Breslavia (Wrocław), la città dei cento ponti: in verità prima della seconda guerra mondiale ve n’erano 303, oggi ne sono rimasti solo un terzo. Ma Breslavia vanta anche un’antica tradizione birraria documentata almeno dal 1255; alla fine del diciannovesimo secolo in città erano operativi 70 birrifici e all’inizio della prima guerra mondiale si contavano circa 1200 locali servivano birra, ovvero uno ogni 50 abitanti. Alle due guerre e al successivo regime sovietico sopravvissero solamente due produttori, Piastowski e Mieszczański, che si sono poi uniti a formare Browary Dolnośląskie Piast i cui cancelli si sono definitivamente chiusi nel 2004.
Breslavia e la regione della Bassa Slesia, un tempo chiamata anche “la piccola Baviera” rimasero per dieci lunghi anni senza un produttore di birra: un’assurdità per una città che conta quasi 650.000 abitanti in un paese con uno dei maggiori consumi pro-capite di birra in Europa (97 litri a testa, il triplo di quelli italiani, giusto per darvi un paragone).
Grzegorz e Arletta Ziemian non si sono fatti sfuggire l’occasione: background in economia, esperienza nel ramo finanziario negli Stati Uniti e in Polonia, hanno trovato trovato gli investitori necessari (americani e polacchi) per aprire le porte del Browar Stu Mostów, ovvero Birrificio Cento Ponti, un omaggio alla città ma anche, dicono, un metafora di quello che la birra dovrebbe fare: un ponte che aiuta le persone a socializzare, a stare bene assieme.
L’impianto arriva dai tedeschi della BrauKon e in sala cottura vengono reclutati i birrai Grzegorz Ickiewicz e Mateusz Gulej; quello che però maggiormente impressione, guardando le immagini, è il pub annesso o taproom che dir si voglia. Design industriale moderno, beer garden, cucina a vista, bancone con sgabelli posizionato al primo piano che consente di vedere dall’altro l’impianto produttivo e tutta la sala sottostante; aperto tutti i giorni da mezzogiorno a mezzanotte.
La gamma Stu Mostów è sostanzialmente divisa in due linee: la più moderna Salamander (soprattutto NEIPA e sour alla frutta) e la più classica WRLCW (Pils e Hefeweizen ma anche Imperial Stout e Barley Wine). E’ anche già operativo un programma di Barrel Aging.
La birra.
Il suo nome dice tutto: imperial stout (11%) al carboazoto prodotta con caffè fornito dalla torrefazione Etno Cafe; di imperial stout Stu Mostów ne produce una decina di varianti, forse troppe.
Il suo biglietto da visita non è dei migliori: forse a anche a causa dell’elevata gradazione alcolica il carboazoto non produce il desiderato effetto della “fontana capovolta”. Anzi, la schiuma quasi fatica a formarsi e quel poco che c’è svanisce molto rapidamente. Caffè, tostature, tabacco e fruit cake danno forma ad un aroma intenso ma abbastanza carente in pulizia e finezza. Il corpo è quasi pieno, le bollicine sono poche; la sua consistenza è densa e oleosa ma priva di quelle carezze setose che t’aspetteresti provenire dalla parola “nitro”. Al palato caramello, fruit cake e liquirizia disegnano una bevuta dolce ma bilanciata dall’amaro del caffe(latte), delle tostature e dei luppoli: anche qui c’è intensità ma manca pulizia, precisione, definizione. L’alcool è invece piuttosto ben dosato e riscalda senza mai creare nessun intralcio ed il sorseggiare risulta piuttosto agile. Imperial stout nel complesso discreta che tuttavia non brilla nei sui due elementi che dovrebbero caratterizzarla: l’uso del caffè e del carboazoto. Un “vorrei ma non posso”, E nemmeno il prezzo al quale viene proposta in Italia, molto poco “polacco”, gioca a suo favore: nella stessa fascia di prezzo ci sono alternative, americane e non, nettamente superiori.
Formato 33 cl., alc. 11%, IBU 62, lotto 120222/202/01, scad. 12/02/2022, prezzo indicativo 7.00-8.00 euroNOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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