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martedì 15 settembre 2020

Alder Beer Co.: Summer Job & Hoppeland

Le presenze sul blog del birrificio Alder di Seregno sono sempre più frequenti ma ammetto che era tanta la curiosità di vedere Marco Valeriani cimentarsi per la prima volta con un birrificio tutto suo, dopo le esperienze di successo maturate lavorando come birraio presso Menaresta ed Hammer. Trovate tutta la storia qui.  A maggio vi avevo parlato di tre birre luppolate di stampo americano, a metà luglio siamo invece andati virtualmente in Germania ed in Inghilterra ad assaggiare tre birre dove i protagonisti erano i malti.  IPA e Double IPA americane continuano a dominare la gamma Alder ma pian piano il portfolio di Valeriani si sta espandendo andando a colmare lacune importanti: ad esempio il Belgio o l’Inghilterra luppolata.
Lo scorso giugno è nata Summer Job, interpretazione moderna di una English Pale Ale "in ricordo delle pinte bevute in un pub di Swanage, contea di Dorset, UK”.  Valeriani non ha nominato esplicitamente né il nome delle due birre né quello del pub e tocca indovinare. Se per il nome del locale diventa abbastanza difficile fare delle ipotesi, visto che la cittadina affacciata sulla costa della Manica ne ospita parecchi,  il nome della birra presenta due indizi utili.  Il primo mi fa pensare alla  Summer Lightninginventata alla fine degli anni ’80 da John Gilbert, birraio alla Hopback Brewery e considerato il “padre” di di tutte le Golden/Summer Ales inglesi: birre chiare, secche, generosamente luppolate e dalla grande bevibilità. La Summer Lightning  è una birra straordinaria che purtroppo non sono quasi mai riuscito a bere in condizioni decenti nel nostro paese.  Il secondo indizio mi fa pensare alla Proper Job, una della birre che hanno decretato il successo di St. Austell e commercializzata nel corso del tempo sotto le vesti di Golden Ale, American Pale Ale o India Pale Ale per adeguarsi alle richieste del mercato.  

La Summer Lightning è prodotta con solo luppolo inglese East Kent Golding, la Proper Job utilizza invece Cascade e Chinook.   E la Summer Job di Alder?  Willamette (il più inglese dei luppoli americani), Cascade e Chinook: avrò indovinato le due pinte pinte bevute in un pub di Swanage?
I
l suo colore è dorato e velato, la schiuma compatta ma un po’ grossolana. L’aroma è pulito ed elegante: emergono profumi di pane, accenni biscottati e di miele, floreali ed erbacei, frutta a pasta gialla, lemongrass. Delicatamente carbonata (la flemma inglese!) scorre molto bene ma dal punto di vista tattile mi sembra un pochino più pesante rispetto a quello che ricordo essere le sue due probabili muse ispiratrici. Il bouquet aromatico viene riproposto con buona precisione anche se al palato il fruttato ha perso freschezza e vira un po’ troppo verso la marmellata. Bevuta secca, dalla buona intensità e dal grande poter rinfrescante e dissetante, chiude il suo percorso con un amaro tipicamente british: note terrose, erbacee e un tocco di lemongrass. Ottima birra estiva che a tre mesi dalla nascita sta solo invecchiando un po’ troppo precocemente, anche se conservata sempre in frigorifero: di quelle che non dovrebbero mancare in ogni pub, soprattutto in estate.

Ad inizio luglio ha invece fatto il suo debutto Hoppeland, Belgian Ale con un nome che parla chiaro: la “terra del luppolo” belga è la cittadina di Poperinge e da qui proviene il luppolo Nugget usato in una ricetta ridotta ai minimi termini che prevede 100% malto pils. Perché dopotutto quando si parla di Belgio il vero protagonista non può che essere il lievito.  Anche qui è doveroso citare due birre che hanno aperto una strada poi imboccata da tanti altri: quella del Belgio “moderno” (luppolato): la XX Bitter di De Ranke e soprattutto la spesso sottovalutata Poperings Hommelbier di Van Eecke,  quest’ultima commissionata in origine proprio in occasione dell’annuale festa del luppolo della cittadina belga. 

Il suo vestito oscilla tra il dorato ed il giallo paglierino, la schiuma è perfettamente belga: generosa, compatta, molto persistente. Al naso emergono note erbacee e zesty, crackers  mentre il lievito regala accenni di spezie, e quel mix di banana e rustico che a volte trovo stappando la Saison Dupont. DNA belga rispettato in pieno al palato: bollicine copiose, corpo medio, ottima scorrevolezza. Pane, crackers, un tocco di frutta a pasta gialla, agrumi canditi sono l’ago della bilancia di una birra dal un finale generosamente luppolato e secco, ricco di note erbacee, zesty e terrose. E’ il Belgio moderno che ammalia e seduce, quello che piace a me, quello da bere ad oltranza in estate e non solo.  Le manca un po’ di spavalderia, il suo abito è ancora un po’ ingessato e potrebbe essere ad esempio un po’ più ruffiana al naso. Ma l’esordio di Alder in territorio belga è degno di nota e la Hoppeland entra subito tra le migliori interpretazioni italiche. 
Nel dettaglio: 
Summer Job, 40 cl., alc. 5,0%, lotto 27/05/2020, scad.  27/09/2020, prezzo indicativo 5-6 euro (beershop)
Hoppeland, 40 cl., alc. 5,5%, lotto 10/07/2020, scad. 10/01/2021, prezzo indicativo 5-6 euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio

lunedì 17 settembre 2018

Fyne Ales Jarl

Fyne Ales viene fondata nel 2001 da Jonny e Tuggy Delap in un edificio inutilizzato della loro fattoria di Achadunan, nell’Argyllshire: siamo a 70 chilometri a nord-ovest di Glasgow, in Scozia. Nel 2009 il fondatore Jonny viene improvvisamente a mancare ed il suo ruolo viene preso dal figlio Jamie: è lui ad inaugurare l’anno successivo il FyneFest, un piccolo festival con musica dal vivo, cibo e birra che diventa un appuntamento annuale capace di radunare qualche migliaio di persone nel cortile del birrificio.   Alla guida dell’impianto c’è oggi l’esperto birraio Malcolm Downie, diplomato all’Università Heriot-Watt di Edinburgo ed esperienza progessionali presso Wells & Youngs, Belhaven e Balmer.
Nel 2014 i Delap hanno completato un importante piano d’espansione da 2 milioni di sterline culminato con la messa in funzione di un nuovo impianto da 65 ettolitri in quella che un tempo era la stalla per le pecore; dai 7500 ettolitri l’anno si è arrivati ai 10.000 del 2017 ottenuti producendo 50 diverse birre, 40 delle quali nuove ricette.  
Il vecchio impianto (16 HL) è ancora in attività e viene oggi utilizzato per lotti sperimentali e, soprattutto, per la produzione della gamma Origins Brewing inaugurata alla fine dello scorso anno. Invecchiamenti in botte, fermentazioni miste e spontanee, lieviti selvaggi, aggiunte di frutta: l’ispirazione – dicono dalla Scozia – è venuta da alcuni viaggi negli Stati Uniti in visita a birrifici come Jester King, Allagash e Hill Farmstead.  Queste le quattro birre del debutto: Pandora (una saison a fermentazione mista con mirtilli), Kilkerran Wee Heavy (scotch ale invecchiata in botti di whisky), Amphora (grape ale fermentata in botti ex-vino con aggiunta di ciliegie) e  Goodnight, Summer (birra acida prodotta con frumento, camomilla e invecchiata  con uvaspina).

