Il birrificio londinese The Kernel è stato una musa ispiratrice per la maggior parte dei birrifici protagonisti della craft beer revolution non solo londinese ma di tutto il Regno Unito. Fondato nel 2009 sotto le arcate ferroviarie nel quartiere di Bermondsey, oggi ribattezzatto “The Beer Mile”, nel 2012 si è poi trasferito poco lontano all’interno di “arcate più capienti” che hanno permesso un aumento della capacità produttiva. Da allora non è cambiato molto: Londra continua ad essere il mercato nel quale viene venduto il 70% della produzione, le etichette sono ancora quelle di un tempo, minimaliste e spartane, poche lettere stampate su di uno sfondo che emula la carta da pacchi. Le birre non hanno un nome, ma utilizzano solamente la categoria stilistica e il nome dei luppoli usati.
Nel futuro nessuna intenzione di crescere. Il fondatore Evin O'Riordain è contento così: “la nostra produzione è limitata dallo spazio in cui siamo. Di più non possiamo fare e siamo felici così. Non bisogna confondere il successo con l’espansione, la crescita e l’aumento di volumi. Ai miei occhi è molto più importante lavorare in modo etico e sostenibile, principi in contrasto con i paradigmi che guidano la crescita economica. Facciamo birra sul nostro impianto da 20 barili una volta al giorno, cinque giorni la settimana. Tutti quelli che lavorano qui sono felici, negli ultimi cinque anni solamente una persona ha voluto andare via. I birrifici che vogliono crescere iniziano ad introdurre turni di lavoro alla notte, alla mattina presto: noi siamo in quattordici persone, iniziamo e finiamo il lavoro tutti assieme, prestando attenzione a quello che facciamo, alternandoci. Ci conosciamo e ci fidiamo l’uno dell’altro; a turno tutti facciamo la birra, la imbottigliamo, guidiamo il muletto, rispondiamo al telefono. Non si tratta solo di lavoro… io la chiamo umanità. Quasi tutti noi abbiamo lavorato in passato al Borough Market qui vicino: quella è la nostra famiglia allargata. Alla mattina ci viene a trovare il macellaio, il fornaio ci porta il pane fatto con la stout e i croissant; pranziamo con il pane e il formaggio che vendono i nostri vicini. Allargando di un po’ l’orizzonte c’è una decina di birrifici a Bermondsey.. ed è un’altra comunità nella quale siamo coinvolti: se abbiamo bisogno di lievito o se restiamo senza tappi delle bottiglie chiediamo aiuto a Brew by Numbers or Partizan. Avere molti piccoli produttori è un bene per l’economia. Le grandi imprese tendono a sottrarre denaro agli azionisti, mentre i soldi che tu dai ad una piccola impresa rimangono in quel sistema economico, girano.
Abbiamo deciso di chiudere la nostra taproom perché non riuscivamo più a gestirla: non potevamo continuare ad usare le nostre risorse ad allungare pinte ai clienti, a gestire code di mezz’ora, a decidere chi poteva entrare e chi doveva ancora aspettare fuori dalla porta. Non riuscivamo più ad offrire alla gente quell’esperienza che le nostre birre meritavano. Eravamo diventati un luogo dove noi stessi non saremmo mai andati a bere!”
Il birrificio è ancora aperto ogni sabato ma solamente per l'acquisto di birra da asporto.La birra.
India Double Porter è la versione potenziata di quella India Porter che – come passa il tempo – avevo bevuto nel 2012. Quando si tratta di birre scure O’Riordain si ispira sovente a ricette di vecchi birrifici di Londra, rielaborandole in chiave moderna ovvero con luppoli americani. Il blog di Ronald Pattinson è una fonte inesauribile di notizie storiche e vi consiglio quindi di visitarlo se volete sapere di più sulle India Porter, molto amate dalle truppe inglesi in India nel diciannovesimo secolo.
Esistono alcune versioni della India Double Porter di Kernel che si differenziano per le varietà dei luppoli utilizzati: in questo caso parliamo di Mosaic, Simcoe e Vic Secret. Si presenta vestita di nero con un generoso cappello di schiuma cremosa e compatta dall’ottima persistenza. All’aroma c’è una curiosa convivenza tra profumi terrosi, di caffè e torrefatto, resina, frutta tropicale, pompelmo: pulito e intenso, un mix rischioso ma ben riuscito. Cos’è esattamente una India Porter? Una Black IPA? No, in questo caso è una porter generosamente luppolata e il gusto lo conferma. Il palato viene invitato a salire su specie di montagna russa che sale e scende tra frutta tropicale, resina, caffè, torrefatto e – ciliegina sulla torta – un bel finale di cioccolato fondente. Questi ultimi tre elementi non dovrebbero per l’appunto essere presenti in una Black IPA. I descrittori entrano ed escono di scena più volte, nel complesso c’è equilibrio, intensità e pulizia. L’alcool è ben gestito ed è un piacere sorseggiarla.
Birra ben fatta, di livello alto come quasi tutte le “scure” prodotte da The Kernel: tutto il resto dipende ovviamente dal gusto personale. Per me è un bel “si”.
Formato 33 cl., alc. 7.5%, imbott. 08/11/2018, scad. 08/11/2019, prezzo indicativo 5.00 euro (beershop)NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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