Seconda metà del 1800. La Germania si stava preparando ad entrare nel pieno della rivoluzione industriale e a Kulmbach, cinquanta chilometri a nord-est di Bamberga, il mercato della birra era spartito tra sei grandi (Erste Kulmbacher Aktienbrauerei, Reichelbräu, Petzbräu, Rizzibräu, Sandlerbräu e Mönchshofbräu) e una decina di piccoli produttori. La prima guerra mondiale e la successiva crisi economica modificarono definitivamente lo scenario: i piccoli produttori cessarono attività o vendettero ai grandi, che rimasero solamente in quattro dopo che Reichelbräu acquistò Petzbräu e Rizzibräu.
Nonostante ciò, alla fine degli anni sessanta Erste Kulmbacher Aktienbrauerei (EKU) era di gran lunga non solo il primo (“Erste”) ma anche il più grande birrificio di Kulmbach con 400.000 ettolitri prodotti ogni anno, praticamente il doppio di Reichelbräu. La EKU-Pils e la Edelherb di Reichelbräu si giocavano il primato per la birra più bevuta in città: la prima era più dolce ed accondiscendente ma i racconti dicono che dopo il primo sorso dell’amara Edelherb era impossibile tornare indietro. Le cose rimasero pressoché immutate sino al 1980 quando Reichelbräu riuscì ad anticipare EKU nell’acquisto del birrificio Sandler e, quattro anni dopo, si fuse con Mönchshof.
Nel 1986 il gruppo Schörghuber, colosso immobiliare bavarese che negli anni ’70 era entrato anche nel business della birra facendo shopping a Monaco (Hacker-Pschorr e Paulaner) acquistò il 49% di Reichelbräu. Per la EKU fu l’inizio del tracollo: alla metà degli anni ’90 il “primo birrificio di Kulmbach” aveva accumulato un debito di oltre 60 milioni di marchi e la vendita al rivale Reichel sembrava essere l’unica soluzione possibile. Alla fine del 1995 i due birrifici trovarono un’intesa che fu però respinta dalle banche creditrici: il primo maggio 1996 venne dichiarato il fallimento della Erste Kulmbacher Aktienbrauerei. La Reichelbräu riuscì solamente ad acquisire marchio e relativi diritti di distribuzione, mutando l’anno successivo il proprio nome in Kulmbacher Brauerei. Sostenuta dalla forza del gruppo Schörghuber e dai quasi tre milioni di ettolitri che ogni anno producono i birrifici posseduti, Kulmbacher ha continuato a fare acquisti in Germania. Dal 2006 Kulmbacher è la birra ufficiale della squadra di calcio dell’ 1. FC Norimberga: attualmente il 63.8% di Kulmbacher è posseduto da Paulaner (Schörghuber ) e 25.8% dal Kulmbacher Ireks Group che opera nel settore delle materie prime per la panificazione e possiede anche una importante materia.
Leggenda o verità, pare che sia proprio Kulmbach il luogo di nascita delle Eisbock. In un freddo inverno del 1890 ad un tirocinante della Reichelbrau era stato detto di spostare alcune botti di birra dal cortile alla cantina ma, stanco dopo una lunga giornata di lavoro, decise di posticipare il dovere alla mattina successiva. Purtroppo fu una notte particolarmente rigida e la birra congelò, facendo quasi esplodere i barili; la mattina dopo, il mastro birraio arrabbiato ordinò per punizione al ragazzo di rompere il ghiaccio e bere quell’orribile liquido marrone da una pozza che si era formata sul terreno. Ma, con sua grande sorpresa, il volto del tirocinante era tutt’altro che triste: la birra era buona.
Le Eisbock sarebbero quindi nate per caso e, ancora oggi, vengono prodotte con lo stesso metodo: si lascia ghiacciare una birra (solitamente una Bock o una Doppelbock) e “poi si recupera la parte rimasta in forma liquida. Questa frazione rimanente è un concentrato della parte alcolica e zuccherina della birra, nella quale sono esaltati sia gli aromi che i difetti. È quindi un modo per ottenere non solo una birra più forte, ma anche una birra più complessa e intensa (e più problematica, nel caso di imperfezioni). Non è raro che dopo la fase di separazione dalla parte ghiacciata, quella rimanente subisca un periodo di lagerizzazione per favorire l’armonizzazione delle varie componenti”. Un processo che è stato anche utilizzato da diversi birrifici per conquistare l’assurdo record della birra più alcolica al mondo. Per quel che mi riguarda, Eisbock significa soltanto una parola: Aventinus del birrificio Schneider & Sohn. Ma visto che secondo la leggenda lo stile sarebbe nato a Kulmbach, perché non provare quella che sarebbe “la madre di tutte le Eisbock”?
Oggi disponibile solamente da ottobre a marzo, la Kulmbacher Eisbock si presenta con un vestito marrone scuro illuminato da fiammate rosso rubino. L’aroma è dolce e sciropposo, pulito, intense ma alquanto stucchevole. Ciliegia, prugna, uvetta, caramello e melassa, qualche accenno di pane nero. La scuola tedesca mette sempre la facilità di bevuta al primo posto e anche questa Eisbock la rispetta, nonostante la gradazione alcolica (9.2%): poche bollicine, morbida al palato, si sorseggia senza nessuna difficoltà. Il gusto ripropone l’aroma in tutto e per tutto andando a comporre un dolce sciroppo di ciliegia e prugna nel quale si scorge qualche nota biscottata e di pane nero: nel finale c’è un brevissimo passaggio amaricante, quasi impercettibile, terroso e di frutta secca a guscio. L’alcool è molto ben nascosto, forse fin troppo, ed anche per questo non è molto efficace a dare il suo apporto nel contrastare quel dolce che caratterizza questa birra dal primo all’ultimo istante di permanenza nel bicchiere. Stucchevole? Si e no. Se vi piacciono le birre molto dolci la troverete capace di soddisfare quel vostro (quasi perverso) piacere. Un consiglio a tutti gli altri: pian piano si arriva alla fine del bicchiere ma con un pezzetto di cioccolato fondente sottomano il percorso risulta più agevole.
Formato 33 cl., alc. 9.2%, scad. 13/03/2019, pagata 1.50 euro NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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