La birra.
Jarl è una “hoppy blonde session ale” prodotta per la prima volta in occasione del FyneFest 2010,  festival che il birrificio organizza tutti gli anni. La sua ricetta prevede malto Maris Otter Extra Pale, frumento non maltato e un solo luppolo, il Citra, a quel tempo ancora abbastanza poco diffuso tra i birrifici inglesi.  La birra ottenne un enorme successo, entrò subito in produzione regolare e nel 2012 fu eletta per la prima volta Champion Bottle Beer of Scotland dal SIBA: è attualmente la birra più venduta da Fyne.  Deve il suo nome a degli antichi conti norvegesi (Jarls) che nel dodicesimo secolo possedevano i terreni circostanti al birrificio. 
Una bella testa di schiuma candida e cremosa “protegge” il liquido dorato e leggermente velato. Al naso c’è qualche nota biscottata e di cereali ma sono soprattutto lemongrass e agrumi a conquistarsi un palcoscenico pulito ma non molto intenso. E’ al palato che si rivela pienamente la forza ed il carattere di questa session beer (3.8%) da bere senza sosta. Ancora crackers e qualche accenno di biscotto, agrumi, lemongrass, frutta a pasta gialla: la bevuta è perfettamente equilibrata, il finale è secco e preciso, l’amaro zesty è della giusta intensità per ripulire il palato in attesa di un nuovo sorso. Nonostante il protagonista sia il luppolo americano Citra, nel bicchiere c’è una Golden Ale quasi rispettosa della tradizione UK: nessun estremismo, nessuna voglia di stupire o di strafare. Jarl è una session ale da manuale, pulita, intensa ma facilissima da bere: dovrebbe essere scontato, ma non lo è. Una birra che non stanca mai, capace di accompagnarvi per una sera intera, per un giorno intero.
Formato 50 cl., alc. 3.8%, IBU 40, lotto 1001 1146, scad. 01/07/2019, prezzo indicativo 5.00-6.00 euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio

lunedì 16 aprile 2018

L'artigianale al discount: La Brassicola La Bionda & La Brassicola La Rossa


Ero in qualche modo affezionato alla birra “Lucilla” che il birrificio Amarcord ha per molti anni prodotto per la catena di discount Eurospin: non tanto per la sua bontà (ahimè) ma per il fatto che “La Rossa” è stata per molti anni la pagina più visitata del blog, superata solo di recente dalla Ichnusa Non Filtrata.  Alla fine dello scorso gennaio l’azienda distributrice Target 2000 (sempre gruppo Amarcord) ha annunciato il commiato della gamma Lucilla dalla distribuzione Eurospin: chi l’ha amata (incluso gli homebrewers che tanto cercavano la sua bottiglia con tappo meccanico) non si lasci tuttavia prendere dalla sconforto, visto che un mese dopo è stato ufficializzato il ritorno delle Lucille presso un'altra catena di discount. 
Eurospin rinuncia alla birra artigianale? Certo che no, ma cambia partner: la “gara” per la produzione di una generica “birra bionda” e di una “birra rossa” viene vinta da altri. Per la distribuzione al centro-sud il birrificio Maltovivo produce oggi la Birra del Ponte con (cito le etichette) una Bionda - Golden Ale Style (5.2%) e una Rossa – Dark Belgian Ale Style (7.5%);  al nord la B.T. Srl di Fidenza (non ci vuole molto a ricondurre queste due iniziali al Birrificio Toccalmatto) crea il marchio La Brassicola. Il target richiesto è sempre quello: birre facili da bere e che costino poco. Per quel che riguarda La Brassicola il prezzo finale al cliente è di 2,29 Euro per una bottiglia da 50 cl., ovvero 4,58 euro al litro. Un leggero aumento (+15%) rispetto agli 1,99 Euro della Lucilla (3,98 al litro). 
Quando si parla di birra “artigianale” e discount la domanda da farsi è sempre la solita: è possibile bere bene spendendo poco?

Le birre.
Iniziamo con La Bionda (4.8%), prodotta “selezionando i migliori luppoli nobili europei, delicati ed aromatici, per creare una birra semplice e raffinata”: questo quanto riportato in etichetta. Lo stile non è dichiarato, la fermentazione è ad alta anche se si guarda alla tradizione tedesca, per farla breve una sorta di “Helles un po’ più luppolata”. 
L’aspetto è di colore dorato, leggermente velato, con una bella testa di candida schiuma cremosa e compatta, dalla buona persistenza. I profumi sono piuttosto delicati ma c’è una buona pulizia: pane e fiori, un tocco speziato, un leggero ricordo di agrumi. Al palato scorre senza intoppi grazie ad un corpo leggero e ad una carbonazione abbastanza contenuta. Il gusto è semplice quanto l’aroma, con un delicato profilo maltato (pane e miele), un accenno fruttato non ben definito e un finale amaro erbaceo di breve intensità e durata.  Non ci sono difetti ma non ci sono neppure emozioni in una birra abbastanza precisa alla quale manca però un po’ di quella secchezza che la renderebbe ancora più rinfrescante. Non c’è molto carattere, l’intensità è quella che è ma l’assenza di quei sapori sgradevoli che spesso si trovano nelle birre sugli scaffali del discount le permette di guadagnarsi ampiamente la sufficienza. Gli appassionati di birra artigianale non la troveranno particolarmente interessante, ma per salire di livello bisogna ovviamente mettere mano al portafogli e fare acquisti altrove. O pensavate davvero di bere una Toccalmatto ad un terzo del suo costo?

La Rossa (7%)  si autodefinisce “una birra per le grandi occasioni, compagna perfetta per la tavola, ideale per la pizza, ma i suoi ricchi aromi maltati sapranno accompagnare anche formaggi di media stagionatura e carni rosse”. Il suo colore è un bell’ambrato accesso da fiammate rossastre, mentre la schiuma ocra, cremosa e compatta, mostra un’ottima persistenza. L’ispirazione è belga ed è evidente sin dall’aroma: zucchero candito, caramello, spezie (cardamomo, coriandolo?), biscotto, frutta secca a guscio, persino qualche accenno di pasticceria. Intenso e molto pulito, una bella sorpresa. Purtroppo il gusto non mantiene le aspettative e si rivela molto meno pulito ed interessante:  la bevuta è dolce, guidata dall’accoppiata caramello-biscotto ed incalzata da note di prugna ed uvetta. L’alcool è abbastanza ben dosato anche se l’intensità complessiva della birra potrebbe essere migliore: c’è qualche problemino nel finale, con un amaro terroso un po’ sgraziato che non lascia un buon ricordo e rischia quasi (e sottolineo quasi) di scivolare nella plastica bruciata.  Parte davvero bene questa “birra rossa” ma è un peccato non ritrovare nel gusto tutte le belle premesse dell’aroma; il risultato è comunque sufficiente, ma valgono le stesse considerazioni (qualità-prezzo) fatte per la sorella bionda.  
Per quel che riguarda il classico abbinamento pizza-birra (doppio malto!) citato anche in etichetta, direi che La Rossa può essere una dignitosa alternativa a prodotti industriali (non da discount)  come questi che costano più o meno uguali. E per il confronto in casa Eurospin con l’ex Lucilla ?  Direi che La Brassicola rappresenta senz’altro un passo in avanti, anche se queste due bottiglie sono ancora giovani e non hanno ancora affrontato il caldo dell'estate e dei magazzini della grande distribuzione.
Nel dettaglio: 
La Bionda, formato 50 cl., alc. 4,8%, lotto 18003, scad. 30/01/2020, prezzo 2.29 Euro
La Rossa, formato 50 cl., alc. 7,0%, lotto 18004, scad. 31/01/2020, prezzo 2.29 Euro

NOTA:  la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio della bottiglia in questione e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio

giovedì 1 febbraio 2018

HOMEBREWED! The yeast circle: Maybe a not so dumb blonde & Oscar Milde

Dopo un semestre di silenzio ritorna sul blog l’angolo dedicato alle vostre produzioni casalinghe di HOMEBREWED!  Lo riesumo grazie a Carmine Ianni, homebrewer di Pescara ma trasferitosi a Torino per lavoro (sviluppatore software) da sei anni. Nel suo passaggio da “la birra mi fa schifo” a “voglio farmela in casa” forse molti di voi si ritroveranno; la colpa è soprattutto delle anonime lager industriali del supermercato. Ma sugli stessi scaffali della grande distribuzione Carmine ha trovato anche qualche birra più interessante (HB, Paulaner) che lo hanno stimolato a scoprire un nuovo mondo: belga e anglosassone le sue tradizioni brassicole preferite, con un amore in particolare per il luppolo. 
Nel 2014 Carmine è già stato contagiato dalla “malattia” per la birra di qualità e inizia con l’homebrewing quasi per caso: il colpevole è il manuale di Davide Bertinotti  “La birra fatta in casa”.  Saggia la sua decisione di partire subito con l’All Grain senza percorrere le anticamere dei kit e degli estratti; le sue prime produzioni ricevono i complimenti degli amici ma, causa trasloco, l’attività s'interrompe per quasi un anno e riparte solo a settembre 2016 sul nuovo Grainfather con cotte da 12 litri. Il ritorno è comunque col “botto” la sua grodzinskie si piazza al terzo posto di una tappa del campionato nazionale di organizzato da MoBI e la sua extra stout arriva alla fase finale del concorso piazzandosi al nono posto su 95 birre. 
Nel 2017 Carmine è riuscito a realizzare 18 cotte, con una predilezione per IPA e DIPA ed ha deciso di inviarmene qualcuna: purtroppo la sua Double IPA è andata in frantumi durante il trasporto, quindi mi devo “accontentare” di una Golden e di una Mild Ale. Il nome scelto per il proprio birrificio casalingo è The Yeast Circle - A Wild Brewery, anche se con le fermentazioni selvagge ammette di avere attualmente in corso solo qualche timido esperimento; belle e professionali le etichette, che Carmine impagina e manda poi manda addirittura a stampare in tipografia! 

