacente per chi beve, rinfrescato da un leggera e piacevole acidità e, prima ancora, intrattenuto da inebrianti profumi.  Bottiglia ampiamente insufficiente, dovrebbe essere venduta solamente in tanichette da almeno due litri. Formato: 33 cl., alc. 5.4%, lotto 05/02/2013, scad. 05/08/2013, pagata 3.60 Euro (beershop, Inghilterra).

domenica 16 giugno 2013

Valcavallina Sunflower

L'estate ed il caldo sono finalmente arrivati sulla nostra penisola, e quando la temperatura sale sopra ai trenta gradi, spesso il (mio) pensiero va ad una golden ale leggera e profumata, un po' ammiccante, dal giusto profilo "zesty/agrumato" che disseti e rinfreschi, bicchiere dopo bicchiere. Giornata quindi ideale per tirare fuori dal frigorifero una (fortunatamente) generosa bottiglia di Sunflower (o Sun Flower) del birrificio bergamasco Valcavallina, del quale abbiamo parlato più dettagliatamente in questa occasione. Una birra della quale abbiamo sentito parlare bene, e che nelle ultime due edizioni del CIBA è sempre arrivata nelle prime due posizioni della categoria Blonde Ale / Golden Ale; nell'edizione 2012 (che premia le migliori birre del 2011) ha battuto l'ottima Blond di Extraomnes, che quest'anno si è presa la rivincita come miglior Blond/Golden Ale italiana del 2012. Anche se le due rivaleggiano nella stessa categoria, le differenze di background sono molto profonde, con Extraomnes che ha (ovviamente) le basi in Belgio e Valcavallina che presenta invece una Golden Ale di stampo anglosassone, caratterizzata da una bella batteria di luppoli che - se le informazioni che abbiamo trovato in rete sono corrette - abbraccia tre continenti: Northern Brewer, Perle, Amarillo e Sorachi Ace. Ovviamente di colore dorato, opaco, con una generosa testa di schiuma bianca, fine e compatta, molto persistente. L'etichetta è un po' l'immagine dell'aroma: un bel naso "solare" e pulito, ottimamente caratterizzato dai quattro fiori di luppolo usati: mandarino, pompelmo, lime, leggeri sentori di aghi di pino, pesca, mango, ananas. Frutta "appena tagliata" e fresca, ed è solo grazie all'acquolina (o "birrolina"?) provocato dall'aroma che riusciamo ad allontanare il naso dal bordo del bicchiere ed a portarci la bocca. C'è una leggera base maltata (cereali e pane) seguito da una parte centrale dolce ricca di frutta (agrumi - polpa d'arancio - pesca e frutta tropicale) che subito viene bilanciata da un amaro di scorza d'agrumi e lemon grass, intenso ma gentile al tempo stesso. Leggera, moderatamente carbonata e molto secca al palato, è una (session) birra pulita, relativamente semplice,  da bere e ribere. Profumi invitanti, gusto ben equilibrato con quel leggero carattere tropicale che la rende moderatamente ruffiana senza nessuna sfrontatezza od ostentazione. Molto ben riuscita, l'estate è adesso e il consiglio è di procurarvi al più presto un cartone di Sunflower, prima che sia troppo tardi. Formato: 75 cl., alc. 4.3%, lotto 12/13, scad. 30/12/2013, pagata 7.00 Euro (beershop, Italia).

