mercoledì 29 maggio 2013

Crouch Vale Brewers Gold

Crouch Vale Brewery viene fondata nel 1981 da Colin Bocking e Rob Walster a South Woodham Ferrers, Sussex, in prossimità del fiume Crouch. A tutt'oggi è il birrificio più longevo del Sussex, facendo di Mr. Bocking anche il birraio più anziano di tutto il Sussex. Rob Walster ha invece abbandonato il birrificio per gestire un pub poco lontano. La gamma si compone di cinque birre fisse e di svariate birre stagionali, spesso prodotte con luppoli americani o neo zelandesi. La produzione del birrificio è di circa 5.000 barili l'anno, il 60% assorbito dalla loro birra più famosa, la Brewers Gold che nel 2005 e nel 2006 è stata dichiarata dal Camra "Supreme Champion Beer of Britain". Il birrificio possiede anche un pub a Chelmsford, The Queen's Head, dove troverete sempre almeno quattro birre di Crouch Vale assieme a quelle di altri microbirrifici inglesi; il pub si trova a circa 20 chilometri dal birrificio. Finalmente siamo riusciti a recuperare un paio di bottiglie di questo birrificio del quale abbiamo sentito parlare molto bene, e dunque passiamo senza indugiare alla sostanza. Brewers Gold nella pinta, colore oro quasi limpido (la versione in bottiglia è micro?-filtrata), schiuma bianca, un po' grossolana, cremosa. Sembra brassata esclusivamente con l'omonimo luppolo (Brewer's Gold), generosamente infuso negli ultimi momenti della bollitura; dettaglio abbastanza sorprendente, visto che l'aroma regala una splendida varietà di profumi, dal mandarino al pompelmo, albicocca, leggero tropicale (ananas), qualche sentore di miele. Naso pulito ed elegante, anche se poco pronunciato. Le sorprese non sono però finite. L'imbocco è molto leggero, quasi timido, con pane e cereali; ma proprio quando inizi a pensare che il gusto sia una mezza delusione, dopo l'ottimo aroma, c'è un progressivo crescendo che porta prima in evidenza un bel fruttato che ripropone l'aroma e poi un finale, sempre più intenso, ricco di scorza d'agrumi e note erbacee. Leggera e moderatamente carbonata, è dotata di una invidiabile secchezza che disseta e pulisce il palato ad ogni sorso, per poi riassetarlo, mentre tu sei ancora ad assaporare il retrogusto "zesty", ricco di lime, pompelmo e un leggero "tocco" dolce di frutta tropicale. Pulitissima e pericolosa session beer: crea dipendenza. Formato: 50 cl., alc. 4%, lotto 3103 15:45, scad. 11/2013, pagata 4.19 Euro (beershop, Inghilterra).

martedì 28 maggio 2013

Valcavallina Calypso

Dopo oltre tre anni (come passa il tempo!) abbiamo l'occasione di tornare ad assaggiare qualcosa del birrificio bergamasco Valcavallina, con sede ad Endine Gaiano. Il birrificio coincide con il birraio Renato Carro che, dopo circa nove anni di homebrewing, ha deciso nel 2009 di fare il grande salto e trasformare l'hobby in una professione. Ad aiutarl, sopratutto nella etichettatura, nella gestione dello spaccio del birrificio e dell'accoglienza dei visitatori  c'è la moglie Pon. Un birrificio quindi attivo da quattro anni, che ha preferito lavorare su poche birre prodotte regolarmente piuttosto che ampliare a dismisura il numero delle produzioni. Oltre alla bitter Alba Rossa, che avevamo già assaggiato, c'è la blonde ale Cavallina, la golden ale Sunflower e, protagonista di questo post, un'american pale ale chiamata Calypso. Nel bicchiere è di colore ambrato chiaro, con riflessi ramati, decisamente velato/opaco. La schiuma, biancastra, ha buona persistenza ed è fine e cremosa. Il naso (se non erriamo i luppoli usati per l'aroma sono cascade ed amarillo) non è molto pronunciato ma c'è buona pulizia ed eleganza: pompelmo, pesca, arancio e, man mano che la birra si scalda, leggeri sentori di caramello. Purtroppo in bocca non è presente la stessa pulizia, e sin dal primo sorso la bevuta risulta appesantita dalla presenza di lievito. L'imbocco è caramellato, seguito da un bel fruttato abbastanza intenso che porta in dote pompelmo, arancio e quelche accenno di tropicale (mango); a bilanciare un amaro leggermente erbaceo ma soprattutto "zesty", con scorza di pompelmo, protagonista anche del retrogusto. Abbiamo trovato questa Calypso una buona american pale ale, profumata e dalla buona intensità di gusto; peccato, come detto in precedenza, per la presenza invasiva di lieviti che sporcano un po' tutto e rendono questa bottiglia un po' "pesante" e molto meno "beverina" di quanto potrebbe essere. Risolto questo problema, ci sembra una birra godibile da bere in grandi quantità. Formato: 33 cl., alc. 5%, lotto 05/13, scad. 30/09/2013, pagata 3.00 Euro (beershop, Italia).

The Kernel Export Stout London 1890

Questa stout di The Kernel si rifà ad una ricetta del 1890 della vecchia Truman Brewery, fondata nel 1666 a Londra; oggi lo stabile è stato riconvertito ed ospita bar, uffici e negozi ma, nel 1873, con l'acquisizione della Philips Brewery di Burton, era la sede del più grande birrificio al mondo del diciannovesimo secolo. Nel 1888 diviene una società per azioni, continuando il suo percorso di acquisizioni e di crescita fino agli anni sessanta (ventesimo secolo), che videro il birrificio pagare lo stesso dazio di tutta l'industria brassicola britannica, obbligandolo a chiudere lo stabilimento di Burton, razionalizzare il numero dei pub di proprietà  e ristrutturare lo stabilimento di Brick Lane a Londra, per cercare efficienze sui costi. Nel 1971 la Truman passa nella mani della Grand Metropolitan, una compagnia che possedeva diversi rami di business, tra i quali catene alberghiere, tabacco, birra e distillati; i cambiamenti messi in atto dalla nuova proprietà riescono solo a posticipare di qualche anno la chiusura del birrificio, che avviene nel 1989. Otto anni dopo, la Grand Metropolitan si fonde con la Guinness Plc. per formare il colosso Diageo. Curiosamente, l'eredità di questa ottima stout è passata ora nelle mani di un microbirrificio di Londra e non di quelle di coloro che ancora producono la stout più famosa al mondo.  Evin O'Riordain di The Kernel riesce a guadagnare due medaglie d'oro, al SIBA South East Brewing Awards del 2011: miglior birra in bottiglia e miglior birra nella categoria porter/old ale/mild/stout. La pinta si riempe di color ebano scuro, con una bella testa nocciola, cremosa e dalla trama fine. Naso pronunciato, molto elegante e pulito: orzo tostato, caffè in grani, cioccolato amaro, sentori di mirtillo e, più leggeri, di cenere. L'arrivo in bocca è a dir poco sontuoso: vellutata, morbida, assolutamente avvolgente, poco carbonata e dal corpo medio. Il gusto è molto ricco ed intenso, pieno di caffè ed amaro di torrefatto; c'è anche, in secondo piano, qualche nota fruttata (prugne, mirtilli) ed una leggerà acidità da caffè. Lunghissimo ed estremamente appagante il retrogusto, carico di caffè amaro, cioccolato e qualche lieve nota legnosa. Splendida stout molto facile da bere ma al tempo stesso molto intensa e soddisfacente. Netto il dominio di tostature decise ma molto eleganti e mai "bruciate", gusto molto pulito, bevitore soddisfatto e contento. E' importata in Italia, quindi andate e compratela. Formato: 33 cl., alc. 6.7%, lotto 12/07/2012, scad. 12/07/2014.

