mercoledì 17 aprile 2019

Põhjala / Brew By Numbers Cellar Series - Kolm Null Null Kolm

Si sta espandendo a macchia d’olio la Cellar Series del birrificio estone Põhjala, quella dedicata agli invecchiamenti in botte: sono oltre cinquanta le variazioni sul genere prodotte sino ad ora. Tante, qualcuno potrebbe dire persino troppe… anche perché la stragrande maggioranza appartiene al filone Baltic Porter / Imperial Porter / Imperial Stout. 
Il 30 Marzo 2016 a Tallin arrivarono i birrai del birrificio londinese Brew By Numbers: Londra e Tallin, due città che vantano una forte tradizione nella produzione di Porter e Baltic Porter. L’occasione era ovviamente quel Tallinn Craft Beer Weekend, per il quale i due birrifici avevano realizzato qualche mese prima, a Londra, la 24|02 Amber Ale
Inevitabile che dal loro secondo incontro fosse prodotta una (Imperial) Porter: la birra Kolm Null Null Kolm, ovvero Tre Zero Zero Tre (30/03, data della cotta) venne poi messa ad invecchiare in botti che avevano precedentemente ospitato Moscatel Roxo, vino liquoroso tipico di Setúbal, cittadina portoghese che si trova ad una trentina di chilometri a sud di Lisbona. La base di questo vino liquoroso, molto meno famoso del Porto, è quel Moscato d’Alessandria che i romani esportarono nella penisola Iberica. I terreni sono argillo-sabbiosi, calcarei e leggermente alcalini. Dopo la vendemmia al mosto in fermentazione viene aggiunto il brandy e, successivamente, avviene l’invecchiamento in barriques di quercia.

La birra.
La ricetta elenca malti Marris Otter, Chocolate, Pale Chocolate, Carafa T-2 Spezial, Chocolate Rye, segale, avena e zucchero Demerara; i luppoli utilizzati sono Columbus e Centennial. 
Si presenta vestita di nero con un generoso cappello di schiuma cremoso e abbastanza compatto ma poco persistente. Al naso ci sono effettivamente suggestioni di vino dolce fortificato ma l’aroma è dominato da tostature, cioccolato, caffè, fumo/tabacco e qualche traccia di legno. L’intensità non è particolarmente elevata, pulizia ed eleganza sono ben lontani dall’eccellenza ma nel complesso l’aroma è piuttosto piacevole. Rispetto alla classiche Imperial Stout/Porter di Põhjala qui non ci sono particolari densità al palato: in questo caso viene privilegiata la scuola inglese. La sensazione palatale sarebbe morbida, quasi vellutata, se non ci fosse qualche bollicina di troppo a rovinare un po’ la festa. Il gusto non presenta sorprese, almeno per chi conosce Põhjala: la bevuta è molto, molto dolce e il vino liquoroso si prende quel ruolo da protagonista che gli era stato negato nell’aroma.  L’accompagnano il dolce della melassa, della frutta sotto spirito e qualche lievissimo accenno di caffè, torrefatto e cioccolato. L’alcool è piuttosto ben nascosto. Sembrerebbe una birra stucchevole ma il passaggio in botte fa compiere il “piccolo miracolo” necessario a portare un po’ di equilibrio:  asprezza, acidità e tannini.
Personalmente non amo molto i passaggi in botti ex-vino e continuo a sostenere che bourbon e whisky siano la “casa” ideale per chi vuole far riposare questo tipo  di birre. Al di là delle considerazioni legate al gusto, questa Kolm Null Null Kolm è comunque piacevole nonostante risulti un po’ incerta ed incompiuta in qualche passaggio, soprattutto per quel che riguarda pulizia e finezza.
Formato 33 cl., alc. 11.1%, IBU 65, lotto 377,scad. 31/01/2020, prezzo indicativo 7.00-8.00 euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

