domenica 30 ottobre 2016

Experimento Beer Saison Murici

All'ultima edizione del Salone del Gusto di Torino ha partecipato anche l'associazione Slow Beer Brasile: non era purtroppo presente una selezione di microbirrifici brasiliani ma solamente la beefirm Experimento Beer, fondata nel 2014 da Artur Schuler assieme ad  Anna Paula Diniz, art director dello studio DoDesign; lo studio cura il sito internet di Slow Food Brasile e ha lavorato ad alcuni progetti per la realizzazione d'imballaggi a basso impatto ambientale. Schuler è invece interessato a valorizzare con le sue birre alcuni frutti nativi del Brasile (presidi Slow Food) minacciati dal pericolo di estinzione; grazie alla collaborazione di João Palmeira, coordinatore dell'a ONG chiamata APA-TO, sono state coinvolte diverse comunità di piccoli produttori che praticano agricoltura sostenibile.
La beerfirm ha debuttato con la Saison Umbu, prodotta con il 10% dell'omonimo frutto nativo della regione semiarida brasiliana del Sertão. Di passaggio in Italia, Schuler ha realizzato una birra (ancora non svelata) assieme al birrificio Baladin ed ha partecipato ad alcuni laboratori presso il Salone del Gusto.
Lo scorso gennaio è arrivata una seconda Saison che utilizza questa volta il Murici: frutto della Byrsonima crassifolia, arbusto alto sino a 10 metri che cresce nelle foreste tropicali e nelle savane. Piccoli (2 cm di diametro) e gialli, i murici vengono utilizzati quasi esclusivamente dalle popolazioni locali: hanno sapore acidulo e sono consumati freschi, cotti oppure usati per produrre gelati, bevande rinfrescanti e liquori. Il frutto deperisce velocemente ma si mantiene per mesi se conservato in vasi pieni d'acqua, ed è in questo modo che viene venduto nei mercati locali.

La birra.
In etichetta le coordinate geografiche della città di Augustinópolis (stato del Tocantins) da dove i frutti, impiegati nella quantità pari al 10%, sono stati raccolti. La birra viene prodotta presso gli impianti della Cervejaria Loba, 150 chilometri a sud di Belo Horizonte, dove ha sede la beerfirm.
Di colore velato, dorato e leggermente pallido, forma un discreto cappello di schiuma bianca e cremosa dall'ottima persistenza. Al naso profumi di agrumi (limone, lime), fiori bianchi, banana acerba, una delicata speziatura che ricorda il coriandolo; buona la pulizia, non c'è però nulla di quel carattere rustico che sempre vorrei trovare in una Saison. Il gusto mostra una buona corrispondenza con l'aroma: i malti (pane, crackers e miele) non reclamano ruolo da protagonisti ma lasciano spazio agli agrumi e ad un po' di banana, affiancati dal coriandolo: c'è un buon livello di secchezza a garantire un effetto dissetante e rinfrescante, mentre la delicata chiusura amara porta equilibrio con note terrose, di radice e di scorza d'agrume. Le mancano un po' di bollicine a darle ulteriore vivacità, ma complessivamente è una Saison pulita e priva di difetti che si beve con grande facilità. Buona l'intensità dei sapori, un po' carente l'espressività del lievito ed il carattere che ne deriva, del tutto privo di qualsiasi componente rustica: accontentandosi, si beve comunque discretamente. 
Formato: 60 cl., alc. 5.5%, IBU 27, lotto 002, scad. 12/2016.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

venerdì 28 ottobre 2016

CRAK - Hop Series: Citra, Mosaic IPA 12.SET.2016 & Amarillo, Citra, Columbus, Wolf Double IPA 26.SET.2016

Mancava sul blog da oltre un anno il birrificio padovano CR/AK, evoluzione della ex-beerfirm Olmo che ha aperto i battenti nel marzo 2015 a Campodarsego; lo fondano Anthony Pravato  ed il birrario Marco Ruffa (esperienze a Buxton e Brewfist). Sin dagli esordi CR/AK ha giustamente insistito molto sull’importanza di bere la birra fresca, ovvero giovane: data d’imbottigliamento sull’etichetta delle bottiglie e sui medaglioni dei fusti, shelf life iniziale di dodici mesi che è stata poi ridotta a sei.
In questa direzione va anche la Hop Series, birre prodotte occasionalmente con un diverso mix di luppoli selezionando “i migliori a disposizione”:  un’operazione che richiama l'intera produzione The Kernel, birrificio inglese che da sempre produce leggere variazioni della stessa IPA.  Oltre a data d’imbottigliamento e shelf-life a sei mesi, CRAK s’impegna a garantire la catena del freddo, ovvero a far sì  che la birra  “sia sempre refrigerata, da quando lascia il nostro birrificio fino alla vostra pinta”; benissimo il trasporto refrigerato, essenziale nei mesi estivi, più difficile fare in modo che i rivenditori mantengano sempre fusti e bottiglie in frigorifero. La Hop Series viene inaugurata a giugno 2015 con una Hoppy Saison ed è poi continuata con svariate declinazioni dello stile IPA (Session, Double). Molto pulite e minimali le etichette, con una grafica semplice ma efficace ad opera dello studio Dry Design, curatore della visual identity di CRAK sin dagli esordi.

La birra.
Due le Hop Series che mi sono capitate tra le mani. Partiamo dalla HS08, una IPA (6.5%) prodotta con Citra e Mosaic e imbottigliata il 12 settembre 2016. Dorata ed appena velata, regala un bella schiuma bianca fine e compatta dall'ottima persistenza e soprattutto un bel bouquet olfattivo, fresco, pulito, intenso, elegante: cedro, pompelmo, limone sono in prima fila incalzati da ananas, passion fruit, melone retato. Le poche bollicine e il corpo medio la rendono morbida e scorrevole, a voler essere pignoli potrebbe essere un pochino più leggera a livello di sensazione tattile. Al palato c'è quasi perfetta corrispondenza con l'aroma: la leggera base maltata (crackers, miele) supporta senza reclamare spazio la frutta tropicale e, in successione, gli agrumi che diventano protagonisti della bevuta fino al finale amaro, più erbaceo che resinoso a dire la verità, ben arricchito da note zesty e da un'inatteso ritorno di cereale. Molto pulita anche in bocca, la freschezza esalta la generosa luppolatura; le manca forse ancora un pelino di secchezza e soprattutto un po' di nerbo in più a fine corsa, dove l'intensità cala anziché premere sul pedale dell'acceleratore dell'amaro. IPA comunque ben fatta, pulita, alcool ben nascosto, un po' accomodante e indubbiamente molto piacevole da bere.

Alziamo l'asticella stappando la Double IPA Amarillo, Citra, Columbus, Wolf (8%), nata lo scorso 26 settembre. Il suo colore si colloca a metà strada tra il dorato ed il ramato: poco generosa e un po' grossolana è invece la schiuma, che si dissolve abbastanza rapidamente. L'aroma non è esplosivo ma elegante e molto pulito; pompelmo, arancia sanguinella, ananas e melone ne costituiscono la spina dorsale. La frutta è zuccherina e matura, dolce, ben valorizzata dalla freschezza. Come per la IPA, plaudo anche qui alla scelta del birraio di privilegiare malti chiari senza indulgere nel caramello, appena percepibile. Sono miele e biscotto a sostenere l'abbondante luppolatura che ripercorre il percorso aromatico con identica pulizia e freschezza; anche qui la chiusura amara (resina) non è particolarmente incisiva, sebbene sia enfatizzata da un discreto calore etilico che aiuta ad asciugare il dolce della birra. Anche qui, a fine corsa, compare a sorpresa una nota di cereale. La secchezza è buona, l'alcool non è nascosto alla maniera delle migliori DIPA della West Coast ma la bevibilità rimane comunque ottima: una DIPA bilanciata, ben fatta e, senza indulgere troppo nell'amaro, accomodante al palato come la sua sorella minore. Un bel passo avanti rispetto alla più caramellosa Double IPA della casa, la Perfect Circle.
Nel dettaglio: 
CRAK - HOP Series - Citra, Mosaic / 12.SET.2016, 33cl., alc. 6.5%, imbott. 12/09/2016, scad. 12/03/2017, prezzo indicativo 4.00/4.50 Euro (beershop)
CRAK - HOP Series - Amarillo, Citra, Columbus, Wolf / 26.SET.2016, 33 cl., alc. 8%, imbott. 26/09/2016, scad. 26/03/2017, prezzo indicativo 4.50/5.00 Euro (beershop).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