lunedì 27 maggio 2013

Amarcord AMA Bruna

A novembre 2011 il birrificio Amarcord di Apecchio (PU)  annuncia la nascita di una nuova serie di birre, chiamate AMA, nate dalla collaborazione con Garrett Oliver,  birraio della Brooklyn Brewery (New York) e quasi abituale vacanziero nel nostro paese.  La Brooklyn ottiene anche l’importazione in esclusiva per il territorio americano di tutte e tre le nuove birra (Bionda, Bruna e Mora), che possono vantare un’etichetta realizzata da Milton Glaser; se il nome non vi dice nulla, sappiate che è l’ideatore del famosissimo logo “INY”.   L’ispirazione per questa AMA Bruna, brassata con zucchero candito, sono le birre d’Abbazia: nel 2012 il birrificio ha fatti grossi investimenti promozionali, con un occhio attento ai concorsi, che hanno portato una menzione d’onore al Brussels Beer Challenge di Bruxelles, argento all’International Beer Challenge, bronzo al Mondial de la Biére di Montreal e quindi argento al World Beer Challenge. Si presenta in una bottiglia con il logo del birrificio in rilievo ed un lungo collo; all'aspetto è di un bel color ambrato carico, con riflessi rubini; la schiuma, beige, è fine e cremosa ma non molto persistente. Al naso, molto poco pronunciato, ci sono sentori dolci di ciliegia, quasi sciroppata, caramello, leggera frutta secca, lievito. Si nota una discreta mancanza di pulizia, che ritroviamo parzialmente anche in bocca. Il gusto è spiccatamente dolce, con note di caramello, burro, frutta secca e zucchero candito, con quest'ultimo elemento che tende a predominare sopratutto nella parte finale della bevuta, lasciando sempre il palato abbastanza appiccicoso. Incontriamo una veloce nota amaricante, un po' astringente, che ricorda la mandorla, seguita da un retrogusto di nuovo molto dolce, leggermente caldo ed etilico, di frutta sotto spirito e zucchero candito. Birra molto zuccherina, dal corpo medio e dalla discreta carbonazione, che rischia a tratti la stucchevolezza. Anche se dichiaratamente ispirata alle "birre d'abbazia", è una bottiglia che non brilla né di pulito né  per l'apporto del lievito usato, che tende a "sporcare" la bevuta piuttosto che a donarle complessità (esteri, spezie) al naso ed al palato. Il birrificio la consiglia in abbinamento a  lasagne al forno, pasta al ragù, carni in salsa tipo gulasch e arrosti, carne alla griglia, pizze rustiche con salsiccia e patate, strudel di mele. Formato: 75 cl., alc. 7.5%, IBU 20, scad. 06/2014, pagata 5.90 Euro (supermercato, Italia).

domenica 26 maggio 2013

Mikkeller Beer Geek Breakfast

Beer Geek Breakfast, ovvero una delle birre "storiche" della beer firm più famosa al mondo, la danese Mikkeller; un birraio con un'innegabile ed acuta capacità di fare marketing e di vendere bene i propri prodotti che, sebbene fatti presso impianti altrui, sono sì autoindulgenti ma anche di ottima qualità. Non riusciamo a stabilire se questa sia la prima birra dedicata al "geekismo", termine mutuato dalla cultura anglosassone che, nella sua accezione contemporanea, indica una persona con un'interesse, una passione fuori dal comune per qualcosa da portarlo al di fuori della "normalità". E Mikkeller non si è certo lasciato scappare questo fenomeno, alimentando e sfruttando il beer geek di turno, deliziandolo e tentandolo con decine (o centinaia ?) di birre in edizione speciale, limitata, one shot e svariate collaborazioni in giro per il mondo. L'ideale "colazione" per il beer geek è dunque questa (oatmeal) stout brassata con il 25% di (ingredienti derivati dall') avena, una bella batteria di malti (pils, smoked, caramunich, brown, pale chocolate e chocolate), luppoli centennial e cascade, caffè; una ricetta nata nel 2005, ancora prima del debutto "ufficiale" della beer firm al Danish Beer Festival del 2006. E' stata prodotta per molti anni alla Nøgne Ø, ma dal 2013 la scarsa capacità del birrificio norvegese, incapace di soddisfare prima di tutto la domanda dei clienti per le proprie birre, ha costretto Mikkel a spostarsi un po' più ad nord-ovest, sempre in Norvegia, presso la Lervig. Pare che la scelta sia caduta lì proprio perché in sala cottura, a Stavanger, c'è adesso un certo Mike Murphy; il trasloco ha anche comportato un radicale cambio di etichetta, che ha sacrificato il sobrio design scandinavo per qualcosa di più movimentato, come potete vedere in questo "post" comparativo. L'idea iniziale di Mikkel Borg Bjergsø e del suo ex-socio Kristian Klarup Keller era di creare una birra cremosa, vellutata, utilizzando appunto una grande percentuale di avena; le prime cotte sono però poco soddisfacenti, sopratutto nell'intensità della componente "caffè". I due danesi pensano allora di utilizzare direttamente del caffè nella ricetta e chiedono aiuto (per via telematica, immaginiamo) ai colleghi californiani della Alesmith che dal 2012 producono la mostruosa (imperial) Speedway Stout. I suggerimenti sono evidentemente stati colti in pieno, visto che per il (geek) Ratebeer questa Beer Geek Breakfast è la migliore stout al mondo (100/100, media 4.11) e nella classifica delle migliori birre al mondo si posiziona al numero 34. Se vogliamo guardare altrove, in quanto Ratebeer sembra avere una strana predilezione per certi birrifici, sopratutto scandinavi, c'è allora Beer Advocate che incasella questa birra tra le "american imperial stout", attribuendole comunque un 93/100 (4.16 di media) che però non le consente di entrare neppure nella top 50 di categoria. La deriva geek arriva un po' dopo, con il rilascio di almeno una decina di diverse versioni di questa birra, tra "decaffeinata", svariati barrel-aged-amenti, utilizzi di caffè più o meno pregiati e, per chi fosse invece avvezzo a fare colazione con il tè, ecco pure una English Tea Edition. La sete incombe, e questo Maggio molto poco primaverile ci spinge a chiudere un'altra faticosa giornata di lavoro con una avvolgente stout dal bellissimo color ebano, ai confini del nero, sulla quale si forma una splendida "testa" di schiuma color nocciola, cremosissima e molto persistente. Aroma complesso, pulitissimo, molto elegante: dopo la "botta" iniziale di caffè e di torrefatto, troviamo in sequenza orzo tostato, mirtilli, cenere, pancetta affumicata, cioccolato amaro e un piacevole sentore etilico (whisky). Ottime premesse, che l'arrivo in bocca sembra mantenere: cremosissima, vellutata, con un corpo medio ed una carbonazione molto contenuta, coniuga in modo quasi impeccabile morbidezza, rotondità e scorrevolezza. Il gusto è davvero molto intenso, al pari dell'aroma: eclatante la presenza di caffè e di tostature, di orzo, con leggeri sentori di prugne secche, forse mirtilli. C'è una leggera acidità che va a stemperare quella che altrimenti potrebbe risultare un liquido scuro asfalta-palato, ripulendo la bocca, alleviando per qualche secondo la pressione prima dell'arrivo di un lunghissimo retrogusto (davvero) molto amaro, stracolmo di caffè e di cioccolato amaro, leggero ritorno d'affumicato e di alcool.  Stipata di caffè, amarissima, si lascia tuttavia bere con una buona facilità senza mai, pur nella sua decisa caratterizzazione, andare oltre il limite. Forse non è il drink ideale per la colazione, ma per un brunch, magari invernale, potremmo farci un pensierino; ma anche qui Mikkel è arrivato prima di noi, ed ha già creato la Beer Geek Brunch Weasel con le sue svariate degenerazioni edizioni. Non importa che vi riteniate dei beer geek o no, questa Beer Greek Breakfast è una gran bella birra e quindi va provata. Formato: 50 cl., alc. 7.5%, lotto 766 C, imbott. 20/02/2012, scad. 20/02/2014, pagata 7.50 Euro (beershop, Italia).

