giovedì 29 ottobre 2020

Cycle Monday 2020

Fino a cinque-sei anni fa la Florida non era certo il paradiso di chi amava la birra artigianale: Cigar City era forse l’unico nome noto di una scena che faticava a decollare. Oggi le cose sono cambiate grazie a birrifici come Funky Buddha (poi acquistato dalla Constellation Brands), Angry Chair, J. Wakefield, Cycle e 3 Sons.  Peg Wesselink e Tony Dodson aprirono nel 2004 a Gulfport la Peg's Cantina, una sorta di bungalow di legno trasformato in ristorante messicano. Doug Dozark, figlio di Peg, ricorda: “in Florida la birra artigianale non esisteva ma un distributore ci mandò qualcosa di Boulder, Oskar Blues, Great Divide, Schneider, Hofbräu, Weihenstephaner”. Doug inizia ad appassionarsi e redige una carta delle birre per il ristorante dei genitori. Tra i clienti più affezionati c’è anche un homebrewer; tra lui e Doug nasce un’amicizia e i due producono una stout usando le pentole nella cucina del ristorante. “All’inizio era tutto così misterioso – dice Doug – ma dopo aver fatto un po’ di pratica iniziai a capire che potevo farcela”.
Dozark trova lavoro per qualche mese alla Oscar Blues sulla linea di produzione lattine, capendo innanzitutto quello che non vuole diventare: “non volevo che fare la birra diventasse solo un lavoro esecutivo; pulire i tini va bene ma non è la parte che m’interessa del processo produttivo. Volevo qualcosa che mantenesse viva la mia passione”.  Rientrato a Gulfport, propone ai genitori di iniziare a produrre alcuni piccoli lotti di birra per il ristorante su di un impiantino da 130 litri: avrebbe pagato lui i costi e per farlo trova lavoro presso Cigar City, o quasi:  “lavorai come volontario per tre mesi  20-30 ore la settimana. Altrimenti non credo che mi avrebbero mai assunto”.  Doug fa esperienze fondamentali sull’impianto da 15 ettolitri a Tampa sotto la supervisione del birraio Wayne Wambles e alla sera ritorna a Gulfport a fare birra alla Peg's Cantina. Il doppio lavoro dura quasi tre anni ma i risultati iniziano  ad arrivare: nel 2010 Peg’s Cantina ottiene tre medaglie al Best Florida Beer Championship e nello stesso anno due delle sue Berliner Weisse (stile che molti birrifici artigianali della Florida poi abbracceranno) entrano nella Top 50 di Ratebeer. Ma è nel 2012, grazie alla solita imperial stout invecchiata in botti di bourbon, che la Peg’s Cantina attira l’attenzione di tutti i beergeeks: gli insegnamenti di Wayne Wambles, ideatore delle grandi imperial stout di Cigar City, danno i suoi frutti e  la Peg's Rare D.O.S Imperial Stout si posiziona al numero 10  tra le migliori 100 birre al mondo secondo Beer Advocate.
Nel 2013 Doug decide che è tempo di cambiamenti“Peg’s Cantina è sempre stato il nome di un locale, non è un marchio; ha aperto come ristornate otto anni fa e 4 anni fa è diventato brewpub. Gulfort è un bel paese, una piccola comunità ma le nostre birre stanno andando  sempre più lontano e Peg non è un’identità da portare in giro”.  La scelta cade su Cycle Brewing, un tributo alla sua passione per le due ruote. E la sua intenzione è quella di puntare forte su quelle imperial stout che gli hanno portato successo e anche il primo invito alla Copenhagen Beer Celebration; Cycle acquista altri barili usati e inaugura un nuovo impianto a  St. Petersburg, cinque miglia da Gulfport, raddoppiando la capacità produttiva annuale a 16.000 ettolitri. A St. Petersburg s’iniziano a vedere  le classiche scene di beergeekismo con aficionados appostati sui marciapiedi la notte prima che vengano messe in vendita le bottiglie di Rare DOS e di altre imperial stout: Cycle punta forte sull’aggiunta di adjuncts negli affinamenti in legno, diventando di fatto uno dei pionieri della pratica odierna di realizzare molteplici varianti della stessa base con un diverso mix di  ingredienti. E le imperial stout arrivano ad assorbire il 50% della capacità produttiva.  All’inizio del 2015  il ristorante Peg’s Cantina chiude i battenti:  Doug e il suo assistente birraio Eric Trinoskey  lo trasformano nel progetto parallelo Orange Belt Brewing, dedicato alla produzione di birre acide.
Tutto bene, quindi? Non esattamente, perché aumentare rapidamente la produzione per sfruttare la notorietà ha anche dei lati negativi: alcune preziose imperial stout risultano infette e per risolvere il problema Cycle ricorre alla pastorizzazione flash di tutte le proprie birre “scure” . I problemi sembrano risolti ma nel 2018, anno in cui la classifica di Ratebeer  celebra Cycle tra i dieci migliori birrifici al mondo, accade un mezzo disastro: nonostante la pastorizzazione le bottiglie dell’edizione 2018 dell’imperial stout  Monday risultano infette e l’intera produzione di Friday viene direttamente buttata via senza neanche arrivare all’imbottigliatrice. Altre bottiglie invece esplodono improvvisamente non appena vengono immesse nel pastorizzatore. Cycle deve cancellare la settimana-evento dell’anno nella quale viene rilasciato un set di cinque diverse imperial stout barricate corrispondenti ai diversi giorni della settimana. Nello stesso anno Cycle raggiunge un accordo  con il birrificio Brew Hub, che opera principalmente per conto terzi: la maggior parte delle birre luppolate vengono ora prodotte sui loro impianti e confezionate in lattina, esattamente come aveva fatto qualche anno prima un altro birrificio sulla cresta dell’onda come Toppling Goliath.

