Ritorna sul blog uno dei birrifici più alla moda nella scena craft del Regno Unito. Verdant Brewing, Falmouth, Cornovaglia: ve ne avevo parlato qui. Nell’autunno del 2014 James Heffron e Adam Roberts dopo quattro anni di homebrewing mettono in funzione un piccolo impianto da 200 litri all’interno di un container marittimo producendo quasi esclusivamente torbide APA ed IPA ispirate al New England. Il passaparola tra i beergeeks funziona e dopo 12 mesi d’attività Heffron e Roberts si trasferiscono in locali un po’ più ampi, aggiungono nuovi fermentatori e abbandonano le loro rispettive occupazioni per dedicarsi tempo pieno alla birra. Altri dodici mesi ed è tempo di un nuovo trasloco: quello nella zona industriale di Tregoniggie a Falmouth, dove Verdant si trova tutt’ora. L’entrata in società di Richard White consente l’acquisto di un nuovo impianto da 1,6 ettolitri: al resto ci pensa il mondo del beer-rating: alla fine del 2016 Verdant guida le classifiche di Ratebeer e Untappd, scalzando Cloudwater. I fermentatori tolgono però spazio alla taproom e Verdant lancia un primo crowfunding (26.000 sterline) per raccogliere i fondi necessari alla ristrutturazione e apertura dello Seafood Bar & Tap Room, nel centro di Falmouth. E questo è nulla paragonato alla seconda campagna di crowfunding lanciata alla fine del 2018: mezzo milione di sterline per la realizzazione di un nuovo sito produttivo (sala cottura da 35 hl, potenziale da 15.000 hl/anno) e relativa tap room. Obiettivo raggiunto e ampiamente superato: oltre duemila investitori hanno permesso di racimolare 1,35 milioni di sterline.
Le birre.
Passiamo rapidamente in rassegna altre tre lattine del birrificio della Cornovaglia: per quel che ne so le loro birre non sono ancora ufficialmente importate in Italia. Qualcuno di voi è magari riuscito ad assaggiarle all’ultima edizione del Woodscrak, festival organizzato dal birrificio padovano CRAK che annoverava Verdant tra i partecipanti.
Mary Lou è un’American Pale Ale (5.2%) che ha debuttato nell’agosto del 2017: la dedica è a LuAnne Henderson, una delle protagoniste del romanzo Sulla Strada scritto nel 1951 da Jack Kerouac e divenuto poi il manifesto della Beat Generation. La ricetta prevede malti Extra Pale Ale, Golden Promise, Caragold, Premium Cara, destrosio, avena e frumento in fiocchi, ma i protagonisti sono ovviamente i luppoli: Mandarina Bavaria, Citra, Mosaic, Nelson Sauvin. Il lievito? London Ale III. Protocollo succo di frutta rispettato dal punto di vista estetico: la schiuma è un po’ scomposta ma ha una buona persistenza. L’intensità non manca ed anche pulizia e finezza, per quel che lo stile consente, sono degne di nota: mango, pesca, melone, papaia, passion fruit: una macedonia molto matura e quindi dolce. Il gusto è un po’ meno definito ma ripropone la stessa intensità dell’aroma: mango e albicocca mi sembrano essere i due frutti che maggiormente si fanno notare. Il mouthfeel è morbido e non ingombrante, la chiusura è secca, l’alcool non è pervenuto. L’amaro è ridotto ad un velocissimo passaggio resinoso, corto e delicato: si fa quasi fatica ad notarlo. Una Juicy Pale Ale molto ben fatta che risulta alla fine vittima della sua stessa virtù: quell’essere così morbida e accomodante le toglie sprint e vitalità, soprattutto in bocca. Il livello è molto alto ma manca quel guizzo in più: sarebbe una (quasi) session beer dall’intensità impressionante se il mouthfeel “alla New England” non rallentasse il suo scorrimento.
Neal Gets Things Done è una IPA (6.1%) nella quale sono protagonisti Simcoe, Citra, Mosaic e Nelson Sauvin. Non sono riuscito a capire chi sia Il Neal protagonista di una birra che lo scorso anno provocò qualche problema a Verdant che si vide costretto a ritirare dal commercio fusti inutilizzabili e lattine esplosive. Nessun problema per le lattine messe invece in vendita lo scorso aprile. Visivamente ricorda anch’essa un succo di frutta nel quale al naso la frutta tropicale (ananas, papaia e passion fruit) viene accompagnata dalle classiche note del Nelson Sauvin (uva, lychee) e in sottofondo spunta anche il cedro. Morbida e delicata, quasi impalpabile al palato, regala una bevuta “liscia” e priva di quegli spigoli che spesso affliggono le NEIPA. Il gusto “succoso” è di ottima intensità ma risulta meno preciso e definito rispetto all’aroma: ananas e mango guidano danze che vengono poi concluse dagli agrumi in un finale molto secco nel quale l’amaro è quasi impercettibile. L’alcool si adegua facendo di tutto per non farsi notare. Aroma fresco e solare, gusto un po’ più confuso ma nel complesso “Neal” fa le cose nel modo giusto e gli amanti del juicy restano assolutamente soddisfatti.
Nonostante sia la più fresca delle tre (nata il 15/04/2019) la Double NEIPA Unique Damage (8%) mi ha convinto un po’ meno. Prodotta con malti Extra Pale Ale, Golden Promise, avena, frumento in fiocchi, frumento e destrosio, luppoli Idaho 7, Galaxy, Cascade e Columbus. E’ stata “pensata” per il festival Hop City di Leeds che si è tenuto lo scorso aprile. è quella dall’aroma meno intenso: mango, ananas, pompelmo e arancia, tracce di bubble gum. Gli elementi giusti ci sono ma rispetto alle due birre precedenti c’è meno pulizia e definizione. Anche dal punto di vista estetico il suo “essere torbida” risulta molto meno luminoso e invitante e il gusto ripropone l’aroma nel suo mix non troppo definito, anche se piacevole, tra tropicale ed agrumi. L’alcool non disturba ma fa comunque sentire la sua presenza: il percorso si chiude in maniera abbastanza secca con un breve passaggio amaro resinoso-vegetale. Chi conosce ed ha apprezzato la Pulp! non potrà fare a meno di notare la differenza: Verdant sa fare di meglio. Giusta “punizione” per quella fetta di mercato che vuole bere sempre qualcosa di nuovo anziché affidarsi alle certezze.
Nel dettaglio:Mary Lou, 44 cl., alc. 5.2%, imbott. 03/04/2019, scad. 03/07/2019
Neal Gets Things Done, 44 cl., alc. 6.1%, imbott. 01/04/2019, scad. 01/07/2019
Unique Damage, 44 cl., alc. 8%, imbott. 15/04/2019, scad. 15/07/2019
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia/lattina e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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