venerdì 24 maggio 2013

Birrificio del Ducato Machete Double IPA

L'avevamo bevuta per la prima volta due anni fa, quando era ancora un produzione "occasionale" ed aveva un'etichetta provvisoria, quasi amatoriale. Adesso la  Machete Double IPA del Birrificio del Ducato è cresciuta, ha compiuto due anni, ha trovato un'etichetta "definitiva" ed è entrata stabilmente in produzione nella linea "moderna". Nel frattempo sul sito ufficiale Giovanni Campari rivela che l'ispirazione per questa birra è il film che porta lo stesso nome, Machete,  diretto da Robert Rodriguez (2010); protagonista del film è l'agente federale Machete Cortez, e vi rimandiamo all'immancabile pagina di Wikipedia visto che non riusciamo a raccontarvi un film che non abbiamo (ancora) visto. Avessimo saputo prima della musa ispiratrice di questa Double IPA, avremmo organizzato una serata con bevuta in abbinamento ad una proiezione del DVD. Il riferimento al film si ritrova anche sulle note in etichetta; dove solitamente viene riportata una breve descrizione organolettica della birra, vi sono solamente le parole "Machete don't text", ("Machete non manda SMS") esplicito riferimento ad una scena del film.  Difficile dire se sia cambiata la birra o se sia "cambiato" il nostro palato, forgiato da numerose bevute; probabilmente sono vere entrambe le cose. Leggermente aumentato l'alcool (da 7.5 a 7.8%) ma rimane sempre una double IPA con un buon equilibrio e lontana dalle derive ultraluppolate o spremute di luppolo. Il colore è tipicamente West Coast (oro con riflessi arancio), velato, con una piccola testa di schiuma leggermente ocra, fine e cremosa. L'aroma non è una violenta esplosione di profumi, ma è pulito ed elegante, con quella sensazione di frutta "appena tagliata" che deve esserci in ogni (american) IPA; pompelmo, pesca bianca, mango, melone retato. In bocca i luppoli sono sostenuti da una solide base maltata, lievemente caramellata, con un discreta presenza etilica che rafforza "le basi" senza però disturbare la bevuta. L'amaro (pompelmo e resina) è intenso ma ben controllato e dosato, e lascia un bel retrogusto che accompagna il bevitore per lungo tempo. Moderatamente carbonata, dal corpo medio, è abbastanza morbida e soddisfacente in bocca con una bel finale secco. Ci è sembrata un po' più robusta ed alcolica rispetto a quella bevuta due anni fa, con una maggiore presenza dei malti. Una degnissima rappresentante dello stile alla quale (almeno in questa bottiglia) manca un po' di freschezza e di esplosività, soprattutto in bocca, dei luppoli. Come se il "coro" facesse in modo superlativo la sua parte, ma non c'è nessun "solista" ad emozionare l'esecuzione. Formato: 33 cl., alc. 7.8%, lotto 031 13, scad. 04/2014, pagata 4.50 Euro (beershop, Italia). 

giovedì 23 maggio 2013

Dark Star Green Hop IPA

Dopo oltre un anno e mezzo ritorniamo a stappare una Dark Star, birrificio "nato" a Brighton nel 1994. Questa volta abbiamo una delle loro produzioni stagionali, ovvero una fresh hop IPA che viene appunto commercializzata in autunno, subito dopo la raccolta del luppolo, solitamente nei primi giorni di ottobre. La beviamo con qualche mese di ritardo e - anticipiamo subito - sarebbe forse stato meglio non berla, visto che queste birre hanno nella estrema freschezza la loro stessa essenza, che ovviamente non può durare diversi mesi. Ha forse anche poco senso, da parte di chi la produce, indicare un anno come data di scadenza;  se per le birre (molto) luppolate vale generalmente la regola del "bevila più fresca che puoi", ciò è ancora più vero per queste fresh hop, dalle quali ci si aspetta un esplosione di freschi e pungenti aromi di luppolo. Ad ogni modo, ci è capitato di bere anche delle fresh hop (assurdamente) importate dall'America (qui e qui), con discreta soddisfazione. Quindi non ce la sentiamo di dare tutta la colpa a quegli otto mesi di vita che questa Dark Star Green Hop ha sulle spalle. L'aroma è sì vegetale, ma tende al "muschio", quasi al sottobosco; non è quello che ci aspetteremo da una birra brassata (esclusivamente, se abbiamo capito bene) con del Simcoe appena raccolto. Anche in bocca le cose non migliorano: leggero caramello, qualche remoto accenno di marmellata di frutta (agrumi e mango) ma soprattutto un amaro vegetale molto marcato che satura rapidamente il palato e rende la bevuta molto faticosa. Il risultato è quasi una "tisana" erbacea, poco carbonata, dal corpo medio e non esattamente gradevole, con i luppoli più morti che vivi. Qualcun altro ha bevuto sembra il nostro stesso lotto qualche mese fa e non ne è rimasto esattamente entusiasta: ecco il video, in inglese. Alla prossima raccolta di luppolo, sperando in un lotto un po' più "fortunato". Formato: 33  cl., alc. 6.5%, scad. 15/10/2013, pagata 5.13 Euro (beershop, Inghilterra).

martedì 21 maggio 2013

Buskers Guybrush FSM

Aggiungiamo un capitolo alla nostra personale "rassegna" del birrificio "itinerante" Buskers, rimandandovi a questo post se siete in cerca di maggiori informazioni sul progetto. La Guybrush F.S.M. è stata brassata presso gli impianti di Birra del Borgo. L'etichetta non è opera del solito fidato collaboratore Felideus, ma è disegnata da Mirko Caretta in persona. Ammettiamo la nostra ignoranza sull'origine del nome, una "dedica" a Guybrush Threepwood, protagonista di una serie di videogiochi (Monkey Island) degli anni 90. Confessiamo la nostra ignoranza anche sul significato delle iniziali F.S.M. (Flying Spaghetti Monster), ovvero il Pastafarianesimo: vi mandiamo alla relativa pagina di Wikipedia per saperne di più. Ma per noi Guybrush FSM è soprattutto una saison da bere, brassata con due differenti varietà di pepe rosa e luppolo cascade. Nel bicchere è di colore arancio pallido, opalescente; la schiuma, biancastra, è un po' grossolana e poco persistente. Il naso, pulito ma non molto pronunciato, apre con un bel bouquet speziato, nel quale spiccano - ovviamente - sentori di pepe. A completare ci sono eleganti note fruttate di pesca e di albicocca. Nessun stravolgimento in bocca: ingresso di crosta di pane, con la parte centrale della bevuta che è ricca di frutta gialla (pesca, albicocca) e arancio; la dolcezza è stemperata da una leggera acidità, molto rinfrescante, e da un finale amaricante erbaceo, un po' pepato, con una nota di scorza d'arancia. Mediamente carbonata e dal corpo medio-leggero, è una saison molto dissetante, ben fatta e facilissima da bere; le manca però - completamente - quel profilo rustico, contadino, che - lo avevamo già detto nel post precedente a questo - vorremmo sempre trovare in questa tipologia di birra. Formato: 75 cl., alc. 5.5%, lotto LCR 33/12, scad. 05/2014, prezzo 8.00 Euro (beershop, Italia).

domenica 19 maggio 2013

Urthel Saisonnière

Della Brouwerij De Leyerth abbiamo già parlato più dettagliatamente in questa occasione, e quindi procediamo spediti al sodo, ovvero questa Urthel Saisonnière, birra dal nome che rende pleonastica qualsiasi indicazione riguardo la categoria stilistica d'appartenenza. In produzione dal novembre 2009, ha portato al birrificio di Hildegard  van Ostaden il premio al World Beer Award 2010 come Europe Best Seasonal Pale Ale.  A posteriori leggiamo che il birrificio consiglia di servirla versandola per metà nel bicchiere, agitando poi abbastanza vigorosamente la bottiglia per permettere il "rilascio" del lievito depositato sul fondo e quindi terminare di versare. Noi abbiamo invece optato per un "versamento" un po' più tranquillo, il cui risultato è un color oro solo leggermente velato; la schiuma è ovviamente (viene prodotta on il 20% di frumento) generosa, bianchissima, quasi pannosa, molto persistente. Al naso la leggera speziatura donata dai lieviti, dalla quale emerge sopratutto una nota pepata; vi sono anche leggeri sentori di cereali, banana acerba ed una leggera acidità rinfrescante. Il percorso procede sostanzialmente in maniera lineare anche in bocca, dove troviamo un inizio di crosta di pane e cereali, seguito da note fruttate di arancio (dolce) e banana che sono bilanciate da una leggera acidità; ha una bella chiusura secca e ripulente, seguita da un retrogusto pulito, amaro, dove si mescolano note erbacee e di scorza di limone. Saison corretta, svolge il suo compito di dissetare e di rinfrescare senza particolari difetti ma anche senza portare grande entusiasmo. Dal corpo medio-leggero e discretamente carbonata, è ben fatta e si beve molto facilmente, ma l'abbiamo percepita come una saison "di città", priva di quella componente "rustica", di quel sudore e di quella "sporcizia/polvere" che i contadini, dopo ore di fatica in campagna, cercavano di scrollarsi di dosso proprio bevendo bicchieri su bicchiere di questo stile di birra. Una Saisonnière più "borghese"  che "ruspante", più gentile che burbera. Formato: 33 cl., alc. 6%, lotto K17012, scad. 10/2014, pagata 2.15 Euro (supermercato, Italia).