Partiamo dalla Blonde/Golden Ale chiamata Maybe a not so dumb blonde (4.8%):  l’idea di base è secondo me una delle sfide più difficili che anche i birrai professionisti si trovano ad affrontare, ovvero realizzare una birra semplice e facile da bere che non risulti tuttavia banale o blanda. La lista degli ingredienti elenca malti: pilsner, monaco e aromatic, fiocchi d’avena, luppoli Centennial, Waimea e  Huell Melon, lievito US-05. 
Il suo colore è un bel dorato carico velato sul quale si forma una cremosa e compatta schiuma bianca, dall’ottima persistenza. L’intensità aromatica è davvero molto bassa, a fatica s’avvertono profumi floreali, di pesca e arancia, biscotto, forse miele. Il gusto purtroppo si muove nella stessa direzione con un’intensità troppo bassa anche per quella che dovrebbe essere una (quasi) session beer semplice da bere ad oltranza. Affinchè esca qualche sapore in più bisogna attendere che la birra s’avvicini alla temperatura ambiente, ma così facendo ne viene ridotto il suo potere rinfrescante e dissetante: pane e biscotto, un lieve fruttato che richiama l’arancia, una punta finale amara tra l’erbaceo e il terroso. La sensazione palatale è morbida e gradevole, ma la sfida di creare una birra semplice ma con personalità non è purtroppo stata vinta.  Non ci sono difetti/off flavors ma l’intensità è davvero troppo modesta e la sensazione di bere (quasi) un bicchiere d’acqua è troppo presente. Molto lavoro da fare, quindi.
Questa quella che sarebbe la mia valutazione su scala BJCP: 26/50 (Aroma 5/12, Aspetto 3/3, Gusto 9/20, Mouthfeel 4/5, Impressione generale 5/10).

Di tutt’altro livello è invece la Dark Mild chiamata Oscar Milde (3.4%): uno stile non molto frequentato, anche dal sottoscritto, del quale a memoria ricordo di aver bevuto soltanto un paio di esempi: qui e qui. Anche qui Carmine cerca di realizzare una birra semplice e facile da bere ma con personalità e intensità: il titolo scelto è secondo me molto azzeccato, e in etichetta potreste ammirare Wilde che “si cimenta in elucubrazioni filosofiche mentre dall’altra parte l’avatar lo invita a smetterla di complicarsi la vita e di farsi una sana pinta di birra".  La ricetta elenca malti Maris Otter, Ciscuit, Crystal e Chocolate, red crystal (segale), luppolo east kent goldings e lievito: english ale WLP002.
Nel bicchiere si presenta di color ebano scuro e anche in questo caso la cremosa schiuma è impeccabilmente compatta e persistente. Pane nero, biscotto, caramello ed esteri fruttati (prugna, uvetta) compongono un aroma abbastanza intenso ma soprattutto pulito e fragrante. La sensazione palatale è ottima, poche bollicine, corpo medio-leggero ma sopratutto nessuna deriva acquosa in una birra dalla gradazione alcolica così bassa. Il gusto prosegue nella stessa direzione riproponendo caramello e pane nero, qualche nota biscottata, un dolce leggermente sciropposo che richiama di nuovo prugna e uvetta, una chiusura abbastanza secca e un finale leggermente di modesta durata ed intensità, nel quale note terrose incontrano un po' di frutta secca a guscio. La bevuta è molto pulita e molto bilanciata, facilissima e piuttosto gradevole: una Dark Mild ben fatta e un obiettivo (birra semplice ma non banale) raggiunto. Qualcosina in più per quel che riguarda l'intensità si potrebbe auspicare, ma personalmente aggiusterei sopratutto il mix dei malti per donarle un carattere ancora più inglese: al momento vedo l'elemento "pane nero" molto dominante, il che in una bevuta alla cieca mi farebbe pensare ad una schwarzbier tedesca. 
Ecco la pagellina su scala BJCP: 36/50 (Aroma 9/12, Aspetto 3/3, Gusto 14/20, Mouthfeel 4/5, Impressione generale 7/10).
Ringrazio nuovamente Carmine per avermi fatto assaggiare le sue birre e spero che le mie considerazioni possano essere in qualche modo utili per migliorarle. 

lunedì 27 novembre 2017

Moor: Nor'Hop & Raw

Ritorna sul blog il birrificio inglese Moor, fondato nel 1996 da Freddy Walker, chiuso nel 2005 e poi rilevato nel 2007 dall’attuale proprietario Justin Hawke, un californiano la cui formazione brassicola è passata attraverso quattro anni in Germania nell’esercito americano, viaggi in Inghilterra assieme al padre a bere Real Ales e l’homebrewing a San Francisco. Hawke ha lentamente sostituito le birre della precedente gestione con ricette più moderne che utilizzano spesso luppoli extra-europei.  Sino al 2014 il birrificio ha operato negli edifici di un ex caseificio sperduto nella campagna del Somerset: in quell’anno è avvenuto finalmente il trasloco a Bristol, nel sobborgo industriale di St. Phillips, dove ha trovato posto il nuovo impianto da 20 barili, la nuova linea per la produzione di lattine e anche la “Brewery Tap”, aperta dal mercoledì alla domenica. 

Partiamo da una delle tre birre che il birrificio definisce “Ultra Pale Ales”, ovvero birre chiare, leggere, prodotte tutto l’anno e caratterizzata dall’utilizzo di diverse varietà di luppolo. La Union’Hop, come il nome può far intuire, è prodotta con materie prime inglesi; la So’Hop, precedentemente disponibile solo in autunno e nota con il nome Southern Star, utilizza luppoli provenienti dell’emisfero australe. La sua controparte che impiega un non specificato luppolo americano, anch’essa prodotta occasionalmente, era invece chiamata Northern Star. Nel 2012 cambia il nome in Nor’Hop e viene prodotta tutto l’anno.  
Il suo colore è un bel dorato, leggermente velato e sormontato da una cremosa e compatta testa di schiuma dall’ottima persistenza. Al naso profumi floreali, di arancia e pompelmo, lemon grass, crackers, qualche lieve suggestione tropicale. Freschezza e pulizia non mancano ed è subito voglia di portare il bicchiere alle labbra: la bevuta è snella e leggera, scorrevolissima, senza nessuna debolezza acquosa. Una session beer (4.1%) “delicatamente intensa”, se mi passate il gioco di parole, dal carattere prevalentemente agrumato: la controparte è una lieve base maltata (crackers) e qualche nota dolce di frutta a pasta gialla e polpa d’arancia. Il finale è secco, l’amaro (zesty, erbaceo) è della giusta e moderata intensità per non stancare mai il palato e renderlo subito desideroso di un altro sorso. Molto pulita, fragrante ed elegante, la Nor’Hop può tenervi compagnia per tutta la giornata senza mai annoiarvi: utilizza luppoli americani con grande creanza e nel risultato finale troverete anche qualcosa che vi farà pensare alle Golden Ales inglesi. 

