giovedì 18 gennaio 2018

Eastside Sleazy Way Imperial Stout

Ritorna sul blog Eastside, birrificio di Latina che abbiamo già incontrato in diverse occasioni. Fondato nel 2013 da Luciano Landolfi, Tommaso Marchionne, Alessio Maurizi, Cristiano Lucarini e Fabio Muzio, Eastside si è lasciato alle spalle un 2017 molto attivo e piuttosto ricco di novità e collaborazioni, per cercare di stare al passo con le mode. Tra le ultime arrivate ricordo, in ordine casuale,  Fata Morgana  (scotch ale / wee heavy), Terzo Grado (una massiccia triple IPA), Fade Away (double witbier), The Truth (IPA prodotta con luppolina), Pineapple Chunk (collaborazione con Kees, una NEIPA con ananas), Overdrive (collaborazione con Birrificio Mezzavia), Castle Bravo (NEIPA realizzata in esclusiva per i locali Artisan, Scurreria e La Belle Alliance), Sempre Visa (Pilsner), alcune variazioni sul tema Sour Side (berliner weisse alla frutta) e un’edizione speciale “juicy” della Six Heaven. Ne avrò sicuramente dimenticata qualcuna.  
Oggi facciamo però un passo indietro al 2016, quando Eastside realizza la sua prima imperial stout, uno stile del quale non ho mai trovato interpretazioni veramente soddisfacenti da parte di birrifici italiani, tranne poche eccezioni (qui e qui, ad esempio). 
Sleazy Way, termine che nello slang americano indica una modalità losca, sporca o poco corretta per raggiungere un risultato; nel nome è infatti racchiuso parte del processo produttivo di questa birra. L’intenzione è quella di simulare un passaggio in botte di whisky, utilizzando cubetti di rovere francese che sono stati lasciati a bagno nel distillato per qualche mese.  La scorrettezza è ovviamente segnalata in modo “ironico”, perché la pratica di utilizzare chips di legno è abbastanza frequente nel mondo della birra. Se pensiamo alle imperial stout, l’esempio più famoso è probabilmente quello della Yeti Oak Aged di Great Divide. 
Colgo l’occasione per aprire una parentesi e dare un avviso ai naviganti birrofili meno esperti: fate attenzione a quello che trovate scritto in etichetta! Oak Aged non significa Barrel Aged: pensateci bene prima di spendere cifre elevate per acquistare birre (americane) il cui prezzo non è sempre giustificato. Benché i cubi e le chips di legno “simulino” il passaggio in botte, per quanto ben realizzato il risultato finale non è assolutamente paragonabile a quello di un vero invecchiamento in botte. Le tempistiche e i costi di realizzazione, ovviamente inferiori, dovrebbero riflettersi sul costo finale del prodotto che dovrebbe essere minore rispetto a quello di una birra “barrel aged”.  Mi riferisco proprio al caso della Yeti Oak Aged, che non fa botte ma che mi capita spesso di vedere in vendita agli stessi prezzi, se non addirittura superiori, di birre invecchiate in botte.

La birra.
Torniamo in Italia con una bottiglia di Sleazy Way prodotta all’inizio del 2016. Il suo colore è un ebano piuttosto scuro che s'avvicina al nero, mentre la schiuma, cremosa e abbastanza compatta, rivela una buona persistenza. Al naso orzo tostato e caffè dominano la scena, in secondo piano accenni di legno affumicato e whisky, frutta sciroppata, carne. L'intensità, dopo due anni passati in bottiglia, è ancora buona mentre pulizia ed eleganza sono ampiamente migliorabili. Lo stesso si potrebbe dire del gusto: ci sono tutti gli elementi giusti ma non sono definiti con la dovuta precisione. Caramello, liquirizia, frutta sotto spirito e whisky danno il via ad una bevuta abbastanza dolce che vira poi, con un passaggio un po'  po' troppo brusco, verso un amaro intenso nel quale oltre al caffè e alle tostature c'è ancora il contributo dei luppoli. E' una imperial stout "dura" e tosta, maschia, sostenuta da un vigoroso ma non eccessivo tenore etilico che riscalda ogni sorso: più che il legno, è presente il distillato in cui l'elemento è stato immerso. Il risultato è nel complesso gradevole ma ancora lontano - problema endemico - dai migliori esempi che arrivano dagli Stati Uniti o dal nord Europa: mi riferisco a pulizia ed eleganza ma anche a quel mouthfeel che, sebbene morbido e leggermente oleoso, non riesce a regalare quella sensazione di pienezza, di cremosità e di "lussuria" che personalmente vorrei trovare quando decido di stappare una imperial stout dal contenuto alcolico (quasi)  in doppia cifra.
Formato 33 cl., alc. 9.5%, lotto 20 15, scad. 12/2021, prezzo indicativo 5.00-6.00 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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