sabato 18 maggio 2013

To Øl Black Maria

To Øl” ovvero “due birre” (in danese) ma anche due ex-homebrewer ora birrai “zingari”, senza impianti propri. Sono Tobias Emil Jensen e Tore Gynth che nel 2005 al liceo si ritrovano come insegnante di matematica e fisica un tale Mikkel Borg Bjergsø, alias Mikkeller.  La direzione scolastica li autorizza ad utilizzare la cucina fuori dagli orari accademici e così si ritrovano, principalmente di notte, a far parte di un piccolo gruppo di aspiranti birrai-scolari guidati da Mikkel. Mentre il loro professore nello stesso anno abbandona rapidamente la vita accademica per dedicarsi a tempo pieno alla birra e diventare Mikkeller, i due studenti partono solamente nel 2010 perché, a loro dire, quando avevano 16 anni "la birra non era esattamente la loro priorità".  E partono ricalcando il modello di business del loro mentiore, ovvero quello di essere birrai vagabondi. Il battesimo d’esordio lo tiene ovviamente Mikkeller, con una birra collaborativa tra due birrai-non-birrai (!), la  Overall IIPA, che porta loro un po’ di notorietà, necessaria a passare dai 5300 litri prodotti nel 2010 ai 124300 del 2012. Nel 2013 Ratebeer li mette tra i 50 migliori birrifici al mondo, a voi decidere se sia giusto includere in tale classifica gente che sì, va bene, realizza ricette sulla carta ma se le fa poi produrre da qualcun altro. Quell’altro è soprattutto De Proef, birrificio belga molto richiesto ed impegnato, che probabilmente ha trovato per loro posto "in agenda" proprio grazie all'intercessione (leggasi fatturato) del cliente "abituale" Mikkeller. Ed in società con l'ex insegnamente hanno anche aperto il secondo Mikkeller bar a Copenhagen, il Mikkeller & friends: quaranta spine (ed il privilegio, dicono, di essere l'unico luogo al di fuori degli Stati Uniti dove potete bere Three Floyds alla spina), 200 bottiglie in carta, ed un adiacente beershop nel vibrante quartiere di Nørrebro. Insomma, non vi annoierete a Copenhagen. Nel frattempo, in nemmeno tre anni di vita To Øl ha messo in circolazione una trentina di birre, incluse le immancabili versioni "barrel-aged". Evitiamo per il momento i passaggi in legno, e soffermiamoci su una più regolare Black IPA, chiamata Black Maria. La copertina un po' surreale è un collage di quattro fotografie scattate nel cortile interno della stazione di Polizia di Copenhagen; la birra stessa è dedicata (non proprio affettuosamente, crediamo) al comandante di polizia Bjarne. In copertina anche una citazione da The Guns of Brixton dei Clash, dal mitico doppio album London Calling:  No Need For The Black Maria – Good Bye to the Brixton Sun”, dove però al posto "del sole di Brixton" troviamo "il sole dell'est". L'etichetta dell'importatore italiano sbriga la pratica ingredienti un po' troppo velocemente, ma oltre ad acqua, lieviti, malto (Carafa, caramel e chocolate) e luppolo (Columbus, Centennial, Galaxy e Cascade) ci sono anche lattosio e fiocchi d'avena.  Ed è effettivamente nera, questa black IPA; la schiuma che si forma, color nocciola, finissima e cremosa, molto compatta, è praticamente indissolubile. L'apparenza in questo caso non inganna: eccezionale anche l'aroma, forte, pulitissimo, fresco e molto raffinato. Sentori quasi balsamici di aghi di pino, pompelmo appena tagliato; in secondo piano frutta  tropicale e, man mano che la birra si scalda, emerge la leggera presenza di tostature. Affondiamo le labbra nella schiuma, per assaporare una birra dalla sontuosa sensazione palatale: corpo medio-pieno, morbidissima, quasi vellutata, mediamente carbonata. L'inizio è fruttato (pompelmo ed arancio, polpa) con un crescendo d'amaro intenso ma molto pulito ed armonioso, con una leggera prevalenza della componente vegetale/resinosa rispetto a quella torrefatta. Si capovolgono le percentuali nel retrogusto, con caffè e tostature più in evidenza rispetto alla parte vegetale. Alcool (8.1%) assolutamente non pervenuto, livello di amaro importante ed intenso, ma dosato con grande eleganza, senza mai strafare, "raschiare" o "asfaltare" il palato; birra solidissima, ma molto facile da bere. Che odiate o no i "birrai zingari", questa è una signora birra; i due ex-allievi ora soci in affari di Mikkeller l'hanno davvero pensata bene, o qualcuno l'ha realizzata in modo impeccabile per loro.  La sostanza rimane comunque la stessa. Formato: 33 cl., alc. 8.1%, scad. 12/02/2015, pagata 4.00 Euro (beershop, Italia).

giovedì 16 maggio 2013

Maremmana Mora

Ha sede all'interno dell'Azienda Agricola Vallechiara, Birra Maremmana; ci troviamo tra la Aurelia e Talamone, incantevole località sulla costa grossetana, estremità meridionale del Parco Naturale della Maremma. Pochissime informazioni reperibili su questo birrificio agricolo che utilizza orzo autoprodotto che viene poi fatto maltare; il sito internet birramaremmana.it non è più funzionante, rimane solamente la pagina Facebook che non è però molto generosa d'informazioni. Tre al momento le birre in produzione, se non erriamo tutte ad alta fermentazione, a rappresentare i tre colori "basici": bionda, mora e rossa. Ai colori corrispondono anche i nomi - decisamente poco fantasiosi - delle birre; una scelta forse voluta per avvicinare soprattutto chi è poco avvezzo al mondo della birra "artigianale" ed è ancora abituato ad ordinare la birra "per colore". Ad ogni modo, ecco la Mora. All'aspetto è di colore ebano scuro, quasi nero, con una bella testa di schiuma color beige, fine e cremosa. Buona l'intensità dei profumi, che al naso regalano sentori di prugne secche, orzo tostato, frutti di bosco (more). In bocca manca la stessa intensità e, in modo maggiore, pulizia. Nonostante il contenuto alcolico discreto (7.2%),  è una birra dal corpo leggero e decisamente "watery", moderatamente carbonata. La mancanza di corpo si fa sentire, l'imbocco ed il finale sono troppo sfuggenti ed acquosi; meglio la parte centrale, con note di torrefatto e di caffè (e leggere di salsa di soia), che hanno però una scarsa persistenza. La chiusura è leggermente salmastra, per una birra poco rotonda che lascia un retrogusto molto corto e poco appagante. Birrificio giovane, aperto nel 2012, e birra che ha ancora bisogno di parecchio lavoro e di pulizia. Formato: 75 cl., alc. 7.2%, lotto 77, scad. 10/2013.

