OWA, ovvero Europa (O) e Giappone (WA): queste le lettere scelte da Leo Imai, quarantenne nativo di Yokohama, per dare vita alla sua beerfirm nel 2007. Dopo aver lavorato in Giappone al ristorante del birrificio Kirin, nel 2001 Imai si sposta in Scozia per frequentare Brewing and Distilling alla Heriot-Watt University di Edimburgo. Dal 2003 inizia a fare pratica presso alcuni birrifici in Irlanda, Germania e Belgio; è proprio qui che coglie l'occasione di sfruttare la capacità produttiva inutilizzata del birrificio dove sta lavorando per lanciare la sua beerfirm OWA.
Al centro del progetto c'è l'abbinamento gastronomico, e ogni birra è studiata per accompagnare pietanze giapponesi. Si parte con un birra ambrata chiamata semplicemente Owa alla quale viene affiancata la stout Kuro. Da quanto capisco le ricette vengono studiate su un piccolo impianto che si trova nel comune di Uccle, poco fuori Bruxelles, e vengono poi prodotte su grande scala altrove; attualmente Imai si appoggia agli impianti di Van Den Bossche, ma in passato ha prodotto anche presso De La Senne, De Ranke e St. Feuillien. La stout Kuro è anche proposta in versione barricata in botti di vino rosso con il nome di Grand Cru. OWA produce poi tre lambic alla frutta, tutti caratterizzati dall'utilizzo di un ingrediente giapponese: il Sakura Lambic, con foglie di ciliegio, lo Yuzu Lambic con scorza dell'omonimo agrume e lo Ume Lambic che andiamo ad assaggiare.
La birra.
Ume è una sorta di prugna giapponese dal gusto più aspro rispetto a quelle europee; Imai utilizza quelli provenienti dalle regione di Wakayama che, oltre ad essere le più pregiate, dovrebbero essere anche quelle meno "allappanti". Con l'ume si produce in Giappone anche un liquore chiamato Umeshyu. Per il primo lotto di circa 2000 bottiglie OWA ha utilizzato lambic di due anni proveniente da Oud Beersel mentre per quelli successivi lambic di un anno di De Troch.
Il millesimo 2016 si presenta nel bicchiere di colore dorato quasi limpido: in superficie si forma una piccola schiuma piuttosto grossolana e molto rapida nel dissiparsi. L'aroma è caratterizzato dall'asprezza del limone e della frutta acerba come mela verde e uva: non ho mai assaggiato l'ume ma effettivamente qualche profumo che ricorda la prugna molto acerba c'è. La componente "funky" del lambic non è particolarmente evidente con gli odori di "cantina", polvere e legno che rimangono molto in secondo piano. Le poche bollicine presenti nella bottiglia non aiutano a dare a questo lambic particolare vitalità: la bevuta è attraversata da un'asprezza piuttosto netta (limone e uva acerba) e da taglienti note lattiche. Man mano che la birra si scalda emergono alcune note legnose e altre - molto meno piacevoli - che ricordano un po' il vomito: la chiusura è molto secca, con una lieve astringenza che rovina un po' l'effetto dissetante e rinfrescante della bevuta.
Il frutto caratterizzante non è particolarmente in evidenza, nel bicchiere ci sono molti spigoli e poca complessità: il confronto con un lambic alla prugna simile, quello prodotto da Tilquin, risulta impietoso, anche per il rapporto qualità prezzo. Mi sembra un prodotto che si può lasciare tranquillamente sullo scaffale e passare oltre.
Formato: 37.5 cl., alc. 5.5%, lotto 2016, scad. 02/2023, prezzo indicativo 12.00 Euro.
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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