mercoledì 10 aprile 2019

Lervig Galaxy Citra Flicker

Una Pale Ale generosamente luppolata con Galaxy e Citra: ci sono tutti gli ingredienti giusti per fare una birra moderna e di successo. E’ questa l’idea alla base della Galaxy Citra Flicker, una delle ultime nate (novembre 2018) in casa Lervig, birrificio norvegese e ospite quasi regolare sulle pagine del blog.  Una birra dal moderato contenuto alcolico (5.5%) che quasi si sovrappone alla sorella Lervig Easy (4.5%) la quale all’irrinunciabile Citra affiancava l’altrettanto moderno luppolo Mosaic. Come vedremo tra poco, il risultato non cambia molto ma non ha importanza: il mercato ha sempre sete di novità e i birrifici stanno al gioco. Una birra “nuova” ha sempre più fascino del “ritorno” di una già nota, anche se buonissima. E per un birrificio non è un grosso sforzo fare qualche leggero aggiustamento ad una ricetta già collaudata e sfornare una nuova etichetta capace di catturare lo sguardo dei consumatori.  
L’identità visiva è un aspetto che non va assolutamente sottovalutato se si ambisce ad una determinata fetta di mercato; alla Lervig lo sanno benissimo e hanno profondamente modificato le loro grafiche negli ultimi anni. Nel 2017 è stata assunta stabilmente la giovane designer danese Nanna Guldbæk.  “La cosa è nata quasi per caso – racconta il Mike Murphy di Lervig - ma ora ha preso il sopravvento; le agenzie grafiche tradizionali non hanno la necessaria flessibilità per seguire il mercato e ad esempio realizzare un nuova etichetta in poche settimane. Avevamo bisogno di un designer creativo come noi: Anna è perfetta perché è una bevitrice di birra e ha già lavorato nell’ambiente” . 
“Le mie illustrazioni sono fatte sia a mano che al computer e combinano diversi elementi e materiali che potete sentire al tatto” dice Nanna. “Non sono semplici etichette incollate sulle lattine: l’illustrazione si relaziona direttamente con l’alluminio della lattina, con chi la tiene tra le mani e con la birra che contiene. Sono questi gli aspetti che vorrei maggiormente sviluppare in futuro con Lervig”.  E l’etichetta della Galaxy Citra Flicker non fa eccezione: ruvida al tatto con il grigio sfocato a predominare richiamando il materiale della lattina stessa. In primo piano un alienato soggetto dal quale spuntano quattro braccia, indossare un visore per la realtà virtuale e armeggiare un rudimentale telecomando che non sembra funzionare molto bene. Davanti a lui un’inquietante marea grigia (uno schermo TV rotto?) sulla quale si scorgono due particelle: lievito? I due luppoli? Non lo sapremo mai.

La birra.
Rispetto alla Easy, la Galaxy Citra Flicker semplifica ulteriormente il parterre dei malti: soltanto Pilsner e Pale accompagnati da avena e frumento per adeguare il mouthfeel agli standard che la moda oggi richiede. 
Visivamente ricorda un torbido succo di arancia, la schiuma è ovviamente un po’ scomposta e mostra una discreta ritenzione. A tre mesi dalla messa in lattina l’aroma non è al massimo dell’intensità e dell’esplosività ma è comunque piuttosto gradevole. Tropicale e agrumi si dividono il palcoscenico a colpi di mango e arancia, passion fruit e pomplemo.  Non è una birra che cerca di battere il record di scorrevolezza: rispettare il protocollo Juicy / New England significa perseguire una sensazione palatale importante, morbida, leggermente “masticabile”. Si beve con facilità ma non a grande velocità: mettetelo in conto quando ordinate birre di questo genere. Il gusto recupera le lievi incertezze dell’aroma e regala una bevuta intensa e fruttata “con intelligenza”, senza eccessi. I tre mesi in lattina le hanno tolto un po’ di freschezza ma hanno anche smussato le spigolature che spesso questa interpretazione dello stile si porta dietro: c’è grande equilibrio ed anche pulizia ed eleganza, spesso note dolenti di queste birre, sono ad un livello soddisfacente. E allora largo alla sequenza di pane e crackers, mango, passion fruit e pesca prima di un finale molto secco nel quale la scorza d’agrumi è protagonista, affiancata da qualche nota erbacea/vegetale. Livello d’amaro molto basso in una birra intelligente e piuttosto ben fatta dal formato (mezzo litro) assolutamente appropriato. 
Formato 50 cl., alc. 5.5%, IBU 33, imbott. 17/01/2019, scad. 17/10/2019, prezzo indicativo 7.00 euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 9 aprile 2019