martedì 14 maggio 2013

Partizan Pale Ale Amarillo Pacific Jade

All'incirca un anno e mezzo fa, come introduzione alla nostra prima birra The Kernel, accennammo brevemente  alla "rinascita brassicola" in atto a Londra.  A quel tempo il sito della London Brewers Alliance mostrava all'incirca una ventina di loghi; oggi ce ne sono quasi cinquanta, segno che la craft beer new wave londinese non si sta arrestando, ma si sta espandendo sempre più velocemente, con birrifici e pub che, oltre alle real ales, offrono una buona selezione di microbirrifici locali. La Partizan Brewing è uno dei più recenti, con alle spalle nemmeno un anno di vita.  Andy Smith è l'uomo tuttofare che si nasconde dietro al nome Partizan. Trentun'anni, nato a Leeds, Andy ha un passato da chef, oltre che all'hobby dell'homebrewing. A fine 2009 lascia il ristorante nel quartiere di Chelsea dove lavorava (pare che lo stipendio non arrivasse più da diversi mesi) e trova un impiego al White Horse Pub.  Un giorno incontra Andy Moffat, birraio della Redemption Brewery  (a Tottenham, Londra) che era venuto a consegnare alcuni fusti di birra. Nemmeno il tempo di conoscersi e, complice un'appassionata chiacchierata sull'homebrewing, Andy va ad aiutare il suo omonimo. Dopo due anni Andy (Smith) va di nuovo in "crisi"; il lavoro alla Redemption non lo soddisfa più, la sua sensazione è quella di fare un lavoro impiegatizio, sempre uguale, dalle 9 del mattino alla 5 di sera. Mentre sta meditando senza troppo entusiasmo di seguire il consiglio di Andy (Moffat) e fare domanda di lavoro in un birrificio più grande (Thornbridge), gli arriva un "angelo" dal cielo. L'angelo ha le sembianze (non proprio angeliche, in verità) di Evin O'Riordain, ovvero  The Kernel. Evin ha bisogno di ingrandirsi e di aumentare la produzione, e sta traslocando in locali più capienti; in poche parole, non ha più bisogno  della maggior parte di quello che costituiva il suo vecchio impianto da quattro barili. Glielo offre ad un prezzo che è impossibile da rifiutare. Non è un trasloco molto lungo; gli impianti devono essere spostati solamente di un chilometro circa, perchè Partizan trova - come The Kernel - casa sotto le arcate della linea ferroviaria, a cinque minuti dalla stazione della metropolitana di Bermondsey. Come The Kernel, il birrificio è aperto al pubblico il sabato; sapete già cosa fare, quindi, se vi trovate a Londra in quel giorno. La prima birra vede la luce a Novembre del 2012, e la pagina di Ratebeer ne elenca giù una ventina anche se (e di nuovo scomodiamo il paragone con The Kernel) si tratta di leggere variazioni (ovvero dei luppoli utilizzati) della stessa ricetta. I nomi delle birre sono infatti (vedi The Kernel) dati spesso semplicemente dai nomi dei luppoli; completamente diverse sono invece le etichette, distanti anni luce dallo splendido minimalismo kerneliano.  Dopo questo lungo ma doveroso preambolo, ci è venuta sete e passiamo finalmente alla sostanza, ovvero questa Pale Ale Amarillo Pacific Jade. Pochi mesi di vita (imbottigliata a Gennaio) ma già prossima alla scadenza, segno dell'attenzione che il birrificio mette sulla necessità di bere il più rapidamente possibile le birre (ben) luppolate. E' dorata con riflessi arancio, opaca; la schiuma, biancastra, è fine e cremosa. L'aroma è lo stesso che abbiamo trovato in quasi tutte le Kernel bevute; freschissimo, pulitissimo, molto raffinato: una macedonia di frutti appena tagliati. Pompelmo, mandarino, ananas, mapo, leggeri sentori di pesca gialla e floreali; quasi un inno all'estate. Nessun calo di tensione in bocca; se si eccettua una leggera base maltata (pane e cereali) anche qui c'è un trionfo di frutta, ai confini del cocktail, pulitissimo e fragrante. Netta predominanza di agrumi (pompelmo e lime), per una birra secchissima, marcatamente aspra d'agrume, estremamente dissetante. Non c'è sicuramente equilibrio, e il risultato forse può non piacere a tutti, ma noi cediamo volentieri al suo fascino e ci abbandoniamo al lungo retrogusto amaro, assolutamente "zesty", pulitissimo e rinfrescante. Una birra da trangugiare in pochi secondi per alleviare la sete e la calura, tutta giocata sulla fragranza (e sull'abbondanza) dei luppoli. Ad occhi chiusi l'avremmo battezzata The Kernel; ne condivide lo stesso sguardo "da zoccoletta ruffiana", ammaliante ed irresistibile. Ad un passo dal precipizio della "spremuta di frutta", riesce comunque a conquistarti e a farti cadere tra le sue braccia, anche se magari non ne berresti un secchio. Formato: 33 cl., alc. 5.5%, lotto 20/01/2013, scad. 20/05/2013, prezzo 3.66 Euro (beershop, Inghilterra).

lunedì 13 maggio 2013

Buskers Paranoid

Terzo nostro "capitolo" del progetto Buskers, del quale abbiamo parlato più approfonditamente in questa occasione; dopo la California Uber Alles e la Devochka, questa volta il birrificio "itinerante" si è spostato ad Olgiate Comasco per fare visita al Bi-Du di Beppe Vento. Il risultato, incorniciato dalla solita splendida etichetta realizzata dall'artista spagnolo Felideus, viene chiamato Paranoid, con un nome che, leggiamo, vuole omaggiare l'omonima canzone dei Black Sabbath. Si autodefinisce una black "PiGreco" IPA;  il primo lotto venne brassato esclusivamente con l'utlizzo di luppoli europei (East Kent Goldings e Fuggle) e di malti Pils, Chocolate e Carafa. Leggiamo su qualche sito che gli autori della ricetta non escludevano, in futuro, di cambiare il mix dei luppoli guardando anche ad altri continenti; non sappiamo se il cambio sia avvenuto o meno, ci limiteremo quindi a descrivere quanto "annusato". Non esattamente nera all'aspetto - ma quasi - ha una bella testa molto persistente di cremosa schiuma beige. L'aroma è pulito ed elegante anche se non c'è, complice forse qualche mese d'età sulle spalle della bottiglia, una vera esplosione di profumi: pompelmo, frutta tropicale e, una volta dissipatasi la schiuma, leggeri sentori di tostatura. Ottimo invece "l'approdo" in bocca; è una birra davvero molto morbida, quasi vellutata, con un corpo medio ed una carbonazione moderata. Al gusto c'è un grande equilibrio tra i due elementi; prima un imbocco fruttato, dolce, che richiama l'aroma, seguito da un amaro di caffè e tostature, leggermente terroso. Lentamente ci si accorge che la componente "black" sembra un po' prevalere su quella "IPA", con un leggero sconfinamento nel territorio delle porter/stout molto luppolate. Importa relativamente, visto che non siamo ad un concorso, perché il risultato è ugualmente soddisfacente per chi la beve, e si beve davvero con grande facilità; chiude secca, dispensando un lungo retrogusto amaro (terroso, tostato e caffè). Formato: 75 cl., alc. 6.5%, lotto 278, scad. 31/12/2013, pagata: 8.00 Euro (beershop, Italia).

domenica 12 maggio 2013

Dogfish Head Indian Brown Ale

Dogfish Head è un birrificio che non riesce a soddisfare tutta la domanda "domestica", e che ha già deciso in passato di tagliare la distribuzione in alcuni stati americani; sono quindi pochissime le occasioni di trovare in Italia le birre di Sam Calagione. Tuttavia, come forse saprete, Sam è socio d'affari nella "Birreria" presente all'interno della filiale di New York di Eataly, assieme a Leonardo Di Vincenzo, Teo Musso e, ovviamente, Oscar Farinetti. Proprio questo legame ha dunque consentito all'Italia di avere una corsia privilegiata (?) e ottenere alcune birre altrimenti reperibili solamente con il contagocce fuori dal territorio americano. Saprete forse anche che Calagione ha già collaborato con Birra del Borgo (la birra My Antonia) ed è proprio il birrificio di Leonardo Di Vincenzo - come segnala l'etichetta appiccicata sul collo della bottiglia - ad effettuare l'importazione. Arrivarono in Italia per la prima volta a Luglio dell'anno scorso, per celebrare con le dovute maniere l'inaugurazione della "Birreria" italiana, quella installata dentro il nuovo Eataly di Roma. A quel tempo era possibile berle solamente ai tavoli di Eataly, ad un prezzo "da passamontagna" (10 Euro cadauna). Quasi un anno dopo, Eataly ha un po' allentato la cinghia, rendendole disponibile sugli scaffali, anche per l'asporto, a prezzi molto più accettabili. Tra quelle tre birre del vernissage c'era anche questa Indian Brown Ale, che Sam Calagione definisce  come un incrocio tra un'american brown ale, una scotch ale ed una IPA.  E' in produzione dal dicembre del 1999, disponibile tutto l'anno. E' dì un bel  colore marrone scuro, molto intenso, con riflessi rossastri; la schiuma è molto persistente, beige, fine e cremosa. La nostra bottiglia è nata nell'Agosto del 2012; al naso non c'è quindi ovviamente rimasto molto di quel dry-hopping con il quale la Indian Brown Ale viene brassata; l'aroma è comunque ugualmente interessante, complesso, pulito e raffinato. In evidenza cioccolato, caffè, tostature, sentori terrosi, prugne disidratate, zucchero di canna, melassa. Il gusto non si discosta di molto, riproponendo note di tostatura, caffè, leggero cioccolato, uvetta, prugne secche. Ha un corpo medio, una carbonazione contenuta ed è molto gradevole e morbida in bocca, lasciandosi bere molto facilmente. Alcool non pervenuto, appagante retrogusto lungo e morbido di caffè e di cioccolato. Intensa e solida, il bicchiere è vuoto e noi siamo molto soddisfatti. Abbinamenti consigliati da Sam: insalate condite con vinagrette di aceto balsamico, carni affumicate, selvaggina, spezzatino, costine brasate, prosciutto. Formato: 35.5 cl., alc. 7.2%, IBU 50, lotto 30/08/2012, pagata: 2.90 Euro (Eataly).

