martedì 7 gennaio 2014

A.D. 2013


Dopo il primo esperimento, ritorna anche quest’anno il post che cerca di riassumere l’anno di bevute appena concluso, per ricapitolare in modo schematico le birre passate in rassegna e divertirci un po’ con i numeri.  
Doverosa precisazione, prima di iniziare: queste “classifiche” sono solamente un veloce riepilogo di quanto bevuto (e pagato di tasca propria) nel corso del 2013; non è una lista dei buoni e dei cattivi, non è una guida alle migliori/peggiori birre del mondo o d’Italia.  Il “voto” dato si riferisce solamente a quella particolare bottiglia assaggiata in quella particolare occasione, nel bene o nel male (o “bottiglia fortunata/sfortunata”, come va di moda dire); se cercate una birra in particolare e non la trovate elencata, è semplicemente perché non è stata bevuta nel corso del 2013.   
Iniziamo da qualche dato generale. Nel 2013 sono state stappate 269 bottiglie (nel 2012 erano state 293), per un totale di 126,62 litri bevuti, ovvero 34,6 cl. al giorno, in piena coerenza con il nome del blog. La media della percentuale alcolica in volume delle birre bevute è stata di 7,0%, praticamente la stessa del 2012.   Il costo medio di ogni “bevuta” è stato di 5,85 Euro  per un prezzo medio, al litro, di 12.23 €; questa informazione ha una rilevanza relativa, visto che i prezzi d’acquisto vanno dallo spaccio del birrificio al supermercato, dal beershop al prezzo ci somministrazione al tavolo (ristorante/pub),dall’Italia all’estero. Nel 2012, comunque, il prezzo medio al litro era stato di 9,23 €, purtroppo con un bell’aumento del 33%; puntualizzo che ovviamente il dato non si riferisce al costo delle birre acquistate nel corso del 2013 ma a quelle bevute, che sono state anche acquistate negli anni precedenti.   
Passiamo agli stili;  anche nel 2013 la categoria più bevuta (secondo la classificazione di Ratebeer, nel bene e nel male) è stata ancora quelle della INDIA PALE ALE (30 birre, nel 2102 erano state 41) seguita a breve distanza da AMERICAN PALE ALE (26) e SAISON (26), poi BELGIAN STRONG ALE (23) ed IMPERIAL STOUT (21). L’Italia si è confermata la nazione maggiormente “bevuta” (96, nel 2012 erano state 109), seguita da Inghilterra (44), Belgio (43) e Norvegia (25, risultato delle vacanze estive); la Top 5 viene chiusa dalla Danimarca, a quota 11.  Tra i produttori (birrifici e beer firm), per quantità di birre bevute nel 2012 vince Nøgne Ø (9 bottiglie), seguito a pari merito da Birrificio Del Ducato, Mikkeller e To Øl (5).   

Ora la parte più interessante, ovvero le birre bevute nel corso del 2013 che ci sono piaciute di più. Ai primi 4 posti, a parità di punteggio, ci sono 35 birre (cliccate sulla tabella per una miglior visualizzazione):






















Al primo posto quello che potremmo definire un classico senza tempo, una Rochefort 10 del 2010 splendidamente invecchiata, sontuosa. Da segnalare Nøgne Ø, che piazza ben quattro birre nei primi posti (ma forse le bevute in vacanza ottengono dei punteggi un po' più generosi del dovuto, influenzati dal piacere del viaggio), seguito da Struise, Mikkeller, The Kernel ed Extraomnes con due a testa. Tra i nomi poco noti, mi permetto di evidenziare gli exploit degli inglesi di By The Horns, con una splendida Porter, e l’italiano White Dog con una Golden Ale freschissima e riuscitissima. 
La Top 35 per nazione viene però vinta dal Belgio, con 8 birre, seguita da Italia (7) ed Inghilterra (6). Solamente 21 le birre Americane bevute nel 2013 (nel 2012 erano state 48) ma ben cinque di queste si trovano nei primi posti.   

Concentrandoci solamente sul nostro paese, ecco “la Top 20” (che per accorpamento di punteggio diventa una “Top 22”) delle birre che ci sono piaciute di più tra quelle bevute nel 2013:

Baladin, Barley e l’exploit White Dog al primo posto, seppur con minimo scarto rispetto a chi li segue; ma se guardiamo al numero di birre presenti in questa Top 22, è Extraomnes a farla da padrone piazzandone ben quattro, seguito da Ducato, Barley, Montegioco, Foglie d’Erba e Revelation Cat (che tuttavia ha gli impianti in Inghilterra) con due a testa.

Anche quest’anno, ecco qualche classifica meno seriosa.   