The Bruery So Happens It's Tuesday 2017

Prodotta per la prima volta nel 2009 la imponente (18-20%) Imperial Stout Black Tuesday ha contribuito in maniera definitiva la fama del birrificio californiano The Bruery, soprattutto tra i beergeeks. La birra è sempre stata disponibile solamente ai membri dei diversi programmi di “membership” attivati nel corso degli anni: attualmente ci sono la Preservation Society, la Reserve Society e la esclusiva Hoarders Society. Pagando una quota annuale avrete diritto a vari benefici tra i quali quello di ricevere alcune birre che non sono messe in vendita nei normali canali distributivi. Ne avevo parlato in dettaglio qui
L’hype della Black Tuesday non è più quello di un tempo ma è una birra che è ancora abbastanza ricercata sul mercato secondario e che quindi si può utilizzare come merce di scambio per arrivare ad altre bottiglie “rare” o difficili da reperire.  Il suo nome è ovviamente ispirato al quel Martedì Nero del 1929 nel quale a Wall Street crollarono i prezzi della maggior parte delle azioni dando forse il via alla Grande Depressione. 
Patrick Rue, fondatore di The Bruery, racconta in un post e in un video la nascita di questa birra estrema, informalmente chiamata “la birra infernale” (The Beer from Hell)  che avvenne in una giornata di birrificazione lunga sedici ora che si stava per concludere con esiti disastrosi. A quel tempo la situazione finanziaria del birrificio era precaria e quindi si rischiò un piccolo “martedì nero”.  
Nel dicembre 2014 The Bruery annunciò la nascita di una versione “più accessibile” di Black Tuesday, dal contenuto alcolico ridotto a "solo" 11.3%: So Happens It’s Tuesday,  il cui acronimo (S.H.I.T.) fu però  di cattivo auspicio. Poche settimane dopo il birrificio fu costretto a dichiarare che le bottiglie (anch’esse destinate solamente ai membri dei club) non sarebbero state consegnate in quanto non rispettavano  gli standard qualitativi richiesti. In poche parole: alcune bottiglie risultavano infette. Fu possibile assaggiarle solo presso la taproom, senza possibilità di asporto. Nel 2015 la birra fu finalmente distribuita al pubblico, con aumento dell’ABV a 14,7%:  i problemi di qualità non furono però del tutto risolti sino al 2016, anno in cui The Bruery rivelò di aver iniziato a sottoporre  alcune birre, senza specificare quali, ad una pastorizzazione flash.  
Anche la So Happens It’s Tuesday ha le sue inevitabili varianti, in particolare quelle con aggiunta di caffè e di Oreo.