sabato 11 maggio 2013

Laboratorio Piccolo Birrificio Barn

Continuiamo l'assaggio delle birre del nuovo progetto di Lorenzo Bottoni, il Laboratorio Piccolo Birrificio. Dopo la Steamer, è la volta di una birra di frumento/weizen, chiamata Barn, ovvero il "fienile". Particolarità di questa birra è l'utilizzo del lievito da prosecco per la seconda fermentazione, dettaglio ben specificato in etichetta e che influenza un po' il bevitore spingendolo alla ricerca della presenza di qualche analogia con il noto vino bianco. Colore leggermente più carico di una classica hefeweizen, dorato con riflessi arancio; ovviamente generosa la quantità di schiuma che si forma, bianca, abbastanza fine e dalla buona persistenza. Al naso netta la banana, chiodi di garofano, qualche sentore di pepe e di agrumi. Fin qui tutto abbastanza nella norma, con un buon livello di pulizia. Anche la prima parte della bevuta, che ripropone quasi in toto gli elementi dell'aroma, rimane nei parametri dello stile. Di maggior interesse è la parte finale, con una bella secchezza ripulente che non sempre troviamo nelle weizen spesso un po' troppo "bananose". Il palato, dapprima solleticato dalla vivace carbonazione, rimane ben pulito e può assaporare il retrogusto, corto, leggermente amaro di erbaceo e scorza di agrumi. Leggera, attraversata da una bella acidità sempre rinfrescante, caratterizzata da maggiore intensità al naso che in bocca, è comunque un'interessante interpretazione dello stile. Anche senza volerla cercare a tutti i costi, la presenza dei lieviti da prosecco è evidente nll finale, soprattutto per quella bella secchezza che invoglia subito ad un altro sorso. Formato: 33 cl., alc. 5.2%, IBU 19.4, scad. 01/02/2014.

venerdì 10 maggio 2013

Thornbridge Chiron

Mancava ancora all'appello l'american pale ale della Thornbridge; dopo l'ottima (ma invernale) St. Petersburg, è il momento di ritornare su birre rinfrescanti e dissetanti, sulla scia della Kipling, l'altra (south pacific) pale ale del birrificio che viene luppolata unicamente con il neozelandese Nelson Sauvin. Non siamo riusciti a trovare da nessuna parte indicazioni sulla ricetta di questa  Chiron che, nel corso degli anni, si è trasformata da "pale ale" in "american pale"; immaginiamo comunque che sia prodotta utilizzando unicamente luppoli americani. Il nome inneggia ovviamente all'omonimo centauro della mitologia greca. La pinta si colora d'oro, leggermente arancio, velato; la schiuma, dalla discreta persistenza, è leggermente "sporca" e cremosa. Decisamente americano il bouquet olfattivo, fresco, semplice ma molto elegante: pompelmo fresco, appena tagliato, mandarino ed arancio, con legger sentori di aghi di pino in secondo piano, qualche accenno floreale. Pochi profumi ma pulitissimi. Le aspettative ci vengono leggermente deluse in bocca, anche se il termine è sicuramente eccessivo. C'è anche qui grande pulizia e buona freschezza/fragranza, ma scende un po' il livello d'intensità. L'imbocco è di biscotto e pane, con il pompelmo che inizialmente viene messo timidamente un po' in disparte. La bevuta ha comunque una bella progressione, con un crescendo luppolato e "zesty", ricco di scorza di pompelmo. Leggera, moderatamente carbonata, scorre in bocca ad alta velocità dissetando e rinfrescando il palato, grazie anche al bel finale secco e ripulente. Il retrogusto, abbastanza lungo, è amaro e carico di pompelmo, lime e mapo. Semplice, sostanzialmente equilibrata e profumata; gli elementi per una bevuta seriale e soddisfacente ci sono tutti. L'estate è alle porte, ed aggiungiamo questa ottima birra ad una ipotetica lista di birre anti-calura. Formato: 50 cl., alc. 5%, scad. 13/02/2014, pagata 6.00 Euro (beershop, Italia).

giovedì 9 maggio 2013

Birrificio Math La 70

Altro "esordio" sulle pagine di questo blog; si tratta del birrificio toscano Math, con sede a Tavernelle Val di Pesa (Firenze) e fondato da Mathieu Ferrè. Nel passato del birraio c'è un po' di vino (la madre è titolare di un'azienda vinicola), un apprendistato biennale da homebrewer ma soprattutto delle interessanti esperienze con tre mastri birrai belgi: Dany Prignon (Fantôme), Pierre Gobron (Les 3 Fourquets) e Didier Cornet (Brasserie du Flo). Con tale background, le birre che inaugurano nel 2011 la produzione non potevano che essere d'ispirazione belga; si comincia da La 16, una birra speziata al gelsomino, La 68 (Blanche), La 70  (belgian ale) e La 27 una dry stout. La pagina Facebook segnala che è attualmente in preparazione anche una imperial IPA. Per approfondire maggiormente, vi rimandiamo a questa lunga intervista con il birraio. La 68 ha ottenuto la medaglia di bronzo nella categoria "Chiare, alta fermentazione, basso grado alcolico, di ispirazione belga" nelle ultime due edizioni di Birra dell'Anno (2012 e 2013). Nel bicchiere versiamo invece La 70, dalla "scoppiettante" etichetta che recita (non fotografata) "la felicità è una rapina permanente". Si presenta di colore tra arancio e dorato, velato, con piccole particelle di lievito in sospensione; la schiuma, dalla buona persistenza, è leggermente ocra e cremosa. L'aroma è molto forte, con un buon livello di pulizia: netta la speziatura, con una bella nota di pepe in evidenza; emergono anche fenoli, sentori di curaçao, banana ed arancio. Non ci sono grossi cambiamenti in bocca, dove a predominare è però l'arancio, su una solida base maltata (biscotto); ritornano note di curaçao e spezie. Si chiude con un finale amaro erbaceo ed una leggera note di scorza di limone. Vivacemente carbonata, ha un corpo un po' ingombrante (da medio a pieno) che ne limita un po' la scorrevolezza in bocca; lascia un lungo retrogusto amaro, di buona intensità, erbaceo e leggermente fruttato (arancio). L'abbiamo trovata discretamente pulita ma non esattamente equilibrata in bocca, con una  presenza forse un po' troppo decisa di spezie/curaçao. L'amaro "deciso" guarda forse alle belgian ales della "ultima generazione" (se ci passate il termine un po' rischioso), ma manca ancora quella pulizia, quella eleganza e quella facilità di bevuta che caratterizzano, ad esempio, le birre della Brasserie de la Senne (tanto per citare un esempio). Formato: 33 cl., alc. 7%, lotto 26, scad. 31/12/2014, pagata: 3.00 Euro (food store, Italia).

mercoledì 8 maggio 2013

Odell Cutthroat Porter

E’ Doug Odell, nel 1989, a fondare assieme alla moglie Wynne ed alla sorella Corkie la Odell Brewing Company; siamo a Fort Collins, nel Colorado. Homebrewer dal 1975, nel 1978 lavora per 6 mesi alla Anchor Brewing di San Francisco prima di trasferirsi più a nord, nella contea di Sonoma dove ottiene la sua seconda “laurea". Si sposta ancora più a nord, a Seattle, dove incontra Wynne che sposa nel 1986. Fa ripetutamente domanda per essere assunto alla Redhook Brewery ma (fortunatamente, secondo quanto dice Doug) non ottiene il lavoro. Decide allora di spostarsi 2000 km a sud-est, in Colorado per aprire quella che, a quel tempo, era il sesto microbirrificio dello stato. Fino al  1996 la Odell rimane semplicemente un brewpub, offrendo la birra solamente alla spina; il trasloco in un edificio più campiente consentirà l'installazione di una linea d'imbottigliamento; tra le prime birre che vengono commercializzate nel "6 pack" ci sono la Odell IPA e la Myrcenary Double IPA. L'ultimo ingrandimento è del 2010, nel corso del quale sono state aggiunte una cella a temperatura controllata per l'invecchiamento in botte ed una linea d'imbottigliamento per il formato da 75 cl.  Non può ovviamente mancare la tap room, aperta da lunedì a sabato, dove si possono assaggiare in anteprima alcune birre sperimentali prodotte con un piccolo impianto pilota. Questa Cutthroat Porter è un tributo al pesce più diffuso in Colorado, una specie di trota; tra i numerosi premi vinti, segnaliamo la medaglia d'oro tra le brown porter alla World Beer Cup del 2008. Bel colore ebano scuro, con riflessi color castagna; si formano due-tre "dita" di schiuma beige, cremosa, molto invitante e persistente. Buona intensità al naso; con sentori puliti di cioccolato amaro, caffè, mirtilli e vaniglia. Il percorso continua senza grossi cambiamenti anche al palato, dove si alternano note di orzo tostato e, soprattutto, caffè, con il cioccolato in secondo piano. Abbastanza pulito anche il gusto, con un finale secco ed amaro dalla buona intensità, ricco di torrefatto e di caffè. Corpo leggero, carbonazione bassa, ed una grandissima facilità di bevuta che però non sacrifica mai l'intensità e non scade mai nell'acquosità. Bottiglia appena scaduta, ma che si difende ancora molto bene. Formato: 35.5 cl., alc. 5%, IBU 43, scad. 17/04/2013, pagata 4.00 Euro (beershop, Italia).

