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giovedì 20 febbraio 2020

HOMEBREWED! Old Fashion Beers: Goes to Goslar, Point Break Saison & Blood Red Wine


Dopo una lunga assenza torniamo a parlare di birra fatte in casa con la rubrica HOMEBREWED!  Sul blog ritorna Andrea Di Grancio e il suo birrificio casalingo chiamato “Old Fashion Beers”, localizzato ad Empoli:  tre anni fa l’incontro fortuito con la birra artigianale che ha per sempre cambiato la sua percezione di questa bevanda. E’ stato l’inizio di un viaggio alla scoperta di stili e tradizioni brassicole, al quale si è presto affiancata la voglia di provare a fare la birra in casa districandosi tra pentoloni e fermentatori di plastica. 
A maggio 2018 mi aveva fatto assaggiare una Bitter ed un’American IPA che trovate qui; ad un paio d’anni di distanza Andrea è ancora attivissimo e mi ha mandato altre tre bottiglie. Vediamole: come sempre accade per le produzioni casalinghe aggiungo anche un ipotetico punteggio su scala BJCP.

Partiamo dalla Goes to Goslar: come il nome fa intuire si tratta di una Gose (3.8%) prodotta con malti Pilsner e Wheat Pale, fiocchi d’avena, luppoli Target ed East Kent Golding, lievito Voss Kveik#1, coriandolo e sale dell’Himalaya al momento dell’imbottigliamento. Si presenta di color paglierino, leggermente velata, schiuma cremosa e compatta, buona persistenza. L’aroma è fragrante, fresco, pulito e abbastanza intenso: pane, cereali, fiori bianchi, accenni di limone e mandarino, una delicata mineralità abbinata ad un pizzico di coriandolo. Al palato è leggera e scorrevolissima, vivacemente carbonata. La bevuta è ben bilanciata tra la dolcezza e l’asprezza della mela verde e del limone; la chiusura è secca e il finale delicatamente zesty. Una Gose pulita e precisa, molto in stile, caratterizzata da un uso molto razionale di sale e coriandolo; il risultato è assolutamente convincente e la birra evapora in pochi minuti. Segnale assolutamente positivo. C’è forse qualche lieve accenno acquoso di troppo a fine corsa ma è un dettaglio perdonabile in una birra così leggera. Per me è pronta per essere venduta commercialmente: le manca solo l’etichetta.
Aroma 9/12, Aspetto 3/3, Gusto 16/20, Mouthfeel 4/5, Impressione generale 8/10: totale 40/50

Point Break è invece una Saison (6.3%)  la cui ricetta prevede Pilsner e Wheat Pale, farro, luppoli Magnum e EastWell Golding, quest’utlimo autocoltivato.; il lievito è  WLP590 French Saison. Il suo aspetto è inappuntabile: dorata, schiuma generosa, pannosa, lunga ritenzione.  Fiori, banana, coriandolo, chiodi di garofano formano un bouquet discretamente pulito e non molto raffinato. In bocca le bollicine sono troppe anche per una Saison e tendono a mascherare quei sapori che già di loro non sono particolarmente intensi: pane, deboli accenni di miele e frutta a pasta gialla, un amaro finale terroso e zesty/curaçao di breve durata. C’è ancora molto da lavorare su questa ricetta: troppa banana, fenoli un po’ invadenti, carbonazione aggressiva, lieve astringenza e soprattutto bassa intensità. Per farla uscire un po’ dal guscio bisogna arrivare a temperatura ambiente ma in questo caso si annulla il suo potere rinfrescante. Bisognerebbe far risaltare maggiormente la componente fruttata, limitando la banana e bilanciarne il dolce con una leggera acidità: senza dimenticare quel carattere rustico che in una Saison non dovrebbe mancare mai.  Saison al farro? Per me è questa la massima espressione alla quale qualsiasi altra produzione dovrebbe cercare di avvicinarsi.
Aroma 5/12, Aspetto 3/3, Gusto 10/20, Mouthfeel 3/5, Impressione generale 6/10: totale 27/50

