sabato 22 febbraio 2014

Beavertown Black Betty

Nuovo debutto sul blog, ma storia vecchia: Hackney, quartiere a nord-est di Londra dove hanno già trovato casa Pressure Drop, Redchurch, London Fields, Five Points e Howling Hops, birrifici che abbiamo già incontrato negli scorsi mesi. Si aggiunge alla lista Beavertown, anche se si trova un po' più ad est (circa 4 chilometri) rispetto al "chilometro d'oro" dove sono invece concentrati i microbirrifici sopracitati. Viene fondato nel dicembre 2011 da Logan Plant, musicista (nel gruppo Son's of Albion) e gestore del pub Duke's Brew and Que. Se il cognome Plant (associato alla musica) vi suona familiare, non state pensando male: Logan è proprio il figlio di Robert Plant, il cantante dei Led Zeppelin. Folgorato da quanto assaggiato durante un soggiorno a Brooklyn, Logan decide di portare un pezzo di craft beer revolution americana anche a Londra. Le prime produzioni di birra avvengono nella cucina del Duke's Pub, che si trova in una zona di Londra chiamata De Beauvoir Town; un'area ricca di storia e di tradizione brassicola, che in epoca vittoriana ospitava numerosi birrifici ed Ale Houses. "Beavertown" è proprio il termine con cui, nel dialetto della zona est di Londra, il Cockney, viene chiamata De Beauvoir Town. La fatidica "prima pinta" viene spillata il 15 febbraio 2012 ovviamente al Duke's and Que: si  tratta della 8 Ball Rye IPA. A marzo 2013 avviene il trasloco dalla poco funzionale cucina del Duke's Pub ad un magazzino nella Unit 4 Stour Road, con un impianto (di seconda mano) da dieci barili, ben superiore ai quattro del precedente. Ma la scorsa settimana il birrificio ha già annunciato un nuovo trasloco, otto chilometri più a nord, poco lontano dallo stadio che ospita le partite del Tottenham Hotspur, nel Lockwood Industrial Park; nell'ampio spazio a disposizione oltre al birrificio troveranno casa numerosi botti in legno per futuri invecchiamenti ed anche un bar/tasting room.
In poco più di due anni di vita Ratebeer elenca già una quarantina di birra prodotte, per lo più occasionali, mentre quelle disponibili tutto l'anno, secondo il sito del birrificio, sono solamente cinque; molto curata la parte grafica, belle etichette, teschi in abbondanza che ricordano un po' un altro birrificio di Londra, Weird Beard, e una buona selezione di magliette/merchandising.
Di sicuro avere un padre famoso aiuta ad aprire molte porte, oltre ad avere un solido supporto economico alle spalle; basta infatti annunciarsi in visita con il padre ed ecco che Sam Calagione vi apre le porte della Dogfish Head, e in men che non si dica ci scappa una birra collaborativa, che si aggiunge a quella già realizzata con BrewDog.
Black Betty è una Black IPA che fa parte del nucleo di birre prodotte tutto l'anno; buona gradazione alcolica (7.4%), malti Simpsons Best, Caragold, Caramalt, Carafa II e Carafa III. I luppoli utilizzati sono invece Magnum, Columbus, Chinook e Citra. Molto bella l'etichetta, che si apprezza però appieno solamente dopo averla staccata dalla bottiglia e srotolata;  la birra è scurissima, quasi nera, impenetrabile. Schiuma di colore beige chiaro, non molto generosa ma dalla trama fine e cremosa, discretamente persistente. Il naso è pulito e fresco, pungente: aghi di pino, pompelmo, mango, ananas e passion fruit. Emerge anche qualche accenno di pesca gialla e di lampone. Se il suo aspetto "tenebroso" può incutere terrore, il gusto è invece molto rassicurante; per buona parte si mantiene sui binari del dolce, con abbondanza di frutta tropicale (mango e ananas) e di pompelmo; bisogna attendere quasi fino sino alla fine per l'amaro che, pur non brillando d'intensità, ha un bel mix terroso/resinoso/tostato. E' questo l'unico elemento che in qualche modo richiama il colore della birra: per il resto, anche a temperatura ambiente, la Black Betty è una American IPA in tutto e per tutto, tranne che per il colore. Corpo medio, carbonazione molto bassa, è molto gradevole in bocca per pulizia ed intensità; anche l'alcool è molto ben nascosto, ed il bicchiere si svuota molto in fretta. Resina, qualche nota terrosa e di torrefatto nel retrogusto, che però è nuovamente ingentilito da un tocco di frutta tropicale. Non rappresenta l'eccellenza, ma visto la giovane età del birrificio il livello di partenza è molto alto: teniamoli d'occhio, di sicuro ne sentiremo parlare a lungo.
Formato: 33 cl.,  alc. 7.4%, IBU 60, lotto e scadenza non riportati.

6 commenti:

  1. ciao! dove l'avete comprata? si trova in italia? o solo in Inghilterra?

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    1. ciao.. l'ho presa in Inghilterra. In Italia non l'ho mai vista, non so se sia mai stata importata da qualcuno.

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    2. Prova a contattare ilcastellopub@live.it.
      Hanno tantissime birre rare, tra le quali le Beavertown; sono appassionati.
      Io mi faccio spedire qualcosa ogni tanto.
      Consigliatissimi.

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  2. Molto interessante, grazie per la segnalazione. Come hai scritto tu, il cognome aiuta non poco... :)

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  3. Ho una zia che vive a Londra e ogni tanto quando torna qui in Italia mi faccio portare un carico dei vari birrifici della zona. Nell'ultima partita era presente anche questa, ed è l'unica di cui ho conservato la bottiglia, per diversi motivi che si intrecciano tra loro. In primis, è l'unica di cui riesco ancora a ricordare vagamente il sapore, nonostante sia stata bevuta oltre 6 mesi fa. Poi c'è l'etichetta che, oltre ad essere molto bella e curata, è anche molto simbolica. Quella piramide non è messa li a caso ma è un simbolo massone, più precisamente dell'ordine degli illuminati. Nel simbolo originale poi, presente anche sulla banconota da un dollaro, al posto della "B" nel triangolo è presente un occhio e si pensa che sia collegato ad un simbolismo satanico. Poi Black Betty, chiaro riferimento musicale afro-americano anch'esso intriso di significato.
    E poi ho appena scoperto che a produrla è il figlio di Robert Plant. Un motivo in più per continuare a conservarla e ricordare la bevuta :)

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    1. la prossima volta fatti portare qualche lattina, Beavertown le ha lanciate da poco.
      Grande fortuna avere una zia in UK !

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