Furono i franchi, nel quinto secolo, a fondare quella che oggi è la “capitale del luppolo belga”. Il capotribù Pupurn prese possesso di un’area strategica in prossimità di un fiume sulla strada che collegava Cassel, in Francia, con Aardenburg, in Olanda: la chiamò Pupurningahem, ovvero “la residenza dei figli di Pupurn”. Il nome nel corso del tempo fu poi mutato dei locali in Poperinge, alla quale nel 1147 il Conte delle Fiandre conferì finalmente lo status di città, riconoscendone l’importanza come centro di fabbricazione di tessuti. La cosa non piacque alla vicina città di Ypres, altro centro tessile, che vedeva messa in pericolo la propria principale fonte di reddito: i cittadini convinsero pian piano Louis de Nevers, Conte delle Fiandre, a promuovere l’editto del 1322 con il quale si dichiarava che in quella zona solamente Ypres poteva commerciare tessuti.
A Poperinge dovettero trovare nuove risorse per sopravvivere e decisero di provare a coltivare quel luppolo che era arrivato dall’abbazia di St. Bertins a Saint Omer, Francia. La città belga fu poi distrutta dai francesi nel 1382 e dagli inglesi nel 1436; nel secolo successivo fu devastata da due incendi e dalla rivolta protestante del 1566: ma, quasi per un atto di clemenza, la storia decise di risparmiare Poperinge dalle distruzioni della prima guerra mondiale. Quella zona, a confine tra Francia e Germania, fu teatro di interminabili e durissimi combattimenti tra il 1914 ed il 1918 e le battaglie divennero tristemente famose per l’utilizzo – prima volta nella storia - di gas letali. Teatro principale degli scontri fu proprio Ypres, a dieci chilometri di distanza: in un clima perennemente piovoso e ostile centinaia di migliaia di soldati furono vittima del fango, dei gas e delle mitragliatrici. Alleati e tedeschi si contesero pochi chilometri di terra ma questi ultimi non riuscirono mai a sfondare: le battaglie ridussero Ypres ad un cumulo di macerie mentre nella quasi immacolata Poperinge l’esercito inglese costruì il proprio ospedale militare.
Ma torniamo al luppolo: sino agli anni ’60 fu raccolto a mano e ogni anno, in settembre, a Poperinge arrivavano sino a 10.000 lavoratori ad aiutare la popolazione locale. La raccolta manuale è oggi rimasta solamente nel folklore della tradizionale all'Hoppefeesten, una festa a ricorrenza triennale nata nel 1960 nel corso della quale si beve ovviamente birra, si sfila per le strade e viene eletta la “regina del luppolo”: le pretendenti devono mostrare di saper parlare fiammingo, inglese, ceco (la vincitrice sarà coinvolta in numerosi eventi turistici con la città gemella di Zatec) e distingere alcuni stili di birra in una degustazione alla cieca. A pochi isolati dalla piazza principale di Poperinge c’è anche il museo del luppolo, curato dallo storico Stijn Boeraeve.
Sino a pochi anni fa nella capitale belga del luppolo non c’era neppure un produttore di birra: ora è nato il microbirrificio De Plukker, all’interno della omonima azienda agricola, ma è sufficiente fare un breve viaggio in automobile (o in bicicletta, se volete sentirvi autoctoni) per entrare in una regione ad alta densità quantitativa e qualitativa: una quindicina di chilometri a nord ecco l’abbazia di St. Sixtus e De Struise, una decina ad est ci sono St. Bernard e Brouwerij Van Eecke, da poco rinominata Leroy Breweries, cognome di uno dei discendenti del fondatore Albert Van Eecke: ve ne avevo parlato in questa occasione.
A Poperinge il luppolo viene chiamato hommel, una sorta di incrocio tra ceco (chmel), francese (houblon) e botanica (humulus): nel 1981 al birrificio Van Eecke fu chiesto di realizzare una birra per la all'Hoppefeesten: nacque quasi per gioco quella Hommelbier che oggi occupa quasi il 50% della capacità produttiva di Leroy/Van Eecke. La sua ricetta prevede due malti e quattro varietà di luppoli belgi (tra i quali Brewer's Gold e Hallertau); in una nazione dove le birre amare non hanno mai goduto di grande popolarità la Hommelbier si può considerare uno dei primi esempi di Belgian Ale molto luppolata, anticipando le produzioni di De Ranke e quelle più recenti di De la Senne e di altri giovani.
Il successo ne ha fatto nascere una versione “dry-hopping” e, giustamente, una “fresh harvest” chiamata Hommelbier Nieuwe Oogst, prodotta con luppolo raccolto a Poperinge due giorni prima: la birra viene solitamente messa in vendita a partire da novembre. Il suo colore è solare, tra il dorato e l’arancio, leggermente velato e per nulla oscurato dalla candida nuvola di schiuma pannosa e compatta, quasi indissolubile, che si forma nel bicchiere. La Hommelbier “normale” è un piccolo manifesto di finezza e di eleganza e anche la sua versione Nieuwe Oogst non è da meno: l’aroma può sembrare all’apparenza dimesso ma dopo qualche secondo d’attesa si rivela in tutta la sua bellezza: tanti fiori, erba, un delicatissima speziatura, pane e crackers. Gli stessi elementi si ritrovano anche al palato per dare forma ad una bevuta elegantissima, quasi sussurrata, abbastanza secca e dal contenuto alcolico (7.5%) insospettabile: è una Strong Ale mascherata da Session, rinfrescante, morbida e tuttavia vivacemente carbonata. Un piccolo capolavoro di semplicità e di equilibrio che stupisce e che fa impallidire la maggior parte delle sgraziate “harvest ale” che spesso si trovano in giro. Certo, bisogna sempre vedere quanto luppolo fresco finisce davvero nei fermentatori, ma non è dopotutto solo "il bere bene" quello che conta?
Formato 75 cl., alc. 7.5%, lotto 2019, scad. 01/12/2021, prezzo indicativo 7.00-8.00 euro (beershop) NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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