Passiamo a Blood Red Wine, Barley Wine (8.4%) con aggiunta di castagne affumicate, malti Maris Otter, Castagne, CaraPils, Crystal 240, Special B e CaraRed, luppolo Magnum, lievito US05. Anche questa è una birra molto bella da vedere, anche se la fotografia non le rende giustizia: ambrata con accesi riflessi rossastri, schiuma cremosa e compatta. L’aroma regala profumi di marmellata d’arancia e d’albicocca, caramello e biscotto: intensità e pulizia ci sono, peccato per l’affumicato che ricorda la plastica bruciata. Il mouthfeel è molto buono; barley wine dal corpo medio, delicatamente carbonato, morbido. La bevuta è coerente con l’aroma delineando una birra abbastanza pulita e intensa, dal profilo ovviamente dolce caratterizzato da biscotto, caramello, uvetta e prugna disidratata, marmellata d’albicocca. L’alcool si fa sentire ma non disturba, in chiusura c’è un breve passaggio amaricante terroso ma anche una leggera astinenza. Dedico un paragrafo a parte alla castagna affumicata: personalmente bandirei per legge l’uso della castagna nella birra, ma in questo caso il mezzo vuole soprattutto veicolare il carattere affumicato. Purtroppo è un fumo che a me continua a ricordare la gomma e la plastica bruciata e quindi lo trovo piuttosto penalizzante per la base di un Barley Wine che sarebbe invece abbastanza ben fatto. Per quel che mi riguarda tenterei altre soluzioni per affumicare la birra.
Aroma 6/12, Aspetto 3/3, Gusto 12/20, Mouthfeel 4/5, Impressione generale 6/10: totale 31/50

Concludendo: benissimo la Gose, da rivedere la Saison, via le castagne dal Barley Wine  😉.  Ringrazio di nuovo Andrea per avermi fatto assaggiare le birre e spero che le mie indicazioni possano essergli utili per migliorare le ricette.

mercoledì 25 ottobre 2017

Nomad Freshie Salt 'n' Pepper Gose

La cosiddetta birra artigianale, al di fuori dai nostri confini nazionali, sta sempre più abbracciando il formato lattina e anche l’Australia non sembra sottrarsi a questa tendenza.  Nomad Brewing, birrificio fondato a Sidney da Leonardo Di Vincenzo (Birra del Borgo), Kerrie Abba e Johnny Latta di Experience It Beverages (importatore di bevande) ha iniziato ad usarle nel 2016; di Nomad avevo già parlato in queste occasioni.  Alla guida dell'impianto di Nomad c'è il birraio Brooks Caretta – un birraio nomade - ex di Birra del Borgo e responsabile anche dello start-up delle birrerie Eataly New York e Eataly Roma, progetti che vedono entrambi Di Vincenzo come socio.  Per chi di voi se lo stesse domandando il birrificio Nomad è rimasto estraneo alle vicende commerciali che hanno coinvolto Birra del Borgo nell'aprile del 2015, ovvero la vendita alla multinazionale Ab-Inbev.
Quattro sono le proposte in lattina di Nomad, tutte birre stagionali estive che il formato rende facilmente trasportabili e fruibili all’aperto. A debiuttare è la Reef Pale Ale seguita dalla Freshie Salt 'n' Pepper Gose, dalla Saltpan Desert Gose (con sale rosa e lime) e dalla Rosie's Summer Punch (una berliner weisse con ibisco).