mercoledì 26 ottobre 2016

Magic Rock Dark Arts

Nuovo appuntamento con il birrificio inglese Magic Rock, fondato nel 2011 da Richard e Jonny Burhouse con l’aiuto del birraio Stuart Ross. Dagli esordi in un modesto edificio all’interno del business di famiglia (importazione e vendita all’ingrosso di cristalli e pietre naturali), il birrificio ha finalmente trovato nel 2015 una nuova casa nel sobborgo di Birkby: i nuovi impianti  (10.000 hl/anno con possibilità di arrivare sino a 70.000) hanno anche permesso di ampliare la distribuzione che, a parte qualche bottiglia nell’anno degli esordi, era stata fatta esclusivamente tramite fusti. La scelta è caduta sulle (modaiole) lattine che sono cominciate ad arrivare anche nel nostro paese con un rinnovamento alle già belle etichette delle bottiglie d’esordio: la parte grafica è da sempre curata dal designer Richard Norgate, che dopo aver legato l’identità visiva di Magic Rock al mondo del circo si è ultimamente dedicato a disegnare simpatici piccoli mostri. 
Per assaggiare tutta la gamma del birrificio potete recarvi  alla Magic Rock Tap, dove troverete nove spine,  due casks, e qualche produzione occasionale o stagionali disponibile anche in bottiglia; per il merchandising provate il loro shop on line.

La birra.
“La nostra stout vi porterà dal lato oscuro”: con questa citazione di Star Warsiana memoria Magic Rock annuncia nel 2011 Dark Arts, prodotta con malti Black, Brown, Chocolate e Golden Promise, avena, luppoli Herkules, Magnum e Target. Praticamente nera, forma un elegante e generoso cappello di schiuma color cappuccino, cremosa e abbastanza compatta, dalla buona persistenza. Il naso è semplice ma efficace, pulitissimo, privo di fronzoli, elegante: caffè (grani e macinato), tostature, caramello un po’ bruciato, suggestioni di mirtillo.  L’avena e le poche bollicine le donano al palato una discreta morbidezza, la facilità di bevuta è ottima per un  ABV (6%) ben lontano dalla soglia di sessionabilità.  Perfettamente corrispondente all’aroma, il gusto non è da meno per semplicità e pulizia e mira dritto al sodo: la partita è tutta giocata da caffè e tostature che vengono sostenute dal caramello, mentre in sottofondo si possono scorgere note di liquirizia e di frutti di bosco.  L’alcool non è pervenuto, la chiusura è secca, senza un briciolo di astringenza, ed appaga con l’amaro del caffè e delle tostature. 
I sottotitoli sulla lattina recitano “Surreal Stout”, ma in verità non c’è niente di strano in questa lattina, ma tanta qualità, precisione e pulizia: un'altra vittoria del “less is more”, in barba a tutte quelle birre stravaganti che affollano sempre di più gli scaffali dei beershop.
Formato: 33 cl., alc. 6%, lotto 1183 09971 ?, scad. 21/07/2017, prezzo indicativo 4.00/4.50 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 25 ottobre 2016

Retorto Tazmaniac

Ritorna sul blog Retorto, il birrificio piacentino  fondato nel 2011 a Podenzano dal birraio Marcello Ceresa con l’aiuto del fratello Davide e della sorella Monica; in cinque anni d’attività Retorto ha prodotto un numero di birre relativamente esiguo, se lo si confronta con quello di molti altri produttori. Anziché inondare il mercato di one-shot, collaboration e quant’altro Retorto ha preferito lavorare sul perfezionamento di quelle già esistenti, ottenendo peraltro sempre buoni riconoscimenti ai concorsi nazionali. 
Alle quattro birre del debutto  Morning Glory (American Pale Ale), Krakatoa (IPA), Latte Più (Blanche), Daughter Of Autumn (Scotch Ale) si sono progressivamente aggiunte la Black Lullaby (Belgian Dark Strong Ale), i barley wine Malalingua e Malanima e le ultime due nate Bloody Mario (con ciliegie piacentine) a Tazmaniac. 
Parliamo di quest’ultima, il cui nome è ovviamente ispirato allo stato-isola dell'Australia che si trova 250 km a sud del continente; la Tanzania fu scoperta nel 1642 dal navigatore olandese Abel Tasman il quale battezzò la nuova terra "Anthoonij van Diemenslandt", dal nome del finanziatore della sua spedizione, Anthony van Diemen, governatore delle Indie Orientali Olandesi. Ma a noi interessa la birra e la Tasmania è anche considerata la “terra  madre” del luppolo australiano, la cui richiesta è esponenzialmente aumentata con l’avvento della craft beer revolution, non solo australiana. Fu William Shoobridge, emigrato dal Kent inglese nel diciannovesimo secolo, il primo a portare in Australia qualche pianta di quell’humulus lupulus che già coltivava nella madre patria. Il figlio Ebenezer nel 1867 acquistò una area di terra compresa tra i fiumi Derwent e Styx Rivers per dedicarla alla coltivazione del luppolo; la proprietà, poi chiamata Bushy Park Estates, esiste ancora oggi ed è il maggior produttore di luppolo australiano.

La birra.
Se non erro la Tazmaniac di Retorto debutta inizialmente solo in fusto nell'ottobre del 2015, per poi essere resa disponibile anche in bottiglia; non sono rivelati i nomi dei luppoli neozelandesi utilizzati. Nel bicchiere arriva dorata e velata, con marcati riflessi arancio; la schiuma, bianca e cremosa, è compatta ed ha un'ottima persistenza. L'etichetta recita "scadenza 05/2017" quindi ipotizzo si tratti di una bottiglia dello scorso maggio che ha quindi già cinque mesi di vita alle spalle; l'aroma in effetti non evidenzia particolare freschezza, e neppure l'intensità regala acuti. Il bouquet dei profumi è piuttosto semplice, con l'ananas e la papaia accompagnati da qualche nota terrosa: un po' deludente. Al palato la birra scorre bene, con una carbonazione contenuta e corpo leggero ma con una sensazione tattile forse un pelino troppo pesante per una session beer. Una leggera base maltata (miele, accenni biscottati) ha il compito di preparare il terreno per far giocare al meglio i luppoli, che proseguono il percorso aromatico con agrumi e papaya, forse maracuja. La "frutta" sembra quasi più acerba che matura, con qualche asperità (aspra)  poi levigata dalla chiusura amara terrosa e vegetale (finalmente si sale d'intensità), che a tratti sembra quasi sconfinare nel lievissimo tostato. Buona la pulizia, buona la secchezza ma nel complesso questa Pacific Pale Ale mi sembra nel complesso il mix di sapori non mi sembra del tutto definito; un maggior freschezza sicuramente l'avrebbe valorizzata di più, si lascia bere bene, ma al di là del mio rapporto un po' conflittuale con alcuni luppoli "pacifici", non mi sembra la Retorto meglio riuscita. 
Formato: 33 cl., alc. 4%, IBU 38, lotto 16032, scad. 05/2017, prezzo indicativo 3.00/4.00 Euro (beershop).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

lunedì 24 ottobre 2016

Schwendl Don No. 4 Heilige Nacht

La Weissbräu Schwendl nasce nel 1935 a Tacherting nello Chiemgau bavarese, circa 90 chilometri ad est di Monaco; lo fondano Michael e Therese Schwendl perché, a dire loro, “era più economico far la birra in casa che comprarla”.  Da allora il birrificio è ancora nella mani della stessa famiglia e vede al timone  Anton, il pronipote del fondatore Micheal.  Come il nome suggerisce, la Weissbräu Schwendl produce soprattutto birre di frumento con il marchio Schalchner, dal nome del sobborgo di Tacherting in cui si trova: tutte le birre sono ad alta fermentazione, che avviene in vasche aperte con un ceppo di lievito proprietario oggi depositato presso l’Università di Weihenstephan. 
Ma Anton Schwendl è stato anche uno dei primi produttori bavaresi a guardare al segmento di mercato delle  cosiddette “birre gourmet” o “craft bier” ; si parte nel 2009 con la Don No. 1 Impala Weizen Bock, che viene proposta l’anno successivo anche in versione barrique.  In bavarese il none Antone è spesso abbreviato in “Done”  o – nel caso del nonno di Antone – in “Don”. Sono poi arrivate la Don No. 3 HaMilia IPA (dedicata da Anton alla propria figlia Emilia e ad Hannes, figlio di un amico) e due birre che vengono prodotte una volta all'anno nel periodo delle festività natalizie. Una è la (weizen)bock Don No. 4 Stille Nacht 7% che viene affiancata dalla sua sorella maggiore Don No. 4 Heilige Nacht 9%.

