martedì 17 ottobre 2017

CRAK Grisette


Al contrario delle Saison, quello delle Grisette è un (sotto) stile ancora poco conosciuto e poco esplorato dai birrifici contemporanei; conviene allora approfondire un po’ l’argomento. Secondo quanto racconta Phil Markowski nel libro “Farmhouse Ales”  le nascita delle Grisette è conseguenza diretta dei cambiamenti nell’economia della Vallonia avvenuti alla fine del diciannovesimo. L’industria mineraria (carbone e pietre) stava crescendo a scapito dell’agricoltura e i birrifici iniziarono a produrre birre per dissetare tutti coloro che erano arrivati in Vallonia per lavorare nelle miniere. 
Non ci sono molte notizie storiche sulla nascita di queste birre e non c’è neppure certezza sull’origine di questo nome: “grisette” erano chiamate le giovani lavoratrici delle fabbriche che indossavano un abito grigio (gris, in francese). Pare che queste giovani portassero anche quei vassoi pieni di birre che accoglievano e rinfrescavano i minatori alla loro uscita dalle miniere; grigio era ovviamente il colore dei porfiriti (pietre) della Vallonia settentrionale, e di polvere grigia erano ricoperti i minatori al termine delle loro dure giornate di lavoro. Non è dunque difficile ipotizzare in quel periodo molti birrifici (almeno trenta, secondo quanto sostiene Joris Pattyn) producessero birre indirizzate a quei minatori che stavano velocemente sostituendo i braccianti agricoli.  
Secondo alcune fonti storiche le “grisette” erano leggere e rinfrescanti, generosamente (per gli standard dell’epoca) luppolate: non erano di solito utilizzate quelle spezie e quei cereali non maltati tipici delle Saison; per alcuni erano dorate, per altri ambrate. Tutti concordano invece sul loro basso contenuto alcolico (3-5%), inferiore a quello delle Saison, in quanto destinata a gente che doveva poi riprendere a lavorare. Ma lo stesso non poteva dirsi dei braccianti agricoli? Secondo Yvan De Baets esistevano “grisette jeune” (giovani), prodotte finché le temperature lo consentivano e  “grisette de garde”, prodotte da settembre a dicembre e destinate poi al consumo nei mesi più caldi, quando non era possibile birrificare. Vi erano probabilmente anche le  “grisette supériere” dal contenuto alcolico più elevato e probabilmente consumate nei ai giorni di riposo o a quelli di festa: con i “second runnings” delle grisette e venivano probabilmente anche prodotte delle “biere de table” dal contenuto alcolico ancora più basso e destinate a sostituire l’acqua. 
Nel corso del ventesimo secolo la parola Grisette è andata estinguendosi, rischio corso anche da quella Saison, "salvata" dal punto di vista brassicolo solamente dalla produzione Dupont. L’unico birrificio belga ad aver abbracciato il termine “grisette” è stato St. Feuillien, per motivi di marketing:  le sue Grisette Blanche, Grisette Blonde, Grisette Cerise e Grisette Fruits de Bois hanno poco a che vedere con la tradizione storica.


La birra.
A realizzare una delle poche Grisette italiane ci prova il birrificio CRAK, oggi sulla cresta dell’onda soprattutto per le sue New England IPA: la sua interpretazione moderna, oltre ad un generoso double dry hopping di Lemondrop e Hull Melon, prevede l’utilizzo di scorza di limone e d’arancia; i malti utilizzati sono Pilsner e Dextrine.  La gradazione alcolica (5.6%) è un po’ superiore a quella di una Grisette che sarebbe stata offerta ai minatori valloni.
Il suo colore è un arancio piuttosto pallido sul quale si forma un cappello di schiuma un po' scomposto dalla discreta persistenza. Al naso c'è una buona pulizia che permette di apprezzare i profumi di limone, cedro e polpa d'arancia; in sottofondo fenoli, erbe officinali, scorza d'arancia e un leggero carattere rustico. L'alcool è molto ben nascosto, quasi inavvertibile e questa Grisette scorre rapidamente senza nessun intoppo: il corpo è tra il medio ed il leggero, con una buona carbonazione a donarle una discreta vitalità. A supporto della generosa luppolatura c'è una base maltata piuttosto lieve che lascia intravedere crackers e miele; un velo di arancia zuccherata introduce un percorso finale, senza ritorno, ricco di agrumi: limone, cedro, pompelmo. Nell'amaro finale, di modesta intensità e durata, fa anche capolino una nota terrosa. Nel bicchiere c'è una birra molto bilanciata e discretamente secca: una leggera acidità la rende molto rinfrescante e dissetante, con un'intensità di sapori davvero notevole. Quello che un po' le manca è la caratterizzazione del lievito, quella nota rustica che mi aspetterei di trovare in una sorta di Saison: la bevuta è invece patinata, generosamente ed educatamente fruttata anche se un po' slegata in alcuni passaggi. Più luppolo che lievito in una birra è comunque estremamente godibile, da bere senza focalizzarsi su nome e contesto storico.
Formato: 33 cl., alc. 5.6%, imbott. 07/09/2017, scad. 07/01/2018, prezzo indicativo 4.00-4.50 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

Nessun commento:

Posta un commento