venerdì 14 giugno 2013

London Fields Shoreditch Triangle IPA

Apre le porte Sabato 27 Agosto 2011 al 374 di Helmsley Place la London Fields Brewery, che prende il nome della zona in cui si trova nel sobborgo londinese di Hackney, zona nord-orientale. Nella zona operavano un tempo cinque birrifici: la Hoxton Brewery, chiusa nel 1900, Mitchell, Goodman, Young & Co. (1919), il brewpub Falcon & Firkin (1991) e la West Brewery (1930). L'ultima a chiudere i battenti, all'inizio degli anni 90, fu la Pitfield Brewery del quartiere di Hoxton. La rinascita della produzione di birra ad Hackney non poteva che passare - come per molti altri birrifici londinesi - sotto le immancabili arcate della linea ferroviaria, dove Jules Whiteway e Ian Burgess installano un piccolo impianto da quattro ettolitri. Jules lascia il suo impiego nel campo del giardinaggio a Gloucester, mentre Ian Burgess possiede la  torrefazione (di caffè) Climpson and Sons. Dopo pochi mesi, a gennaio 2012, Burgess lascia il birrificio e, ad aiutare Jules, arriva il birraio di origini tedesce Ben Ott; nello stresso periodo la London Brewery si trasferisce in un locale più grande al 365-366 di Warburton Street, sempre sotto le arcate della ferrovia, dove trova posto un impianto più capace acquistato dal fallimento della Ventnor Brewery dell'Isola di Wight, defunta nel 2009. Il birrificio è visitabile nei weekend, dall'una alle tre del pomeriggio, con diverse opzioni di tour che includono visita+tasting (6 sterline), visita+tasting+gadget+maglietta (12 sterline) oppure visita al birrificio più birre in abbinamento gastronomico (25 sterline). Nei locali c'è anche una tap room, aperta nel weekend, dove oltre alle birre potrete bere vino ed altri soft drinks, mangiare snack freddi in estate e caldi in inverno; la tap room ospita spesso anche concerti o eventi musicali (Dj set).  La India Pale Ale del birrificio viene lanciata in occasione del Pigs Ear Beer & Cider Festival del 2012 di Hackney. Viene chiamata Shoreditch Triangle, con riferimento (Shoreditch) all'omonima zona del distretto di Hackney, ed ai tre (triangle) malti (pale, pale cara e crystal) e luppoli (columbus, centennial e chinook) utilizzati per farla. Completano la ricetta avena e frumento maltato. Rifermentata in bottiglia,  è di un bel colore ambra con venature ramate; la schiuma, biancastra, non è molto ampia ma cremosa ed ha una buona persistenza. Il naso non è molto pronunciato, ma è elegante e pulito, con un cocktail dolce di frutta tropicale che include mango, ananas, passion fruit e pompelmo. Buona la sensazione al palato: una birra dal corpo medio, moderatamente carbonata, morbida, che ci accoglie con note maltate (biscotto) subito rimpiazzate da un leggero fruttato, dolce, che richiama in toto l'aroma. L'amaro non tarda ad arrivare, pungendo i lati della lingua, resinoso, leggermente piccante, intensificandosi e sfociando in un lungo retrogusto resinoso e vegetale. Ne risulta una buona IPA abbastanza muscolosa ma pulita, con la bevibilità che viene un po' limitata dall'amaro, a tratti un po' ruvido, che tuttavia la differenzia da altre sorelle di categoria, molto ruffiane e molto "spremuta-di-pompelmo" che abbiamo trovato presso altri birrifici della capitale inglese. Formato: 33 cl., alc. 6%, scad. 07/01/2014, pagata 3.66 Euro (beershop, Inghilterra).

giovedì 13 giugno 2013

Maremmana Rossa

Dopo la Mora, assaggiata in questa occasione, e la Bionda, che abbiamo bevuto "fuori blog", chiudiamo il trittico della Birra Maremmana, prodotta dall'Azienda Agricola Vallechiara di Talamone (Grosseto) con la Rossa. Curiosamente tutte e tre le birre, ad alta fermentazione, hanno la stessa gradazione alcolica (7.2%). I primi due incontri non erano onestamente stati molto entusiasmanti; l'impatto nel bicchiere di questa Rossa è comunque ottimo. Uno splendido ambrato carico con riflessi rubini, leggermente velato, al quale la foto non rende assolutamente giustizia; la schiuma è molto persistente e compatta, color ocra. L'aroma apre con sentori di caramello, ed un insolito mix agro-dolce di ciliegia sciroppata e frutti rossi (ribes); discretamente pulito, poco pronunciato. All'ingresso in bocca frutta secca, leggere tostature, caramello, seguiti da una parte centrale molto acquosa in cui la birra sembra quasi "scomparire" per poi ritornare a fine corsa. Nel retrogusto, scarsamente intenso, c'è anche qualche leggera - e curiosa - nota di cioccolato al latte e di caffèlatte. Anche questa Maremmana ci è sembrata molto disgiunta e poco rotonda in bocca, ma priva di particolare off-flavors e, tutto sommato, delle tre è quella che abbiamo preferito. Una piccola consolazione, nella speranza che le prossime cotte portino un prodotto migliore da questo giovane birrificio. Formato: 75 cl., alc. 7.2%, lotto 72, scad. 09/2013.

