mercoledì 22 aprile 2020

Adroit Theory Dia De Los Muertos Port Barrel (Ghost 706)


Adroit significa “abile e veloce nel modo di pensare e di agire”: questo è il nome scelto da Mark Osborne e dalla moglie Christina per il loro birrificio localizzato a Purcellville, Loudoun County, Virginia. Mark s’innamora della birra ai tempi del college mentre sta studiando all’estero, in Irlanda, dove scorrono fiumi di Guinness. Rientrato negli Stati Uniti non riesce più a bere quelle “fizzy yellow beer” che dominano il mercato: fortunatamente in Virginia e sulla East Coast non mancano le alternative “craft”.  Mark e Nina diventano poi titolari di un’impresa di tinteggiature, la Manor Works Painting, ma nei weekend visitano regolarmente birrifici ed iniziano a pensare di averne uno tutto loro.  Alla fine del 2011 viene fondato Adroit Theory che, con un nano impianto da appena 60 litri, era in quel momento il più piccolo produttore di tutta la Virginia: per quasi tre anni si va avanti a piccoli lotti sperimentali che vengono distribuiti soprattutto tra amici e conoscenti.
Il birrificio vero e proprio, con relativa taproom, apre le porte nel 2014 in un magazzino di 200 metri quadri: una sorta di speakeasy, nessun insegna, niente riscaldamento in inverno o aria condizionata in estate. Fusti, growlers e bottiglie (a mano) vengono vendute solo attraverso la taproom. 
In sala cottura c’è il birraio Greg Skotzko: a lui il compito di seguire le indicazioni di Mark e di elaborare delle ricette coerenti con le sue idee che vanno oltre la semplice birra. In Virginia ci sono tanti birrifici che fanno ottime birre, ma nessuno si stava spingendo oltre i limiti, nessuno pensava a birre sperimentali o aggressive. Sin dal primo giorno abbiamo deciso di non fare le stesse cose che tutti gli altri birrifici stavano facendo, e mi riferisco anche alle etichette o ai nomi delle birre”.   
Per farsi notare in un mercato craft sempre più affollato Osborne decide di sfruttare il suo amore per la musica e di creare un legame con la birra attraverso nomi e grafiche accattivanti. Il riferimento principale sono i Nine Inch Nails: le tre birre con le quali Adroit debutta sono un tributo al gruppo di Trent Reznor. B/A/Y/S (Black As Your Soul) è un’imperial stout che prende il nome da una frase del testo di Head Like A Hole;  l’imperial IPA  G/I/A/A (God Is An American) è invece un estratto dal testo del brano di Bowie “I’m Afraid of Americans”, poi remixato da Reznor. T/P/D (The Perfect Drug) è una saison chiamata esattamente come il singolo dei NIN pubblicato nel 1997. Ma non finisce qui: la strategia commerciale adottata da Adroit è quella di produrre in continuazione nuove birre per invitare la gente a tornare alla taproom ogni settimana a provare qualcosa di diverso. Ogni lotto, diverso dal precedente, viene catalogato con un codice simile a quello utilizzato dalle etichette musicali per la pubblicazione di dischi e CD: il codice alfanumerico scelto?  GHOST001, 002, etc.,  un altro riferimento diretto ai Nine Inch Nails
L’utilizzo dell’iconografia esoterica o che rimanda alla musica metal non è certo una novità per quel che riguarda la birra: tra i vari tentativi quello di Adroit è comunque ben riuscito e d'effetto. Dice Osborne: “io realizzo qualche bozza e poi lavoro con otto-nove grafici diversi, a  seconda del progetto. E’ fondamentale trovare la persona giusta alla quale affidare il concetto da sviluppare. Le nostre grafiche sono oscure e misteriose, mi piace che la gente le guardi e provi a decifrarle ma non mi focalizzerei troppo su quest’aspetto. Dopotutto si tratta di birra e prima di tutto dev’essere buona. Ma voglio anche che sia bella e artistica, come quando da ragazzo andavo nel negozio di dischi: si compra anche con gli occhi. Personalmente ho acquistato tantissimi dischi perché avevano una copertina e un libretto stupendo, e questo è quello che cerco di fare con le birre”. 
Il birrificio si dichiara specializzato in Hazy IPA, Sour alla frutta, Pastry Stouts e invecchiamenti in botte: praticamente tutto quello che i beergeeks amano bere oggi, ma non avere un nucleo fisso di birre e sperimentare di continuo comporta inevitabilmente qualche scivolone. I bevitori sembrano comunque apprezzare e Adroit inizia ad appoggiarsi ad impianti terzi, soprattutto quello della Old Bust Head in Viriginia, per aumentare la quantità e portare le proprie etichette anche al di fuori della propria area grazie alla Monarch Distribution gestita dalla moglie di Mark. Nei primi tre anni di attività Adroit produce 600 diverse birre,  o meglio sarebbe dire variazioni di alcune. Nel 2017 la coppia vende la propria impresa di tinteggiatura per concentrarsi a tempo pieno sul birrificio che nel frattempo si è dotato di un impianto più capiente da 10 barili; Bryan Younger sostituisce Skotzko in sala cottura. Anche la taproom viene abbellita e resa più confortevole: ci sono circa sedici spine ed una selezione di bottiglie e lattine. Non c’è cucina ma si possono addentare degli snack confezionati: occasionalmente è presente qualche food truck, in alternativa potete portarvi il cibo da casa o farvelo consegnare.