La birra.
L'etichetta recita Doppelbock, ma il birrificio Schwendl produce solo alte fermentazioni e nelle note gustative sul proprio sito parla di "intenso amaro, caffè, cioccolato e tostature"; il frumento compare tra gli ingredienti, quindi potremo parlare di Doppelbock al frumento o, se preferite, Weizenbock. L'atmosfera natalizia di questa Heilige Nacht ("la notte santa") è enfatizzata dalla presenza del bue e dell'asinello in etichetta.
In quanto Doppelbock il suo colore è piuttosto atipico, avvicinandosi molto al nero; la schiuma beige è cremosa e compatta, con buona persistenza nel bicchiere. Pane nero, caramello, prugna e mela verde formano un aroma che nel complesso non risulta particolarmente invitante; in sottofondo qualche remota tostatura. Il percorso continua su di una linea sostanzialmente retta al palato dove passano in rassegna pane nero e biscotto, lievi tostature e liquirizia, prugna e frutti di bosco scuri; l'alcool è ben percepibile e fornisce un delicato calore per tutta la bevuta  che non va mai oltre il consentito, nonostante l'accelerazione finale. Il suo corpo è medio, con una carbonazione contenuta ed una sensazione palatale morbida che rivela un'ottima scorrevolezza per una birra dal contenuto alcolico elevato; chiude con un bel alcool warming che avvolge le delicate tostature, il caramello, la liquirizia e la prugna. La pulizia tuttavia non è certo impeccabile, si ha l'impressione di bere una generica birra scura che oscilla senza decidersi tra una Doppelbock ed un tentativo di Porter; non c'è la fragranza e l'intensità dei malti di una Doppelbock e manca l'anima tostata e torrefatta di un'Imperial Porter. Il risultato, pur privo di evidenti difetti, è incompiuto e un po' deludente.
Formato: 33 cl., alc. 9%, scadenza 24/12/2016, prezzo 2.28 Euro (beershop, Germania)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

domenica 23 ottobre 2016

Birra del Borgo ArcheoBirra Etrusca - Anfora

Il progetto chiamato "archeobirra" vede la luce il 22 ottobre 2012 quando i suoi creatori, i cosiddetti "Birreria Brothers" (Leonardo Di Vincenzo, Teo Musso e San Calagione) presentano ufficialmente la birra Etrusca all'Open Baladin di Roma. 
Le "birre ancestrali" hanno sempre affascinato Sam Calagione, fondatore del birrificio Dogfish Head; con l'aiuto e la consulenza del professor Patrick McGovern (archeologo molecolare dell’Universita’ della Pennsylvania ed esperto di bevande fermentate) nel 1999 il birraio americano ha inaugurato la propria serie delle "ancient ales" realizzando la Midas Touch, ispirata dai residui trovati nei vasi della tomba del re Mida di Frigia (Turchia odierna), vissuto all'incirca 2700 anni fa. Sono poi arrivate la Chateau Jiahu, ispirata dai reperti ritrovati in una tomba cinese di 9000 anni fa, la Theobroma, basata su quanto rivelato dell'analisi chimica di frammenti di vasi di 3500 anni fa ritrovati in Honduras, e la Ta Henket, creata grazie ai alcuni geroglifici egizi. 
Il progetto successivo guarda al mediterraneo europeo e Calagione decide di coinvolgere i suoi partner commerciali Di Vincenzo e Musso; si parte da alcune ricerche archeologiche italiane che testimoniano la presenza di bevande fermentate, come riporta il sito di Birra del Borgo: "anche se l’unica testimonianza della presenza di una bevanda chiaramente riconducibile alla birra per la presenza di luppolo e cereali e’ quella di Pombia, in provincia di Novara, risalente alla civilta’ dei Liguri, è facile pensare che anche gli Etruschi e altre popolazioni italiche della stessa epoca storica avessero già scoperto le potenzialità date dalla fermentazione dei cereali. Presso la necropoli etrusca di Casa Nocera, nei pressi di Casale Marittimo in provincia di Pisa, sono stati ritrovati in alcuni vasi funerari oggi conservati al Museo Archeologico di Cecina resti di nocciole, melograni, mele e uva, oltre ad incensieri e alveari: sostanze che servivano ad “aromatizzare” bevande, che fossero a base di uva o cereali, usate sia come offerte funerarie che nella vita comune. Anche nella necropoli etrusca di Prato Rosello ad Artimino  sono stati ritrovati incensieri e resti di pollini."
Con l'aiuto del professor McGovern e di altri archeologici e studiosi italiani i tre birrai redigono la loro interpretazione di una bevanda fermentata di epoca etrusca: grano Saragolla, miele, frutti e succo di melograno, farina di nocciole, uva sultanina, resina, radice di genziana e mirra. Il lievito viene  fornito dal professor Duccio Cavalieri, docente di Microbiologia presso il centro di Ricerca e Sviluppo della Fondazione Edmund Mach di S. Michele all’Adige: si  tratta di un lievito di oltre 1500 anni d'età, isolato da alcuni acini d'uva ritrovati in Toscana. Ognuno dei tre birrifici coinvolti nel progetto fa poi fermentare la birra in maniera diversa: terracotta (grandi anfore da 800 litri) per Birra del Borgo, legno per Baladin e bronzo per Dogfish Head. Qui trovate il video di realizzazione dell'Etrusca, alla quale vengono simbolicamente aggiunti quattro frammenti di luppolo per rispettare i requisiti imposti dalla legge.

La birra.
Fermentata in anfore di terraccotta, materiale poroso che quindi consente uno scambio con l'ambiente circostante: si presenta opaca di colore ambrato scarico, con intense venatura arancio. La schiuma biancastra, di modeste dimensioni, svanisce piuttosto rapidamente nel bicchiere. Al naso, piuttosto complesso, troviamo un caleidoscopio di profumi che includono note lattiche, di sudore e di cantina umida, di melograno ed uvaspina, agrumi, uvetta: è l'aspro a dominare, con il dolce che rimane ben in sottofondo. Il gusto non è da meno e mette in campo una complessità non facile da decifrare: la bevuta è attraversata da una netta acidità lattica che viene solo parzialmente bilanciata dal dolce del miele, del caramello e dell'uvetta. C'è l'asprezza del melograno e dell'uva acerba, c'è una nota acetica che a tratti risulta un po' fastidiosa e c'è una delicata speziatura (mirra?) che a me ricorda lo zenzero: meglio farle raggiungere la temperatura ambiente e far sì che emerga maggiormente il suo carattere vinoso, capace di smussare quasi del tutto le spigolature acetiche. Chiude molto secca, con un accenno amaricante lattico e di frutta secca, qualche suggestione di agrume: l'alcool dichiarato (9.3%) è praticamente impercettibile e l'Etrusca risulta alla fine una birra rinfrescante, mediamente carbonata, che si potrebbe bere senza nessuna difficoltà. E' piuttosto la sua natura sperimentale a suggerirne il lento sorseggiar per cercare di carpirne tutte le diverse sfaccettature.
Formato: 33 cl., alc. 9.3%, lotto LS 369 14A, scad. 04/2017, prezzo indicativo 7.00-8-00 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