La birra.
L’edizione 2017 di So Happens It's Tuesday si presenta di color ebano scuro e, nonostante l’imponente gradazione alcolica, genera un bel cappello di schiuma cremosa e abbastanza compatta. Se avete già assaggiato qualcuna delle grandi Strong Ales barricate del birrificio californiano vi sentirete subito a casa: l’aroma è ricco di bourbon e di “dark fruits”, nello specifico prugna, uvetta e datteri. In secondo piano spuntano note legnose e terrose, caramello, accenni di vino fortificato e di cocco tostato. Intenso pulito, caldo, avvolgente: preambolo ad un gusto che si muove nella stessa direzione, supportato da un corpo non particolarmente ingombrante e da una consistenza che non raggiunge particolari viscosità. L’alcool si sente comunque tutto e, sebbene non bruci, obbliga a sorseggiare con molta tranquillità. E’ una birra che fa serata, dolce e calda di bourbon e frutta sotto spirito;  non mancano comunque richiami al porto e al cioccolato. Nel complesso bilanciata, grazie al contributo di alcool e legno, si congeda lasciando una scia praticamente interminabile; The Bruery la chiama Imperial Stout ma di "scuro" (torrefatto, caffè, etc..) a parte il colore, non c'è molto.
Anche per lei vale il discorso che avevo fatto per la Melange #3: livello alto pur in assenza di particolari profondità e complessità. Assieme a lei passerete una bella serata, anche se un po’ avara di emozioni: a voi decidere se il viaggio (magari da condividere assieme a qualche compagno) valga il prezzo del biglietto.
Formato 75 cl., alc. 14.7%, lotto 13/10/2017, prezzo indicativo 20-23 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

venerdì 5 aprile 2019

Tempest All The Leaves Are Brown Bourbon Barrel

La Imperial Brown Ale con aggiunta di sciroppo d’acero All The Leaves Are Brown prodotta dal birrificio scozzese Tempest è stata forse la più bella sorpresa del 2018: ve ne avevo parlato qui. A settembre 2017 Tempest venne invitato a partecipare al Borefts Beer Festival organizzato in Olanda dal birrificio De Molen; ai partecipanti è solitamente richiesto di produrre almeno una birra a tema con il festival, che in quell’anno riguardava il Flower Power: “vogliamo più pace, amore e felicità nel mondo, e anche noi con la craft beer possiamo collaborare. Ai birrai lasciamo ampio spazio interpretativo: usate ingredienti (fiori?) che facciano sentire alla gente più amore, pace e felicità. I luppoli possono essere utilizzati ma non contano”.  Per l’occasione Tempest realizzò  una Imperial Brown Ale (10.5%) con sciroppo d’acero e, dopo il festival, qualche fusto della All The Leaves Are Brown apparve alla Oktoberfest che alla fine di ogni settembre il birrificio Tempest organizza presso la propria sede.  I mille partecipanti votarono proprio quella imperial brown ale come la migliore tra le birre presenti all’evento e la settimana successiva la birra fu anche imbottigliata e finalmente distribuita in tutta Europa.

La birra.
La Barrel-Aged All The Leaves Are Brown presenta qualche piccola variazione rispetto alla versione base: i malti sono gli stessi (Golden Promise, Brown e Chocolate) mentre i luppoli “nobili” sono sostituiti da varietà americane. Il contenuto alcolico in percentuale sale da 10.5 a 11.2; la birra è stata invecchiata per sei mesi in cask che avevano in precedenza ospitato bourbon Heaven Hill ed è stata poi rifermentata con aggiunta di sciroppo d’acero (Grado A). 
Nel bicchiere si presenta di color ebano con una schiuma abbastanza compatta e discreta persistenza. Al naso sciroppo d’acero, biscotto e caramello, un filo di fumo, note di bourbon e legno, vaniglia, prugna e datteri disidratati. Intenso, caldo e avvolgente. Le “coccole” continuano al palato: è una birra morbida, poco carbonata e dal corpo medio-pieno che in alcuni passaggi risulta quasi vellutata. Il gusto ricalca perfettamente l’aroma, con la stessa intensità e pulizia: la bevuta è dolce (e non potrebbe essere altrimenti) ma risulta alla fine più bilanciata rispetto alla versione base. Merito del bourbon protagonista di un finale lungo e caldo nel quale la componente etilica contribuisce in maniera determinante ad "asciugare" i dolce; e c’è anche spazio per qualche suggestione di cioccolato.  Evoluzione logica e potenziata di una ottima birra che non delude le aspettative: a voler essere pignoli si potrebbe notare che l’apporto del passaggio in botte non è molto profondo ma il risultato è comunque degno di nota e regala grosse soddisfazioni e più di una emozione. 
Una birra perfetta proprio per quella stagione dell’anno in cui tutte le foglie sono marroni.
Formato 33 cl., alc. 11.2%, lotto 554, scad. 01/09/2023, prezzo indicativo 7.00-8.00 euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