Le dieci birre più alcoliche bevute:




Le bevute più esose (prezzo al litro, escludendo quelle bevute “al tavolo”): 












E quelle meno care, dove la Germania ha tradizionalmente una forte presenza. Si fa valere anche il Lussemburgo, grazie al basso regime di tassazione, dove vi consiglio caldamente di acquistare, se ci passate, sia birre locali che belghe. Segnalo infine l’ottimo rapporto qualità prezzo della Forst Sixtus Doppelbock, che però non ha nei supermercati italiani la stessa reperibilità di altre birre Forst meno interessanti.








Per chi fosse interessato alla lista completa, la trovate qui:

-    ORDINATA PER STILE (secondo la classificazione di RATEBEER, non vogliatecene male)   

E dopo tutto questo snocciolamento di numeri, è quasi ora di stappare la prima bottiglia del 2014.

domenica 29 dicembre 2013

Rochefort Trappistes 8 (Cuvée 2010)

Chiudiamo il 2013 (il blog va in vacanza sino all'epifania) con una birra non proprio natalizia, se non per l'etichetta. Davvero azzeccata quella della magnum (1, 50 lt.) che ogni anno i monaci dell'abbazia di St. Remy Brasserie producono con un etichetta a tema natalizio; la versione 2010 (o Cuvée 2010, come segnalato sotto al logo trappista) raffigurava una la slitta di Babbo Natale che trasportava una enorme bottiglia di birra. Nessuna differenza, ovviamente, per quel che riguarda la birra, se non che il generoso formato dovrebbe teoricamente garantire un miglior invecchiamento. Formato da condividere tra vari commensali durante il pranzo di Natale o, se preferite, da bere più lentamente nel giro di qualche giorno; con un'accurata ri-tappatura, infatti, questa Rochefort 8 ha dimostrato di saper reggere in modo soddisfacente al passaggio dei giorni.
Un classico, sorella minore della (da me) adorata Rochefort 10, con la quale finisco inevitabilmente ed inopportunamente  col confrontarla. La grande bottiglia ha un'ottima influenza sull'aspetto di questa Rochefort 8, tradizionalmente un po' bruttina alla vista. Nel bicchiere arriva invece di uno splendido color marrone rossastro, con riflessi ambrati, leggermente velato; assolutamente perfetta la schiuma, di colore beige chiaro, molto fine e compatta, cremosa, con buona persistenza. Al naso oltre che al marchio di fabbrica Rochefort (pera), ci sono sentori di uvetta, banana matura, prugna, frutta secca e leggere note liquorose che ricordano uno sherry.
In bocca sorprende per il modo impressionante in cui l'alcol (9.2%) è nascosto; corpo medio-pieno e bollicine ancora molto vivaci anche dopo tre anni di cantina. Oleosa e molto morbida, con note di uvetta, prugna e datteri, caramello, zucchero candito, frutta secca (mandorle, noci). La dolcezza del gusto ė bilanciata da una bella secchezza finale che riesce quasi a ripulire il palato, creando quell'isante di attesa necessario per poter ancor meglio assaporare il retrogusto, abboccato, caldo e morbido (ricco di frutta sotto spirito) dove finalmente l'alcol fa sentire la sua discreta presenza. Sorella minore della Rochefort 10, dicevo, con la quale condivide diversi elementi risultando senz'altro più facile da bere e meno alcolica. Meno carica di corpo, meno intensa e complessa della 10, con una capacità d'invecchiamento leggermente minore, può essere un'ottima birra da pasto o da dopocena; personalmente ho provato grande soddisfazione ad abbinarla, forse un po' banalmente, a datteri secchi ricoperti di cioccolato amaro; il dattero e la birra si richiamavano a vicenda, con il cioccolato che si sposava perfettamente con il morbido tenore alcolico della Rochefort 8, completandosi e specchiandosi l'uno nell'altro. Il riflesso nella birra erano delle note di cioccolato amaro che ricordavano quelle della Rochefort 10. La  perfetta chiusura di questo anno di birra sul blog. Auguri a tutti.
Formato 150 cl., alc. 9.2%, scad. 12/2014, pagata 19.80 € (drink store, Italia). 