martedì 7 maggio 2013

Birra del Borgo Caos

Debutta come “bizzarra del mese Agosto 2012” la Caos di Birra del Borgo; si tratta di un nuovo incontro tra birra e vino, per la precisione il secondo per il birrificio di Leonardo Di Vincenzo, dopo l’Equilibrista. Per la Caos la base di partenza è la saison al farro Duchessa, al cui mosto viene aggiunto (25%) il mosto di Malvasia, proveniente dalla Tenuta di Bibbiano. L’etichetta è realizzata da Valentina De Luca, studentessa dell'istituto D'istruzione Superiore Antonio Cederna di Velletri (Roma), che vinse l’anno scorso il concorso “Etichette Bizzarre” indetto dal birrificio. La bottiglia da noi assaggiata appartiene ad un lotto prodotto nel 2011 che (immaginiamo), ha poi debuttato nell’Agosto 2012.  Attualmete la Caos non figura tra le birre “bizzarre” che, una per mese, verranno commercializzate quest’anno.  La descrizione della birra che attualmente compare sul sito di Birra del Borgo parla anche di una rifermentazione in bottiglia con lieviti da Champagne “per un perlage piuttosto deciso”, un dettaglio che non veniva annunciato all’annuncio del “debutto” nel 2012.  Non sappiamo però se effettivamente ci sia stato un cambio di ricetta dal primo lotto del 2011.  A ogni modo, la bottiglia da noi assaggiata ha mostrato davvero poco “perlage” e una carbonazione quasi assente. Il colore è oro antico con riflessi ramati; la poca schiuma grossolana che si forma sparisce immediatamente senza lasciare pizzo nel bicchiere. Al naso c’è molto poco: qualche sentore legnoso, quasi di sughero, odore un po’ stantio, lievito, leggeri sentori fruttati che ci ricordano l’uva bianca e, forse, la pesca gialla. Al palato non c’è molto da festeggiare: il gusto è marcatamente aspro, ricco di uva. La scarsa carbonazione lo rende molto più simile ad un vino che ad una birra, nonostante l’intento del birrificio era quello di realizzare un incontro tra birra e vino “decisamente” sbilanciato verso il primo elemento. Chiude con una marcata astringenza, ed una punta amarognola che ricorda il nocciolo di pesca. Non l’abbiamo bevuta in altre occasioni, ma ci è sembrata una bottiglia molto poco riuscita; la birra risulta molto slegata in bocca ed abbastanza piatta, lasciando un lieve calore etilico nel retrogusto, di nuovo aspro di uva. Improponibile il paragone con altre “birre di confine” con il vino, come ad esempio – solo per citarne alcune che hanno una analoga percentuale di mosto d’uva -  la Tibir (20% di Barbera), la  Open Mind (20% di Timorasso)  e la  Beerbera (20% di Barbera). Speriamo di avere l’occasione di tornare ad assaggiare presto questa Caos in una bottiglia dove di caos di sia solamente il nome. Formato: 75 cl., alc. 7.5%, lotto LS144 11, scad. 06/2014, pagata 12.50 Euro (food store, Italia).

lunedì 6 maggio 2013

Union Pils

Prima esperienza con una birra slovena, paese del quale ammettiamo la nostra più completa ignoranza brassicola: ci appoggiamo a Ratebeer, che indica le migliori birre votate dai raters. Tra queste non trova posto questa Pils prodotta dalla Pivovarna Union, una realtà fondata nel 1864 da Peter Kozler; dal 1909 il birrificio è una sorta di società per azioni, la cui maggioranza è oggi detenuta al 98% dal gruppo Laško. Stappiamo senza troppe aspettative questa lattina di Union Pils, che all'aspetto rivela un colore oro pallido, limpido; la schiuma, bianca, è un po' grossolana ed ha una discreta persistenza. L'aroma - per un prodotto industriale - non è affatto male: cereali, leggeri sentori di miele e floreali (camomilla); a cercarla bene c'è anche una leggera nota di arancio. Si  torna negli standard industriali in bocca; il primo sorso è tutto sommato piacevole, una base maltata di pane e cereali, seguita da leggere note di miele, con una chiusura finale erbacea amara, discretamente secca. E' proprio questa la "zona" dolente di questa birra; l'amaro è poco elegante, leggermente saponoso e metallico, degradando in peggio man mano che la birra si scalda, rendendo la bevuta molto meno piacevole e rinfrescante di quello che dovrebbe essere. Con un corpo leggero, una carbonazione media ed una giusta componente watery, si presta comunque ad essere bevuta piuttosto fredda ed in fretta, in modo da mitigare un po' l'effetto descritto sopra.
Formato: 33 cl., alc. 4.5%, scad. 20/02/2014, pagata 0.52 Euro (supermercato, Italia).

domenica 5 maggio 2013

Meantime Coffee Porter

Le ultime bevute di Meantime (qui un approfondimento) non ci hanno onestamente entusiasmato più di tanto, ma questa Coffee Porter è stata una specie di rivelazione. Brassata per la prima volta nel 2005, non figura attualmente tra le birre elencate sul sito ufficiale del birrificio. Ha comunque raccolto negli anni scorsi diversi premi in giro per il mondo (oro allo Stockholm Beer & Whisky Festival 2008, World’s Best Stout & Porter up to 6.9% all'International Beer Challenge October 2007, World’s Best Premium Coffee Beer ai World Beer Awards September 2007, oro alla World Beer Cup 2006 – categoria birre al caffè, e argento nella edizione del 2008).  Viene brassata con caffè (Arabica Bourbon) del Ruanda (cooperativa Maraba) proveniente da commercio equo solidale che viene tostato in Inghilterra dalla Union Coffee Roasters.  Si comincia da un bellissimo color ebano scuro, su quale si forma una generosa "testa" di schiuma beige, fine e cremosa, molto persistente. L'aroma è davvero ottimo, nettissimi sentori di caffè in grani, molto elegante; in secondo piano mirtilli, orzo tostato, cenere. Grandissima pulizia, birra che si lascia "annusare" per diversi minuti. Ottimo anche l'ingresso in bocca: porter molto morbida, dal corpo medio, quasi cremosa, lievemente carbonata. Il gusto è leggermente meno pulito dell'aroma, ma siamo sempre su livelli molto soddisfacenti: il caffè continua a predominare, ma c'è una buona alternanza con note di cioccolato amaro ed orzo tostato. C'è una leggera acidità che emerge nel finale a snellire un po' la bevuta ed a ripulire la bocca, preludio ad un lungo retrogusto amaro ricco di caffè e tostature. (Robust) porter sorprendente e molto ben fatta, intensa ma facilissima da bere, morbida e molto appagante. Bottiglia in stato di grazia, con un netto dominio (o sbilanciamento) del caffè che ce la  fa sembrare adatta anche in una ipotetica colazione. Da comprare, subito. Formato: 33 cl., alc. 6%, lotto 122341 12:05, scad. 21/02/2014, pagata: 2.05 Euro (supermercato, Lussemburgo).