giovedì 4 aprile 2019

Lehe / Vasileostrovskaya Ravnodenstvie

Põhjala è il rappresentante più noto della birra artigianale estone, ma non è più solo: è stato il primo (2011) ed ha ispirato altri birrai a contrastare il dominio dei tre marchi nazionali A. Le Coq, Saku Õlletehas (Carlsberg) e e Viru Õlu (Harboe). Oggi ce ne sono quasi una cinquantina, tra microproduttori e beerfirm.  Lehe Pruulikoda (Birrificio Lehe Brewery) è stato fondato nel 2013 da Tarmo e Gristel Tali.  Nel 2009 in Estonia non c’erano molte risorse per gli homebrewers, ma la coppia riesce ugualmente a reperire qualche kit e a sperimentare nella sauna della loro casa. Sono però i viaggi, prima in California e poi a Londra per lavoro, a far entrare Tarmo in contatto con la craft beer e con un mondo di profumi e sapori a lui sconosciuti; ogni volta che si trova in Inghilterra porta a casa con sé luppoli, malti e lieviti, materie prime difficili da reperire nel proprio paese. 
I complimenti degli amici e i primi segni di vita della Craft Beer Revolution estone lo convincono nel 2013 a scendere in campo: ottiene un mutuo, lascia la propria precedente occupazione e assieme alla moglie apre il birrificio Lehe a Keila, venti chilometri da Tallinn. L’attrezzatura arriva in autunno e nel febbraio 2014 sono pronte le prime tre birre: l’American Pale Ale Blackmouth Cur, la  Black IPA Lõbus Njuufa e la Session IPA Väike India. “Nessuna di quelle tre birre uscì dal birrificio -  ricorda Tarmo – Adattare le ricette casalinghe a un impianto professionale da 10 ettolitri  non fu facile e ne pagammo il prezzo. Meritavano un debutto migliore e quindi decidemmo di buttarle via e rifarle da capo”. 
Con i necessari aggiustamenti Lehe diventa in pochi anni uno dei protagonisti della birra artigianale estone, aumentando ogni anno la propria capacità produttiva con l’acquisto di nuovi fermentatori e di una nuova linea d’imbottigliamento americana. Sino ad ora Lehe ha sfornato quasi 100 diverse etichette, incluse numerose collaborazioni con birrifici esteri: la gamma va dall’analcolica Kas Te Olete Täna õhtul Vaba? (Are You Free Tonight – 0.5%) alla esagerata Triple (Quintuple!) IPA Übermensch (20%).

La birra.
Confesso la mia più completa ignoranza sulla birra artigianale russa, ma da quanto leggo anche là le cose si sono messe in moto. Il primo produttore artigianale di San Pietroburgo è il birrificio Vasileostrovskaya, attivo dal 2002; nel 2016 l'incontro con Lehe per realizzare assieme l’Imperial Stout Ravnodenstvie (Equinozio) con aggiunta di vaniglia del Madagascar. Dopo qualche mese è arrivata anche la versione Barrel Aged, invecchiata in botti ex-rum. Una scelta quasi obbligata: collabori con un birrificio russo e non fai una Russian Imperial Stout? 
Il suo colore è molto prossimo al nero, la schiuma è cremosa e compatta ed ha una discreta persistenza. La vaniglia è indisturbato protagonista di un aroma dolce che accoglie anche fruit cake, cioccolato al latte, melassa e qualche accenno di tostato: l’intensità sopperisce alle lacune di pulizia ed eleganza. Un agglomerato dolce comunque piacevole e avvolgente. Al palato è piena e densa ma le manca un po’ di morbidezza: c’è qualche bollicina di troppo. La bevuta segue pedissequamente l’aroma e porta quindi la vaniglia in primo piano su di un palcoscenico che ospita caramello, fruit cake, cioccolato e qualche nota di frutta sotto spirito. Anche qui c’è intensità, l’alcool (11%) si rivela completamente in un finale caldo e lungo nel quale appare anche qualche timida nota amaricante proveniente dai luppoli anziché dai malti tostati.  E’ proprio della componente tostata/torrefatta che si sente un po’ la mancanza in questa birra che ricalca la scuola “dolce” estone, leggasi Pohjala. Pulizia ed eleganza sono ampiamente migliorabili ma nel complesso è una Imperial Stout che si beve con buona soddisfazione. In una bottiglia che dovrebbe avere almeno un paio di anni di vita la vaniglia è ancora predominante: non oso pensare come fosse quando era appena stata imbottigliata.
Formato 33 cl., alc. 11%, IBU 110, lotto 5, scad. 05/09/2019, prezzo indicative 5.00 euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 2 aprile 2019