venerdì 27 dicembre 2013

Kirkstall Dissolution Extra IPA

Ultimo debutto del 2013 sul blog, quello della Kirkstall Brewery che si trova nella omonima località negli immediati dintorni settentrionali di Leeds, nel West Yorkshire. Il nome scelto è lo stesso di un precedente birrificio attivo dal 1871 al 1983 sul canale Leeds-Liverpool; ma il paese di Kirkstall ha una tradizione brassicola che trova le sue radici ancora prima, nel dodicesimo secolo, quando alcuni monaci fondarono un'abbazia (con annesso birrificio) sulle rived del fiume Aire. I resti della Kirkstall Abbey sono ancora oggi considerati l'abbazia cistercense meglio conservata di tutti il Regno Unito; anche l'edificio che molti secoli più tardi ha ospitato la Kirkstall Brewey è ancora in piedi ed è stato recentemente restaurato e dichiarato sito d'interesse scientifico nazionale. La sua posizione sul canale permetteva il trasporto diretto delle birre via barca sino al porto di Liverpool e quindi l'esportazione verso le colonie inglesi anche in Australia e Nuova Zelanda. Negli anni di maggior splendore, la Kirkstall possedeva diversi pub ed aveva acquistato due birrifici di Leeds, prima di essere poi acquistata a sua volta, nel 1938 dalla Dutton's di Blackburn; la Dutton's venne poi comprata nel 1957 dalla Whitbread che ammodernò i vecchi impianti della Kirkstall ma, a seguito della lenta ma inesorabile crisi che colpì tutti i birrifici inglesi nell'ultima metà del secolo scorso, fu costretta a chiuderla definitivamente nel 1983. Dei 18 birrifici (e 150 brewpub) attivi nell'area di Leeds agli inizi del ventesimo secolo, ne sono oggi rimasti solamentre tre:  Leeds Brewery, Ridgeside Brewery, e Wharfebank Brewery. L'edificio della Kirkstall rimase in uno stato di degrado e di abbandono sino alla fine degli anni '90, quando fu oggetto di un ambizioso progetto di recupero che la trasformò nel Kirkstall Brewery Student Village,  dando alloggi ad oltre un migliaio di giovani studenti; il sito oggi include anche un bar, negozi,  una sala biliardo, una lavanderia, una palestra ed una sala in gradi di ospitare eventi e concerti.
Nel giugno del 2011 si aggiunge un quarto produttore di birra a Leeds: è  la "nuova" Kirkstall Brewery, in un edificio che si trova letteralmente all'ombra del vecchio stabile della storica Kirkstall; l'uomo dietro al progetto è Steve Holt, persona con una lunga esperienza nell'industria brassicola nonchè proprietario della Vertical Drinks Ltd, noto distributore ed importatore di birre  per il Regno Unito da Stati Uniti (soprattutto Sierra Nevada, dal 2003), Belgio e Germania. E' proprio la Craft Beer Revolution americana ad ispirare Steve Holt a mettere in piedi un proprio birrificio; la produzione (impianto da 8 barili) è affidata al birraio Dave Sanders (ex Elland Brewery). L'idea è quella di realizzare delle birre a metà strada tra l'innovazione americana (Sierra Nevada in primis), sopratutto per quel che riguarda le luppolature, e la tradizione della vecchia Kirkstall Brewery.  Sono in particolare i nomi delle birre a guardare al passato: la Pale Ale chiamata "Three Swords" (tre spade), si rifà al vecchio logo della Kirkstall (tre pugnali), mentre la birra che stiamo per stappare, chiamata Dissolution Extra IPA, si riferisce alla soppressione o dissoluzione dei monasteri in Inghilterra (tra i quali anche la Kirkstall Abbey) messa in atto da Enrico VII tra il 1536 ed il 1540.
All'aspetto è di color arancio pallido, velato, con sfumature dorate; la schiuma è biancastra, fine e cremosa, ed ha una buona persistenza. Ottimo benvenuto con un aroma fresco, elegante e pulito dove troviamo mandarino e pompelmo con delicate sfumature più dolci di frutta tropicale (mango, passion fruit), melone retato e lampone maturo. Un equilibrio molto ben riuscito che però non viene purtroppo replicato allo stesso livello in bocca; il corpo medio e la carbonazione bassa la rendono morbida e gradevole al palato, dove c'è anche una notevole intensità. Il gusto è però forse eccessivamente carico di dolce, con molta frutta tropicale, una leggera deriva nel miele, ed una controparte amara di pompelmo, resina e pino che però non "morde" come dovrebbe e che non è particolarmente elegante. Discretamente attenuata, ha qualche leggera nota di biscotto;  è una birra solida che scorre però un po' a rilento dal bicchiere allo stomaco. Il delicato e pungente aroma (figlio di un abbondante dry-hopping) suggeriva uno scenario un po' diverso, intenso sì, ma leggero e raffinato; c'è comunque un buon livello di pulizia, ed il risultato finale e tutto sommato abbastanza soddisfacente, anche se non al livello di molti altri birrifici inglesi che abbiamo imparato a conoscere nell'ultimo anno.
Formato: 50 cl., alc. 6%, lotto 083355, imbott. 12/08/2013, scad. 08/2014, pagata 3.33 Euro (beershop, Inghilterra).

