mercoledì 1 giugno 2016

Pretty Things Barbapapa

Ultima birra della beerfirm americana Pretty Things Beer & Ale Project, fondata da Dann Paquette e Martha Holley con sede operativa a Cambridge, Massachusetts. La loro storia l’avevo già riassunta qui.  Parlo di ultima birra non in senso temporale ma assoluto, in quanto a fine novembre 2015 Dann ha annunciato la chiusura del progetto iniziato nel 2008. Da allora assieme alla moglie Martha si è preso un periodo sabbatico utilizzato per viaggi a tema birrario che potete seguire sull’account twitter dell’ex-beerfirm.
Non sono stati resi noti i motivi che hanno portato alla chiusura di Pretty Things, ma proprio attraverso il suo profilo twitter Dann Paquette aveva lanciato nell’ottobre 2014 pesanti accuse verso diversi bar di Boston e dintorni ai quali non riusciva più a vendere la birra, denunciando di fatto l’esistenza del sistema “pay-to-play”  (“paga-se-vuoi-giocare”) anche nel mondo della craft beer. “Boston is a pay to play town and we’re often shut out for draft lines along with many beers you may love”, aveva scritto. Di cosa si tratta? Di distributori (o birrifici) che offrono denaro ai locali per avere una o più spine riservate alle proprie birre, escludendo di fatto tutti gli altri. Offrire o chiedere soldi in cambio di “committed lines” è una pratica illegale per l’Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau statunitense, in quanto concorrenza sleale che limita la scelta per il consumatore.  Per birrifici di medie e grosse dimensioni non è un grosso problema riconoscere ad un bar 5.000/10.000 dollari l’anno per ottenere in cambio la sicurezza di avere spine sempre occupate dalle proprie birre lasciando fuori altri concorrenti. Ricordo che, con le dovute differenze da stato a stato, dalla fine del proibizionismo negli Stati Uniti è in vigore il Three-tier system che regola la distribuzione della birra: nella maggioranza dei casi, i birrifici non possono distribuire la propria birra ai locali e ai negozi. Birrificio, distributore e rivenditore finale sono i "tre soggetti" che compongono questo sistema.
Sei mesi dopo lo sfogo di Paquette, lo stato del Massachusetts aprì un’inchiesta ufficiale nei confronti della Craft Beer Guild LLC, il distributore di Pretty Things, scoprendo almeno una quindicina di casi in cui erano stati pagati sino sino a 12.000 dollari in cambio di “spine in esclusiva”. Fu condannato anche Gordon Wilcox del Wilcox Hospitality Group, proprietario di diversi bar e locali a Boston: Wilcox era stato il primo a tuonare contro il tweet di Paquette, dandogli dell’ubriaco e affermando che l’unico motivo per il quale Pretty Things non veniva servita nei suoi locali era il rapporto qualità-prezzo ($200 a fusto anziché gli $99-$170 di altri birrifici). Per chi volesse divertirsi a leggere, segnalo questo e questo thread sul forum di Beer Advocate. 
Non sappiamo se sia stato il disgusto verso queste pratiche a far prendere a Paquette la decisione di chiudere la propria beerfirm e di staccare la spina per un po’: il sito ufficiale lascia comunque intravedere la possibilità di qualche nuovo progetto futuro. Di certo c’è che lo storico inglese Ron Pattinson, che aveva lavorato con Pretty Things alla  replica  di alcune ricette recuperate dagli archivi storici di birrifici inglesi, si sta muovendo per cercare altri birrifici interessati a portare avanti il suo progetto.

La birra.
Barbapapa è una massiccia (12%) imperial stout  che veniva prodotta come tutte le Pretty Things presso la Buzzards Bay Brewing di Westport, Massachusetts. La sua ricetta parla di malti Pale Ale, Maris Otter, Amber, Brown, Black, Roasted, frumento maltato, orzo in fiocchi e orzo tostato; l’unico luppolo utilizzato è il Chinook. 
Nel bicchiere è molto bella, completamente nera con un cremoso e compatto cappello di schiuma color cappuccino dall’ottima persistenza. L'aroma purtroppo è alquanto deludente, non c'è quella complessità o perlomeno quella ricchezza che ti aspetteresti di trovare in una birra così importante. Pulizia ed intensità sottotono, leggeri profumi che ricordano una fruit cake, caffè, carne e forse anice, il tutto sostenuto da una discreta presenza etilica. Fortunatamente le cose migliorano subito al palato, a partire dalla sensazione palatale lussurreggiante: birra dal corpo pieno, con poche bollicine ed una consistenza cremosa, morbida ed avvolgente, estremamente appagante. Passano in rassegna tostature, caffè e cioccolato al latte, fruit cake e caramello bruciato, accenni di vaniglia: la bevuta è intensa con l'alcool (12%) che si fa sentire senza mai esagerare. Nel finale oltre alle tostature arriva anche il luppolo, con note resinose, a ripulire il palato per qualche attimo quasi rinfrescante (anice) prima del lungo retrogusto nel quale in un ottimo equilibrio convivono caffè e tostature, cioccolato e liquirizia, accompagnate da un morbido ma evidente calore etilico.
Nel complesso un'ottima imperial stout che si sorseggia in tutta tranquillità senza grossi sforzi: sottolineo "nel complesso" perché la bevuta risulta alla fine molto gradevole, ma la pulizia e l'eleganza dei singoli elementi potrebbe essere migliore. Qualche punto in meno per l'aroma davvero sottotono. 
Formato: 65 cl., alc. 12%, imbott. 12/2014, 12.00 Euro (beershop, Italia).

NOTA:  la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio della bottiglia in questione e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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