Raw è invece una bitter che fu in origine realizzata per essere una delle “house beers” dei pub Real Ale Weston e Royal Artillery Arms, ora purtroppo chiusi. I loro clienti già apprezzavano Merlin’s Magic, la bitter prodotta da Moor, e ne volevano una più luppolata: furono realizzate tre diverse birre sperimentali con da un diverso dry-hopping, la migliore delle quali venne poi chiamata Raw.
Nel bicchiere si presenta abbastanza velata e di colore ambrato: la schiuma biancastra è perfetta, a trama fine, cremosa, compatta e molto persistente. Al naso, fresco e pulito, i delicati profumi di biscotto e caramello convivono con quelli di frutta secca e arancia: anteprima di un gusto che prosegue nella stessa direzione ma con maggior intensità.  Rispetto alla Nor’Hop la presenza dei malti è più evidente e c’è una maggior presenza a livello di sensazione palatale, pur mantenendo la stessa elevata facilità di bevuta. Biscotto e caramello sono perfettamente integrati al dolce della marmellata d’arancia, presente in maniera assolutamente delicata (non pensate al “marmellatone” delle IPA Americane “defunte”).  La chiusura è moderatamente amara, con note terrose e di frutta secca mentre nel retrogusto appare quel “nutty”  tipicamente britannico. Ottima intensità per una session beer (4.3%) che rispetta la tradizione “aggiornandola” con qualche nota fruttata in più. Aroma e gusto viaggiano in sintonia, ogni cosa è al posto giusto, ottima bevuta.
Nel dettaglio:
Nor'Hop, formato 33 cl., alc. 4.1%, lotto 845NH125, scad. 08/2018
Raw, formato 33 cl., alc. 4.3%, lotto 838RAW114, scad. 08/2018

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

lunedì 20 novembre 2017

Birra Fon: Rio Saaz, Grhop & Sweet Dreams

Tempo di debutti sul blog:  nello specifico quello di Birra Fon, una realtà piuttosto giovane operativa a Fondo, in Val di Non (TN) dallo scorso maggio 2017. Non ho trovato molte informazioni in rete, ma il team è composto da cinque amici (Alberto, Alessandro, Daniele, Giordano e Marco) che dopo anni di homebrewing hanno deciso di fare il salto nel mondo dei professionisti. Birra Fon ha iniziato producendo presso terzi (The Wall e Serra Storta) ma sta installando in queste settimane il proprio impianto da 5 HL fornito dalla Socis: un passaggio di “status” necessario visto che ritengo non sia il massimo per un consumatore leggere in etichetta “birrificio artigianale trentino” se gli impianti non ci sono e se le birre vengono prodotte in Lombardia. Tra poco la situazione verrà “sanata” e il Birrificio Fon potrà vantarsi di utilizzare “l'acqua proveniente dalle fonti naturali dell'Alta Val di Non”: in parallelo i ragazzi hanno anche iniziato la coltivazione di luppolo. Tre sono le birre al momento disponibili, che andiamo ad assaggiare. 

Si parte con Rio Saaz (5.3%), definita Golden Ale in etichetta e Koelsch sul sito di Birra Fon. Al di là delle discordanze, il suo nome si riferisce al torrente Rio Sass che nel corso dei secoli ha  originato il canyon di Fondo, creando un dislivello di 145 metri ancora oggi attraversato dall’acqua.  La ricetta della birra prevede lievito SafAle K-97, malto Pils e luppoli  tedeschi Magnum, Saaz e Hallertauer Mittelfrüh. Nel bicchiere è dorata, leggermente velata  e forma una bella testa di schiuma cremosa e compatta, dall’ottima persistenza. Al naso crosta di pane, cereali, leggeri profumi erbacei e una delicata speziatura da “luppolo nobile”: un aroma fresco, delicato e pulito.  Il gusto prosegue con la stessa semplicità, aggiungendo qualche nota di miele a supporto della generosa luppolatura che sfocia in un finale amaro di buona intensità tutto giocato sull’erbaceo e sullo speziato. La bevuta è molto bilanciata e pulita, abbastanza attenuata  e piuttosto gradevole a livello tattile, rinfrescante: una birra semplice ma ben fatta. Evidente l'inspirazione tedesca e quindi incomprensibile la scritta Golden Ale riportata in etichetta: è tuttavia una "svista" che il contenuto della bottiglia fa subito dimenticare. 

Non ci sono invece dubbi stilistici sulla Grhop, un'American IPA  (5.6%) prodotta con malti Pale, Maris Otter e Caramunich, segale e fiocchi d'orzo; i luppoli sono Magnum, Simcoe, Amarillo, Centennial e Citra, il lievito è l'immancabilie US-05. Il suo colore si colloca tra il ramato e l'oro antico, la schiuma è impeccabilmente cremosa e compatta: al naso, con discreta intensità, ci sono profumi di pompelmo e resina, aghi di pino, qualche nota dank. Anche in questa birra c'è pulizia e freschezza a valorizzare un bouquet aromatico semplice ma riuscito. E' un'American IPA un po' old school, senza eccessi fruttati: ai malti (caramello, lieve biscotto) il compito di bilanciare la resina e il vegetale dei luppoli. L'unica divagazione è rappresentata da qualche leggera nota di pompelmo, mentre il finale è una lunga scia amara di buona intensità, pungente e non priva di una certa eleganza. Solida e pulita, ben fatta, fresca: un carattere un po' più fruttato le donerebbe un po' di complessità e di modernità, ma qui entriamo nella sfera dei gusti personali. Oggettivamente è una birra di buon livello, facile da bere, pulita e priva di difetti.

Chiudiamo con la Stout chiama Sweet Dreams (5.5%) prodotta con malti Maris Otter, Chocolate, Roasted e Cafè, fiocchi d'avena e lattosio, lievito US-05 e luppolo Challenger. Nel bicchiere è splendida, quasi nera e sormontata da un cappello di schiuma molto fine e compatto. L'aroma regala profumi di caffè (chicchi e macinato) e caffelatte, orzo tostato: pochi elementi ma disposti con precisione e pulizia. La sensazione palatale è molto gradevole, l'avena e il lattosio le donano una morbidezza a tratti quasi cremosa.  La bevuta parte del dolce del caramello per virare poi progressivamente verso l'amato del caffè e delle tostature. C'è meno pulizia ed eleganza rispetto all'aroma, ma l'intensità dei sapori rimane di tutto rispetto; il lattosio le dona una dolcezza che ricorda a tratti la panna, c'è qualche suggestione di cioccolato fondente, frutti di bosco e, nel finale, un po' di tabacco accompagna l'amaro del caffè e del torrefatto. C'è ancora spazio per una maggiore pulizia al gusto e una maggior eleganza nelle tostature, ma la bevuta è assolutamente gradevole.
Nel complesso tre birre di livello davvero buono per una beerfirm-quasi-birrificio in attività da pochissimi mesi: anziché cercare subito di stupire prendendosi rischi mi sembra - giustamente - che Birra Fon sia sia concentrata su semplicità, precisione dell'esecuzione e pulizia. Una scelta azzeccata, perché solo dopo aver messo i piedi ben saldi a terra si può provare a spiccare un salto.

Nel dettaglio:
Rio Saaz, 33 cl., alc. 5.3%, IBU 25, lotto 10517, scad. 28/09/2018, prezzo indicativo 3.50 Euro
Grhop, 33 cl., alc. 5.6%, IBU 65, lotto 8617, scad. 28/08/2018, prezzo indicativo 4.00 Euro
Sweet Dreams, 33 cl., alc. 5,5%, IBU 34, lotto 23417, scad. 01/02/2019, prezzo indicativo 4.00 Euro

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

venerdì 10 novembre 2017

Il Conte Gelo Gragnola

Ritorna sul blog il birrificio Conte Gelo, operativo dal 2014 a Vigevano, Lomellina, zona ad elevata concentrazione birraria: il nome che può sembrare alquanto particolare in realtà è  l’unione dei cognomi dei due proprietari, Paola e Andrea (Conte-Gelo). Entrambi appassionati birrofili e beer-hunter, hanno abbozzato a metà 2013 il progetto per aprire un proprio birrificio, idea che si è poi concretizzata ad ottobre 2014.  Il Conte Gelo ha dunque da poco compiuto un anno; in sala cottura ha trovato posto Davide Marinoni, homebrewer (con alle spalle corsi di degustazione Unionbirrai  I° e II° livello) che è poi passato nel mondo dei professionisti con un periodo di apprendistato da Bad Attitude ed un’esperienza al BQ di Milano. 
Al momento Conte Gelo produce sei birre disponibili tutto l’anno: Gragnola (Golden Ale), Lucy (Wit), La Cosacca (Ambe Ale), Gelo Jack (IPA), Valhalla (Rye IPA), Lavalanga (Tripel). Due quelle stagionali riservate ai mesi più freddi dell’anno: l’imperial stout Kamchatka e la dubbel Nonno Gelo.

