Il birrificio californiano Sierra Nevada non ha certo bisogno di presentazioni: era il 5 novembre del 1980 quando Ken Grossman accendeva il suo impianto da sei ettolitri assemblato con pezzi di seconda mano provenienti dall’industria casearia per produrre il primo lotto di una stout, seguito qualche settimana dopo da un’american pale ale destinata a divenire la birra più influente della craft beer revolution americana. Con circa 1.400.000 ettolitri di birra (2016) prodotti ogni anno Sierra Nevada è oggi il terzo maggior produttore craft e il decimo statunitense, se si estende la classifica all’industria.
Nel 2019 dopo quarant’anni passati al timone della nave Grossman ha fatto un passo “laterale” assumendo la carica di presidente: amministratore delegato è stato promosso Jeff White, in azienda dal 2013 dopo esperienze alla MillerCoors ed alla Boston Beer Company. Come tutti i padri fondatori dalla craft beer revolution che hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli anche Sierra Nevada sta soffrendo le dinamiche di un mercato sempre più volubile e sempre più frammentato da nuovi microbrrifici locali che stanno rosicando quote di mercato ai vecchi. Dopo essere cresciuto anno dopo anno in doppia cifra, il birrificio di Chico ha sperimentato due anni consecutivi di recessione che si sono conclusi nel 2018 con un ritorno in positivo dello 0.2%. White ha attribuito il merito soprattutto alla Hazy Little Thing, la nuova NEIPA entrata in produzione regolare nel 2018 le cui vendite hanno raggiunto quota 24 milioni di dollari, raggiungendo il quarto posto nella classifica interna. Si è comportata bene anche la Hop Bullet IPA, una birra stagionale (primavera) che in autunno è entrata in produzione stabile grazie alla forte richiesta del mercato. Non se la passano invece bene le storiche Pale Ale e Torpedo, in declino rispettivamente del 5.5 e del 7.3%: ciò nonostante la Sierra Nevada Pale Ale rimane ancora la birra artigianale più venduta negli Stati Uniti con vendite per 108 milioni di dollari che equivalgono al 40% del fatturato del birrificio.
Sierra Nevada ha iniziato la sua avventura nel 1980 producendo una stout ma ci sono voluti oltre trent’anni d’attesa per veder arrivare la sua versione imperiale. Nel 2010, nel corso dei festeggiamenti per il trentesimo compleanno del birrificio, vedeva la luce la 30th Anniversary Fritz & Ken's Ale, imperial stout prodotta in collaborazione con un altro dei pionieri del craft americano, Anchor Brewing Company, e mai più ripetuta. Un paio di anni dopo, nell’agosto del 2012, veniva annunciata Narwhal nuova imperial stout stagionale disponibile ogni anno da settembre a dicembre che prende il suo nome dal narvalo, il famoso “cetaceo-unicorno”.
Ma c’è un’altra storia che vale la pena raccontare: nel 2010 sull’altra costa americana, quella ad est, Basil Lee e Kevin Stafford stavano elaborando il business plan per aprire un microbirrificio a Brooklyn. Non avevano ancora prodotto commercialmente nulla ma qualche loro birra era già circolata sottobanco nelle apposite sezioni di alcuni festival; nel 2011 avevano registrato la denominazione della loro start-up e già prodotto un po’ di merchandising ma non avevano potuto registrare il marchio in quanto non esisteva ancora nessun prodotto commerciale. Sarebbero dovuti partire nel 2013. Il nome scelto? Narwhal Brewing.
Quando vennero a sapere dell’arrivo della Narwhal Imperial Stout i ragazzi telefonarono subito in California: Sierra Nevada stava registrando quel marchio e avevano paura che ciò avrebbe potuto causare loro dei problemi. A quanto pare le due parti arrivarono ad un accordo “informale”: i newyorkesi Basil e Kevin rinunciarono ad intraprendere qualsiasi disputa legale che potesse ritardare il lancio commerciale della nuova birra di Sierra Nevada, mentre i californiani promisero di non procedere alla registrazione del marchio Narwhal: la birra sarebbe stata venduta con quel nome solo in quell’unica occasione per non sprecare etichette, packaging e materiale pubblicitario. . Tutto bene? Nient’affatto: poche settimane dopo la messa in vendita della Narwhal Imperial Stout a Brooklyn arrivò una lettera dagli avvocati di Sierra Nevada annunciando che il birrificio aveva cambiato idea e che avrebbe proceduto alla registrazione del marchio, minacciando azioni legali contro eventuali usurpatori. “Ogni volta che lanciamo una nuova birra – dissero da Chico – facciamo lunghe ricerche e per l’occasione scoprimmo che ancora nessuna birra o bevanda alcolica con il nome Narwhal era stata venduta negli Stati Uniti. I legali ci dissero che in caso di contenzioso giudiziario avremmo avuto ragione”.
I giovani ragazzi ovviamente preferirono continuare a lavorare al progetto del loro nuovo birrificio anziché destinare le loro risorse economiche in qualche contenzioso legale che si sarebbe probabilmente concluso sfavorevolmente: e così Narwhal Brewing diventò Finback Brewery (la balenottera), attualmente uno dei birrifici più trendy della Grande Mela.
Malti Two-row Pale, Caramel, Chocolate, Carafa III, Honey, Roasted Barley, luppoli Challenger e Magnum, lievito di tipo Ale. Questa la ricetta di quella Narwhal Imperial Stout che ho sempre voluto provare ma chiese non erro in Italia non è mai arrivata, almeno sino ad ora (spoiler). Nel bicchiere è nera e sontuosa, con una splendida testa di schiuma cremosa e compatta dall’ottima persistenza. L’aroma non è esplosivo ma è pulito e definito: tostature, caffè, tabacco, accenni di cioccolato fondente e resinosi. Al palato non è particolarmente densa ma riesce benissimo a compensare questa sua mancanza con un mouthfeel cremoso, quasi vellutato. Qualche accenno dolce di frutta sotto spirito e melassa sono la veloce introduzione ad una bevuta che picchia quindi forte su torrefatto, caffè e resina. L’alcool è abbastanza ben nascosto e nel retrogusto, dopo che le acque si sono un po’ calmate, emergono anche dei bei ricordi di cioccolato fondente.
Un American Imperial Stout classica, amara ma bilanciata, pulita, intensa e facile da bere: non cercate in lei la contemporaneità, ma se anche voi come me diffidate dalle mode effimere e preferite affidarvi alle certezze questa Narwhal è un’ottima birra da non lasciarsi sfuggire. Ai prezzi statunitensi (dieci dollari per un 4 pack) ci sarebbe da metterne un bel po’ in cantina.
Formato 35,5 cl., alc. 10.2%, IBU 60, imbott. 01/10/2019, pagata 5,00 sterline (beershop)NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa lattina e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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