Qualche anno fa in Italia era scoppiata la moda delle collaborazioni tra birrifici e le novità erano all’ordine del giorno: il fenomeno è andato via via scemando e, sebbene sia ancora presente, lo è in maniera minore. Lo stesso non è invece accaduto in Inghilterra dove ancora oggi le collaborazioni sono il pane quotidiano: i nomi più alla moda, Northern Monk, Wylam, Verdant, Cloudwater, Verdant, Track, North, Left Handed, Deya Lost And Gounded e Burnt Mill realizzano continuamente spesso birre tra di loro a quattro, sei o anche otto mani.
Ma qui stiamo parlando di “giovani”. Il birrificio Buxton, attivo dal 2009, è invece uno dei pionieri della rinascita della birra artigianale nel Regno Unito e per molti anni ha camminato con le proprie gambe, anche perché il proprio impianto è stato a lungo incapace di soddisfare la richiesta dei clienti per la Axe Edge che in quel periodo era una delle IPA più desiderate nel Regno Unito. Sono passati “solo” dieci anni ma la Craft Beer è cambiata molto in fretta. La prima collaborazione di Buxton avvenne nel 2012 con The Kernel (la NZ Pilsner), seguita nel 2013 da alcune birre fatte prima assieme a To Øl e poi a BrewDog nel corso della BrewDog Collabfest 2013; birre subito passate nel dimenticatoio.
Bisogna arrivare al 2014 per vedere nascere una collaborazione che è entrata nella storia (della birra artigianale): Yellow Belly, imperial stout realizzata assieme ad Omnipollo che ha (purtroppo, aggiungo io) avuto un successo ed un’influenza micidiale nel nostro continente. Si aprivano le porte (dell’inferno) delle pastry stout. Da allora Buxton ha iniziato a premere l’acceleratore delle collaboration grazie anche all’aumentata capacità produttiva: nel 2015 con gli americani di Arizona Wilderness, Evil Twin, gli Olandesi di Oedipus, i soliti amici di To Øl , i norvegesi di Lervig e un’altra manciata di birre-dessert assieme ad Omnipollo. Nel 2016 i danesi di Dry & Bitter e ancora tante birre a due mani con Omnipollo; nel 2017 Stillwater (USA), To Øl, Omnipollo, Dugges (Svezia), Hawkshead, Fierce e Cromarty (UK), L’anno scorso solamente Stone Berlino, Tempest (UK) e Omnipollo, quasi un anno di pausa in preparazione di un 2019 che è stato molto intenso: J.Wakefield (USA), Van Moll (Olanda) e finalmente un po’ di UK: Track, Verdant, Northern Monk, Wylam e Magic Rock.
La birra.
E’ nato “solo” nel 2014 ma in fatto di collaborazioni ha pochi rivali, almeno nel Regno Unito: parliamo di Verdant, uno dei birrifici attualmente più alla moda che abbiamo già incontrato in più di una occasione. Il popolo di Untappd lo elegge attualmente come secondo miglior birrificio inglese dietro a Mills Brewing; Buxton si posiziona invece solamente al tredicesimo posto. Ma se guardiamo la classifica delle migliori birre, la situazione di capovolge e Buxton passa in testa: Yellow Belly Sundae BBA è al primo posto, Anniversary Coward al terzo e Yellow Belly al quinto, in un trionfo di Pastry Stout. Verdant è al sesto e al settimo posto con due Double NEIPA.
La prima collaborazione Buxton-Verdant è datata agosto 2019: una Black IPA (6.6%) chiamata Everyone Was Spinning. La seconda arriva un mese dopo: identica gradazione alcolica ma colore chiaro: Citra, Mosaic, Simcoe ed Ekuanot i luppoli utilizzati per realizzare la IPA Matters of Perspective, praticamente “questione di punti di vista”. Perché, dicono i birrai coinvolti, “nulla è davvero un lavoro, a meno che tu non preferisca fare qualcos’altro”.
Il suo colore è arancio torbido, la schiuma è cremosa, abbastanza compatta ed ha una buona ritenzione. L’aroma è molto coinvolgente: fresco, intenso e pulito, una macedonia che accoglie mango, passion fruit, papaia, melone, arancia e persino qualche suggestione di fragola (o Big Babol?). Una partenza in pompa magna che crea aspettative piuttosto elevate. Colore e aroma ben corrispondono al protocollo NEIPA, mentre al palato l’effetto chewy/masticabile è solo accennato: non è tuttavia una IPA che scorre a tempo di record. Purtroppo al palato c’è solo una piccola percentuale di quel fruttato piacione e ruffiano dell’aroma: intensità, pulizia e definizione sono nettamente inferiori e la bevuta consiste in un dolce tropicale non ben definito che viene poi bilanciato da un amaro vegetale che non ricorda neppure, se non per intensità, il classico resinoso di una West Coast IPA. L’alcool si sente persino troppo rispetto a quanto dichiarato.
Aroma splendido, bevuta sotto le aspettative: una birra da annusare, soprattutto.Formato 44 cl., alc. 6.6%, lotto 23/09/2019, scad. 23/06/2020, prezzo indicativo 7,00 Euro (beershop)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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