E’ stato uno dei principali protagonisti della craft beer revolution nel Regno Unito ma oggi per me è onestamente difficile associare il nome BrewDog alla parola “artigianale”. Il birrificio non ha ceduto quote a nessuna multinazionale (la maggioranza è posseduta dalla TSG Consumer Partners, private equity) ma ha sviluppato un modello di business che, per quel che mi riguarda, mi ricorda molto più quello di una grande impresa: un beer-hotel in Ohio (USA), una linea aerea, altri due piccoli hotel in Scozia, una cinquantina di BrewDog bar sparsi in tutto il mondo e cinque siti produttivi sparsi tra Scozia (due ad Ellon), Germania (l’ex Stone Berlin), USA (Columbus, Ohio) e Austrialia (Brisbane).
I due fondatori, gli ex-punk James Watt e Martin Dickie, non sono più birrai ma imprenditori che hanno scelto di privilegiare la quantità sulla qualità: BrewDog si trova quasi ovunque e nel corso degli anni ha modificato i propri prodotti per cercare di raggiungere il maggior numero di persone. La loro birra simbolo, la Punk IPA, è oggi un prodotto completamente diverso da quello che era nato nel 2007 e che si era fatto largo con campagne pubblicitarie provocatorie e aggressive; la Punk IPA è oggi una birra docile e facile da bere che non riesce più come una volta a stupire il palato di chi è già abituato a bere prodotti artigianali. BrewDog ha indubbiamente avuto il merito di contribuire alla diffusione della birra artigianale ed è ancora oggi una valida alternativa ai prodotti industriali ma la scena craft offre alternative molto più allettanti per gli appassionati. Per tutti gli altri, BrewDog può ancora rappresentare una porta d’accesso per passare dal mondo industriale a quello artigianale.
Quel che è certo è che in Scozia non stanno mai fermi: nelle scorse settimane è stato lanciato il manifesto ”ecologista” BrewdogTomorrow che vuole promuovere il riciclo delle lattine, la trasformazione delle birre venuta male in distillato/Vodka (sai che novità) e l’invito all’homebrewing (ovviamente usando i kit di BrewDog) per evitare d’inquinare andando a berla o a comprarla in giro. Il birrificio ha inoltre annunciato che investirà un milione sterline in ricerca e iniziative di tipo ecologico. Il tutto sarà accompagnato da un completo restyling di grafiche ed etichette, quest’ultime sempre meno punk.
La birra.
Dal punto di vista brassicolo vale ancora la pena andare a cercare BrewDog o conviene lasciare che sia lui a trovare voi, dai bar agli scaffali dei supermercati? Ci sarebbe in teoria la “Small Batch Series” il cui nome indica esattamente la direzione opposta a quella presa dal birrificio di Ellon: parliamo principalmente di birre acide e invecchiamenti in botte. Una delle ultime arrivate in questo “catalogo” è la Off Duty King, una Export (imperial) Stout invecchiata per sei mesi in cask di whisky scozzese ed ulteriori sei mesi in botti che avevano in precedenza contenuto whiskey di segale: in questo caso oltre al cereale è anche la vocale “E” a fare la differenza. Dalla Scozia ci di sposta in Irlanda o negli Stati Uniti, non ci è dato a sapere. BrewDog ci comunica che per la produzione dell’imperial stout sono state impiegate sette diverse varietà di malto e sei di luppolo: è stata messa in vendita nella prima settimana di dicembre 2019.
Il suo vestito è di colore ebano scuro, la schiuma è generosa, compatta ed ha buona persistenza. L’aroma è davvero un bel biglietto da visita: whisky, melassa, liquirizia, vaniglia, legno, fruit cake, accenni di cioccolato, fudge, uvetta e prugna disidratata: l’intensità è discreta ma c’è profondità e soprattutto un buon livello di pulizia. Purtroppo le belle notizie finiscono qui: la Off Duty King non mantiene le splendide promesse a partire da un mouthfeel troppo leggero per una birra che dichiara in etichetta 13.2%. Ma sarei anche ben disposto a perdonare questo vizio se il gusto mi rappresentasse anche solo il 50% dell’aroma: la bevuta è invece un lento incedere marcatamente caratterizzato dal distillato con qualche concessione alla frutta sotto spirito, al caramello, quasi alla cola. Niente rullo di tamburi finale: è una birra che si congeda quasi in sordina, senza nessun accenno di caffè o torrefatto. Rimane una scia mediamente lunga di whisky come ricordo di una imperial stout non difficile da sorseggiare ma poco profonda e molto noiosa. Un’occasione mancata ad un costo che non vale assolutamente il prezzo del biglietto.
Formato 33 cl., alc. 13.2%, lotto 1911065C, scad. 11/21/2029, pagata 8,50 sterline (beershop)NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa lattina e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.