mercoledì 12 giugno 2013

Marble Manchester Bitter

La Marble Brewery di Manchester nasce nel 1997 sostanzialmente come un ultimo tentativo per risollevare le sorti del pub The Marble Arch Inn. Secondo le parole del proprietario Vance Debechval e del  manager Mark Dade, la scelta era tra "trasformarlo in un pub con karaoke o affiancarle un microbirrificio"; fortunatamente i due scelgono la seconda opzione. Nel 2000 Mark fuoriesce per fondare la Boggarts Brewery, sempre a Manchester, e da allora il posto da birraio viene occupato da James Campbell. Non solo il Marble Arch Inn è oggi ancora aperto, ma il birrificio ha altri due locali di proprietà: la Beerhouse, nel sobborgo di Chorlton, ed il piccolo 57 Thomas Street nella zona nord di Manchester. Fino al 2011 la Marble Brewery è stata ospitata nello stesso edificio del March Arch, mentre ora si trova in uno stabile a circa cinquecento metri di distanza; la prima domenica (alle 13.30) ed il terzo martedì (18.30) del mese è possibile effettuare un tour del birrificio della durata di circa quaranta minuti. Per una panoramica delle birre prodotte, incluse alcune collaborazioni come la Earl Grey IPA che abbiamo assaggiato in questa occasione, vi rimandiamo al sito del birrificio. Tra quelle che compongono la gamma "session", la Manchester Bitter è l'unica disponibile in bottiglia, mentre le altre tre "sorelle" sono disponibili  solamente in cask.  E è un vero peccato, perché di bitter fatte così ce ne vorrebbero, per consolare tutti quelli che non possono andarsela sempre a bere direttamente al pub. E' dorata, velata, con due-tre dita di schiuma  bianca, cremosa e "croccante", dalla buona persistenza. L'aroma è delicato, ma davvero molto raffinato, pulitissimo, e permette di cogliere moltissime sfumature, a partire da un leggero fruttato tropicale (mango), mai cafone, seguito da  evidenti sentori di mandarino, arancio, albicocca disidratata ed erbacei. In bocca è molto leggera, anche se paga un pochino il dazio del  "bottle conditioning" che la rende un po' troppo carbonata rispetto ad una bitter da pub. S'inizia con cereali e pane, il fruttato è molto meno evidente rispetto all'aroma, con poche concessioni al dolce, anche perché arriva subito un bell'amaro pulito e delicato, ricco di scorza di pompelmo, lime e lemongrass, che ci accompagna sino alla fine. Ha un bel finale asciutto, ripulente e dissetante, ma per quanto questa birra vi possa dissetare, vi ritroverete sempre vogliosi di ordinarne un'altra pinta. Bitter molto raffinata e ben fatta, pulitissima, compagna ideale della calda estate, da bere ad oltranza. L'abbiamo intravista anche in qualche beershop italiano, quindi andate a cercarla. Formato: 50 cl., alc. 4.2%, scad. 22/07/2013, pagata 3.95 Euro (beershop, Inghilterra).

martedì 11 giugno 2013

Chouffe Houblon Dobbelen IPA Tripel

Dopo oltre due anni dalla prima bevuta, ritorniamo a parlare della Chouffe Houblon Dobbelen IPA Tripel, che incontrammo per la prima volta a Febbraio del 2011. La troviamo questa volta in una bottiglia da 33 cl. dalla simpatica etichetta che raffigura lo gnomo d'Achouffe in un luppoleto. La bottiglia da 75 cl. bevuta in precedenza era invece serigrafata. Una birra che nasce in Belgio per cercare un punto d'incontro tra una classica tripel e le generose luppolature delle IPA  americane. L'elevata gradazione alcolica (9%) la rende poi una "doppia IPA". Tre i luppoli utilizzati, se non erriamo due americani (Amarillo e Tomahawk) ed uno europeo (Saaz). Purtroppo in questa bottiglia (supermercato), l'aroma va cercato quasi con il lanternino: luppoli stanchi, sentori di cereali, un leggerissimo ricordo di agrumi/lime e null'altro. Il "cadavere" si risolleva in bocca, con un leggero imbocco di pane seguito da una parte centrale fruttata con arancio, lime e pesca, dolce, leggermente sciropposa. L'amaro si fa attendere qualche istante ma arriva netto, ricco di scorza di lime (quasi saponoso) con qualche nota erbacea e di mandarino secco.  Birra molto asciutta e con l'alcool molto ben nascosto, scende con buona facilità: è vivacemente carbonara ed ha un corpo medio-pieno. Bottiglia in stato preoccupante, leggiamo e ricordiamo allora con un po' di nostalgia quello che avevamo scritto due anni fa,  Formato: 33 cl., alc. 9%, IBU 59, lotto 3021 0036, scad. 05/2015, pagata 3.15 Euro (supermercato, Italia).