Lost And Grounded Running with Spectres

Alejando “Alex” Troncoso è nato in Guatemala, è cresciuto negli Stati Uniti ed ha vissuto in una decina di paesi prima di mettere le radici a Bristol, Regno Unito: l’unica certezza che ha sempre avuto è quella di voler fare il birraio. E lo ha fatto tra le mura di casa, poi temporaneamente in Australia, poi in Colorado e quindi  di nuovo in Australia, ormai trentenne: “dopo una quarantina di rifiuti ottenni un lavoro a Melbourne, al birrificio Stockade. Era da sette anni che cercavo di essere assunto come birraio e loro mi chiesero di lavorare quasi esclusivamente alla produzione di una crema di liquore”. La tortura dura solo sei mesi, perché riceve una chiamata dal birrificio Little Creatures di Fremantle, a “soli” 3500 chilometri di distanza, che gli offre un posto da “vero” birraio anche se per Alex ciò significa dover guadagnare di meno.  La felicità dura otto anni nel corso dei quali passa da semplice birraio al ruolo di “director of brewing” supervisionando anche l’installazione di un nuovo impianto: il birrificio aumenta la produzione annuale da 10.000 a 100.000 ettolitri. Nel 2012  Little Creatures viene acquistato dalla giapponese Kirin (che già ne possedeva il 25%)  e per Alex e la fidanzata Annie Clements è tempo di un nuovo trasloco. Destinazione Londra, dove Camden Town sta cercando un nuovo “head brewer” : vi resterà per quasi tre anni, andandosene sei mesi prima che il birrificio finisse nella mani della multinazionale AB-InBev. 
Per Alex era arrivato il momento di mettere in pratica il progetto che aveva sempre sognato: un birrificio tutto suo. “Pensavamo di andare a Liverpool, ma un giorno passammo per Bristol che ci ricordò un po’ l’Australia – tutti erano abbastanza rilassati. Non avevamo mai avuto neppure una casa tutta nostra e ora dovevamo investire tutti i nostri risparmi in un birrificio. La cosa ci spaventava un po’: per fortuna ci aiutarono un po’ delle persone che avevano lavorato con me alla Little Creatures, in particolare il fondatore Howard Cearns”. A luglio 2016 accende i motori il birrificio Lost and Grounded Brewers, impianto da 25hl fornito dalla tedesca Krones: a Bristol c’è entusiasmo per l’arrivo dell’ex-birraio di Camden Town, ma Alex Troncoso sorprende un po’ tutti con una gamma di cinque birre che non prevede nessuno degli stili maggiormente richiesti dal pubblico: IPA, APA, DIPA. Ci sono invece  la Keller Pils “Hop Bitter Lager Beer’”, la Lager molto luppolata  “Running with Sceptres”, la saison “Hop-Hand Fallacy”, la Red Ale “No Rest for Dancer” e la Tripel “Apophenia”.  Gli amanti del luppolo non si preoccupino: IPA e DIPA sono comunque arrivate in un secondo momento. Alle etichette – strumento di marketing ormai essenziale nell’affollato mercato della craft beer -  lavorano i designer Alexia Tucker e Sam Davis; in birrificio operano i birrai Marc Muraz-Dulaurier (ex Mad Hatter), Mikey Harvey (ex Hop and Berry) e Matt Thompson (ex Celt Beers).

