giovedì 14 gennaio 2016

Maui Brewing CoCoNut PorTeR

L’arcipelago della isole Hawaii annovera attualmente una dozzina di produttori di birra, equamente divisi tra brew-pub e microbirrifici. Uno di questi (Kona Brewing) lo abbiamo già incontrato qualche tempo fa, dal 2012 parte della Craft Brew Alliance, nono maggior produttore statunitense (dati del 2012) e posseduta per il 32% dalla AB-InBev. Le birre di Kona non sono prodotte soltanto alla Hawaii ma anche, per ridurre i costi, presso gli altri birrifici membri della Craft Brew Alliance. 
Assolutamente locale è invece la Maui Brewing Co., fondata nel 2005 da Garret Marreo, nato a San Diego, uno dei paradisi della “craft beer revolution”. E’ una vacanza del 2001 sull’isola di Maui a farlo innamorare dell’arcipelago hawaiano: giura che vi farà ritorno, magari in un lontano futuro per godersi la pensione, ma dopo solo due anni  il poco più che trentenne Garret molla il suo lavoro di consulente finanziario e vi si trasferisce con la moglie Melanie. L’essere cresciuto a San Diego ha ovviamente un’importanza fondamentale in quello che decide di fare: viene “educato” alla craft  dal patrigno, che gli trasmette la passione per il beer-hunting “di qualità”; la sua unica esperienza con l’homebrewing (un kit preconfezionato che esplode durante la fermentazione allagando tutta la cucina) è invece tutt’altro che memorabile. A San Diego, Garret è un abituale cliente dei brewpub di Pizza Port ed è quasi naturale che la sua idea di fare impresa alle Hawaii coincida con quella di aprire un microbirrificio in uno stato dove a quel tempo c’erano solo Kona sull’isola di Oahu (Honolulu) e il piccolo brewpub Kauai sull’omonima isola.
Dopo sei mesi passati a redigere il proprio business plan per ottenere i finanziamenti necessari ipotecando la propria casa, nel 2005 rileva a Lahaina (isola di Maui), il brewpub  Fish & Game Brewing Company & Rostisserie trasformandolo nella Maui Brewing Company. Qui lavora dal 1997 il birraio Thomas Kerns che rimane in sala cottura: nell’anno del debutto arrivano già due medaglie al Great American Beer Festival, una costante che si ripeterà anche negli anni successivi con Bikini Blonde Lager, Big Swell IPA e Coconut Porter. Thomas rimane alla Maui sino al 2008, quando si trasferisce ad Honolulu per aprire il proprio brewpub Big Island Brewhaus; l’attuale headbrewer a Maui è Darren Moser
La produzione cresce costantemente ed il successo non tarda ad arrivare: dai 400 barili/anno degli inizi del brewpub si arriva nel 2011 a 18.000, realizzati grazie all’inaugurazione nel 2007 di un nuovo birrificio a Kihei, che ha visto di recente il completamento di una fase di espansione per portare il potenziale produttivo annuo a circa 40.000 barili, ossia raddoppiandolo. Con attualmente 72 dipendenti, Maui esporta il 20% circa della produzione in 15 stati americani e in 13 paesi stranieri; dall’agosto 2014  le Maui sono le birre ufficiali delle Hawaiian Airlines. Le Hawaii non hanno nessun produttore di bottiglie di vetro, che devono essere necessariamente importate: anche per questo motivo Garret Marreo ha da subito scelto l’opzione lattina per la distribuzione delle proprie birre, ispirato dall’amico Dale Katechis del birrificio Oskar Blues (Colorado), utilizzando un produttore locale di Ohau. Lo scorso anno il birrificio ha anche raggiunto un accordo commerciale con la Stone Brewing Co. per quel che riguarda la distribuzione di birre californiane sulle isole hawaiane. Al tempo stesso, Stone è da tempo il distributore ufficiale di Maui nella California del Sud. 
Tra le ormai cento birre prodotte in vent’anni da Maui una delle più famose è senz’altro la Coconut Porter: non sono riuscito a scoprire chi abbia avuto per primo l’idea di produrre una birra con il cocco, ma indubbiamente lattina di Maui è uno degli esempi più noti. L’idea è del birraio Thomas Kerns, che inizia a sperimentare nel 2002 alcune ricette casalinghe con il cocco tostato per poi realizzare la versione definitiva al brewpub che, dal 2006 ad oggi, ottiene ogni anno diverse medaglie ai concorsi: per la ricetta vengono anche utilizzate sei diverse varietà di malti. 
All’aspetto è piuttosto scura, molto vicina al nero e sormontata da un generoso e cremoso cappello di schiuma beige, compatta e dall’ottima persistenza. L’aroma si rivela essere piuttosto semplice, rimediando con un’ottima pulizia ad un’intensità solo discreta: caffè e orzo tostato dominano la scena affiancati da note terrose e, molto più leggere, di mirtillo, cioccolato e cocco tostato. Il gusto, pur mantenendo le cose semplici, inverte il rapporto intensità-pulizia: meglio la prima, in questo caso. Gli elementi in gioco sono gli stessi (amaro di caffè e tostature, dolce caramello leggermente bruciato, lieve cioccolato e frutti di bosco scuri) a costituire una bevuta che parte con un amaro tostato deciso e via via stemperato dall’acidità dei malti scuri; finisce quasi delicata, e tra il caffè finalmente s’avverte qualche nota di cocco tostato. 
CoCoNut Porter che alla fine risulta essere meno “esotica” del previsto, ma sicuramente la distanza del luogo di produzione e la data d’imbottigliamento (giugno 2015) non giocano a favore della “caccia al cocco”; la sua presenza è davvero sottile, alla fine si trova o forse è solo la “suggestione” del sapere che “ci deve essere”. Mi piacerebbe provarla più fresca, ma anche in queste condizioni rimane una buona porter, senza acuti e senza difetti, con una facilità di bevuta quasi da “session beer” nonostante la gradazione alcolica dichiarata. Certo, berla fresca e (soprattutto) nel luogo di produzione avrebbe sicuramente un effetto molto diverso.
Formato: 35.5 cl., alc. 6%, IBU 30, imbott. 19/06/2015, scad. (importatore) 06/2016, 4.00 Euro (beershop, Italia).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

1 commento:

  1. L'ho bevuta a Settembre nel mio viaggio di nozze alle Hawaii. Posso confermare che anche fresca il sentore di cocco è lievemente accennato (cosa che ho gradito dato che non amo il sapore di cocco). Ho provato anche la Imperial Coconut Porter, qui il cocco si sente ancora meno.
    Confermo anche che berla sul luogo ha tutto un altro effetto (https://untappd.akamaized.net/photo/2015_09_25/dcdf5a1a138f3abd05638b4c915f566a_640x640.jpg)

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