mercoledì 25 dicembre 2013

Founders Porter

Mike Stevens e Dave Engbers, amici dai tempi del college ed homebrewers, fondano nel novembre 1997 a Grand Rapids (Michigan) la Canal Street Brewing Co., abbandonando le loro precedenti occupazioni; è la conclusione di un lungo progetto partito tre anni prima, passati ad elaborare ricette, disegnare etichette e scegliere la giusta location. La scelta cadde su un edificio fatiscente in Monroe Avenue (il Brass Work Buildings), un tempo nota come Canal Street, dove nel 1800 avevano sede la maggior parte dei birrifici di Grand Rapids. Le prime etichette delle bottiglie riportavano infatti una vecchia fotografia in bianco e nero che raffigurava quattro birrai seduti su di un grande barile di legno; su di loro capeggiava la parola "Founders", ovvero i "fondatori" (della birra a Grand Rapids). Racimolati i fondi necessari tra amici, conoscenti ed un prestito di 350.000 dollari da una banca, parte l'avventura della Canal Street Brewing Co. LLC (il nome della società è ancora questo) che ben presto viene però conosciuta da tutti solamente come Founders. Stevens ed Engbers si occupano di tutto, dalla produzione di birra alla gestione del brewpub annesso, con l'aiuto di qualche amico e volontario, ma le cose non vanno secondo le attese. La line-up delle prime birre (una Red Ale, una Pale Ale, una Weizen ed una Porter) non ottengono grandi consensi e la situazione finanziaria peggiora di mese in mese; i fornitori richiedono di essere pagati in contanti (quando ci sono), e nel 2000 i due birrai non riescono più a pagare l'affitto, le rate del prestito e si trovano con otto mesi di tasse arretrate da pagare. A giugno del 2001 la United Bank gli notifica sei giorni di tempo per rientrare di 550.000 dollari; prima di dichiarare bancarotta, Stevens ed Engbers fanno un ultimo tentativo andando a parlare con Peter C. Cook, un famoso uomo d'affari e noto filantropo di Grand Rapids; l'incontro termina apparentemente senza nessuna decisione, ma dopo un paio di giorni i birrai ricevono una telefonata da parte della banca: il signor Cook si era personalmente fatto garante del loro debito. Per invertire la rotta, Mike e Dave chiamano a lavorare con loro il birraio Nate Walser (ex New Holland Brewing Co.); viene completamente rivoluzionata l'offerta delle birre, sostituendo  le birre semplici ed anonime con altre molto più robuste, complesse ed impegnative (e costose da produrre). Nello stesso anno (2001) nascono la Centennial IPA, la Dirty Bastard e la Breakfast Stout con le belle etichette disegnate da Grey Christian, tutte birre che ottengono uno straordinario successo. Il birrificio continua in lieve perdita per altri sette anni, ma gli affari vanno bene ed a bordo salgono altri investitori per un nuovo finanziamento da 4 milioni di dollari che consente alla Founders una prima espansione nel 2007, con il trasferimento negli attuali più ampi locali di Grandville Avenue. Seguono altri quattro ampliamenti all'edificio per portare la capacità massima annuale sino a 340.000 barili. Founders diviene il quinto maggior birrificio del Michigan, dietro a Bell's, New Holland, Brewery Vivant e Saugatuck Brewing Co., con una stima di circa 175.000 barili prodotti nel 2013;  un tasso di crescita medio del 72% all'anno, negli ultimi tre anni, e finalmente dividendi che vengono distribuiti agli azionisti. Dal 2010 Founders è costantemente (per quello che conta) nella Top 4 dei miglior birrifici al mondo secondo Ratebeer. Continuiamo il divertissement del beer-rating anche per introdurre la birra di oggi: Founders Porter, raffinatissima etichetta e terza miglior Porter al mondo secondo Ratebeer; seconda miglior American Porter al mondo secondo Beer Advocate.
Passando invece alle cose serie, ecco la birra nel bicchiere: aspetto inappuntabile, color ebano scurissimo, che non lascia praticamente filtrare nessuna luce. Schiuma di dimensioni molto modeste, neppure un paio di centimetri, ma a trama fine e molto cremosa, di colore nocciola. Il naso è pulitissimo ed elegante, anche se non molto pronunciato: orzo tostato e caffè macinato colpiscono subito l'olfatto, mentre in sottofondo ci sono sentori più sottili di vaniglia, brownie, mirtillo, tortino di frutta al cioccolato (chocolate fruitcake) ed una leggera nota affumicata. Splendida alla vista, sontuosa in bocca: corpo medio, poche bollicine, morbidissima e vellutata. Grande intensità di caffè e tostature, gusto molto amaro nonostante i "soli" 45 IBUs dichiarati (questo per dimostrare ancora una volta la relativa utilità di questo indicatore) che viene però ammorbidito da una perfetta acidità. Il cerchio si chiude correttamente con un ritorno al punto di partenza, l'aroma: il retrogusto ripropone infatti mirtillo, cioccolato amaro ed una leggera nota di cenere, oltre ovviamene all'amaro di caffè e di torrefatto. Birra pulitissima, dall'incredibile intensità per un ABV tutto sommato modesto (6.5%) che soddisfa ed appaga il palato pur riuscendo a scorrere con enorme facilità: perfettamente descritta in etichetta come "dark, rich and sexy"; è più complessa al naso che in bocca, dove però finisce per essere quasi un piccolo capolavoro di semplicità ed armonia. Da innamorarsi.
Formato: 35.5 cl., alc. 6.5%, scad. 01/06/2014, pagata 3.10 Euro (beershop, Inghilterra).

