E’ un po’ sparito dal mio radar ma non per questo bisogna dimenticare la rilevanza che il Birrificio del Ducato, fondato nel 2007 da Giovanni Campari e Manuel Piccoli, ha avuto nella scena della birra artigianale italiana. Sono trascorsi “solamente” tredici anni ma di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia: dai numerosi riconoscimenti per la keller Via Emilia, la birra-simbolo del birrificio, al lancio della gamma BIA: era una delle prime volte che la birra artigianale s’affacciava sugli scaffali dei supermercati italiani ad un prezzo contenuto.
In tutto questo tempo le etichette sono cambiate, la forma delle bottiglie si è allungata per poi tornare alla panciuta forma con le quali il birrificio aveva debuttato. Nel 2010 il Ducato si espandeva acquistando un secondo sito produttivo a Fiorenzuola che affiancava quello storico di Roncole Verdi (PR), oggi esclusivamente dedicato alla realizzazione di birre acide e agli affinamenti in botte. Nel 2015 l’impianto principale veniva trasferito nella nuova sede di Soragna e il sito di Fiorenzuola veniva dismesso: nello stesso anno il Ducato lanciava l’ambizioso The Italian Job, pub londinese dedicato al craft italiano che negli anni a venire avrebbe inaugurato altre succursali. Oggi a Londra ve ne sono quattro: Notting Hill, Hackney, Chiswick e Mercato Metropolitano.
Nell’estate del 2017 Campari e soci furono costretti – con molte polemiche - a rendere pubblica un’operazione che era avvenuta alla fine del 2016: la cessione del 35% delle quote societarie ai belgi della Duvel Moortgat. “Si cede una quota di minoranza, al fine di poter ottenere le risorse necessarie da destinare al birrificio Del Ducato” recitava il comunicato stampa: ma come quasi sempre accade in questi casi, gli investimenti di un pesce grosso sono solo il preambolo alla cessione della maggioranza, avvenuta di fatto nella primavera del 2018. Oggi Duvel possiede il 70% del Ducato che non può più definirsi “artigianale”, anche se la gestione operativa continua ad essere seguita da Campari e Piccoli; dall’arrivo dei belgi la produzione annua è salita da 5000 e 9000 ettolitri e qualche bottiglia è tornata sugli scaffali della grande distribuzione con la linea “Parma Vecchia”: Lager, Amber e IPA.
In tutto questo tempo le etichette sono cambiate, la forma delle bottiglie si è allungata per poi tornare alla panciuta forma con le quali il birrificio aveva debuttato. Nel 2010 il Ducato si espandeva acquistando un secondo sito produttivo a Fiorenzuola che affiancava quello storico di Roncole Verdi (PR), oggi esclusivamente dedicato alla realizzazione di birre acide e agli affinamenti in botte. Nel 2015 l’impianto principale veniva trasferito nella nuova sede di Soragna e il sito di Fiorenzuola veniva dismesso: nello stesso anno il Ducato lanciava l’ambizioso The Italian Job, pub londinese dedicato al craft italiano che negli anni a venire avrebbe inaugurato altre succursali. Oggi a Londra ve ne sono quattro: Notting Hill, Hackney, Chiswick e Mercato Metropolitano.
Nell’estate del 2017 Campari e soci furono costretti – con molte polemiche - a rendere pubblica un’operazione che era avvenuta alla fine del 2016: la cessione del 35% delle quote societarie ai belgi della Duvel Moortgat. “Si cede una quota di minoranza, al fine di poter ottenere le risorse necessarie da destinare al birrificio Del Ducato” recitava il comunicato stampa: ma come quasi sempre accade in questi casi, gli investimenti di un pesce grosso sono solo il preambolo alla cessione della maggioranza, avvenuta di fatto nella primavera del 2018. Oggi Duvel possiede il 70% del Ducato che non può più definirsi “artigianale”, anche se la gestione operativa continua ad essere seguita da Campari e Piccoli; dall’arrivo dei belgi la produzione annua è salita da 5000 e 9000 ettolitri e qualche bottiglia è tornata sugli scaffali della grande distribuzione con la linea “Parma Vecchia”: Lager, Amber e IPA.
La birra.
Qualche anno fa avevamo assaggiato L’Ultima Luna, potente Barley Wine invecchiato almento 18 mesi in botti che avevano in precedenza contenuto Amarone della Valpolicella. Per produrla è stato ovviamente necessario un Barley Wine “fresco”, ricetta che nelle intenzioni di Campari doveva servire esclusivamente per quello scopo, ma “durante la maturazione de L’Ultima Luna in serbatoio, prima di andare in botte, ci siamo accorti di come fosse già interessante e quali margini di evoluzioni avrebbe potuto avere la birra anche senza l’invecchiamento nel legno. Fu così che decidemmo di imbottigliare La Prima Luna, utilizzando la stessa base de L’Ultima Luna. Naturalmente un barley wine di questo calibro ha bisogno di molto tempo in bottiglia per armonizzarsi, è per questo che iniziamo a far uscire le bottiglie dopo almeno 10 mesi di affinamento. Il risultato è una birra meno complessa de L’Ultima Luna, in cui non si avverte l’influenza della botte e del vino che essa conteneva, le ossidazioni poi sono appena accennate (mentre nell’altro caso sono esasperate) ma la birra è molto più coerente allo stile e regala grandi soddisfazioni agli amanti del genere”.
Prima e Ultima Luna non sono inserite tra la gamma in attuale produzione, almeno stando a quanto riporta il sito ufficiale del birrificio. Andiamo allora a vedere come ha retto alla prova del tempo una bottiglia del 2012. La sua vesta è splendida, di color rubino intenso: in superficie si forma una piccola coltre di bolle che svanisce molto rapidamente. Ciliegia, frutti di bosco, mela al forno, uvetta e datteri, melassa, note ossidative che richiamano lo sherry: dalle premesse si direbbe che abbiamo di fronte una vecchietta ancora arzilla e in forma. Anche la sensazione palatale è positiva: c’è qualche cedimento dovuto all’età, nulla di grave, e le bollicine sono ancora presenti. La bevuta ripropone l’aroma con intensità e buona pulizia dando forma ad un Barley Wine caldo ad accogliente, ricco di ciliegia, uvetta e frutti di bosco, spunti vinosi. Un filo quasi invisibile di cartone bagnato è forse l’unica avvisaglia negativa dell’età, mentre una lieve acidità e un tocco amaricante finale di frutta secca a guscio riescono a bilanciarne la dolcezza. L’alcool si fa sentire senza eccessi in un lungo finale che riporta alla memoria i grandi vini fortificati: è invecchiata davvero bene questa bottiglia di La Prima Luna. Non raggiunge profondità eccelse ma si beve davvero con grande soddisfazione: se ne avete anche voi ancora una bottiglia del 2012 direi che è il momento di aprirla.
Formato 33 cl., alc. 12%, lotto L011 12, scad. 01/12/2022, pagata 8,00 euro (beershop)NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa lattina e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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