La birra.
Quando fu messa in commercio per la prima volta la Dia De Los Muertos diventò subito la birra di Adroit che andò esaurita più rapidamente e che fu più apprezzata dai beer-raters: alla Adroit, molto attiva sui social networks, ci tengono a farcelo sapere. La imperial  stout “base” (13%) ha poi originato una vasta serie di varianti barricate e non, spesso prodotte in poche centinaia di esemplari. Non è facile identificarle anche perché le varie versioni hanno tutte lo stesso nome e la stessa etichetta che si differenzia solamente per il colore della scritta. Quella che mi appresto a stappare oggi dovrebbe essere il lotto “Ghost 706” (informazione non riportata sulla bottiglia) imbottigliato a gennaio 2019: imperial stout  (13.7%) invecchiata in botti che avevano precedentemente contenuto del Porto.  Ne sono state prodotte solamente 300 bottiglie. 
Si presenta di colore prossimo al nero, la schiuma è cremosa, compatta ed ha una buona persistenza. Orzo tostato, fudge, caramello, accenni di caffè e di legno, un tocco di vaniglia: il bouquet è piuttosto intenso e abbastanza elegante, pur con margini di miglioramento. In bocca è leggermente oleosa e c’è inizialmente qualche bollicina in eccesso a non renderla esattamente morbida da sorseggiare: per fortuna migliora col passare del tempo. La bevuta è ricca di caramello, uvetta e prugna disidratata, frutta sotto spirito e fudge: non c’è quasi traccia d’amaro e l’alcool risulta fondamentale nell’attenuare una birra che rischierebbe di risultare troppo dolce. Il finale è l’unico momento nel quale mi parte d’avvertire tracce del liquido precedentemente ospitato nelle botti ma devo essere onesto: non avrei mai pensato al Porto se non l’avessi saputo. Il percorso termina con qualche strascico di cioccolato, di cenere e d’affumicato: una birra potente, dal contenuto alcolico importante (13.7%)  ma non una montagna da scalare: piuttosto una collina. Pulita e ben fatta, si sorseggia con calma senza troppe soste: livello piuttosto buono ma, per quel che riguarda profondità e finezza siamo ancora lontani dall’olimpo.
Formato 65 cl., alc. 13.7%, IBU 60, imbott. 25/01/2019, nr. 65/300, prezzo indicativo 15,00 euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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