La birra.
Produzione destinata ai mesi più freddi dell’anno, la (Hoppy) Baltic Porter  Running with Spectres (6.8%) viene prodotta con malti Pilsner, Cara, Crystal, Brown, Chocolate, Roast e luppoli Magnum, Premiant e Columbus. 
Il suo colore è un bel marrone con intense venature rossastre: la schuma è generosa, cremosa e compatta ed ho un’ottima persistenza. Al naso c’è pulizia ed un buon livello d’intensità: pane nero, frutta secca a guscio, caramello, caffè ed esteri fruttati che richiamano i frutti di bosco “scuri”. Al palato è morbida, scorre con buona facilità nascondendo bene l’alcool. La bevuta inizia con il dolce di caramello, cola, frutta sotto spirito e termina con un amaro piuttosto intenso nel quale trovano posto note terrose e torrefatte, di frutta secca a guscio e di caffè. Intensità ed equilibrio non mancano in questa Baltic Porter di Lost And Grounded: c’è ancora qualcosa da sistemare ma il livello è piuttosto buono.  Dopo Moor, Arbor, Bristol Beer Factory, Wiper and True e Left Handed Giant un altro birrificio da tenere d’occhio nella vivace Bristol.
Formato 44 cl., alc. 6.8%, scad. 23/10/2019, prezzo indicative 6.00 euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

lunedì 1 aprile 2019

Kulmbacher Eisbock

Seconda metà del 1800. La Germania si stava preparando ad entrare nel pieno della rivoluzione industriale e a Kulmbach, cinquanta chilometri a nord-est di Bamberga, il mercato della birra era spartito tra sei grandi (Erste Kulmbacher Aktienbrauerei, Reichelbräu, Petzbräu, Rizzibräu, Sandlerbräu e Mönchshofbräu) e una decina di piccoli produttori. La prima guerra mondiale e la successiva crisi economica modificarono definitivamente lo scenario: i piccoli produttori cessarono attività o vendettero ai grandi, che rimasero solamente in quattro dopo che Reichelbräu acquistò Petzbräu e Rizzibräu. 
Nonostante ciò, alla fine degli anni sessanta  Erste Kulmbacher Aktienbrauerei (EKU) era di gran lunga non solo il primo (“Erste”) ma anche il più grande birrificio di Kulmbach con 400.000 ettolitri prodotti ogni anno, praticamente il doppio di Reichelbräu. La EKU-Pils e la Edelherb di Reichelbräu si giocavano il primato per la birra più bevuta in città: la prima era più dolce ed accondiscendente ma i racconti dicono che dopo il primo sorso dell’amara Edelherb era impossibile tornare indietro. Le cose rimasero pressoché immutate sino al 1980 quando Reichelbräu riuscì ad anticipare EKU nell’acquisto del birrificio Sandler e, quattro anni dopo, si fuse con Mönchshof.  
Nel 1986 il gruppo Schörghuber, colosso immobiliare bavarese che negli anni ’70 era entrato anche nel business della birra facendo shopping a Monaco (Hacker-Pschorr e Paulaner) acquistò il 49% di Reichelbräu. Per la EKU fu l’inizio del tracollo: alla metà degli anni ’90 il “primo birrificio di Kulmbach” aveva accumulato un debito di oltre 60 milioni di marchi e la vendita al rivale Reichel sembrava essere l’unica soluzione possibile. Alla fine del 1995 i due birrifici trovarono un’intesa che fu però respinta dalle banche creditrici: il primo maggio 1996 venne dichiarato il fallimento della Erste Kulmbacher Aktienbrauerei.  La Reichelbräu riuscì solamente ad acquisire marchio e relativi diritti di distribuzione, mutando l’anno successivo il proprio nome in Kulmbacher Brauerei. Sostenuta dalla forza del gruppo Schörghuber  e dai quasi tre milioni di ettolitri che ogni anno producono i birrifici posseduti, Kulmbacher ha continuato a fare acquisti in Germania. Dal 2006 Kulmbacher è la birra ufficiale della squadra di calcio dell’ 1. FC Norimberga: attualmente il 63.8% di Kulmbacher è posseduto da Paulaner (Schörghuber ) e 25.8% dal Kulmbacher Ireks Group che opera nel settore delle materie prime per la panificazione e possiede anche una importante materia. 