Alcune note conclusive:
- a chi si domandasse, dopo aver letto la descrizione di questa birra, quale sia effettivamente oggi la differenza tra una Porter ed una Stout, consiglio di leggere questa risposta di Martyn Cornell.
- le Founders sono già apparse qualche volta in Italia, ad intervalli abbastanza irregolari. La buona notizia è che dal 2014 la loro reperibilità in Italia sarà molto più diffusa (sperando che siano trattate dai distributori in maniera appropriata).
- negli USA con circa 10-11 dollari posso comprare un 6 pack di Founders Porter, una grandissima birra.  In Italia, con gli stessi soldi (circa 8 Euro) compro al massimo (a volte non bastano) un paio di bottiglie da 33 cl. di una buona, forse ottima Porter italiana. Quanta strada abbiamo ancora da fare...

martedì 24 dicembre 2013

Hibu Trhibu

Bottiglia numero tre per il birrificio Hibu di Bernareggio, che avevamo incontrato per la prima volta giusto un anno fa, nel periodo delle festività natalizie. Facciamo una breve sosta dalle dolce e sostanzioso birre natalizie solleticando un po' il palato con l'amaro del luppolo. L'occasione viene con la IPA del birrificio, chiamata Trhibu, un bel gioco di parole che rimanda al nome del birrificio stesso, agli IBU (International Bitterness Units) tanto cari per gli amanti dell'amaro ed alle immagini tribali dell'etichetta.  Purtroppo non è riportato né in etichetta né sul sito del birrificio il mix di luppoli utilizzati per questa Thribu. Leggermente velata nel bicchiere, è di color oro antico con una bella testa di schiuma bianca, compatta e fine, dalla buona persistenza. Al naso rivela un bouquet vario ed interessante, che però non brilla di freschezza e che quindi risulta meno fine ed elegante di quanto potrebbe essere: un territorio molto familiare per gli amanti delle IPA, fatto di frutta tropicale (mango, passion fruit), pompelmo, arancia (marmellata, anziché frutta fresca); più in secondo piano sentori erbacei, di resina e, sorpresa, di lampone. Anche in bocca la mancanza di freschezza si fa purtroppo sentire, spostando la bevuta più verso il dolce che sull'amaro. 
L'ingresso di biscotto e caramello è seguito da note fruttate molto dolci (quasi candite) di mango e di melone, marmellata d'arancia. Il corpo è medio, la consistenza è abbastanza watery/leggera ma è una IPA che non scorre a grande velocità; la bevuta è un po' pesante, il finale non è molto secco, non c'è un taglio amaro che ripulisce la bocca ma solo qualche timida nota di scorza di pompelmo, vegetale e lievemente resinosa. C'è una buona pulizia ed intensità nel gusto, ma questa bottiglia di Trhibu viene a mancare proprio nel momento del bisogno (d'amaro); discreta, rimane nel bicchiere più a lungo del dovuto a causa di una mancanza di freschezza che la rende poco vivace e poco snella. Andrebbe ovviamente riprovata in condizioni migliori, ma come al solito su questo blog ci limitiamo alla descrizione specifica della bottiglia acquistata (e pagata).
Formato: 33 cl., alc. 6.9%, scad. 01/06/2015, pagata 3.90 Euro (foodstore, Italia).

lunedì 23 dicembre 2013

Dupont Avec les Bons Voeux 2010

Nel 1970 la Brasserie Dupont decide di omaggiare alcuni dei suoi migliori clienti con una birra natalizia, dalla forte gradazione alcolica: la birra non ha un nome vero e proprio, ma reca semplicemente la scritta "Avec les bons vœux de la Brasserie Dupont", ovvero "con gli auguri della Brasserie Dupont". La birra ottenne un grande successo tra i clienti, e convinse il birraio Marc Rosier a commercializzarla regolarmente (a partire dal 1996, secondo quanto riporta Michael Jackson nel suo Great Beers of Belgium) utilizzando proprio quell'augurio come nome della birra. E' la Dupont dalla gradazione alcolica più alta (9.5%), oggi disponibile nei formati da 37.5, 75 cl. ed in fusto. Pare sia molto difficile trovare un accordo sulla categoria stilistica d'appartenenza: l'abbiamo trovata definita come saison (invernale), triple, strong ale ed anche barley wine.
Edizione 2010 (come marchiato sul tappo di sughero) quella che andiamo ad aprire; shelf life di cinque anni ma, dal confronto con esemplari più giovani, non sembra essere una di quelle birre che migliorano con il passare degli anni. Nel bicchiere si presenta di un bel color dorato carico velato, con sfumature arancio; generosa la schiuma, biancastra, fine e cremosa e dalla discreta persistenza. L'aroma non è particolarmente pronunciato, appare un po' stanco ed ha ovviamente perso il vigore e la speziatura della gioventù: c'è una lieve nota rustica , un po' terrosa e di cantina (polverosa), ma soprattutto miele d'arancio, albicocca disidratata e frutta candita (pesca, arancio). 
In bocca stupisce subito per il modo in cui l'alcool viene nascosto; davvero impossibile scommettere sugli oltre 9 gradi dichiarati in etichetta. Il corpo è medio, discreta la carbonazione per un risultato finale molto gradevole e morbido in bocca. Troviamo note di crosta di pane, di miele, di frutta gialla (pesca ed albicocca) e di arancia; la dolcezza è molto ben bilanciata da una lieve acidità (lattica) che riesce a rendere la Bon Vœux molto scorrevole e quasi rinfrescante, al palato. Porta in dote una pulizia ed un equilibrio pressoché da manuale, ed è solamente alla fine, nel retrogusto ricco di frutta sotto spirito, che l'alcool si manifesta con un morbido tepore. Birra da manuale, gustosa e solida, che non dovrebbe mai mancare ad ogni Natale e che sparisce dal bicchiere con facilità presentando il conto al bevitore quando è ormai troppo tardi. Ma è doveroso anche citare questo interessante abbinamento sponsorizzato da Schigi: pasta e fagioli.
Formato: 75 cl., alc. 9.5%, lotto 102376 15:46, scad. 11/2015, pagata 5.44 Euro (beershop, Italia).

