sabato 21 marzo 2015

Wild Beer Solera

Quarto appuntamento con la Wild Beer Co., che si trova ad Evercreech, nel Somerset inglese.  I due birrai Brett Ellis ed Andrew Cooper non fanno certo mistero del loro disinteresse verso gli stili tradizionali e le real ales in cask per le quali, secondo loro, c’è già ampia offerta disponibile; il loro scopo è di entrare nel mondo della ristorazione, con birre appositamente studiate per abbinamenti gastronomici. In concreto, ciò ha significato produrre birre abbastanza inusuali, secondo la filosofia del "famolo strano": a parte alcune birre basiche (APA e IPA) realizzate con luppoli americani, la Wild ha prodotto, giusto per ricordarne alcune, una Milk Stout con caramello salato e cioccolato, una Saison con menta e cetriolo,  e un grande numero di birre invecchiate in botte e/o acide.
Anche la loro idea di "session beer" è stata sviluppata in modo poco convenzionale. Viene innanzitutto realizzata una saison con malto Pale English, una piccola percentuale di Cara tedesco, avena e luppoli Hallertau Magnum, che viene poi messa a maturare in botte con brettanomiceti. Il nome dato alla birra, Solera, indica il metodo utilizzato per l'invecchiamento:  ciò prevede che si usino diverse botti poste in verticale una sopra l'altra e l'ultima piena per 2/3. Nel momento in cui si aggiunge birra alla botte posizionata in cima, un terzo del suo contenuto viene trasferito nella botte sottostante, e così si prosegue fino ad arrivare a quella posta al suolo (detta appunto solera). 
Nel caso della Solera di Wild, viene fatto un blend con una saison fresca e il 10-20% di quella che riposa in botte; lo scopo è di arricchire la freschezza e la facilità di bevuta di una saison giovane, dal basso contenuto alcolico, con le caratteristiche più complesse di una birra che è passata in botte. L'esperimento è riuscito? Vediamo.
Si presenta di color arancio carico, opaco, con venature ramate: la schiuma avorio che si forma è fine e cremosa e ha un'ottima persistenza. Al naso c'è un discreto bouquet dove coesistono sentori lattici e di sudore, tipici dei brettanomiceti, con quelli di mela e pera,  legno, fiori bianchi. L'intensità dei profumi è buona, e la delusione è quindi grande quando la birra arriva al palato e rivela invece un gusto appena percepibile. Corpo leggero, bollicine quasi assenti, un marcata acquosità a rendere al bevuta facilissima e velocissima: fin troppo. Qualche timida nota aspra, lattica e di uva acerba, è tutto quello che il gusto sembra offrire all'inizio; bisogna far riscaldare la birra quasi a temperatura ambiente per tirare fuori qualche nota legnosa e di scorza di limone. La sensazione, tutt'altro che positiva, è quella di bere una birra acida che è stata allungata con un bel po' di acqua; il risultato è indubbiamente dissetante e rinfrescante, ma lo stesso effetto lo si può ottenere anche con un semplice bicchiere acqua.
Un blend tra "fresco" e "vecchio" deludente e riuscito piuttosto male, una birra che scorre con la stessa velocità con la quale viene poi dimenticata. Peccato.
Formato: 33 cl., alc. 4.4%, lotto e scadenza non riportati, pagata 4.30 Euro.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

1 commento:

  1. Beh no, si può fare anche semplicemente un'ottima pils.
    Non userei però il termine "stravaganza", dopo tutto il blendare birra fresca e invecchiata è qualcosa che è sempre esistito nella storia della birra, anzi... per molto tempo è stata quasi la normalità.

    Il problema è che questa è venuta proprio scialba. :)

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