La birra.
Leggenda o verità, pare che sia proprio Kulmbach il luogo di nascita delle Eisbock. In un freddo inverno del 1890 ad un tirocinante della Reichelbrau era stato detto di spostare alcune botti di birra dal cortile alla cantina ma, stanco dopo una lunga giornata di lavoro, decise di posticipare il dovere alla mattina successiva. Purtroppo fu una notte particolarmente rigida e la birra congelò, facendo quasi esplodere i barili; la mattina dopo, il mastro birraio arrabbiato ordinò per punizione al ragazzo di rompere il ghiaccio e bere quell’orribile liquido marrone da una pozza che si era formata sul terreno. Ma, con sua grande sorpresa, il volto del tirocinante era tutt’altro che triste: la birra era buona. 
Le Eisbock sarebbero quindi nate per caso e, ancora oggi, vengono prodotte con lo stesso metodo:  si lascia ghiacciare una birra (solitamente una Bock o una Doppelbock) e “poi si recupera la parte rimasta in forma liquida. Questa frazione rimanente è un concentrato della parte alcolica e zuccherina della birra, nella quale sono esaltati sia gli aromi che i difetti. È quindi un modo per ottenere non solo una birra più forte, ma anche una birra più complessa e intensa (e più problematica, nel caso di imperfezioni). Non è raro che dopo la fase di separazione dalla parte ghiacciata, quella rimanente subisca un periodo di lagerizzazione per favorire l’armonizzazione delle varie componenti”.  Un processo che è stato anche utilizzato da diversi birrifici per conquistare l’assurdo record della birra più alcolica al mondo. Per quel che mi riguarda, Eisbock significa soltanto una parola: Aventinus del birrificio Schneider & Sohn.  Ma visto che secondo la leggenda lo stile sarebbe nato a Kulmbach, perché non provare quella che sarebbe “la madre di tutte le Eisbock”? 
Oggi disponibile solamente da ottobre a marzo, la Kulmbacher Eisbock si presenta con un vestito marrone scuro illuminato da fiammate rosso rubino. L’aroma è dolce e sciropposo, pulito, intense ma alquanto stucchevole. Ciliegia, prugna, uvetta, caramello e melassa, qualche accenno di pane nero. La scuola tedesca mette sempre la facilità di bevuta al primo posto e anche questa Eisbock la rispetta, nonostante la gradazione alcolica (9.2%): poche bollicine, morbida al palato, si sorseggia senza nessuna difficoltà. Il gusto ripropone l’aroma in tutto e per tutto andando a comporre un dolce sciroppo di ciliegia e prugna nel quale si scorge qualche nota biscottata e di pane nero: nel finale c’è un brevissimo passaggio amaricante, quasi impercettibile, terroso e di frutta secca a guscio. L’alcool è molto ben nascosto, forse fin troppo, ed anche per questo non è molto efficace a dare il suo apporto nel contrastare quel dolce che caratterizza questa birra dal primo all’ultimo istante di permanenza nel bicchiere.  Stucchevole? Si e no. Se vi piacciono le birre molto dolci  la troverete capace di soddisfare quel vostro (quasi perverso) piacere. Un consiglio a  tutti gli altri: pian piano si arriva alla fine del bicchiere ma con un pezzetto di cioccolato fondente sottomano il percorso risulta più agevole.
Formato 33 cl., alc. 9.2%, scad. 13/03/2019, pagata 1.50 euro

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.