domenica 9 giugno 2013

Odell/Thornbridge Pond Hopper Double Extra Pale Ale

La collaborazione angloamericana tra Thornbridge ed Odell Brewing Company inizia nel 2010, quando Doug Odell affianca il team di birrai alla Thornbridge per creare una red ale chiamata Colorado Red. Due anni dopo, a Febbraio 2012, gli inglesi ritornano il favore agli americani ed è Caolan Vaughan, production manager della Thornbridge, a recarsi in Colorado. L'idea che nasce è di brassare una "extra pale ale", sulla falsa riga della Jaipur (Thornbridge) e della Odell St. Lupulin, utilizzando malti inglesi e luppoli americani, con l'eccezione - leggiamo - di un "tocco" di Galaxy in onore (dell'australiano) Caolan. Sul blog della Thornbridge potete leggere un breve post che parla della realizzazione di questa Pond Hopper, letteralmente "colui che salta da una riva all'altra dello stagno", in questo caso l'oceano atlantico. Birra quindi con oltre un anno di vita ed un viaggio transoceanico sulle spalle; l'acquistiamo senza nutrire troppe speranze, sperando nel miracolo di due ottimi birrifici. Nel bicchiere è di colore oro carico/arancio e forma una bella "testa" di schiuma biancastra, fine e cremosa ma non troppo persistente. Il naso è purtroppo abbastanza scarico, c'è qualche remoto sentore di agrume (pompelmo), soprattutto di marmellata e, agitando il bicchiere, emerge una timida nota pepata. In bocca l'alcool (8.9%) è molto in evidenza, contrariamente alla dichiarazione d'intento dei birrai che desideravano produrre una birra abbastanza alcolica ma facilmente bevibile. La bevuta ne esce rallentata, con note di biscotto ed un leggero aggrumato; probabilmente la "sparizione/stanchezza" dei luppoli ha distrutto l'equilibrio originale, lasciando un vuoto che rende l'alcool molto più percepibile del voluto/dovuto. L'amaro è resinoso/vegetale, leggermente pepato, con un finale abbastanza asciutto ed un retrogusto amaro di resina e caldo di alcool. La carbonazione è medio-bassa, il corpo medio, con una buona morbidezza al palato. Impossibile esprimere un'opinione su questa bottiglia, mentre altri bevitori (anche europei) molto più fortunati di noi, ne danno un'impressione molto positiva elogiandone il carattere fruttato/tropicale. Per una volta, ci tocca consolarci con l'amato/odiato Ratebeer. Formato: 75 cl., alc. 8.9%, scad. 05/2014, pagata 15.00 Euro (beershop, Italia).

sabato 8 giugno 2013

Birra del Borgo Cortigiana

Disponibile in origine solamente alla spina, da qualche tempo la Cortigiana è entrate a far parte della linea "Le Classiche" di Birra del Borgo, ed è quindi disponibile anche in bottiglia, tutto l'anno. Si presenta di colore dorato, opaco, con una bella "testa" di schiuma compatta, bianca, fine e cremosa, dalla buona persistenza. Il naso apre con profumi floreali (camomilla), seguiti da agrumi (arancio), sentori di albicocca ed una leggera speziatura lievemente pepata. Aroma pulito ed elegante. Al palato arriva leggera e vivacemente carbonata, con un imbocco di cereali e pane seguito da note di miele ed arancio; anche qui la leggera speziatura ben interagisce con le "bollicine" in una bevuta che non brilla d'intensità ma che risulta comunque godibile. Rinfrescante e dissetante, chiude secca con una leggera nota erbacea amaricante. Birra "estiva", probabilmente nata per essere bevuta senza troppa concentrazione e soprattutto per rinfrescarsi, in grande quantità; in questo senso svolge bene il suo compito, risultando anche un'interessante birra "d'ingresso" a chi non ha mai bevuto una birra artigianale ed è abituato alle industriali, con un misurato equilibrio tra tutti gli elementi che evita quell'eccesso di amaro o spezie che può mettere in difficoltà i palati assuefatti allo scarso di gusto delle birre industriali. D'altro lato, a chi invece beve (quasi) solo birra "craft", questa Cortigiana potrebbe forse risultare poco interessante, godibile ma un po' troppo timida e  facilmente dimenticabile. Ratebeer la classifica come "saison"; noi propenderemmo più per incasellarla tra le (belgian) blond ale. Formato: 33 cl., alc. 5%, lotto LS28/13, scad. 03/2015, pagata 2.80 Euro (food store, Italia).