venerdì 21 ottobre 2016

Val-Dieu Brune

Ritorna sul blog la Brasserie de l'Abbaye du Val-Dieu, della quale vi avevo parlato approfonditamente in questa occasione. Riassumendo, non si hanno notizie precise riguardo la produzione di birra presso l’abbazia cistercense di Val Dieu (fondata esattamente 800 anni fa, nel 1216), se non che l’attività cessò per effetto della secolarizzazione della Rivoluzione Francese e che i vecchi impianti di Val-Dieu furono definitivamente rottamati nel 1940 durante i lavori di restauro del monastero; dal 1975 al 1980 i monaci permisero (ingenuamente) al commerciante di bevande Corman di Battice l’utilizzo del proprio nome per realizzare la Tripel presso gli impianti della Brouwerij Van Honsebrouck, senza chiedere nulla in cambio. 
Nel 1993 il distributore Joseph Piron di Aubel (dove si trova il monastero) firmò con i monaci un contratto per la realizzazione di una serie di birre a nome Val-Dieu impegnandosi a corrispondere una commissione; il problema era che nel frattempo Corman aveva ad insaputa dei monaci registrato il nome “Val-Dieu” e  Piron fu quindi costretto ad acquistarlo da lui. 
Le “nuove” Val-Dieu vennero inizialmente appaltate alla Brouwerii Van Steenberge fino a quando non entrò in funzione il nuovo birrificio di Piron, la  Brasserie d'Aubel , situato a pochi chilometri dall’abbazia. Sembra tuttavia che la Blond e la Brune fossero di qualità molto bassa, con una serie d’infezioni e di problemi che portarono il giovane birrificio al fallimento nel 1995.  L’ultimo (e definitivo) tentativo di portare avanti il nome Val-Dieu è quello fatto nel 1997 dal commerciante di bevande Alain Pinckaers e dal socio Benoit Humblet, birraio proveniente dalla Kronenbourg; ai due venne l’intuizione di realizzare il birrificio in uno degli edifici del complesso cistercense. La produzione – che afferma di basarsi su ricette tramandate dall’ultimo abate di Val-Dieu – parte con Blond e Brune seguite nel 1998 dalla Tripel; se escludiamo i birrifici trappisti, Val-Dieu è di fatto a tutt’oggi l’unica abbazia in Belgio all’interno della quale viene ancora prodotta birra.  Dopo quasi vent’anni, Val-Dieu è ancora nelle mani di Alain Pinckaers e del nipote Michaël Pelsser;  il birraio Benoit Humblet se n'è invece andato ad aprire il microbirrificio  Bertinchamps a Gembloux e al monastero è arrivata la birraia Virginie Harzé assistita da Jonathan Petrenko.

La birra
Malti Pilsen e tostati, luppoli Saaz e Spalter sono utilizzati in questa Brune che riempie il bicchiere del tipico color tonaca di frate con riflessi ambrati; leggermente "sporca" di beige è la schiuma, cremosa e abbastanza compatta, dalla buona persistenza. Al naso, pulito, emergono pera, frutta secca, caramello e biscotto, qualche nota di amaretto: discreta l'intensità. Corpo medio, vivaci bollicine e ottima scorrevolezza sono le caratteristiche di una Dubbel che nasconde i suoi gradi alcolici (8%) solo come i belgi sanno fare: il gusto segue l'aroma, riproponendo caramello, biscotto e frutta secca, accompagnati da pera e qualche lieve nota di uvetta. Non c'è praticamente amaro, se si esclude un velocissimo passaggio di mandorla nel finale, ed una grande attenuazione a bilanciare il dolce della bevuta, con qualche lieve sconfinamento nell'astringenza; si torna subito in carreggiata nel retrogusto, con il tiepido ed accomodante conforto del dolce della frutta sotto spirito (uvetta, prugna). Non ci sono molte emozioni nel bicchiere ma c'è pulizia ed eleganza, tradizione: nonostante qualche imprecisione di troppo, c'è comunque una discreta soddisfazione.
Formato: 33 cl., alc. 8%, lotto illeggibile, scad. 09/06/2017,  pagata 1.35 Euro (supermercato, Belgio).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

giovedì 20 ottobre 2016

Northern Monk Northern Star Mocha Porter

Northern Monk Brew Company viene fondata da Russell Bisset nel 2013 a Leeds a coronamento di un percorso iniziato nel 2008 con la scoperta - da bevitore - delle birre della craft beer revolution americana. Insoddisfatto del suo ruolo di Global  Product Manager per una multinazionale nel 2013 lascia il lavoro per mettersi in proprio: Northern Monk debutta come beerfirm a luglio 2013 con una IPA realizzata presso il birrificio The Sparrow di Bradford e continua per sei mesi a produrre presso  terzi. I risultati non soddisfano però completamente Bisset che punta ad avere un birrificio suo; a ottobre del 2013 chiama ad aiutarlo il birraio “part-time” Brian Dickinson (esperienze presso Brodies, Quantum, Blackjack, Redwillow, Thwaites e Darkstar) che entra poi definitivamente in Northern Monk ad ottobre dello stesso anno. 
A marzo del 2014 Bissett annuncia di aver finalmente trovato la location giusta per il proprio birrificio:  è un caratteristico edificio in mattoni rossi e colonne di ferro a Marshall Mill, nella periferia sud di Leeds.  La cittadina dello Yorkshire vede così ricominciare la propria storia brassicola che si era interrotta nel 2011 con la chiusura e la demolizione del birrificio Tetley, acquistato nel 1998 dal gruppo Carlsberg. Al piano terra ci sono gli impianti, al primo piano viene inaugurata dopo qualche mese (novembre 2014) The Refectory ovvero la taproom (aperta dalle  10 alle 23) nella quale viene attivata una cucina gestita dal Grub and Grog Shop di Leeds; al terzo e ultimo piano sarà in futuro inaugurata la Chapter Hall, uno spazio destinato ad ospitare eventi come concerti, sfilate di moda, matrimoni, feste di compleanno e mostre. 
Il  (secondo) debutto di Northern Monk, quello da birrificio, avviene al North Bar di Leeds il 28 agosto 2014; a settembre del 2015 vengono lanciate le prime lattine grazie all’impianto proveniente dalla Wild Goose Canning (Colorado, USA). Riguardo al nome scelto, Bissett dice di riferirsi alla tradizione brassicola monastica inglese, della quale si parla troppo poco: "il Belgio è riconosciuto come la patria dei monaci birrai, ma noi vogliamo omaggiare la nostra tradizione che per migliaia di anni è stata al centro delle nostre comunità". 
Una settantina le birre già prodotte in tre anni scarsi di attività, incluse una quindicina di collaborazioni con birrifici inglese e stranieri: tra i più noi BrewDog ed Against the Grain.

La birra.
Il "monaco del nord" incontra la "stella del nord": ne nasce una "Mocha Porter", ovvero una porter prodotta con chicchi di caffè della torrefazione di Leeds North Star Coffee; la ricetta prevede anche avena, lattosio e cacao in polvere. Si presenta quasi nera e forma un cremoso ma un po' scomposto cappello di schiuma nocciola che mostra un'ottima persistenza. Il naso è pulito, non c'è un'esplosione di profumi ma una bella eleganza nella quale domina il caffè, in chicchi e macinato, accompagnato da cioccolato al latte e lievi tostature; in secondo piano note di cuoio e tabacco, vaniglia. L'ottimo aroma trova corrispondenza al palato con una sensazione palatale molto morbida, a tratti cremosa, che non ostacola affatto la scorrevolezza di una birra dal modesto contenuto alcolico (5.9%) e con pochissime bollicine. Al gusto domina il caffè, ma non è un monologo: dialogano con lui tostature, liquirizia e cacao in polvere, bilanciati dal dolce del caramello e del lattosio che suggerisce panna, forse vaniglia. Molto pulita e bilanciata, chiude con un giusto tributo al caffè in un retrogusto dove una carezza etilica avvolge cioccolato fondente e tabacco; ottima intensità in una porter di livello, molto ben fatta ed elegantemente "decadente". All'interno del bicchiere trovate il dessert ed il caffè che lo segue, per concludere la serata sorridenti e soddisfatti.
Formato: 33 cl., alc. 5.9%, IBU 24, lotto 262, scad. 01/01/2017, prezzo indicativo 4.00/4.50 Euro (beershop).

 NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

mercoledì 19 ottobre 2016

Dupont / Lost Abbey Deux Amis

Tomme Arthur e Olivier Dedeycker, o se preferite The Lost Abbey (San Marcos, California) e Brasserie Dupont (Tourpes, Belgio): diventano “due amici” grazie ad una birra fatta assieme. E’ l’importatore americano del birrificio belga, Total Beverage Solution, a contattare alcuni birrifici americani per sondare il loro interesse a realizzare una birra collaborativa con Dupont; la scelta di Lost Abbey non è ovviamente casuale.  Tomme ama la tradizione belga e con il marchio Lost Abbey di Port Brewing si è cimentato più volte, con eccellenti risultati, in questo ambito; la Saison Dupont è una delle sue birre preferite, ed Arthur non fa mistero di utilizzare un ceppo di lievito di “derivazione” Dupont per la realizzazione delle sue birre Red Barn Ale e Carnevale
A Dedeycker viene così presentata una lista di birrifici d’oltreoceano interessati al progetto e la sua scelta cade proprio su Arthur, amante del Belgio e, soprattutto, estimatore e conoscitore dei prodotti Dupont. I due si scambiano alcune email nelle quali abbozzano un’idea di birra: ci si accorda di utilizzare la ricetta della Saison Dupont, con il suo lievito ed il suo malto (100% pils) e di sostituire i luppoli europei con varietà americane, con le quali Dedeycker non ha mai lavorato in vita sua.  Tommee spedisce i luppoli selezionati in Belgio, rivelandone le varietà a Dedeycker solo nel momento in cui aprono assieme le scatole nel giorno della cotta, che avviene a gennaio 2016 a Tourpes:  i protagonisti sono Amarillo, Simcoe e Mosaic, affiancati dal tedesco Hallertauer Magnum. 
La birra viene commercializzata all’inizio dell’estate, con la pubblicazione di un bel video  e di un sito internet dedicato. Per l’occasione Dedeycker si reca anche per la prima volta nella sua vita negli Stati Uniti per fare un piccolo tour promozionale di tre giorni assieme ad Arthur in alcuni locali selezionati tra San Diego e Los Angeles; l’occasione è buona anche per visitare molti birrifici californiani e per far entrare in contatto la (quasi) immutabile tradizione di Dupont con la scoppiettante scena della craft beer statunitense. 

La birra.
Lo splendido lievito Dupont ed i migliori luppoli americani selezionati da Arthur: qual è il risultato dell'incontro? Il colore è dorato con qualche riflesso arancio pallido, velato; da manuale la schiuma: bianchissima e generosa, cremosa e compatta, fine, dalla lunga persistenza. Al naso è il lievito Dupont a rubare la scena, con il suo carattere rustico (fieno, paglia, terra, granaio) e leggermente pepato che prende il sopravvento rispetto agli agrumi (cedro, limone) dei luppoli americani; il bouquet olfattivo, fresco e pulitissimo, si completa con note terrose, di banana e fiori bianchi. Mouthfeel perfetto, come ogni saison dovrebbe essere: vivaci bollicine, corpo medio, scorrevolezza da record per una birra da bere ad oltranza. Il malto (pane, accenni di miele) supporta il carattere fruttato di questa Saison che mette in evidenza frutti a pasta gialla ed agrumi senza disdegnare qualche remota suggestione di frutta tropicale e di canditi. L'alcool (7%) è di fatto impercettibile, la secchezza e la pulizia sono encomiabili: il percorso si chiude con un amaro di buona intensità, sicuramente superiore a quello della Dupont standard (che di per sé è già una Saison piuttosto amara) nel quale convivono note terrose e di scorza d'agrumi. 
Il risultato ottenuto dai due amici è senz'altro di livello ed ineccepibile: un'ottima Saison i cui settantacinque centilitri si affrontano in solitudine senza sforzo e con enorme soddisfazione. Pur non sapendo che cosa aspettarmi, avevo comunque grandi aspettative dall'incontro di questi due grandi nomi; benché ottima, la Deux Amix alla fine altro non è che una leggera divagazione sul tema Saison Dupont (e avercene di birre così, sia chiaro). Tomme Arthur ama il Belgio e Dedeycker è portavoce di una tradizione che cerca di restare fedele a sé stessa nel tempo; Arthur dagli USA guarda alla tradizione belga come fonte d'ispirazione e come punto d'arrivo per molte sue birre. Ovvio che dall'incontro uscisse vincitore il Belgio con il lievito Dupont, oggetto del desiderio di Arthur più di quanto lo siano i migliori luppoli americani per  Dedeycker.
Formato: 75 cl., alc. 7%, lotto 16075A, scad. 03/2018, prezzo indicativo 6.00/8.00 Euro (beershop).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 18 ottobre 2016

Antagonisti: 21 Golden Ale e Bulan

Antagonista, dal greco antagonistés, composto di antì (contro) e agonistès (lottatore): avversario in una lotta, in una gara sportiva, in un’azione drammatica; rivale, emulo, in una competizione qualsiasi; come aggettivo, che è in opposizione, in contrasto, in antagonismo 
Questo il nome scelto da Enrico Ponza e Fabio Ferrua per la beerfirm che inaugurano a maggio 2012 a Melle, in provincia di Cuneo; entrambi hanno precedenti esperienze come birrai in altri birrifici piemontesi come La Piazza e Soramalà. E’ una vacanza in Belgio, paese dove le beerfirm sono numerose, a far nascere in loro la voglia di mettersi in proprio e produrre la propria birra anche senza possedere impianti produttivi. Nei loro slogan, nell’anno del debutto, echi di BrewDog: "noi siamo gli  antieroi. Noi siamo gli anticonformisti. Noi siamo gli antipatici. Noi siamo gli Antagonisti. Siamo qui per creare qualcosa di nuovo,  e per farlo a modo nostro  Rispettiamo le regole,  ma vogliamo crearne di nuove.  Perchè preferiamo essere impavidi pirati  piuttosto che disciplinati marines.” 
La produzione avviene inizialmente presso gli impianti di Soramalà, mentre attualmente gli Antagonisti producono presso il Birrificio La Granda;  alla beerfirm si affianca il bistrot/birreria Officina Antagonisti Melle, dove poter assaggiare le birre abbinandole a prodotti locali. A quattro anni dall’apertura sono quattro le birre disponibili, in un percorso che mira a perfezionare quanto fatto piuttosto che a sfornare una novità dietro l'altra: in ordine di nascita ci sono la saison chiamata Bulan, la (American) Amber Ale chiamata Armaros e la scotch ale Anastro, che dovrebbero essere affiancate da qualche produzione stagionale o “one shot”.

La birra.
Partiamo in ordine di ABV dalla Golden Ale chiamata 21, una birra ideata assieme al Birrificio Trunasse (Centallo, Cuneo) per festeggiare un doppio anniversario : un matrimonio (per Trunasse) e la data del “battesimo” di Officina Antagonisti. Si tratta di una session beer (4.2%) inizialmente nata come stagionale estiva e poi “promossa” in produzione regolare; di colore oro pallido velato, quasi paglierino, forma un cappello di schiuma bianca compatta e cremosa, molto persistente. Il naso anziché puntare su quei “fruttatoni” ruffiani  che tanto vanno oggi di moda predilige delicatezza ed equilibrio; viene disegnato un boquet pulito ed elegante dove trovano posto fiori, agrumi (mandarino, cedro e limone) e note erbacee. Un aroma così delicato non può prescindere dalla freschezza, per essere valorizzato: in questa bottiglia (credo nata a maggio)  il passaggio del tempo ha lasciato ovviamente qualche segno ma il risultato è ancora soddisfacente. In bocca è ovviamente leggera e molto scorrevole, con una carbonazione sostenuta che, in una birra dal profilo di lievito piuttosto neutro, a mio parere andrebbe senz'altro ridotta. Anche al palato c'è un buon livello di pulizia che permette di apprezzare la delicatezza dei malti (pane, lieve miele) a introdurre il carattere fruttato (agrumi) che richiama in pieno l'aroma. Il finale mette in evidenza una bella secchezza e un amaro un po' timido che si sviluppa a cavallo di note erbacee e di scorza d'agrumi. Birra ben fatta e gradevole, di quelle che ti potrebbero accompagnare per una intera serata senza mai stancarti; può funzionare benissimo come gateway beer per avvicinare alla birra di qualità chi proviene dalle lager industriali, mentre secondo me le manca ancora un po' di personalità per stupire anche i palati un po' più esperti. Lo "stupore" non significa affatto ricercare i fuochi d'artificio, tutt'altro; la sfida più difficile è proprio quella di realizzare una birra di carattere ma delicata e semplice al tempo stesso.

