La storia della Lees Brewery inizia nel 1828 quando “il pensionato” John Lees, dopo aver passato una vita a lavorare con il cotone, acquista un terreno a Middleton (Manchester) e fonda un birrificio. Nel 1876 l’azienda passa nella mani del nipote John William: è lui a rinominarla in JW Lees & Co. e soprattutto a progettare la nuova Greengate Brewery che ancora oggi, nella Middleton Junction, produce le birre JW Lees. La proprietà è ancora nella mani dei discendenti di sesto grado di John, ovvero Richard, Christopher, William, Simon, Michael e Christina Lees-Jones.
L’azienda conta un migliaio di dipendenti, possiede anche 35 pub e ne controlla un altro centinaio; suoi anche due hotel (Alderley Edge e The Trearddur Bay), il distributore Willoughby’s Wine Merchants e l’importazione esclusiva nel Regno Unito della birra Bohemia Regent; nel 2015 JW Lees ha annunciato il fatturato record di 64 milioni di sterline, ottenuto principalmente proprio attraverso l’acquisizione e il rilancio di numerosi pub. Il piano industriale prevede il raggiungimento dei 100 milioni entro il 2020. Michael Lees-Jones è il birraio con il compito di continuare una tradizione che non guarda alle mode del momento: le flagship beers, disponibili in cask e bottiglia, sono la MPA – Manchester Pale Ale, le bitter JW Lees e John Willies, la dark ale Moonraker e la strong ale Manchester Star.
Oggi voglio però parlare di un’altra “stella”, quella chiamata Harvest Ale. Si tratta di un barley wine (11.5%) che viene prodotto solamente una volta l’anno e messo in vendita a partire dal 1 dicembre. Il nome deriva dal fatto che per produrla viene utilizzato solamente il primo raccolto dell’anno di luppolo East Kent Goldings e anche – dicono – il primo "raccolto" di orzo/malto Maris Otter: ricetta semplice, monomalto e monoluppolo, che lascia al lievito inglese della casa il compito di farla fermentare nelle vasche aperte di rame costruite nel 1876. Si dice che l’idea per la birra nacque nel corso di una lunga chiacchierata dopocena tra Richard Lees-Jones, a quel tempo presidente dell’azienda, ed il birraio Giles Dennis: entrambi si trovavano ad una riunione della Brewers Association a Blackpool.
Non si porta dietro la fama della Thomas Hardys Ale ma la Harvest Ale di JW Lees è un barley wine capace di invecchiamenti altrettanto prolungati e, soprattutto, di regalare analoghe (se non superiori) soddisfazioni ed emozioni. Non è una birra moderna e non viene importata in Italia: la si può trovare nella madre patria o (a volte con sorprendente facilità) negli Stati Uniti dove vengono destinate la maggior parte delle bottiglie, soprattutto nelle più rare versioni affinate in botte (Porto, Sherry, Lagavulin).
Prodotta nel 2005, questa versione della Harvest Lee ha poi riposato per quattro mesi in cask di legno che avevano in precedenza ospitato Willoughby Rayoso Cream Sherry; queste sono le uniche informazioni che sono riuscito a reperire in internet. L’ho incrociata per caso – assieme ad altre versioni - qualche anno fa in un supermercato americano a Las Vegas: un contrasto con la realtà circostante quasi stridente. Quando sei negli Stati Uniti pensi solamente alle birre locali, ma era per me impossibile non mettere nella valigia almeno una di quelle Harvest Ale prodotte ben nove anni prima, anche se consapevole dei rischi collegati al “vintage”.
Ambrata, più che schiuma genera una disordinata serie di bolle biancastre e piuttosto rapide a scomparire. Caldo, dolce ed avvolgente, l’aroma apre con sensuali note di sherry, toffee ed uvetta, prugna: ma è un percorso tutto da scoprire che con il passare dei minuti fa emergere anche profumi di legno e ciliegia, miele, liquirizia, un filo di fumo. Le note ossidative (lieve cartone bagnato, sangue) sono sorprendentemente nascoste nel vino liquoroso e non intaccano per nulla la piacevolezza dello splendido aroma. Al palato è praticamente piatta ed ha una consistenza media che sorprende (di nuovo!) per essere completamente priva di eccessi sciropposi nella sua dolcezza. La bevuta è straordinariamente morbida e calda, evoca sensazioni del tutto paragonabili a quelle di un grande vino fortificato che hai deciso di scegliere come compagno per chiudere una giornata: lunga, a tratti quasi infinita, questa bottiglia di Harvest Ale ammalia con il suo sherry e con un percorso gustativo assolutamente coerente con l’aroma e mostra in alcuni passaggi una freschezza (ovvero una lieve acidità) quasi incredibile per una birra di dodici anni. Senza mai eccedere l’alcool riscalda e rincuora, sorso dopo sorso, mentre l’occhio osserva già con un velo di tristezza il bicchiere che lentamente inizia a svuotarsi.
Bottiglia in stato di grazia, invecchiata miracolosamente bene e che sembra di poter andare ancora oltre; se nella birra ci sono poesia ed emozioni, questo è un piccolo scrigno dal quale attingere a piene mani. Una bevuta al di fuori dal tempo, indimenticabile, di quelle che ti lasciano con il cuore infranto ma felice: ogni sorso una piccola morte.
Formato: 27,5 cl., alc. 11,5%, anno 2005, pagata 11,99 dollari (food store, USA)
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