venerdì 7 giugno 2013

Endorama Vermillion

Periodo ricco di debutti, sul blog, sia italiani che esteri: è ora la volta del birrificio bergamasco Endorama, fondato da Simone Casiraghi nel 2010 a Grassobbio, poco distante dall'aeroporto di Orio al Serio. Scoperto il mondo delle birre artigianali grazie alle bottiglie di un amico homebrewer, Simone fa della propria passione prima un hobby, seguendo i corsi di Unionbirrai, e poi una professione. Il metal non è esattamente il nostro tipo di musica preferito, e quindi abbiamo dovuto googolare per scoprire che Endorama si ispira ad un disco dei Kreator. Il debutto in società avviene ad Ottobre del 2010, ed un anno dopo Endorama iscrive quattro birre al concorso di Birra dell'Anno che gli valgono già tre bronzi di categoria: Golconda (birre chiare d'ispirazione tedesca), Milkyman (birre scure angloamericane) e Malombra (birre chiare, bassa gradazione alcolica, ispirazione belga). Caratteristica delle produzioni del birrificio, tutte ad alta fermentazione, è proprio una gradazione alcolica contenuta, per perseguire la strada della "bevibilità" piuttosto che lasciarsi andare ad aggettivi oggi molto diffusi come "imperial" e "double".  Oggi abbiamo invece una bottiglia di Vermillion (altro riferimento alla musica, questa volta ad un brano degli Slipknot), una (American) India Pale Ale la cui etichetta risulta graficamente penalizzata dalla scelta di stamparla su supporto trasparente e "solo" bicolore.  Vermillion è di colore ambrato/rame, velato, con una "testa" di schiuma biancastra, fine e cremosa, dalla buona persistenza. L'aroma ci regala sentori di pompelmo e mandarino, frutta tropicale (ananas, passion fruit); pulito ed elegante, anche se non c'è quell'impressione di frutta fresca, appena tagliata, che ci piacerebbe sempre trovare in ogni IPA. In bocca la birra procede con una buona progressione equilibrata, partendo da un ingresso maltato di biscotto e caramello, un po' di frutta a richamare l'aroma (tropicale, dolce, e polpa di pompelmo) ed un crescendo finale amaro, intenso e pulito, dove convivono note di scorza di pompelmo, vegetali e lievemente resinose. Il risultato è una IPA dal corpo medio-leggero, moderatamente carbonata, godibile e facile da bere, con un buon livello di pulizia generale; in bocca ci è sembrata ancora un po' "ruvida", con un carattere grezzo che (colpa degli Slipknot ?) secondo la nostra umile opinione andrebbe ancora un po' (r)affinato.  Infine, segnaliamo la solita interessante video-intervista di Mondobirra. Formato: 33 cl., alc. 5.8%, lotto VI8, scad. 30/04/2014, pagata 3.50 Euro (beershop, Italia).