La birra.
Malti Pale, Pils ed un tocco di Monaco, liveito inglese e un mix di luppoli inglesi e tedeschi: questa la ricetta della Golden Ale chiamata Gragnola. Nonostante l’etichetta faccia pensare al Far West e quindi al continente a stelle e strisce, nel bicchiere chi ama l’Inghilterra troverà un ambiente familiare. E’ dorata e leggermente velata, la schiuma è cremosa e compatta ed ha una buona persistenza. L’aroma è pulito e ancora fragrante, delicato nei suoi profumi tenui di fiori e mandarino, arancia; in sottofondo cereali e qualche lieve suggestione più “moderna” di frutta tropicale. Il corpo è quello leggero che ti aspetteresti da una session beer (4.3%); bevuta agile ma non sfuggente, poche bollicine, che scorre ad alta velocità. 
Il gusto ripropone con precisione gli elementi dell’aroma, crackers e agrumi, accenni tropicali, un finale secco e moderatamente amaro nel quale la scorza degli agrumi incontra l’erbaceo, portandosi con sé una scia di cereale che per il mio gusto personale cercherei di limitare il più possibile. Il retrogusto è corto e lascia subito il palato pulito e pronto ad affrontare un nuovo sorso. Una Golden Ale tradizionale che non rinuncia a qualche concessione moderna, ovvero tropicale: non cercate in lei intensità olfattive da dry-hopping estremo o gustative da succo di frutta. Qui c’è molta flemma inglese, una birra delicata, quasi sussurrata. Livello di pulizia buono, intensità giusta: c’è ancora spazio per migliorare ma Gragnola è una Golden Ale è capace di tenervi compagnia nel corso di un’intera giornata senza richiedere la vostra attenzione e senza mai stancarvi. Cercate ovviamente di berla fresca, il passare del tempo dalla messa in bottiglia non è un suo alleato.
Formato: 33 cl., alc. 4.3%, IBU 24, lotto 2317, scad. 09/2018.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

lunedì 30 ottobre 2017

Birrificio Artigianale KM8: Bitter Fruit & Heart of Glass

Continua a crescere la birra artigianale trentina che vanta oggi una quarantina di attori tra birrifici, brewpub e beerfirm, un terzo dei quali aperti tra il 2016 e il 2017. Tra questi figura anche il Birrificio Km8, operativo a Terres (Val di Non) da luglio 2016. 
Titolare è Michele Martini ma a quanto pare ad essere stato prima di tutti “contagiato” dalla passione per la birra è stato il padre Carlo assieme a due amici, tutti dediti all’homebrewing. Ad inizio 2016 l’idea di ristrutturare e mettere a normi gli spazi al piano terra della propria abitazione per mettere in funzione un piccolo impianto (150 litri) dismesso dal Birrificio Rethia: il nome scelto (Birrificio Km8) è ovviamente indicazione geografica del luogo di ubicazione, l’ottavo chilometro della Strada Provinciale 73. Michele viene supportato dal papà Carlo per quel che riguarda la parte commerciale e dai suoi amici  Giovanni e Rino rispettivamente per la produzione e le analisi di laboratorio: i tre oltre ad essere homebrewers sono stati anche musicisti ed i nomi delle birre – evoluzione delle loro ricette casalinghe -  sono ispirati al mondo della musica. 
Le modeste dimensioni dell’impianto permettono grande flessibilità e in un anno di attività Km8 ha già sfornato una dozzina di etichette, quattro delle quali stagionali: assaggiamone un paio.

Le birre.
L’American IPA “della casa” si chiama Bitter Fruit, come l’omonima canzone di Little Steven: Maris Otter, Crystal e Cara Pils sono i malti utilizzati, Amarillo Gold, Citra,  Mosaic, Cascade e Centennial  i luppoli. All’aspetto è ambrata e forma una bella schiuma biancastra, cremosa e compatta: al naso pompelmo, fiori, qualche nota biscottata e soprattutto una generale sensazione di frutta tropicale, ancora fresca. Bene intensità e pulizia, finezza migliorabile così come lo spettro aromatico che, considerando i luppoli utilizzati, potrebbe essere più ampio. Il gusto marcia spedito sullo stesso percorso: la luppolatura è sostenuta da una solida ma non invadente base maltata, con biscotto e caramello a supportare un po' di pompelmo e frutta tropicale. Il finale amaro resinoso è di discreta intensità, mentre l’alcool non mostra intenzione di nascondersi e si manifesta per quanto dichiarato in etichetta (6.5%).  Una IPA che prosegue la tradizione della “vecchia scuola italiana”, quella basata sul contrasto dolce/caramelllo amaro/resina, facendolo con buona intensità e pulizia; margini di miglioramento ce ne sono ma il livello è buono. 

Dagli Stati Uniti passiamo al Belgio, vero banco di prova di ogni birrificio e tradizione brassicola alla quale Km8 dichiara d'ispirarsi. Heart of Glass è una Blond Ale che prende il nome dal grande successo dei Blondie. La ricetta prevede malti Pilsner e Sauer Acidulato, frumento, luppoli Sorachi Ace, Pilgrim, East Kent Golding e Citra, quest’ultimo anche in dry-hopping; scorza di limone e un ceppo di lievito belga. 
Nel bicchiere si presenta di un luminoso color dorato, leggermente velato e sormontato da una cremosa e compatta testa di schiuma dall’ottima persistenza. Profumi floreali s’affiancano a quelli fruttati di cedro, mandarino e limone, banana, una delicata speziatura. In sottofondo c’è anche però una nota fenolica molto meno gradevole che richiama la plastica e che sporca un po’ quello che sarebbe un bouquet fresco e piacevole.  Qualcosa da sistemare anche al palato dove a livello tattile la birra risulta un pochino pesante, soprattutto perché l’ABV (4.8%) imporrebbe invece leggerezza e scorrevolezza: le vivaci bollicine le donano invece vitalità. Il gusto parte dolce (miele, banana, polpa d’arancia) per poi virare progressivamente verso l’amaro della scorza, accompagnato da una delicata speziatura; un po’ debole il finale, dove la birra tende a “spegnersi” prima del previsto anziché concludere il suo percorso con una delicata chiusura luppolata. L’idea di una Belgian Ale moderna e ben luppolata si vede ed è sicuramente interessante, c’è però ancora da lavorare sulla pulizia e sulla personalità per riuscire ad eliminare un po’ di timidezza: il risultato è comunque già gradevole e questa Heart of Glass si beve con discreta soddisfazione.

Sorvolo invece sulla bottiglia di High Hopes, novità dello scorso agosto, che mi è capitata tra le mani: si tratta di un’alta fermentazione realizzata con malto Maris Otter e luppolo Saaz raccolto in Trentino, a Fai della Paganella. Putroppo in questa bottiglia il lievito non ha fatto il suo dovere con il risultato di renderla imbevibile, a meno che non vi piaccia il sapore di un cubetto di lievito o di glutammato.
Luci e ombre per questo giovane birrificio che ha da poco spento la sua prima candelina: abbastanza ben realizzata e priva di difetti la IPA, qualche problemino in più nella Blond Ale d'ispirazione belga. 

Nel dettaglio:
Bitter Fruit, 33 cl., alc. 6.5%, IBU 45, lotto 037, scad. 31/12/2018, prezzo indicativo 3.50-4.00 Euro
Heart of Glass, 33 cl., alc. 4.8%, IBU 22, lotto 042, scad. 31/12/2018, prezzo indicativo 3.50-4.00 Euro
High Hopes, 33 cl., alc. 4.9%, IBU 38, lotto 047, scad. 31/12/2018, prezzo indicativo 3.50-4.00 Euro.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 11 luglio 2017

Hartwall Polar Monkeys White Collar

Oy Hartwall Ab è un’azienda finlandese che opera dal 1836 nel beverage: bibite, acque minerali, sidri, cocktail e ovviamente, visto che è arrivata su questo blog, birra.  Venne fondata da Victor Hartwall, primo finlandese a commercializzare nel proprio paese l’acqua minerale in bottiglia; nel 2002 è stata acquisita dagli inglesi della  Scottish & Newcastle e ceduta poi nel 2008 alla Heineken; nel 2013 l’ultimo passaggio nella mani dei danesi della Royal Unibrew (Ceres e Faxe, giusto per dare qualche riferimento). 
Tra i prodotti di successo Hartwall  vi è l’acqua minerale  Novelle (la più venduta in Finlandia), l’Original Long Drink (un cocktail di Gin e pompelmo lanciato in occasione delle olimpiadi di Helsinki del 1952 e primo cocktail a base di gin in lattina al mondo) e Jaffa, dal 1949 il soft drink più venduto in Finalndia a base di pompelmo. Hartwall è oggi anche partner strategico di Pepsi e Heineken; per quel che riguarda la birra, distribuisce la Foster’s lager per il mercato finlandese e i due marchi nazionali posseduti da Unibrew:  Lapin Kulta e Karjala  (in collaborazione con la federazione finalndese di hockey su ghiaccio). A questi si sono di recente aggiunte le tre birre della linea Polar Monkeys: la parola “craft/artigianale” non appare da nessuna parte ma è evidente che quello è il segmento al quale si punta con queste tre birre che fanno riferimento a stili precisi, informazione quasi sicuramente irrilevante per chi invece è solito acquistare una semplice lager sugli scaffali del supermercato. Abbiamo la Vienna (Amber Lager) Blue Collar, la Golden Ale White Collar e la IPA Chairman:  tutte e tre sono prodotte in Danimarca  alla Royal Unibrew in compagnia di Albani, Ceres, Faxe e qualche altro marchio. 
Impossibile sapere se si tratti di ricette “originali” o di semplici rietichettature per il mercato finalndese di altri prodotti danesi: ad esempio la Chairman IPA potrebbe far pensare alla Lottrup Stone Street IPA o  la Golden Ale White Collar alla Lottrup Gold Button Amber Ale; continuando a leggere il dubbio verrà anche a voi.