Passiamo ora alla Bulan ("luna", in indonesiano), la birra d'esordio degli Antagonisti; una saison ideata durante un viaggio in Belgio e ispirata a sua maestà Saison Dupont. Purtroppo mi è capitata tra le mani una bottiglia poco in forma, se la vogliamo dire in questi termini. A partire dallo stappo, assolutamente "silenzioso" e dal modesto "dito di schiuma" che, in una saison ispirata al Belgio non è un buon segno visivo; il colore è arancio e l'aroma non mette in evidenza granché: un po' di banana e arancio, crosta di pane, un accenno di canditi. Ci sono ovviamente pochissime bollicine, con una buona facilità di bevuta tuttavia priva di quella vitalità che una saison dovrebbe avere. Pane, miele e qualche nota di frutta candita definiscono un gusto di altrettanta modesta intensità, benché pulito e privo di difetti; chiude discretamente secca, con un accenno amaricante di scorza d'arancia. Ma una Saison si fa col lievito, e l'espressività del lievito in questa bottiglia è praticamente nulla; ne risulta quindi una birra discretamente secca e tutto sommato bevibile ma, in quanto Saison, assolutamente insoddisfacente. Bottiglia sfortunata o meno, la costanza produttiva è un requisito fondamentale: mi tocca sempre descrivere quanto mi trovo nel bicchiere, nel bene e nel male.
Nel dettaglio: 
21 (Golden Ale), alc. 4.2%, IBU 24, lotto 5089/0, scad. 05/2018, prezzo indicativo 3.50/4.00 Euro.
Bulan, alc. 5.6%, IBU 31, lotto 5109/0, scad. 05/2018, prezzo indicativo 3.50/4.00 Euro.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

lunedì 17 ottobre 2016

LOC Brewery 84

Nel novembre del 2014 a Tilburg, nella regione del Brabante Settentrionale olandese a pochi chilometri dal confine con il Belgio, debutta la LOC Brewery. La fondano quattro soci:  Roy Maas, Erwin Schellekens, Daniel Tano  e Paul Cools  quattro padri che si sono incontrati alla scuola dei propri figli scoprendo di condividere l’interesse per la birra.  Il birrificio trova sede nella suggestiva Spoorzone di Tilburg, un area di 75 ettari che si estende per quasi tre chilometri dove a partire dal diciottesimo secolo le ferrovie olandesi avevano installato uno dei loro più grandi centri per la riparazione e la manutenzione dei treni.  Il nome scelto dai quattro soci, “LOC”, altro non è che l’abbreviazione di “locomotiva”. La zona è dagli anni novanta oggetto di un lento ma importante piano di recupero che prevede la realizzazione di edifici  residenziali e polifunzionali, spazi espositivi e commerciali, parchi e aree per concerti. 
Nell’edificio numero 88 è stata inaugurata una Food Hall dove, assieme ad altri piccoi produttori e ristoratori, hanno trovato posto il primo piccolo impianto pilota e la tap room della LOC Brewery;  non sono riuscito a capire se sia già operativo il nuovo e più grande impianto che dovrebbe essere collocato all’interno dell’edificio numero 84, nel quale sino al 1923 venivano effettuati da un migliaio di operai gli stampaggi, le saldature e la lavorazioni meccaniche dei forgiati di metallo; nel 1993 in una parte del fabbricato è stato aperto un centro di formazione per ingegneri meccanici ed elettrici. 
Al fine di soddisfare tutta la richiesta, una buona parte delle birre sembra essere attualmente prodotta presso birrifici terzi;  il debutto avviene alla fine del 2014 con la IPA chiamata Lord Nelson, che vede ovviamente protagonista il luppolo Nelson Sauvin, alla quale fanno seguito una dozzina di altre etichette, tutte realizzate dal socio fondatore e grafico Roy Maas.

La birra.
Ovviamente dedicata all’edificio numero 84 della Spoorzone che ospita il birrificio, la 84 di LOC è una robusta imperial stout prodotta con fiocchi d’avena; i luppoli dichiarati sono E.K. Golding e Columbus. La bottiglia nelle mie mani è stata prodotta presso gli impianti del birrificio De 3 Horne di Kaatsheuvel.
Completamente nera, forma nel bicchiere una cremosa e compatta testa di schiuma color nocciola che rimane a lungo nel bicchiere.  Al naso, in un contesto di modesta intensità e discreta pulizia, emergono caffè, mirtilli, orzo tostato e, più in sottofondo, carne affumicata ed alcool. La vivace carbonazione è in stridente contrasto con quello che ci dovrebbe essere nel bicchiere, annullando completamente il contributo dei fiocchi d'avena, che dovrebbero invece donare "cremosità" alla sensazione palatale; benché ruvida, la birra ha comunque una buona scorrevolezza e un corpo medio. Il gusto ripropone le caratteristiche dell'aroma: l'alcool accompagna con raziocinio l'orzo tostato, il caramello e l'uvetta a comporre una bevuta dolce che viene poi bilanciata dall'amaro delle tostature, della liquirizia e - in maniera marginale - del cioccolato. C'è una buona attenuazione ma l'impressione alla fine è quello a di bere una specie di "agglomerato" di colore nero, nel quale ci finiscono dentro in maniera confusa diversi elementi: pulizia e precisione latitano, la birra  ovviamente si beve ma non riesce a veicolare emozioni e soddisfazioni, sopratutto se cercavate una compagna con cui passare una serata autunnale come questa.
Formato: 33 cl., alc. 10.5%, IBU 65, imbott. 11/2015, prezzo indicativo 5.00 Euro.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

domenica 16 ottobre 2016

Birra Elvo Schwarz & Doppel Bock

Debutta oggi sul blog il birrificio Elvo fondato nel 2013 dai fratelli Josif e Raoul Vezzoli assieme a Giuliano Rama a Graglia (Biella) alle pendici del Mombarone; il nome scelto è lo stesso del torrente piemontese che nasce dal Monte Mars (2.600 m), la più alta cima delle Alpi Biellesi, e scorre poi nelle province di Biella e Vercelli.  Graglia è anche nota per essere la sede dello stabilimento di acqua Lauretana, "la più leggera d'Europa": dallo stesso acquedotto attinge il birrificio Elvo per produrre le sei etichette attuali (Pils, Marzen, Weizen, Heller Bock, Schwarz e Doppelbock) tutte ovviamente ispirate dalla tradizione tedesca. 
Il birraio è Josif, che dopo anni passati girando gli studi di registrazione italiani ed europei come sound engineer con la sua attività  (JVAcoustics), ha avvertito la necessità di restare un po' più fermo e vicino a casa. Nel suo passato non c'è come spesso accade l'homebrewing ma ci sono tantissime bevute, soprattutto tedesche; per avviare il suo birrificio si avvale della  formazione e della consulenza di Fabrizio Leo. Si parte nel 2013 in con un impianto austriaco Labu Bräu e l'anno successivo è già tempo di una medaglia d'oro (Doppel Bock) al concorso di Birra dell'Anno; nel 2015 arriva un oro per la Heller Bock e due argenti (Weizen e Schwarz). Nonostante la partenza rigorosa nel rispetto della tradizione tedesca, nel corso del prossimo anno dovrebbero arrivare anche alcune novità, sempre a bassa fermentazione, che utilizzeranno anche luppoli extra-europei. 

La birra.
Partiamo con la Schwarz, che tiene quasi fede al suo nome: colore ebano piuttosto scuro, venature ambrate, e una bella testa di schiuma beige cremosa e compatta, dall'ottima persistenza. Ottima pulizia al naso dove emergono i profumi del pane nero, del pane leggermente tostato, delle liquirizia e del caramello. Ineccepibile la sensazione palatale, scorrevole come vuole la scuola tedesca con poche bollicine ed un corpo  tra il medio ed il leggero. Al palato c'è un perfetto equilibrio dato da caramello e pane nero, liquirizia e pane tostato, con qualche suggestione di cioccolato; i malti scuri donano una leggera acidità in un finale abbastanza secco nel quale emergono le tostature del pane e dell'orzo, suggerendo quasi il caffè. Pulitissima, la Schwarz di Elvo coniuga perfettamente facilità di bevuta ed intensità: precisa e rispettosa della tradizione, non manca di regalare quelle emozioni che troppe volte non vanno purtroppo d'accordo con il rigore tecnico. Ottima.