giovedì 6 giugno 2013

Wild Beer Epic Saison

Inauguriamo sul blog un altro birrificio inglese, spostandoci da Londra alla campagna del Somerset,  a Evercreech, dove ha trovato sede la Wild Beer Co.  La fondano due fuoriusciti dalla Bristol Beer Factory;  il californiano Brett Ellis (un passato da chef) ed Andrew Cooper (ex Business Development Manager alla Bristol ed accreditato Beer Sommellier); ad aiutarli c’è un altro ex-chef, Chris Boddy.  Il debutto avviene ad Ottobre 2012, con bottiglie serigrafate, un bel logo ed una strategia abbastanza chiara che si evidenzia sin dal nome scelto, Wild, con un esplicito riferimento ai “lieviti selvaggi” ed alle fermentazioni spontanee; del resto, con un birraio che si chiama Brett....  La prima birra messa in commercio è la Modus Operandi (saranno contenti in Colorado, alla SKA ? ) una old ale invecchiata per 90 giorni in botte con brettanomiceti; nell’attesa di poter imbottigliare una serie di birre acide che stanno maturando in botte, il birrificio è sbarcato sul mercato con una IPA West Coast style (Madness IPA) una  Fresh Hop Ale (luppoli Neozelandesi), una imperial russian stout brassata con caffè, cioccolato e vaniglia, ed un trittico di saison:  Bliss (con brettanomiceti ed albicocche arrostite), Ninkasi  (brettanomiceti, luppoli neozelandesi e succo di mela del Somerset) e questa Epic Saison che passeremo ad assaggiare tra qualche istante.  Brett e Andrew dichiarano apertamente il loro disinteresse verso gli stili tradizionali e le real ales in cask per le quali, secondo loro, c’è già ampia offerta disponibile; il loro scopo è di entrare nel mondo della ristorazione, con birre appositamente studiate per abbinamenti gastronomici. Il birrificio già organizza diversi eventi degustazione in abbinamento con cibo ed ha anche una sezione del proprio blog/sito curata da Chris Boddy che presenta alcune ricette a base di birra. Passiamo quindi a questa saison dal nome abbastanza altisonante, Epic, brassata con un mix di luppoli americani, tra i quali Sorachi Ace (di provenienza USA). E' di colore arancio, opaco, con un generoso "cappello" di schiuma bianca, molto persistente, quasi pannosa. Naso esuberante, molto pronunciato, pulito e dal complesso profilo fruttato: mandarino, arancio, lampone e passion fruit in primo piano, con sentori di lime, ananas e banana. S'avverte anche una discreta speziatura, soprattutto pepe, con un leggero tocco rustico, lievemente polveroso. Dopo gli inebrianti profumi, immaginiamo figli di un grande dry-hopping, in bocca questa Saison "epica" arriva abbastanza leggera, con una carbonazione molto sostenuta; anche qui tanta frutta, soprattutto arancio e pompelmo, sostenuta da una timida base di pane e cereali; la prima parte della bevuta, dolce, viene bilanciata da una leggera acidità che anticipa un bel finale asciutto e ripulente, ricco di scorza di agrumi, soprattutto limone e lime. C'è anche una leggera speziatura che ben interagisce con l'effervescenza, ma il "cuore" di questa saison rimane indiscutibilmente lo straripante e profumatissimo aroma. Il livello è leggermente inferiore in bocca, dove il carattere rustico di "farmhouse ale" viene rilegato (molto) in secondo piano a favore di una energica luppolatura, intensa ma mai sopra le corde. A tratti il risultato forse ricorda maggiormente una belgian ale generosamente luppolata che una saison; se dimentichiamo però i parametri stilistici e ci concentriamo solamente su quello che c'è nel bicchiere, è una birra molto estiva e assolutamente dissetante, pulita e ruffiana quanto basta, da bere a galloni, che ben mette insieme l'anima belga ed americana (luppoli). Birrificio, ricordiamo, attivo solamente da Ottobre 2012 e dunque da tenere assolutamente d'occhio. In cantina la loro imperial stout, il cui assaggio è però rimandato al prossimo autunno/inverno. Formato: 33 cl., alc. 5%, scad. 01/10/2013, pagata 3.60 Euro (beershop, Inghilterra).

mercoledì 5 giugno 2013

Via Priula Loertis

Dopo Bacio e Camoz, il terzo appuntamento con i bergamaschi Via Priula è con una bassa fermentazione, ovvero Loertis, ispirata alle classiche pils boeme. Una birra che guarda quindi alla tradizione ed al luppolo Saaz, visto che il nome stesso (Loertis) in bergamasco indica i germogli del luppolo. La Guida alle Birre d'Italia di Slowfood del 2013 le dà la menzione tra "le birre quotidiane", ovvero "che uniscono alla qualità organolettica caratteristiche di semplicità, eleganza ed equilibrio che le rendono perfette per ogni momento di ogni giorno". All'aspetto è di colore oro pallido, velato; la schiuma, non molto generosa, è bianca,  fine e cremosa. Al naso, poco pronunciato, leggeri sentori erbacei, miele, camomilla ed una leggera nota metallica. In bocca è mediamente carbonata e leggera, giustamente "watery" per scorrere con grande velocità; troviamo note di crosta di pane, cereali, una leggere nota di miele che precede un bel taglio secco con un finale erbaceo amaricante. Bevuta molto classica, senza concessioni o derive moderne, per uno stile (pils) giocato su equilibri molto delicati che si esalta nella fragranza e nella freschezza dei propri ingredienti. La Loertis in questa bottiglia è godibile, molto rinfrescante e dissetante ma, per essere davvero memorabile, manca di freschezza all'aroma e di fragranza al gusto. Fa il suo lavoro, ma paga il dazio "dello scaffale" al quale le pils in bottiglia sono spesso soggette. Formato: 33 cl., alc. 4.6%, IBU 33, lotto 2502, scad. 30/12/2013, pagata 3.10 Euro (beershop, Italia).