La birra.
Come detto, l'etichetta non parla esplicitamente di craft beer (vedi il caso estone della Brick by Brick, in realtà Carlsberg) ma non brilla per chiarezza: si parla semplicemente di una birra prodotta in Danimarca (da chi?) per conto della Hartwall. Elemento che già dovrebbe fungere da deterrente all'acquisto: se non c'è trasparenza fuori, ce ne può essere dentro la bottiglia? 
Colore a parte, effettivamente trasparente/limpido, nel bicchiere non c'è esattamente una Golden Ale... dorata. L'avessero almeno chiamata Pale Ale, sarebbe stato meglio: il suo colore è ambrato (non sarà quello della Lottrup Gold Button Amber Ale?) ed è sormontato da una cremosa e compatta testa di schiuma biancastra dalla buona persistenza. Al naso spetta al diacetile dare il benvenuto: lo prendono a braccetto profumi di caramello e biscotto, qualche nota di frutta secca e di cartone bagnato. Il gusto prosegue nella stessa infelice direzione, con l'aggravante (o con il merito?) di spegnersi progressivamente in una deriva finale piuttosto acquosa e del tutto priva di amaro. Non c'è fragranza in una birra assolutamente anonima a tratti un po' stucchevole e, tocca dirlo, inutile: è arrivata anche sugli scaffali di qualche supermercato italiano. Se l'avvistate, il mio consiglio personale è di lasciarla dove si trova: se tutte le bottiglie sono come questa, lo scaffale mi sembra un luogo molto più indicato rispetto al palato. 
Formato: 33 cl., alc. 5.5%, lotto Y4-M, scad. 29/01/2018, prezzo indicativo 1.90 Euro (supermercato)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 30 maggio 2017

Eastside Brewing: Route 148 & Spring Break

Nuovo appuntamento con Eastside Brewing, birrificio laziale (Latina)  fondato nel 2013 da Luciano Landolfi, Tommaso Marchionne, Alessio Maurizi, Cristiano Lucarini e Fabio Muzio. La loro storia ve l’avevo raccontata dettagliatamente in questa occasione; il birraio è Luciano il quale riesce ancora a coniugare gli impegni in birrificio con il suo lavoro quotidiano altrove: nel concreto questo “stakanovismo” si traduce nel recarsi in birrificio alla sera e ogni weekend.  Dopo Sera Nera e Sunny Side, Soul Kiss e Sweet Earth, Bear Away e Bere Nice, tocca oggi a due birre particolarmente adatte ai mesi dell’anno in cui il caldo inizia a farsi sentire. 
Partiamo dalla Route 148, una delle ultime entrate nella categoria delle “birre classiche” che Eastside produce tutto l’anno: Blonde/Golden Ale nella predomina il luppolo americano Citra affiancato dallo sloveno Styrian Cardinal. Non aspettatevi tuttavia una bevuta luppolocentrica perché nelle intenzioni del birrificio questa è una sorta di birra “entry level”, semplice e da poter proporre a chiunque, magari anche a chi sino ad ora ha sempre bevuto le lager che si trovano sugli scaffali dei supermercati. Il nome scelto è un omaggio alla strada regionale 148 Pontina che collega Roma a Latina, con il Colosseo e la palude pontina che in etichetta sono simbolicamente uniti dalla stretta di due mani. 
Nel bicchiere è dorata e velata e forma una buona testa di schiuma bianca, cremosa e compatta, dalla buona persistenza: l’aroma è pulito e elegante, con delicati profumi di agrumi, miele millefiori, floreali, pane. Delicatamente carbonata, scorre con la facilità che una birra di questo tipo dovrebbe sempre avere: alla delicatezza dei malti (crackers, pane, un tocco di miele) fanno seguito gli agrumi e la pesca, mentre il finale delicatamente amaro e erbaceo è corto e secco in modo da lasciare il palato sempre ben pulito e già desideroso di un nuovo sorso. Una birra che fa delle semplicità (attenzione a non confondere con banalità)  e della facilità di bevuta il suo punto di forza senza però rinunciare all’intensità dei sapori: pulizia, eleganza e fragranza, a mio parere caratteristiche fondamentali in queste birre, ci sono.  Una (quasi) session beer che vi può stare accanto per tutta la serata facendovi silenziosa compagnia senza mai stancarvi.


Spring Break come il nome indica è invece una birra che arriva ogni anno assieme alla primavera: è un’American Wheat alla quale vengono aggiunti trenta chili di kumquat tagliati in pezzi e privati dei semi: dieci a fine bollitura e venti in dry hopping. Viene utilizzato un ceppo di lievito americano ma per rendere ben luppolata questa birra di frumento ci si avvale di luppoli continentali: Mandarina Bavaria, Hallertau Blanc e Huell Melon in uguali proporzioni sia in bollitura che in dry-hopping. In etichetta viene raffigurato il passaggio dal bianco e nero delle giornate invernali al verde della primavera.  
Il suo colore è dorato e sormontato da una generosa testa di schiuma bianca, compatta e cremosa, dall’ottima persistenza. Il naso non è particolarmente intenso ma evidenza un buon livello di pulizia nel quale spiccano ovviamente gli agrumi, con il kumquat (mandarino cinese, per i profani) in evidenza. L’accompagna qualche nota floreale, ma la scelta di un lievito neutro per valorizzare al massimo l’agrume secondo me penalizza un po’ la ricchezza e l’espressività dell’aroma. Vivaci bollicine accompagnano una birra che scorre senza nessun intoppo ricalcando il percorso aromatico: i malti non levano spazio a quegli agrumi che occupano la maggior parte della bevuta, mantenendo l’equilibrio che caratterizza tutte le produzioni del birrificio di Latina. Quella leggera acidità donata dal frumento che manca un po' al naso è invece fondamentale in bocca per aumentare il potere dissetante e rinfrescante di una birra che chiude con un amaro molto delicato e lievemente terroso. Pulita e ben fatta, Spring Break nasce con la primavera ma si adatta anche ai mesi successivi nei quali il caldo si fa maggiormente sentire: non a caso il birrificio la consiglia per accompagnare piatti di pesce, insalate estive e formaggi freschi come la mozzarella.
Ringrazio il birrificio per avermi inviato le due bottiglie da assaggiare.
Nel dettaglio:
Route 148, 75 cl., alc. 5%, IBU 12, lotto 06 17, scad. 03/2018, prezzo indicativo 10.00 Euro (beershop) 
Spring Break: 33 cl., alc. 5.2%, IBU 16, lotto 01 17, scad. 03/2018, prezzo indicativo 4.50 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