La birra.


Aumentata capacità produttiva e hype in discesa hanno fatto sì che le bottiglie di Cycle da qualche anno arrivano ogni tanto anche nel nostro continente. Prezzi di primissima fascia (oltre 50 euro al litro) ma si tratta di birre che vengono vendute a 30 dollari più tasse già alla fonte, in birrificio. Vediamo l’edizione 2020 di Monday, imperial stout invecchiata in botti di bourbon con aggiunta di caffè messicano El Triunfo della Bandit Coffee Co. di St. Petersburg. 
Nera come la pece, forma una bella testa di schiuma cremosa e compatta dalla buona persistenza. Al naso emerge netto il bourbon mentre è quasi assente  il torrefatto: il caffè si esprime piuttosto attraverso note terrose che a tratti richiamano pelle e cuoio. In sottofondo prugna disidratata, accenni di legno e vaniglia, frutta sotto spirito. La sensazione palatale è perfetta: Monday è un’imperial stout piena e morbida, viscosa: una densa carezza che scorre lenta sul palato, avvolgendolo. Come spesso accade per le birre realizzate in Florida il contenuto alcolico non è dichiarato in etichetta: dovrebbe aggirarsi sull’11.5%.  Il bourbon domina anche al palato una bevuta intensa, che scalda ma non brucia: prugna e uvetta sotto spirito, fudge e vaniglia sfumano progressivamente in un finale amaro di cioccolato, note terrose e finalmente tostature e caffè, tannini e legno. Buona secchezza, mouthfeel edonistico ed emozionante, lungo retrogusto di bourbon: Monday di Stout non è un mostro di profondità e complessità ma è sicuramente una imperial stout di livello alto. Anche eleganza e pulizia non raggiungono il nirvana: non vorrei essere pignolo ma quando il prezzo è di fascia alta sono considerazioni che vanno inevitabilmente fatte. 
Formato 65 cl., alc. 11,5% (?), lotto 2020, prezzo indicativo 35,00 euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio

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