martedì 4 giugno 2013

Weird Beard Miss The Lights IPA

Terza "sosta" del tour virtuale dei nuovi birrifici di Londra; dopo Partizan e Pressure Drop, eccoci bussare al portone di Weird Beard, giovanissimo birrificio aperto a settembre del 2012 da due ex homebrewers, Gregg Irwin e Bryan Spooner. Il successo  delle loro produzioni al London and South East Craft Beer Festival di Novembre 2011 li ha spinti a fare il grande passo nel mondo dei professionisti; inizialmente la loro idea era di mettere casa (ovviamente !) sotto le arcate della linea ferroviaria (come The Kernel e i due birrifici sopra citati), ma alcuni problemi burocratici hanno li hanno costretti, per non perdere tempo, a stabilirsi ad Hanwell, un sobborgo nella cerchia ovest della Greater London. Al momento sono cinque le birre "regolari", una gamma che mostra una chiara propensione per il luppolo (tre IPA, una APA ed un milk coffee stout. Ben curato il sito internet, con un blog molto prolifico ed un'interessante sezione di magliette/felpe. La prima difficoltà che i due (ovviamente barbuti, visto che il nome del birrificio potrebbe tradursi come "barba strana") birrai incontrano è quella della trasposizione delle ricetta da un impianto casalingo da 21 litri ad uno da 10 barili. Ancora un po' insicuri, scelgono di debuttare con una ricetta semplice, una India Pale Ale brassata con due tipi di malto e due tipi di luppolo, aggiunti solamente negli ultimi 20 minuti di bollitura e, successivamente, in dry hopping; l'idea è di chiamarla "Hit The Lights IPA", ovvero la IPA "che viene alla luce". Il risultato finale non è però quello desiderato; potere leggere la storia completa su questa pagina del blog del birrificio. Per riassumere, a causa di un errata installazione dei termometri che controllano la temperatura della fermentazione, questa avviene ad una temperatura più alta del dovuto. Al momento del dry hopping nel fermentatore, l'apertura della "botola" scatenò una violenta fuori uscita di schiuma che colpì in pieno il birraio Gregg. Sino all'ultimo i due birrai sono indecisi sul da farsi, pensano di buttare via la cotta ma, dopo aver assaggiato il risultato finale, privo di off-flavors, decidono che la birra è buona e che vale la pena di metterla ugualmente in commercio, anche se molto più amara di quanto avrebbero voluto. Si tratta quindi di un debutto con una birra "one shot", che per l'occasione viene anche rinominata "Miss The Lights", ovvero il contrario di "Hit the Lights". Ne vengono realizzati 12 caks, 15 key kegs e circa 750 bottiglie; i luppoli utilizzati sono Target ed Aurora. Nella pinta è di colore ramato, opaco; la schiuma, biancastra, è cremosa ma poco persistente. L'aroma reca ancora i "segni" del dry hopping: fresco, forte e pulito, abbastanza elegante: diverse sfumature di agrumi, dall'arancio al pompelmo, al mandarino, con qualche remoto sentore tropicale ed una leggera mineralità. Il gusto batte all'incirca sugli stessi tasti; dopo l'ingresso maltato (biscotto) c'è tanto pompelmo con qualche nota terrosa che conferisce a questa IPA un carattere un po' grezzo, rustico, quasi scorbutico. Il finale, amaro, è un mix abbastanza intenso di pompelmo/resina/vegetale, con quest'ultimo elemento più in evidenza degli altri, ed una leggera nota pepata. Corpo da leggero a medio, carbonazione moderata, IPA intensa e molto profumata, con un carattere rustico che la colloca lontano da certe birre ruffiane ai confini del cocktail di frutta tropicale. Molta sostanza, insomma, forma ancora un po' grezza, ma ottime premesse per un birrificio che non ha neppure acceso la prima candelina. La sorella "Hit the Light" ha nel frattempo finalmente visto la luce, quindi se siete a Londra cercatela e bevetela. Formato: 50 cl., alc. 5.9%, lotto 002, imbott. 02/2013, scad. 02/2014, pagata 4.37 Euro (beershop, Inghilterra).

domenica 2 giugno 2013

Foglie d'Erba Joyce

Dopo le numerose birre d'ispirazione anglosassone assaggiate in precedenza, ecco una produzione "belga" per il birrificio "furlan" Foglie d'Erba. Come noto, il nome del birrificio s'ispira alla omonima raccolta di poesie di Walt Whitman (che contiene anche la "Capitano, mio capitano" resa famosa dal film L'attimo fuggente) e, sempre per restare nel campo della letteratura, ecco una blanche/wit dedicata allo scrittore/poeta irlandese James Joyce. Le note di etichetta riportano i malti e cereali (Pilsner, Torrefied Wheat, Malto di Frumento, Flacked Wheat) ed i luppoli usati (Spalter, Saphir e Tettnanger). Tipico colore giallo paglierino, opalescente; si forma una generosa quantità di schiuma bianca, che svanisce però molto rapidamente. Il naso non regala grosse emozioni; sentori di banana, cereali, leggera presenza di coriandolo e zolfo. In bocca ci arriva con meno bollicine di quante ce ne aspettassimo; corpo ovviamente leggero, con un attacco di banana e cereali seguito da un fruttato dolce di arancia, coriandolo. Gradevolmente acidula e piacevolmente secca, ha un finale timidamente amaro (scorza d'arancio) con coriandolo e soprattutto banana in evidenza. Molto beverina ma un po' troppo scarica in bocca, con una carbonazione un po' timida che le toglie vitalità; rinfresca e disseta senza però lasciare in noi un gran ricordo di sé. Comunque distante dalle altre ottime produzioni Foglie d'Erba assaggiare in precedenza. Formato: 75 cl., alc. 4.5%, IBU 20, lotto 12/12, imbott. 28/12/2012, scad. 28/12/2013, pagata 8.50 Euro (gastronomia, Italia).