lunedì 8 maggio 2017

Birra del Borgo Lisa

Non è riuscita ad essere la prima birra artigianale italiana in lattina, preceduta dalla Pop di Baladin, ma poteva almeno vantarsi di essere la prima birra artigianale messa in lattina all’interno del birrificio che la produce: è Alfredo Colangelo, responsabile commerciale di Birra del Borgo, a sottolineare questa differenza con la Pop, che viene invece “inlattinata” presso un contoterzista lontano dal luogo di produzione con un’etichetta incollata anziché una bella serigrafia. Peccato che Birra del Borgo, acquistata nell’aprile 2016 dal colosso multinazionale AB-Inbev non sia più un birrificio artigianale. 
Sto parlando di L.I.S.A., acronimo di Light Italian Session Ale, che Leonardo di Vincenzo annuncia per la prima volta al mondo su Twitter nel novembre del 2015. Segue un lungo silenzio, qualche fusto che circola per l’Italia e poi allo scorso Salone del Gusto (settembre 2016) ecco centinaia di lattine (piene di acqua) colorare lo stand di Birra del Borgo: chi riesce ad assaggiare Lisa deve tuttavia di nuovo avvicinare il bicchiere alle spine, perché per le vere lattine bisogna attendere l’arrivo e la messa in funzione dell’impianto linea lattine all’interno del nuovo stabilimento del birrificio a Spedino (Rieti) , inaugurato a luglio 2016. 
E così il debutto ufficiale della lattina di Lisa avviene all’ultima edizione di Beer Attraction, a febbraio 2017, con la bella grafica opera dell’illustratore e fumettista torinese Gianluca Cannizzo, mi dicono già molto conosciuto in ambito enologico: “una ragazza leggera e irriverente, fresca e apparentemente semplice; in realtà nasconde carattere e complessità molto forti”. 
E’ una Session IPA per Untappd, mentre Ratebeer la inserisce nella categoria delle “Spice/Herb/Vegetable” in quanto "prodotta con coriandolo, pepe rosa, scorza d’arancia e fiori d’arancio": ingredienti non citati in etichetta, se non come descrittori dell'aroma. 

La birra.
Lisa è in realtà una Golden Ale, nel bicchiere è dorata e leggermente velata, sormontata da un compatto e cremoso cappello di schiuma bianca dall’ottima persistenza. L’aroma rinuncia all’intensità per comporre un bouquet delicato e caratterizzato da un buon livello di pulizia: profumi floreali ed erbacei, arancia, una delicatissima speziatura. Gli aggettivi Light e Session ricorrono un po’ ridondanti anche perché Lisa al palato è leggera ma non troppo: scorre veloce, senza sconfinamenti nell’acquoso e mantenendo una gradevole presenza palatale. La base maltata è piuttosto lieve (pane, accenno di miele), l’arancia fa una rapida comparsata per poi lasciare il palcoscenico ad un amaro cui spetta il compito di portare a termine la bevuta; note erbacee, terrose e qualche tocco zesty s’incontrano in un finale che tuttavia non rappresenta il massimo dell’eleganza e la cui intensità è tale da rallentare un po’ troppo la frequenza dei sorsi. Intensa ma corta, abbastanza secca, a mio parere eccede un po’ nell’amaro o forse le manca quell’eleganza che potrebbe renderlo meno ”pesante”. 
Una birra ancora un po' acerba ma che si propone ad un buon rapporto qualità prezzo, leggermente inferiore (questione di decimi) a quello dell'altra lattina italiana, la Pop di Baladin.
Formato: 33 cl., alc. 4%, lotto LS17 170113, scad. 10/2017, prezzo indicativo 2.50 Euro (food store).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 29 novembre 2016

Birra del Bosco Pale Whale

Secondo appuntamento con il birrificio trentino  Birra del Bosco, giovane realtà operativa dal 2013 a San Michele all'Adige (Trento) e già ospitata qualche settimana fa con la IPA Froggy Hops. Lo fondano Gabriele Tomasi (birraio) e Marco Pederiva (commerciale), due compagni di liceo che si sono ritrovati dopo aver terminato gli studi universitari scoprendo di avere entrambi la passione per la birra e l’homebrewing. Tomasi ha studiato in Belgio (leggo di esperienze formative presso Dupont e Cantillon) mentre Pederiva, in giro per il mondo per lavoro, scoprì in un locale di Amsterdam che c’era un universo di birre oltre a quelle industriali che affollano gli scaffali dei supermercati. Scoprendo di condividere anche la passione per l’homebrewing, i due ragazzi redigono un business plan e si danno un anno di tempo per elaborare ricette, sperimentarle, affinarle e fare pratica presso qualche altro birrificio.  
Birra del Bosco inizia nel 2013 come beerfirm per testare la ricettività del mercato: i sondaggi sono stati evidentemente favorevoli visto che a metà del 2014 diventa operativo l’impianto di proprietà da 10 HL. L’intento dichiarato è di fare birre  “facili da bere”, ovvero non troppo impegnative e quindi accessibili anche ai palati meno esperti.  Dopo la Froggy Hops IPA è il momento d’assaggiare un’altra birra anch’essa inviatami dal negozio Iperdrink.it  
 Si tratta della golden ale Pale Whale, letteralmente la “balena pallida”; recita l’etichetta: “molto tempo fa un uomo trovò due cuccioli di lupo sulla spiaggia.  Impietosito, li portò a casa con sé e li allevò.  Quando i cuccioli crebbero, nuotarono molto lontano nell'oceano, uccisero una balena e la portarono a riva come dono al padrone.  Fecero questo per moltissimi giorni, ma presto ci fu troppa carne che cominciò a guastarsi.  Quando il Grande Spirito sopra le nuvole vide quello spreco creò un'immensa nebbia che non permise ai due lupi di tornare a riva.  E fu così che i predatori diventarono Orche assassine”

La birra.
Golden Ale che utilizza luppoli americani, si colora il bicchiere di un bel dorato un po’ pallido e velato; la schiuma è cremosa e compatta ma non molto generosa e dalla discreta persistenza. L’aroma è abbastanza sottotono, l’intensità è davvero modesta: a malapena avverto profumi di miele e floreali, qualche nota di crackers. Il birrificio la descrive come “una birra beverina non impegnativa” e direi che queste caratteristiche si ritrovano in pieno al palato: la facilità di bevuta non è però in antitesi all’intensità, e devo dire che il gusto di questa golden ale non è molto generoso. L’aroma viene ricalcato in pieno nei pregi e nei leggeri difetti; crackers, miele, un lieve fruttato che richiama gli agrumi ma anche una leggerissima presenza di quel diacetile che l’aroma aveva annunciato. La secchezza un po’ ne risente, una patina dolce avvolge sempre il palato limitando il potete dissetante di questa birra; la schiuma che quasi non si riforma anche roteando il bicchiere testimonia una bottiglia un po’ fuori forma che non brilla per fragranza e per pulizia, benché fruibile senza particolari problemi. La chiusura è delicatamente amara (terroso, erbaceo) e molto corta, con un ritorno di cereale. 
Capisco che si tratti di una gateway beer che punta a conquistare chi ha sempre ordinato una "bionda" o una "rossa" generica: la bevuta risulta quindi rassicurante per chi è abituato alla birra industriale ma risulta un po' anonima e carente di personalità per chi invece ha già fatto il salto dentro la craft beer revolution.  La bottiglia poco in forma non aiuta certo a valorizzare una Golden Ale che di semplicità, pulizia e fragranza dovrebbe fare la sua raison d'être.
Formato: 75 cl., alc. 5%, IBU 27, lotto 162927, scad, 08/2017.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 18 ottobre 2016

Antagonisti: 21 Golden Ale e Bulan

Antagonista, dal greco antagonistés, composto di antì (contro) e agonistès (lottatore): avversario in una lotta, in una gara sportiva, in un’azione drammatica; rivale, emulo, in una competizione qualsiasi; come aggettivo, che è in opposizione, in contrasto, in antagonismo 
Questo il nome scelto da Enrico Ponza e Fabio Ferrua per la beerfirm che inaugurano a maggio 2012 a Melle, in provincia di Cuneo; entrambi hanno precedenti esperienze come birrai in altri birrifici piemontesi come La Piazza e Soramalà. E’ una vacanza in Belgio, paese dove le beerfirm sono numerose, a far nascere in loro la voglia di mettersi in proprio e produrre la propria birra anche senza possedere impianti produttivi. Nei loro slogan, nell’anno del debutto, echi di BrewDog: "noi siamo gli  antieroi. Noi siamo gli anticonformisti. Noi siamo gli antipatici. Noi siamo gli Antagonisti. Siamo qui per creare qualcosa di nuovo,  e per farlo a modo nostro  Rispettiamo le regole,  ma vogliamo crearne di nuove.  Perchè preferiamo essere impavidi pirati  piuttosto che disciplinati marines.” 
La produzione avviene inizialmente presso gli impianti di Soramalà, mentre attualmente gli Antagonisti producono presso il Birrificio La Granda;  alla beerfirm si affianca il bistrot/birreria Officina Antagonisti Melle, dove poter assaggiare le birre abbinandole a prodotti locali. A quattro anni dall’apertura sono quattro le birre disponibili, in un percorso che mira a perfezionare quanto fatto piuttosto che a sfornare una novità dietro l'altra: in ordine di nascita ci sono la saison chiamata Bulan, la (American) Amber Ale chiamata Armaros e la scotch ale Anastro, che dovrebbero essere affiancate da qualche produzione stagionale o “one shot”.