domenica 22 dicembre 2013

Struise Tsjeeses Reserva Port Barrel Aged 2011

Netta è la direzione che gli Struise Urbain Coutteau e Carlo Grootaert  hanno intrapreso negli utimi anni, dopo aver anche dismesso i panni di birrai "zingari" (o beer firm) ed aver inaugurato i propri impianti produttivi. Il grande successo che hanno ottenuto in paesi come gli Stati Uniti e la Scandinavia, paesi disposti a spendere anche molti soldi in birre dall'alta gradazione alcolica e quasi sempre barrel-aged. L'invecchiamento in botte sembra essere ormai diventata un priorità per gli Struise, con la stessa cotta di birra che finisce a passare qualche mese in diversi tipi di botte e viene poi immessa sul mercato a prezzi molto poco belgi. Inevitabile che in botte ci finisse anche la loro birra natalizia, o "winter tripel", come la definiscono, chiamata Tsjeeses. La parola, pronunciata, suona all'incirca come l'inglese "cheeses" ed ha anche una certa assonanza con "Jesus".  In verità - dice Urbain Coutteau - si tratta solamente di un'esclamazione senza alcun significato: sarebbe quello che lui stesso avrebbe pronunciato dopo aver assaggiato la prima versione di questa birra invernale, restandone favorevolmente impressionato. L'assonanza non fu però particolarmente apprezzata dalla TTB (Alcohol and Tobacco Tax Trade Bureau) Americana; l'etichetta, ancora meno. L'immagine caricaturale di Urban Coutteau che indossa un cappello da Babbo Natale con il fumo che gli esce dal naso ("inebriato dalla birra appena bevuta", dicono gli Struise) venne considerata dagli ispettori americani un'immagine offensiva che raffigura una specie di Gesù Cristo sotto l'effetto di stupefacenti. Il risultato fu il divieto d'esportazione negli USA, uno dei mercati principali del birrificio belga. Dapprima gli Struise pensano di modificare l'etichetta coprendo il volto di Babbo Natale con un burka nero ma poi, onde evitare altri problemi con le autorità a stelle e strisce, scelgono un approccio più "soft" eliminando il fumo che esce dal naso e mettendo addosso a Santa Claus un paio di innocenti occhiali da sole verdi alle bottiglie destinate al mercato statunitense.
Tre le versioni barricate (per sei mesi, credo) della Tsjeeses; una in semplici botti di quercia, una in botti che hanno ospitato Bourbon, e la terza in botti che hanno ospitato Porto. Mi è toccata in dote quest'ultima, per una di quelle bottiglie che compri giusto una volta l'anno e la tieni da aprire in una occasione speciale. Sontuoso l'aspetto, un bellissimo color ambrato carico, leggermente velato, con riflessi ramati. La schiuma, ocra, è finissima e cremosa, molto persistente; vi sono piccole particelle di lievito sospese nel bicchiere. Al naso sentori di legno, quasi di polvere, che lasciano dopo qualche secondo spazio a marzapane, tortino di frutta, caramello, uvetta e datteri; man mano che la birra si scalda emerge un leggero carattere che ricorda un vino liquoroso, o un porto, per l'appunto. Molto rotonda al palato, con un corpo tra il medio ed il pieno, una discreta carbonazione ma soprattutto una bella consistenza oleosa e densa, morbida, avvolgente. La bevuta non entusiasma da subito, questa Tsjeeses Reserva  ci mette più di qualche minuto per "aprirsi" e dare il meglio di sé, rivelando una gran bella complessità. Arancia e cedro canditi, datteri disidratati ed uvetta, caramello, miele d'arancia, zucchero di canna, con delle sottili note di porto che fanno di tanto in tanto capolino. Birra molto potente (10%) ma estremamente raffinata e lontana da ogni prova di forza fine a se stessa; l'alcool è molto ben dosato, riscalda il palato e lo abbraccia senza mai pungerlo o bruciarlo. Molto ben attenuata, con una partenza dolce che viene pian piano a scemare grazie ad una lieve acidità finale; c'è anche una leggera nota amaricante (scorza d'arancia) ma soprattutto un sublime retrogusto etilico quasi infinito, morbido e dolce, caldo ed avvolgente, pieno di frutta sotto spirito e impreziosito da note di porto. Birra complessa ed appagante, non difficile da bere ma che dev'essere sorseggiata con grande tranquillità in poltrona: delude un po' nei primi sorsi, ma datele il tempo che necessita per aprirsi nel bicchiere e (forse) non rimpiangerete i soldi spesi per l'acquisto. Sbaglierò, ma mi ha dato l'impressione di poter reggere ancora diversi anni con un buon potenziale d'invecchiamento in cantina. 
Formato: 75 cl., alc. 10%, lotto 2311270611 THT ACDPA, scad. 26/12/2017, pagata 24.00 Euro (beershop, Italia).