La birra.
La ricetta della Freshie Salt 'n' Pepper Gose prevede una percentuale di acqua marina prelevata alla Freshwater Beach che si trova a tre chilometri di distanza dal birrificio e pepe della Tasmania.  Il suo colore è un dorato pallido, velato, sul quale si forma una cremosa testa di schiuma bianca, compatta e dalla ottima persistenza. 
Nessuna indicazione disponibile per risalire all’età anagrafica di questa lattina ma l’aroma trasmette ancora freschezza: una lieve nota salina accompagna coriandolo e pepe,  scorza di limone, mela, mandarino. La sensazione palatale è davvero ottima: corpo medio-leggero, le bollicine conferiscono a questa gose una bella vivacità che le permette di scorrere ad alta velocità senza nessuna deriva acquosa. Al gusto c’è una notevole intensità, partendo da una base maltata piuttosto leggera (pane) che lascia subito spazio a limone, arancia e mandarino:  una moderata acidità attraversa tutta la bevuta. Il finale (agrumi) è piuttosto corto ma abbastanza secco e piacevolmente movimentato da una delicata nota pepata che si mescola ad un accenno salino: il palato rimane sempre pulito ad ogni sorso.  Una bella sorpresa questa Freshie Salt 'n' Pepper di Nomad: ci sono gli elementi caratteristici di una Gose ma anche piacevoli divagazioni che coincidono con ammiccamenti fruttati, un po’ ruffiani. Birra semplice ma non banale, molto pulita, grande bevibilità, c’è tutto quel che serve per dissetarsi e rinfrescarsi con piacere anche su una spiaggia assolata, possibilmente australiana.
Formato:  33 cl., alc. 4.5%, lotto 234, scad. 01/12/2017, prezzo indicativo 4.00 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

domenica 9 aprile 2017

Collective Arts: Gose & Papaya Saison

Debutta sul blog il birrificio canadese Collective Arts fondato da Matt Johnston e Bob Russell, entrambi provenienti da esperienze lavorative nel marketing per altri birrifici. Nel settembre 2013 i due soci aprono le porte di quella che è inizialmente una beerfirm che produce presso gli impianti della Nickel Brook di Burlington, Ontario: tutte le banche interpellate avevano infatti negato i finanziamenti necessari all'acquisto di sito ed impianti produttivi.
Collective Arts nasce attorno al concetto "la creatività nutre la creatività": se l'artigiano della birra può essere considerato nel suo piccolo un artista, perché non metterlo in contatto con altri creativi? Disegno, fotografia, illustrazione, musica e cinema sono le forme d'arte che Johnston e Russell vogliono far interagire con le proprie birre. Ogni sei mesi la beerfirm indice infatti un concorso aperto a chiunque voglia inviare i propri lavori che vengono poi selezionati da un panel di "esperti": i vincitori vedranno i propri lavori sulle etichette delle bottiglie e delle lattine, riceveranno in premio 200 dollari canadesi e manterranno il diritto d'autore. Dai seicento partecipanti alla prime edizione del 2013 si è arrivati agli oltre duemila artisti che hanno inviato i propri lavori per la sesta edizione: sessantotto i vincitori scelti.
Ma le birre oltre che "belle" devono anche essere buone: Ryan Morrow è il birraio al quale viene affidato questo compito ed i risultati gli danno ragione.  Rhyme & Reason è una Pale Ale che diventa una delle craft bier più vendute dal Liquor Control Board dell'Ontario ed il birrificio Nickel Brook non può supportare un'ulteriore crescita di Collective Arts che si trova di fronte ad un bivio: trovare altri birrifici dove far produrre le proprie birre o dotarsi d'impianti propri.
Ma visto che anche Nickel Brook stava pensando di espandersi, Johnston e Russell decidono di unirsi a quel progetto: una banca concede ai due birrifici sette dei dieci milioni di dollari necessari per acquistare e ristrutturare a Burlington l'edificio dove un tempo operava la Lakeport Brewery, acquisita dalla Labatt e poi chiusa definitivamente nel 2010. 
Inaugurato nel novembre 2015, la Arts & Science Brewing produce oggi birre sia per Collettive Arts che per Nickel Brook: nei suoi spazi anche una galleria d'arte, dove sono in mostra oltre duecento bottiglie di birra con le relative etichette realizzate dai vari artisti, un Biergarten, la taproom ed una sala da concerti che può ospitare quattrocento persone. 
E scaricando l'applicazione gratuita chiamata Blippar, potete utilizzare la realtà aumentata per visualizzare sul vostro telefono informazioni sull'artista che ha realizzato l'etichetta, vedere filmati ed ascoltare musica collegata alla birra che state bevendo.