La birra.
Partiamo in ordine di ABV dalla Golden Ale chiamata 21, una birra ideata assieme al Birrificio Trunasse (Centallo, Cuneo) per festeggiare un doppio anniversario : un matrimonio (per Trunasse) e la data del “battesimo” di Officina Antagonisti. Si tratta di una session beer (4.2%) inizialmente nata come stagionale estiva e poi “promossa” in produzione regolare; di colore oro pallido velato, quasi paglierino, forma un cappello di schiuma bianca compatta e cremosa, molto persistente. Il naso anziché puntare su quei “fruttatoni” ruffiani  che tanto vanno oggi di moda predilige delicatezza ed equilibrio; viene disegnato un boquet pulito ed elegante dove trovano posto fiori, agrumi (mandarino, cedro e limone) e note erbacee. Un aroma così delicato non può prescindere dalla freschezza, per essere valorizzato: in questa bottiglia (credo nata a maggio)  il passaggio del tempo ha lasciato ovviamente qualche segno ma il risultato è ancora soddisfacente. In bocca è ovviamente leggera e molto scorrevole, con una carbonazione sostenuta che, in una birra dal profilo di lievito piuttosto neutro, a mio parere andrebbe senz'altro ridotta. Anche al palato c'è un buon livello di pulizia che permette di apprezzare la delicatezza dei malti (pane, lieve miele) a introdurre il carattere fruttato (agrumi) che richiama in pieno l'aroma. Il finale mette in evidenza una bella secchezza e un amaro un po' timido che si sviluppa a cavallo di note erbacee e di scorza d'agrumi. Birra ben fatta e gradevole, di quelle che ti potrebbero accompagnare per una intera serata senza mai stancarti; può funzionare benissimo come gateway beer per avvicinare alla birra di qualità chi proviene dalle lager industriali, mentre secondo me le manca ancora un po' di personalità per stupire anche i palati un po' più esperti. Lo "stupore" non significa affatto ricercare i fuochi d'artificio, tutt'altro; la sfida più difficile è proprio quella di realizzare una birra di carattere ma delicata e semplice al tempo stesso.

Passiamo ora alla Bulan ("luna", in indonesiano), la birra d'esordio degli Antagonisti; una saison ideata durante un viaggio in Belgio e ispirata a sua maestà Saison Dupont. Purtroppo mi è capitata tra le mani una bottiglia poco in forma, se la vogliamo dire in questi termini. A partire dallo stappo, assolutamente "silenzioso" e dal modesto "dito di schiuma" che, in una saison ispirata al Belgio non è un buon segno visivo; il colore è arancio e l'aroma non mette in evidenza granché: un po' di banana e arancio, crosta di pane, un accenno di canditi. Ci sono ovviamente pochissime bollicine, con una buona facilità di bevuta tuttavia priva di quella vitalità che una saison dovrebbe avere. Pane, miele e qualche nota di frutta candita definiscono un gusto di altrettanta modesta intensità, benché pulito e privo di difetti; chiude discretamente secca, con un accenno amaricante di scorza d'arancia. Ma una Saison si fa col lievito, e l'espressività del lievito in questa bottiglia è praticamente nulla; ne risulta quindi una birra discretamente secca e tutto sommato bevibile ma, in quanto Saison, assolutamente insoddisfacente. Bottiglia sfortunata o meno, la costanza produttiva è un requisito fondamentale: mi tocca sempre descrivere quanto mi trovo nel bicchiere, nel bene e nel male.
Nel dettaglio: 
21 (Golden Ale), alc. 4.2%, IBU 24, lotto 5089/0, scad. 05/2018, prezzo indicativo 3.50/4.00 Euro.
Bulan, alc. 5.6%, IBU 31, lotto 5109/0, scad. 05/2018, prezzo indicativo 3.50/4.00 Euro.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

giovedì 6 ottobre 2016

Glens of Antrim: Rathlin Red & Lizzie's Ale

L’ultimo Salone del Gusto che si è da poco concluso a Torino mi è parso dal punto di vista brassicolo un po’ sottotono rispetto alle edizioni precedenti;  se l’Italia era ben rappresentata da quasi cinquanta birrifici, il resto del mondo ha invece segnato il passo con una presenza sempre più ridotta rispetto alle edizioni in cui, per esempio, dominava il glorioso stand dell’American Brewers Association.  Al di là di alcuni stand presenziati in pompa magna da importatori e distributori italiani, passeggiando lungo i viali del Parco del Valentino dedicati al “resto del mondo”  le occasioni per bere qualcosa si potevano contare sulle dita di un mano. 
Dall’Irlanda del Nord sono arrivate qualche bottiglie del microbirrificio Glens of Antrim inaugurato nel 2014 a Murlough, sobborgo di Ballycastle, contea di Antrim, all’estremità settentrionale dell’isola; lo fondano Pat ed Isabella McCarry, marito e moglie che si occupano di tutto, dalla produzione all’etichettatura. Il nome scelto è ovviamente dedicato alle omonime nove vallate, strette e profonde, che si estendono dalla riva del lago Lough Neagh e arrivano sino al mare. 
Tre le birre offerte dal microbirrificio: una Irish Red Ale chiamata Rathlin, una golden ale chiamata Fairhead e Lizzie's Ale,  l’ultima nata dedicata ai mesi più caldi dell’anno. 
Iniziamo ovviamente dalla Rathlin, classica Irish Red Ale dedicata all’omonima isola che si trova al largo delle coste dell'Antrim; di colore ambrato con riflessi rossastri, forma un bel cappello di schiuma ocra, cremosa e compatta, molto persistente. Al naso, di modesta intensità, emergono note di biscotto e cereali, frutta secca; in sottofondo la leggerissima presenza di esteri (frutti rossi) in uno scenario dove la fragranza dei malti si scontra con una pulizia non proprio impeccabile. Uno scenario abbastanza simile si ripropone anche al palato: ai cereali e al biscotto s’affianca un po’ di caramello, con leggere note amaricanti terrose e di frutta secca a bilanciare la dolcezza. Ci sarebbe la giusta secchezza, coerente con i dettami dello stile, ma con qualche scivolata di troppo nell’astringenza.  Una birra facile da bere che non rinuncia all'intensità, poco carbonata. leggera  e molto scorrevole: fedele alla tradizione, un po’ carente di personalità è soprattutto la pulizia che andrebbe migliorata.
La Blonde Ale estive è invece una dedica a Lizzie, la zia di Pat responsabile dei narcisi piantati attorno al birrificio che ogni anno fioriscono annunciando la fine dell'inverno e l'arrivo della bella (o quasi) stagione. 
Si presenta di un bel color oro antico velato, con una compatta testa di schiuma appena biancastra, dalla buona persistenza. L'aroma è delicato ed elegante, anche se non pulitissimo, e regala un gradevole bouquet composto da profumi floreali, di crosta di pane e di miele, cereali e di agrumi (arancia). Birra estiva che scorre ovviamente velocissima e che si lascia bere senza impegno, grazie anche alle poche bollicine. Cereali, miele, arancia e mandarino continuano in bocca il percorso aromatico, mentre la bevuta si chiude con un amaro zesty un po' timido e corto. Perdonabile la leggerissima presenza di diacetile in una bottiglia che si colloca in quella tradizione delle birre che accompagnano, pinta dopo pinta, una serata al pub senza reclamare nessun ruolo di protagonismo e senza mai stancare il palato di chi le beve. Chiamatele "session beer", se vi piace. La secchezza tuttavia non è impeccabile e lo stesso si può dire del livello di pulizia; anche questa Lizzie's Ale pecca un po' nel carattere ma nel complesso mi è sembrata più convincente rispetto alla Rathlin.
Due birre di discreto livello con ampi margini di miglioramento: pulizia innanzitutto e personalità, perché una birra può essere sessionabile, leggera e facilissima da bere pur mostrando un carattere deciso.
Nel dettaglio: 
Rathlin Red, formato 50 cl., alc. 4.8%, scad. 20/08/2017, 3.00 Euro
Lizzie's Ale, formato 50 cl., alc. 4.6%, scad. 20/08/2017, 3.00 Euro

NOTA:  la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio della bottiglia in questione e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.