Torrefazione, birrificio e forno: attraverso queste attività la cooperativa Pausa Café offre percorsi di reinserimento sociale e lavorativo ai detenuti degli istituiti di pena italiani. Il progetto caffè è partito nel 2004 e gli ottimi risultati ottenuti hanno fatto da apripista per il birrificio (12 ettolitri) inaugurato nel 2009 all’interno della Casa di Detenzione Rodolfo Morando di Saluzzo. Alla guida Andrea Bertola, birraio già tra i fondatori del birrificio Troll ed un passato da homebrewer “per colpa” dell’amicizia con Luca Giaccone ed Enrico Lovera, esperti degustatori. Bertola è oggi attivo anche con altri progetti esterni a Pausa Caffè: c’è lui dietro la birreria Beertola di Cuneo (e la beerfrim Beerfulness a lei collegata) ed il birrificio Lord Chambray di Malta.
Attualmente Pausa Caffè produce una decina di birre che utilizzano spesso ingredienti provenienti dalle comunità indigene del sud del mondo, America Latina in primis: Chicca (4.5% stout con caffè Huehuetenango), Taquamari (5.2% weizen con tapioca, quinoa, amaranto e riso basmati), Dui e Mes (2.5% saison/table beer con zafferano di Taliouine e pepe nero di Rimbàs), Tosta (12.5% barley wine con cacao del Costa Rica) e le più tradizionali P.I.L.S. (4.7%), Triplete (9% tripel), Ermes (4.7% blanche) e T.I.P.A (6.7% English IPA). Oltre a queste vi sono produzioni occasionali e stagionali come la Birra Navidad (8% strong ale con melograno, cedro candito, uva sultanina e una spezia del Ceylon).
Tosta è un barley wine di scuola inglese prodotto con malti Maris Otter e Crystal, luppolo East Kent Golding e cacao Talamanca (0,01% proveniente dal Costarica). Nel 2011 per la prima volta ne è stata realizzata anche una versione invecchiata sei mesi in botti che avevano in precedenza ospitato Calvados prodotto dalla distilleria francese Etienne Dupont; non so se da allora sia poi stata replicata. Purtroppo la bottiglia in mio possesso, acquistata nel 2014 ed evidentemente destinata al mercato statunitense (lo sticker sull’etichetta è in inglese), non presenta nessuna indicazione di lotto o scadenza; la sua età anagrafica è quindi di almeno quattro anni, ma potrebbero anche essere di più. La birra è stata imbottigliata “piatta” e da quanto ne so ne esiste anche una versione “sour”, almeno così mi fu detto da un rappresentante del birrificio al momento dell’acquisto.
Il suo colore è un ambrato piuttosto torbido e poco luminoso; in superficie si formano alcune bolle grossolane che svaniscono piuttosto rapidamente. Il naso mostra buona intensità e complessità a compensazione di una finezza non esente da critiche: uvetta, prugna, datteri, caramello, frutti di bosco, sciroppo di ciliegia. Il passaggio in botte le dona interessanti sfumature legnose e ricordi di mela. Al palato non vi sono ovviamente bollicine e il gusto ripropone con minor intensità il carattere fruttato dell’aroma. Note caramellate e biscottate si mescolano a quelle di frutta sotto spirito (prugna e uvetta) per un inizio dolce che viene poi sorprendentemente stemperato da una marcata acidità e da un’asprezza (frutti rossi) che non sconfina mai nell’acetico. Il passaggio in botte si fa sentire soprattutto nel finale, con un bel tepore che richiama il Calvados: il finale è abbastanza attenuato e qualche nota legnosa anticipa una lunga scia dolce di frutta sotto spirito. Qualche lieve traccia d’ossidazione inizia a far capolino ma non sembra disturbare la bevuta: quello che mi lascia un po’ perplesso è la marcata acidità che, in teoria, non avrebbe dovuto esser presente in questa bottiglia. Non ci sono grandi profondità al palato ma il risultato è tutto sommato ancora gradevole, con il beneficio del dubbio di una birra nella quale non tutto è andato come doveva andare.
Formato 33 cl., alc. 12.5%, lotto e scadenza non riportati, pagata 4,00 euro (birrificio) NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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