Di uguale livello è l'interpretazione dello stile Doppelbock secondo Elvo: il bicchiere si colora di un bell'ambrato carico che ricorda quasi la tonaca di quei frati che erano soliti "nutrirsi" con queste sostanziose birre durante i digiuni quaresimali.  Ciliegia, prugna, caramello, biscotto e pane nero disegnano un aroma pulito e di discreta intensità nel quale trovano posto anche note di miele e di frutta secca. Morbida e poco carbonata, al palato scorre piuttosto bene nonostante la sostenuta gradazione alcolica (7.5%): il gusto si muove ovviamente in territorio dolce con caramello, miele di castagno e ciliegia affiancati dal pane nero, da lievi tostature e da qualche suggestione di cioccolato. Non vi è quasi traccia d'amaro ma una perfetta attenuazione riesce a rendere questa doppelbock sempre bilanciata, asciugandone alla perfezione il dolce; nel retrogusto la frutta secca viene accompagnata da una carezza etilica, a patto che abbiate la pazienza di lasciare che la birra s'avvicini alla temperatura ambiente. 
Rispettose delle caratteristiche dello stile, precise, pulite e molto bilanciate, entrambe le birre di Elvo non assolutamente nulla da invidiare alle migliori interpretazioni tedesche, se non il prezzo (passatemi la battuta in agrodolce) e il formato: perché non optare per il classico mezzo litro?  Se amate la Germania e le sue basse fermentazioni, Elvo è un nome che non deve assolutamente mancare sul vostro taccuino.
Nel dettaglio: 
Schwarz, formato 33 cl., alc. 5.5%, lottto 103, scad. 30/11/2016, prezzo indicativo 4.00/4.50 Euro.
Doppel Bock, formato 33 cl., alc. 7.5%, lotto 100, scad. 31/12/2016, prezzo indicativo 4.00/4.50 Euro.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

giovedì 13 ottobre 2016

Kaiserdom Kellerbier

Con 200.000 ettolitri circa prodotti ogni anno  la Kaiserdom Privatbrauerei è il birrificio più grande di Bamberga, ma non esattamente quello che vi consiglierei di visitare se vi trovate nella splendida cittadina della Franconia; geograficamente nel sobborgo di Gaustadt, il birrificio esiste dal 1718 negli edifici un tempo di proprietà del monastero benedettino di St. Michelsberg, che concesse a Georg Morg il permesso di produrre e vendere birra.  
Agli inizi del 1900 il birrificio prese il nome di Müller’sche Brauerei zu Gaustadt in quanto di proprietà di Anton Müller, una delle cui quattro figlie sposò nel 1910 Georg Wörner, che così diventò co-proprietario del birrificio che più tardi cambiò il proprio nome in Brauerei Wörner e, in seguito, in BürgerBräu Gaustadt; nel 1953 il passaggio del testimone ai figli Theodor and Ludwig che negli anni ’60 iniziarono i lavori di costruzione della nuova sede di un birrificio ormai impossibilitato ad aumentare la propria capacità produttiva nei locali in cui si trovava. L’inaugurazione avvenne nel 1969. In seguito all’annessione di Gaustadt in Bamberga (1972) il birrificio iniziò ad utilizzare i simboli della città per le proprie birre, lanciando nel 1976 la Kaiserdom Pilsener, dedicata al duomo ovvero al Bamberger Kaiserdom Sankt Peter und Sankt. Nel 1978 l’improvvisa morte di Ludwig Wörner costrinse il figlio Georg ad abbandonare i propri studi all’università di Weihenstephan per raccoglierne il testimone; il successo delle birre "dedicate" al duomo di Bamberga convince la proprietà a modificare il nome del birrificio, nel 1983, da BuergerBrau a Kaiserdom, con il fatturato dell'export (Europa ed anche Asia) che inizia ad avere una rilevanza sempre più importante. Kaiserdom, Domfürsten, Alt-Bamberg e Bürgerbräu Bamberg sono i principali marchi prodotti da un birrificio rispettoso della tradizione tedesca che, se non erro, non produce nessuna rauchbier, la tipica "birra affumicata" di Bamberga; in Italia si trova qualcosa nei supermercati. 

La birra.
Kellerbier "unfiltriert", ovvero non filtrata,  recita la generosa latta da un litro: nel bicchiere è in effetti velata, dorata, e forma una compatta e cremosa testa di schiuma bianca che tuttavia svanisce abbastanza rapidamente. Aroma e gusto viaggiano a braccetto disegnando uno scenario composto soprattutto da miele e pane, con qualche lieve accenno biscottato; la pulizia c'è, ma in una birra semplice come questa è la fragranza l'elemento determinante. Purtroppo in questa Kellerbier di Kaiserdom non ce n'è, ed il risultato è  una birra bilanciata ma piatta e monocorde, facile ma altrettanto facilmente dimenticabile; chiude con una leggerissima nota amaricante erbacea, presente anche al naso. Il rapporto qualità prezzo è l'unico aspetto non negativo sul quale mi soffermerei: con poco più di due euro al litro siamo davvero vicini ai prezzi tedeschi. Se volete un litro di birra da bere assieme agli amici senza prestare molta attenzione a quello che c'è nel bicchiere, potete farci un pensiero: per quanto mediocre, il livello di questa Kellerbier di Kaiserdom è senz'altro superiore a quello delle lager industriale che trovate sugli scaffali dei supermercati. Se invece cercate in lei qualche traccia delle splendide birre che la Franconia sa regalare, è meglio che lasciate perdere.
Formato: 100 cl., alc. 4.7%, IBU 13, lotto 124G0302, scad. 03/11/2017, 2,19 Euro (supermercato, Italia).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 11 ottobre 2016

Clown Shoes Undead Party Crasher

Nuovo appuntamento con Clown Shoes, beerfirm statunitense del Massachusetts fondata da Gregg Bermam nel 2009 del quale vi avevo parlato già parlato in occasione dell’ottima Chocolate Sombrero.  Oggi tocca ad un’altra imperial stout, proposta da Clown Shoes inizialmente come “anniversary ale” all’inizio del 2012 per festeggiare il proprio secondo compleanno: venne chiamata  Vampire Slayer suscitando subito qualche polemica per essere stata prodotta con acqua santa acquistata presso il sito  Discount Catholic Products, in quanto “avevamo chiamato alcuni preti a benedire la birra con la propria acqua santa, ma non accettarono”
Neppure il tempo di godersi il successo della birra che, un anno dopo, Clown Shoes (e i birrifici presso i quali produce, ovvero Mercury Brewing, Somerville Beer Company e Frosty Knuckle Brewing Company)  anziché ricevere la solita lettera di “cease and desist” (un’intimazione a smettere)  sono oggetto di un’azione legale da parte degli avvocati della TI Beverage Group, azienda che produce e commercia  bevande alcoliche a tema “vampiresco” come ad esempio i vini Vampire Vineyards, Chateau du Vampir e soprattutto la Vampire Pale Ale. La birra, prodotta in Belgio, era stata commercializzata sei mesi dopo rispetto alla Vampire Slayer ma Clown Shoes non ne aveva di registrato il nome e il TI Beverage Group ne lamentava  la concorrenza sleale che poteva creare confusione tra i consumatori. 
Secondo quanto dichiara Gregg Bermam, Clown Shoes avrebbe avuto buone possibilità di vincere la causa giudiziaria ma c’erano da reperire 300/400.000 dollari per coprire le spese legali;  le due parti arrivarono ad un accordo – mai rivelato – con il quale la TI Beverage autorizzava Clown Shoes ad utilizzare il nome Vampire Slayer, probabilmente in cambio di una qualche percentuale sulle vendite. Subito dopo aver ricevuto l’autorizzazione Clown Shows annunciò però l’interruzione della produzione della Vampire Slayer; la muscolosa imperial stout sarebbe stata sostituita da un’altra birra chiamata Undead Party Crasher, anch’essa prodotta con acqua santa e malti affumicati con legno di faggio e carya. La birra è rimasta la stessa ma l’etichetta ne ha tratto beneficio: il nuovo artwork, realizzato da Michael Axt, mette su carta pensieri e sentimenti del birrificio riguardo a quanto capitato, con un ammazzavampiri (Vampire Slayer) che se la prende con un lupo/avvocato di uno studio legale specializzato in copyright.