Le birre.
Tim Barnard è uno degli artisti che nel 2015 è stato selezionato per dare vita all'etichette delle due birre che mi accingo a stappare. 
Partiamo da una Gose la cui ricetta prevede malti 2 Row e Pilsner, frumento, coriandolo, sale rosa dell'Himalaia e luppolo Saaz. Dorata e leggermente velata, schiuma bianca un po' grossolana e alquanto rapida nel dissiparsi. L'aroma mette in evidenza la scorza d'arancia, l'asprezza del limone e delle albicocche acerbe, il pompelmo rosa; in sottofondo una nota salina, accenni di coriandolo e di acido lattico. Anche al palato c'è un bel profilo fruttato che ricalca in pieno l'aroma: la bevuta è aspra e lievemente acidula, molto rinfrescante e dissetante. Limone e arancia, albicocca acerba, un velo dolce in sottofondo di pompelmo rosa zuccherato e pesca bianca. Finisce con l'amaro della scorza d'arancia, di breve durata, ed un tocco di sale. Più aspra che acida, questa Gose di Collective Arts è una bella sorpresa: molto gradevole, vivacemente carbonata, intensità elevata a fronte di una facilità di bevuta impressionante. Secchissima, evapora dal bicchiere in pochissimi minuti: il suo habitat naturale è dunque l'estate.

Le cose non vanno altrettanto bene quando si versa nel bicchiere la Papaya Saison: oltre all'omonimo frutta, la ricetta vuole frumento, malti Pilsner e Munich 1, luppolo Citra anche in dry-hopping. Assolutamente limpida e dorata, forma l'atteso e abbondante capello di schiuma cremosa e compatta, dall'ottima persistenza. La nota acidula del frumento apre le danze di un'aroma che ospita anche banana, mango, arancia e ovviamente papaia. Il bouquet è gradevole e pulito, ancora fresco. Molto meno convincente è purtroppo il gusto; frutta praticamente assente, se si eccettua la lieve presenza di papaia, appena sopra la soglia di percezione. La bevuta passa dal biscotto e dal miele dei malti al finale terroso e vegetale, con una marcata astringenza a renderla molto meno dissetante di quanto dovrebbe essere. Ma è soprattutto una Saison priva di una qualsiasi componente rustica e che non regala nessuna emozione: bevuta e dimenticata.
Nel dettaglio:
Gose, formato 35,5 cl., alc. 5.2%, imbott. 08/2016, prezzo indicativo 5.00 euro (beershop)
Saison, formato 35,5 cl., alc. 6%, imbott. 08/2016, prezzo indicativo 5.00 euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