sabato 21 dicembre 2013

St. Bernardus Christmas Ale 2010

La Christmas Ale dovrebbe essere la più giovane tra tutte le birre della St. Bernard Brouwerij di Watou. Ha molto in comune con la "sorella" ABT 12; sembra che infatti fosse inizialmente chiamata ABT +, ed era prodotta in piccolissime quantità riservate, come regalo di Natale, ai dipendenti del birrificio ed ai clienti di lunga data. I commenti più che positivi hanno poi convinto il birrificio a commercializzarla con il nome di Christmas Ale. Una Belgian Strong Ale o Quadrupel (a voi il dilemma del dove incasellarla, se ci tenete), che condivide con la ABT 12 lo stesso lievito e la stessa imponente gradazione alcolica (10%); all'aspetto è velata e di un bel color ambrato carico / marrone, con riflessi rossastri; molto bella anche la schiuma, compatta, cremosa, color ocra e molto persistente. Delude invece il naso, chiuso, quasi assente; bisogna davvero faticare per "tirare" fuori sentori di prugna, zucchero caramellato, marzapane. S'avverte anche qualche leggera nota aspra di amarena, ed una lieve speziatura (noce moscata).  In bocca è meno imponente di quanto la gradazione alcolica lasci intuire: il corpo è medio, la carbonazione abbastanza sostenuta, con una consistenza oleosa-ma-non-troppo che la fa scorrere abbastanza bene. 
L'attacco è dolce, con caramello, biscotto al burro, uvetta sultanina e prugna disidratata, ben bilanciato da una leggera asprezza di frutti rossi (mirtillo rosso, ribes, prugna acerba); la bevuta quindi si alleggerisce progressivamente, con un finale quasi secco e molto pulito. L'amaro è impercettibile, il retrogusto è etilico, caldo e morbido, di nuovo a metà strada tra note dolci di uvetta e più aspre di frutti rossi. E' una birra che si lascia bere con sorprendente facilità, considerandone la gradazione alcolica; il dazio che paga è di non risultare particolarmente calda ed avvolgente, senza dare quella sensazione di "winter warmer". Pochi profumi, pochissimi indizi di Natale, un mezzo riscatto in bocca ma è una bottiglia che ci lascia un po' delusi, anche perché il confronto con la sorella ABT 12 è quasi inevitabile. Finisce di diritto nella lista delle "birre da riprovare".
Formato: 75 cl., alc. 10%, lotto C A 08:34, scad. 17/09/2015, pagata 8.80 Euro (food store, Italia).