sabato 1 giugno 2013

Pressure Drop Pale Fire


Continuiamo il nostro viaggio tra i nuovi birrifici londinesi, dopo Partizan, presentato poco tempo fa, è adesso il turno di Pressure Drop. Un'apertura davvero recentissima (2012) con la prima birra commercializzata a Gennaio di quest'anno. Tre sono i fondatori: Graham O'Brien (un ex "cellarman" del famoso pub Euston Tap con anche una breve esperienza alla London Fields), Ben Owen (ingegnere, uno stage alla London Fields Brewery) ed il food blogger Sam Smith (con un nome così...). E' uno dei birrifici londinesi più piccoli (3 barili) il cui nome ci sembra ispirato dalla omonima canzone dei Toots & The Maytals, rivisitata negli anni da molti altri gruppi, tra i quali i Clash. C'è inoltre uno strano legame, ormai quasi mistico, che vincola il destino di molti nuovi birrifici inglesi agli spazi che si trovano sotto le arcate della ferrovia. O, più semplicemente e meno romanticamente, c'è ampia disponibilità di questi locali che vengono affittati a prezzi ragionevoli. Come The Kernel e Partizan, anche Pressure Drop ha trovato "casa" lì sotto; siamo però distanti circa 7-8 chilometri dai colleghi sopra citati, nella zona nord-est di Londra (Hackney), non distante a piedi dalla fermata di Hackney Central. Al momento non ci sembra che il birrificio sia visitabile senza appuntamento o offra la possibilità di acquistare birra in loco, quindi informatevi in anticipo nel caso voleste fare una visita. Sono sei le birre in produzione, secondo quanto riporta il minimale sito ufficiale; sorprende vedere la presenza di tre birre di frumento e neppure una IPA, in netta controtendenza rispetto alla deriva "luppolata" che la "new wave" londinese ha intrapreso. Di luppoli ce ne sono parecchi anche in questa Pale Fire, brassata in diverse versioni a seconda del mix di luppoli disponibili in birrificio; l'etichetta non riporta l'esatta combinazione del caso specifico ma, a turno, sono stati usati Mosaic ed Amarillo, Amarillo e Citra, Nelson Sauvin e Hop X, un luppolo inglese sperimentale creato dai laboratori di Wye Hops. Minimale anche l'etichetta, per una birra "bottle conditioned" dalla shelf life dichiarata di soli cinque mesi cinque. Oro velato, generosa schiuma bianca, fine e cremosa, compatta, molto persistente. L'aroma non è forte, ma fresco e molto elegante, ed offre un interessante cocktail di frutta appena tagliata: agrumi prima di tutto (mandarino ed arancio) con un gradevole sottofondo di frutti di bosco (lampone, fragola), pesca bianca. In bocca ci ricorda un po' le produzioni dei colleghi "di portico di ferrovia" (The Kernel, Partizan). Debolissima base maltata (pane) ed un fruttato molto ruffiano che ammicca e conquista: lo scenario è quasi lo stesso dell'aroma. Subito agrumi con delle interessanti deviazioni di lampone, fragola e litchi/lychee. Facilissima da bere, molto dissetante e rinfrescante, correttamente secca e pulita, si congeda facendo l'occhiolino con un bel finale "zesty", pompelmo e lime, lungo, amaro e delicato. Leggera di corpo e abbastanza ben carbonata, entra a testa alta in quel gruppo di birre "zoccole" che non berresti tutti i giorni ma che, quando le incontri, ti fanno passare davvero un bel momento. Birrificio giovanissimo ma che parte già con il piede giusto, con un prodotto sì modaiolo ma profumato e molto pulito; Pale Fire è forse la loro birra più "facile", sarebbe interessante provare anche le loro tre birre al frumento (wit, dunkelweisse e weizen), nonchè la Porter e la Brown Ale. Per una volta, non avrete la tentazione di provare l'ennesima IPA. Formato: 33 cl., alc. 5%, lotto 05.02.2013, scad. 05.07.2013, pagata 3.78 Euro (beershop, Inghilterra).