venerdì 12 dicembre 2014

Bayerischer Bahnhof Original Leipziger Gose

Per introdurre la birra di oggi bisognerebbe ripercorre la storia della Gose, uno stile che ha rischiato di scomparire nel secondo dopoguerra dello scorso secolo e che invece è rinato e sta diventando abbastanza popolare anche grazie alla cosiddetta “rivoluzione delle birra artigianale”. Se volete approfondire, vi rimando a questo ed a quest’altro articolo che meglio di me hanno riassunto il passato della Gose.  
Riporto solo alcuni cenni,  per vostra comodità: si tratta di una birra ad alta fermentazione e prodotta con un’elevata percentuale di frumento (almeno 50-60%); l’associazione Germania-frumento  potrebbe farvi istintivamente pensare ad una Hefeweizen, ma ci sono alcune differenze fondamentali: il lievito utilizzato per fare una Gose è poco caratterizzante, l’Editto di Purezza (Reinheisgebot) viene violato in quanto si utilizzano spezie (sale, coriandolo), e vi è un’acidità lattica più o meno marcata dovuta alla presenza di lattobacilli. Il risultato è una birra chiara, leggera ed acidula, molto dissetante e rinfrescante, il cui nome deriva da Goslar, città della Bassa Sassonia dove lo stile ebbe origine e il cui fiume (Gose) aveva un’acqua naturalmente salina dovuta  che veniva utilizzata dai birrifici.  
Nel diciannovesimo secolo la popolarità delle Gose si spostò da Goslar a Lipsia, dove arrivarono ad esserci quasi ottanta Gosenschenken, ovvero locali dove la Gose veniva servita. Le devastazioni della seconda guerra mondiale provocarono la chiusura di tutti i produttori di Lipsia;  nel 1949 solamente la Friedrich Wurzler Brauerei aveva ricominciato a mescere Gose, continuando sino al 1966, anno in chiuse i battenti causa la prematura morte del proprietario  Guido Pfnister.  La Gose ritornò a Lipsia solamente nel  1986, grazie a Lothar Goldhahn, publican dell’Ohne Bedenken, che riuscì a recuperare alcune ricette originali ed a farle produrre dalla Schultheiss-Weisse-Brauerei di Berlino Est, visto che nessuno dei birrifici di Lipsia aveva mostrato interesse. Dopo vent’anni era così possibile tornare a bere una Gose a Lipsia;  nel 1995 Goldhahn fece produrre la  “sua” Gose alla Andreas Schneider Brauerei di Weissenburg, Baviera.  Il proprietario, Andreas Schneider, s’innamorò a tal punto di questo stile che decise nel 1999 di aprire a Lipsia un brewpub chiamandolo  Bayerischer Bahnhof, in quanto situato all’interno della vecchia stazione ferroviaria del centro storico della città tedesca. 
Inaugurata nel 1842, nel diciannovesimo secolo la Bayerischer Bahnhof di Lipsia era un importantissimo snodo ferroviario per chi era diretto a sud, verso la Baviera, l’Austria e l’Italia, perdendo importanza solamente nel 1912 quando venne costruita una più funzionale stazione in periferia.  Parzialmente distrutta dalle bombe delle seconda guerra mondiale, la stazione riprese a funzionare anche in assenza dei fondi necessari per completarne la doverosa ricostruzione: fu solamente dopo la riunificazione delle due Germanie che fu reperito il denaro necessario per un progetto di ricostruzione che fosse al tempo stesso conservativo e funzionale al ventunesimo secolo.  Andreas Schneider non si fece scappare l’occasione e riuscì ad inaugurare, il 19 Luglio del 2000, la nuova Gasthaus & Gosebrauerei Bayerischer Bahnhof; dal 2003, il mastro birraio è Matthias Richter. La maggior parte della produzione viene assorbita dal locale, ma sono comunque disponibili le classiche bottiglie dal lungo collo che, si dice, un tempo non venivano neppure chiuse poiché la schiuma prodotta dal lievito durante la fermentazione formava una specie di tappo "naturale".
Meno affascinante invece la bottiglia che mi è capitata tra le mani, una classica 33 centilitri. Nel bicchiere è dorata, con la velatura che è direttamente proporzionale alla quantità di birra che riuscite a far stare nel classico "cilindretto" nella quale viene servita; molto bello il cappello di schiuma, bianco, cremoso e compatto, dalla buona persistenza. L'aroma è sorprendentemente forte e pulito, con evidenti sentori floreali, di agrumi, di mela ed una discreta mineralità leggermente salina; appena percettibile la speziatura del coriandolo. In bocca regna un gran bell'equilibrio fatto di pane e di miele, agrumi, qualche nota di banana e coriandolo; il gusto è fresco e fragrante, la salinità e l'acidità sono piuttosto contenute e costituiscono solamente delle sfumature della birra, piuttosto che la sua caratteristica principale. Ne esce una birra leggera, semplice e facilissima da bere, molto scorrevole e discretamente carbonata; la leggera acidità la rende particolarmente dissetante, nel pieno rispetto dell''equilibrio e del rigore tipico della tradizione tedesca: dolce, acido e salato s'alternano senza nessun eccesso, dando forma ad una birra facilmente fruibile anche da chi si potrebbe spaventare nel leggere le parole "sale ed acido".
Formato: 33 cl., alc. 4.6%, lotto e scadenza non riportati, pagata 3.30 Euro (beershop, Italia).

Nota: la “recensione/descrizione” della birra bevuta è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.