sabato 4 maggio 2013

Birra Olmo Guerrilla IPA

Terza ed ultima Birra Olmo che andiamo a degustare, dopo la Amber Owl e White Rabbit. Già il nome, Guerrilla IPA, è un'anteprima di quello che il bevitore può trovare nel bicchiere, concetto rafforzato dalla scritta "subversive IPA" riportata in etichetta. Vi rimandiamo direttamente alla relativa pagina sul sito della beer firm se volete approfondire. Noi ci concentriamo invece sul liquido, che riempe il bicchiere di un bel color ambra con riflessi ramati; la schiuma, che ha una buona persistenza, è leggermente "sporca", fine e cremosa. Il naso si mostra meno "aggressivo" delle premesse; non c'è nessuna esplosione di luppolo, ma piuttosto un aroma pulito ma un po' "monocorde" dominato dal pompelmo. C'è qualche altra leggerissima sfumatura di agrumi (arancio, forse mandarino) e di erbaceo. Anche in bocca l'attacco è abbastanza "docile"; base di malto (caramello) seguita da note di pompelmo, con una ottima pulizia. La bevuta cambia poi improvvisamente, con un ingresso abbastanza "rude" dell'amaro, con decise note resinose e vegetali che enfatizzano anche la percezione alcolica. Un vero e proprio "calcio" di amaro che va a caratterizzare anche il retrogusto, intenso ed abbastanza lungo. Una seconda parte (immaginiamo) volutamente "rude" ed un po' grezza, che viene a spezzare quell'equilibrio pulito che aveva caratterizzato la prima parte della bevuta. La bevibilità ne risulta un pochino compromessa, per una IPA dal corpo medio e moderatamente carbonata, (forse) volutamente sbilanciata e che sembra (forse) voler un po' ammiccare alla "moda" della "dammi la più amara che c'hai", spingendo forte all'ultimo istante sul pedale dell'acceleratore, piuttosto che continuare su un percorso bilanciato e raffinato. Formato: 33 cl., alc. 5.9%, scad. 15/01/2014, pagata: 3.50 Euro (food store, Italia).

venerdì 3 maggio 2013

Boelens Pa-Gijs Boerenkrijgbier

La famiglia Boelens, nel villaggio di Belsele, produce birra sin dalla metà del 1800; inizialmente guidato da Henri Boelens, antenato dell'attuale proprietario Kris, si vede interrompere l'attività nel 1915, quando l'esercito tedesco sequestra tutti i macchinari, lasciando a Henri solamente l'imbottigliatrice. Dopo la guerra, Boelens commercializza le proprie birre acquistandole da altri produttori e agendo solamente come "imbottigliatore" ed etichettatore; principalmente si tratta di birre del basso contenuto alcolico (2%) destinate al consumo quotidiano e da pasto. Sino agli anni '90 i Boelens non producono più birra in proprio, ma continuano a farsela produrre da altri e ad operare anche come distributori di birra e di bevande all'ingrosso. Nel 1980 Kris, nipote del fondatore Henri, sale alla guida dell'azienda e decide di ricominciare con la produzione, riacquistando gli impianti necessari: nel 1993 viene commercializzata per la prima volta la Bieken, una birra al miele ancora oggi prodotta assieme ad altre cinque birre che appaiono sul sito del birrificio. Ma le birre di Bolens sono molte di più (Ratebeer ne elenca oltre una trentina), inclusa questa Pa-Gijs. Il nome abbastanza insolito fa riferimento ad una guerra tra coltivatori (De Boerenkrijg) scoppiata in Belgio nel 1798; a Overmere è stato eretto un monumento in memoria dei caduti, chiamato "en Gijselinck di Pauw", che la gente ha poi abbreviato in "En Gijs di Pa".  All'aspetto è di un bel color ambrato carico con riflessi ramati; la schiuma, fine e cremosa, color ocra, è molto persistente. Il naso non è senz'altro il lato migliore di questa Pa-Gijs. Lievi sentori di arancio (marmellata), caramello, lievito. Molto più interessante il gusto, che apre con un imbocco maltato di biscotto al burro e caramello, seguito da note di arancia candita; l'inizio dolce viene bilanciato da una seconda parte leggermente aspra, piuttosto che amara. Troviamo note di prugna acerba ed uva; la chiusura, molto veloce, è leggermente amara e terrosa/medicinale, e lascia il palato pulito. Vivacemente carbonata e dal corpo medio, si lascia bere molto facilmente ben nascondendo il contenuto alcolico (7.5%). Buona bevuta, che offre un'interessante progressione dolce-aspro-amaro. Formato: 33 cl., alc. 7.5%, lotto 0111, scad. 01/2014. 

giovedì 2 maggio 2013

Gjulia Nera Sud

Ospitiamo per la prima volta su questo blog il birrificio friulano Gjulia; si tratta di un'apertura molto  recente (2012) guidato da Massimo e Marco Zorzettig, un cognome che forse sarà noto agli enofili,  visto che la famiglia Zorzettig ha una lunga tradizione di produttori di vino. Attualmente Massimo e Marco sono produttori con il nome Azienda Agricola La Tunella.  Anche la produzione di birra (a bordo c'è il birraio Mirco Masetti) viene svolta nell'ambito di un'azienda agricola, la Alturis; l'azienda fornisce anche l'orzo ed il frumento che vengono poi maltati per la produzione delle birre, per arrivare a quel 51% di materie prime autoprodotte necessario per il riconoscimento di un prodotto come "agricolo". Quattro le birre attualmente in produzione, i cui nomi coincidono con quelle dei punti cardinali; secondo la descrizione che ne fa il birrificio stesso: una "bionda" ad alta fermentazione, una weizen, una ambrata ed una stout, che andremo ad assaggiare. Vi è anche una produzione speciale (La Grecale) che viene prodotta con aggiunta di mosto di uva Picolit, vitigno autoctono caratteristico proprio della zona dove ha sede l'azienda agricola (San Pietro al Natisone).  Questa Sud nel bicchiere è di colore marrone scurissimo, con bei riflessi color mogano; la schiuma, di color beige, è molto persistente, a trama molto fine e cremosa. L'aroma non è molto pronunciato, ma apre con una buona pulizia rivelando sentori di orzo tostato, caffè, liquirizia e, in secondo piano, cenere. Gli stessi elementi ritornano anche in bocca (liquirizia, tostature, caffè) con in aggiunta la presenza di frutta sotto spirito (prugne) a fine corsa.  Sebbene l'etichetta faccia riferimento alla meditazione - sul cui (ab)uso in ambito brassicolo preferiamo sorvolare - l'alcool (8%) è ben nascosto e ci è sembrata una birra che punta più sulla scorrevolezza e sulla buona facilità di bevuta che su quel tepore etilico o quella viscosità che invece ne rallenterebbero la bevuta in favore di un lento (e meditativo ?) sorseggiare.  Al palato la liquirizia ha un netto predominio rispetto alle tostature; chiude con un bel finale secco, per poi abbandonarsi ad un retrogusto di caffè, cioccolato amaro e, finalmente, un tiepido calore etilico fruttato. Corpo e carbonazione medi, buona intensità di gusto, più pulita al naso che in bocca. Formato: 75 cl., alc. 8%, lotto 4062, scad. 30/10/2013, prezzzo 9.00 Euro (gastronomia, Italia).

mercoledì 1 maggio 2013

BFM La Torpille

Terzo tentativo con il birrificio svizzero BFM (Brasserie des Franches Montagnes) del quale abbiamo parlato più dettagliatament in questa occasione. Dopo La Meule e la Cuvée Alex Le Rouge, entrambe infette (lattico) è la volta della "torpedo" (La Torpille) che viene purtroppo a confermare la regola del "non c'è due senza tre". Ma mentre le altre due birre hanno preso subito la via del lavandino, almeno La Torpille siamo riusciti a berla. Il birrificio la descrive come una brown ale dal carattere spiccatamente fruttato a ricordare alcuni vini (invecchiati) dell'alta valle del Rodano; tra gli ingredienti citati in etichetta figurano anche cannella, chiodi di garofano e purea di prugna, oltre a lievito, malto d'orzo, frumento, zucchero ed acqua. Non sembrerebbe essere stato utilizzato luppolo. L'aspetto è molto invitante: ambrato carico con venature rossastre, velato, con una "solida" testa di schiuma color ocra, fine e cremosa. Purtroppo all'aroma è possibile rilevare solamente l'infezione di acido lattico e qualche sentore di lievito. Anche in bocca c'è una netta predominanza di lattico, ma lo scenario si presenta un po' più "interessante". C'è una leggera base di caramello, rapidamente messa in secondo piano da nette note aspre di prugne acerba e di uva(spina). Il risultato non è esattamente gradevole ma neppure imbevibile, con una punta di amaro (sempre lattico, a ricordare uno yogurth andato a male) a chiudere la bevuta. Non pervenute né la cannella né i chiodi di garofano.  Come sarebbe realmente, questa Torpille, non lo sapremo probabilmente mai. Formato: 33 cl., alc. 7.5%, lotto 2, scad. 08/2013, prezzo 5.79 Euro (beershop, Svizzera).