venerdì 20 dicembre 2013

Struise Pannepeut (Pannepøt) 2008

Non è esattamente una birra natalizia, ma il periodo dell'anno è comunque quello adatto per una corposa Struise Pannepeut; per parlare di questa birra dobbiamo obbligatoriamente rinviarvi ad un'altra, ovvero la Pannepot che abbiamo bevuto ad inizio anno. Se i due nomi sono molto simili, pensate che in origine lo erano ancora di più, con la Pennepeut che nacque chiamandosi Pannepøt; la lettera presa dall'alfabeto danese non è casuale. La prima Pannepøt venne infatti prodotta nel 2006, al Københavnske Øldage 2006, ovvero una one-shot che gli Struise prepararono per quel festival di Copenhagen. La differenza con la Pannepot non risiede solamente nella lettera "ø"; ci sono molte similitudini, è vero, ma da quanto si legge in giro vi sarebbe almeno un diverso mix di spezie a diversificare le due birre; vero anche che dei birrai (belgi, soprattutto) non bisogna fidarsi mai troppo. La Pannepøt ottenne comunque un buon successo in Scandinavia e convinse gli Struise a metterla in produzione regolare riuscendo, un pò più lentamente, a far poi breccia anche tra i bevitori belgi. Poco dopo il nome venne anche cambiato da Pannepøt a Pannepeut, per aiutare i clienti al di fuori della Scandinavia a meglio identificare le due birre.
Siamo quindi davanti ad una imponente (10%) Belgian Strong Ale, che venne prodotta presso gli impianti della Deca (a Vleteren), dove gli Struise si appoggiavano quando ancora non avevano impianti propri. La Pannepeut si presenta di un bel color marrone scuro, con leggeri riflessi ambrati; la schiuma è di dimensioni modeste, un po' grossolana, e vi sono piccole particelle di lievito in sospensione nel bicchiere. Aroma abbastanza complesso, vinoso (marsala, sherry) con una leggera ossidazione; datteri, uvetta, ciliegia sotto spirito, toffee, un lieve ricordo (dopo 5 anni) di spezie. Splendida in bocca, piena e molto poco carbonata, morbida, ricca, oleosa, davvero appagante. Il gusto non di discosta più di tanto dall'aroma, con un carattere di vino liquoroso, dolce e caldo, ricco di uvetta e prugne; l'alcool ha una presenza tutto sommato morbida e discreta, mai sopra le righe. La marcata dolcezza viene comunque ben equilibrata da una lieve acidità finale e da una timida nota amaricante che ricorda la china; termina lunghissima, con un retrogusto etilico ricco di frutta sotto spirito. Una bottiglia che ha ormai virato nel territorio dei vini liquorosi, leggermente ossidata, ma che regala ancora grosse soddisfazioni, soprattutto se (come al sottoscritto) vi piacciono i vini come sherry, marsala, porto, i passiti. Perse negli anni le spezie di gioventù, è una birra da sorseggiare lentamente a fine pasto che mostra gli anni senza aver perso in vigore ed in struttura. E' ancora potente e rotonda, avvolgente, da bere lentamente in tutta tranquillità.
Formato: 33 cl., alc. 10%, lotto B, scad. 03/2015, pagata 4.90 Euro (beershop, Italia).

giovedì 19 dicembre 2013

De Dolle Stille Nacht 2009

Dopo la "doverosa" ma giovane ed esuberante Stille Nacht 2013 di ieri è il momento di passare a qualcosa di più maturo, andando indietro di quattro anni a stappare una bottiglia di Stille Nacht 2009, per una mini verticale che si è rivelata molto interessante. Il colore è leggermente più scuro della 2013: arancio, ramato, con qualche riflesso ambrato, schiuma di modeste dimensioni, color ocra, cremosa e dalla discreta persistenza. Non molto vitale l'aroma, se lo confrontiamo con quello quasi esplosivo della Stille giovane appena arrivata: dolce, grande dominio di miele d'arancio, albicocca, poi sentori di marmellata d'arancio, cedro e qualche accenno di toffee. Ma è sufficiente un sorso per rendersi conto della grande evoluzione che la birra ha avuto nel corso degli anni: morbida, ricca di frutta come uvetta e datteri, con un discreto carattere vinoso, marsalato, ed una leggera ossidazione assolutamente non sgradevole; lasciandola respirare nel bicchiere emergono più in secondo piano note di miele d'arancio, marzapane, frutta secca. Anche per lei (come per la 2013) il corpo è medio-pieno, con un netto calo delle bollicine ed una bella morbidezza oleosa; è invece sparito del tutto l'amaro, presente in minima parte nella 2013. Il dolce è anche qui stemperato da una lieve acidità finale, cui fa seguito un lunghissimo retrogusto etilico, morbido e caldo, ricco di frutta sotto spirito, straordinariamente appagante. 
Bottiglia che ha smaltito la vivacità e la leggere asperità della gioventù ammorbidendosi ed amalgamandosi: l'alcool è molto meno percepibile rispetto alla 2013, con una complessità al palato che rivela diverse sfumature ad ogni boccata. Il peso degli anni gravita in maniera negativa soprattutto al naso, con un aroma un po' spento, ma  la 2009 vince con facilità il confronto gustativo con la sorella minore. Nonostante la lieve ossidazione, si lascia sorseggiare con enorme piacere, facendosi apprezzare sorso dopo sorso, per un perfetto dopocena di una fredda notte d'inverno. Il leggero carattere marsalato la rende tuttavia anche un'interessante abbinamento a diversi dolci: il panettone è forse la scelta più ovvia, anche se la perfezione potrebbe essere raggiunta, come suggerisce Stefano Ricci, affiancandola ad uno stollen. Ed il pensiero a fine bevuta è sempre quello: per quante ne abbiate messe cantina, rimpiangerete sempre di non averne comprata, a suo  tempo, qualche bottiglia in più.
Formato: 33 cl., alc. 12%, lotto 10/2009, scad. 10/2012.