La birra.
Dipinge il bicchiere di un color ebano scurissimo, ai confini del nero, formando una generosa e compatta testa di schiuma color nocciola, cremosa e dall'ottima persistenza. L'aroma tiene testa all'aspetto "goloso", disegnando un bouquet dolce nel quale s'intrecciano note di fruit cake, caramello e melassa accompagnate dalle tostature dell'orzo, da qualche ricordo di caffè e da una carezza affumicata. Il tutto ben annaffiato da una morbida presenza etilica che completa un aroma pulito, abbastanza semplice ma di buona intensità. Nulla da dire sulla sensazione palatale, più o meno quella che vorrei sempre trovare quando bevo una robusta (10%) imperial stout: corpo medio-pieno, poche bollicine, consistenza oleosa e morbida che non pregiudica una discreta facilità di bevuta. Anche il gusto si mantiene sul versante dolce con fruit cake, caramello e melassa solo parzialmente bilanciate da qualche tostatura e da accenni di caffè; a due anni e mezzo dall'imbottigliamento la luppolatura ha ovviamente perso smalto, lasciando solo qualche traccia resinosa nel finale. L'alcool riscalda la bevuta senza mai eccedere, il retrogusto abbina la frutta sotto spirito a qualche nota affumicata completando una birra di alto livello e molto pulita ma un po' sbilanciata sul dolce che, a due anni dalla messa in bottiglia, non trova un adeguato sparring partner. 
Formato: 65 cl., alc. 10%, imbott. 13/05/2014, prezzo indicativo 15.00/18.00 Euro (beershop, Italia).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

lunedì 10 ottobre 2016

Birrificio Epica: Eolo e Kore

A Sinagra, provincia di Messina,  nel cuore dei monti Nebrodi nasce nel luglio del 2013 il Birrificio Epica: il nome richiama ovviamente il periodo delle colonie siciliane della Magna Grecia ma, curiosamente, anche le iniziali dei tre soci fondatori  Elio Mosè, Pietro (Cardaci) e Carmelo (Radici).  Non sono riuscito a reperire in internet molte altre informazioni sul birrificio e sulle esperienze passate di chi lo ha fondato, quindi direi di passare direttamente alla sostanza, anche perché non mi capita spesso di assaggiare produzioni siciliane, regione anche lei finalmente scossa da una piccola “craft beer revolution”. Tutte le birre, prodotte su impianto di cottura da 5 ettolitri di BBC inox di Possagno, mantengono un legame con i personaggi della mitologia greca: la Pale Ale Eolo è dedicata al dio dei venti, l’American Pale Ale al ciclope Polifemo, la Weizen alla dea della terra e della fertilità Cerere (nome romano della dea greca Demetra), la Belgian Strong Ale a Tifeo (figlio minore di Gea e Tartaro) e l’Imperial Stout ad Ares, figlio di Zeus ed Era.  Non viene neppure tralasciato l’utilizzo di prodotti legati al territorio, come ad esempio le nocciole di Nebrodi che vengono utilizzate nella Brown Ale chiamata Pan. Molto pulite ed essenziali tutte le etichette, reduci da un restauro che nel 2015 ne ha snellito la parte grafica. 

La birra.
Partiamo con la birra con la quale il Birrificio Epica ha debuttato, ovvero la Pale Ale chiamata Eolo, dichiaratamente ispirata alle Pale Ales britanniche anche per quel che riguarda la luppolatura.
Il suo colore velato si colloca a metà strada tra il dorato ed il ramato, e forma una bella testa di schiuma leggermente biancastra, cremosa e compatta, dall’ottima persistenza. L’aroma, piuttosto fresco e pulito, regala soprattutto profumi floreali accompagnati da note agrumate (mandarino, arancia) e qualche suggestione tropicale (mango, papaia). Al palato ci trovo un po’ di bollicine in eccesso che contrastano con la dichiarata ispirazione anglosassone; la birra scorre comunque bene, anche se la morbidezza ne risulta un po’ compromessa. Biscotto e cereali costituiscono la base maltata che introduce un leggero fruttato nel quale frutta tropicale e agrumi (pompelmo, cedro) si dividono equamente la scena fino alla chiusura finale dove le note amaricanti, terrose ed erbacee, sono appena percepibili. Il livello di pulizia è piuttosto buono, la birra è valorizzata dalla freschezza (imbottigliata ad agosto ?) con una coefficiente di bevibilità davvero elevato. Quello che in alcuni tratti mi sembra venire a meno è l’intensità e la personalità; capisco la volontà del birrificio di creare una sorta di “gateway beer”, di una birra semplice e gradevole che possa traghettare chi ha bevuto sino a ieri birra “industriale”  verso il mondo “artigianale” senza sconvolgere troppo il suo palato abituato a birre dolci. Si privilegia quindi la delicatezza e l’equilibrio, senza cercare caratterizzazioni estreme, ma qui - a parte i leggeri esotismi dell'aroma - si rimane un po' troppo arroccati in un territorio sicuro a prova di rischi. Non cercate in lei la classica tradizione inglese (Bitter/Best Bitter/ o Pale Ale)  ma Eolo è una birra che indubbiamente svolge la sua funzione di gateway beer pur lasciando un po' indifferenti i palati più esperti con un finale  nel quale si lascia desiderare un po' più d'amaro. 

D'altra pasta è invece Kore (alias Persefone, sposa di Ade, dea minore degli Inferi e regina dell'oltretomba nella mitologia greca), ultima proposta del Birrificio Epica in ordine temporale e ancora non elencata sul sito ufficiale: viene presentata (credo) lo scorso agosto come una White IPA, ma l'etichetta elenca tra gli ingredienti anche l'utilizzo di malto di segale.
Il suo colore è un opaco arancio ed è sormontato da una generosa quantità di schiuma bianca, compatta e cremosa, dall'ottima persistenza. Al naso emergono note floreali e agrumate (arancia, bergamotto, pompelmo) con qualche concessione alla frutta tropicale (ananas). Per quanto mi sforzi di cercarle, non avverto la presenza di nessuna delle spezie che normalmente abitano il profilo aromatico di una Blanche/Wit; anche la componente espressiva del lievito mi sembra completamente sottomessa al dominio del luppolo, in un bouquet aromatico comunque molto piacevole, pulito e fresco. La bevuta inizia con il dolce di miele, caramello, frutta tropicale e polpa d'arancia, subito incalzato dalle noti ruvide e ruspanti della segale che ben interagiscono con la vivace carbonazione. Molto vivace al palato, scorrevole e facile da bere, chiude abbastanza secca (ma si potrebbe  fare ancora meglio) con un amaro terroso e leggermente zesty sempre accompagnato dalla speziatura della segale. Non so se sia effettivamente una White IPA, l'etichetta non lo dichiara e nulla nel bicchiere mi porta a pensare a quella tipologia di birra. A me sembra piuttosto una buona Rye IPA, con la segale in evidenza a caratterizzare una bevuta ruvida ma convincente, molto rinfrescante e dal buon livello di pulizia. La facilità di bevuta è buona (e ci mancherebbe, considerato l'ABV del 4.7%) mentre quel che si dovrebbe migliorare è la sensazione tattile, cercando di alleggerirla ulteriormente. 
Nel dettaglio:
Eolo, formato 33 cl., alc. 4.9%, lotto 118, scad. 08/2017, prezzo indicativo 3.50 Euro.
Kore, formato 33 cl., alc. 4.7%, lotto 114, scad. 08/2017, prezzo indicativo 3.50 Euro.


NOTA:  la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio della bottiglia in questione e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

domenica 9 ottobre 2016

Stone (Berlin) Cali-Belgique IPA

Del debutto europeo (Berlino) di Stone Brewing Company già si era parlato: lo scorso giugno sono sbarcate la Stone IPA e l'Arrogant Bastard, per una partenza che personalmente mi ha lasciato con qualche dubbio. Birre buone, ma ancora lontane parenti di quelle muscolose e aggressivamente luppolate prodotte negli Stati Uniti. A luglio si sono aggiunte altre due birre, sempre proposte in lattina: la iconica Ruination IPA e la Cali-Belgique IPA. 
Quest'ultima nasce nel 2008, l'anno in cui Steve Wagner (birraio e co-fondatore di Stone) e Mitch Steele (headbrewer) si recano in Belgio dove hanno l'occasione di bere alcune Belgian Ale molto luppolate e vogliono realizzare qualcosa di simile in California. Le idee si concretizzano nella realizzazione della 08.08.08 Vertical Epic Ale, una birra occasionale il cui ceppo di lievito belga viene coltivato nel mosto della IPA di Stone: il risultato soddisfa Wagner e Steele i quali decidono di mettere in produzione regolarmente una Belgian IPA, chiamandola Cali-Belgique. I luppoli utilizzati sono Magnum, Centennial e Chinook, quest'ultimo anche in dry-hopping.

La birra.
L'avevo già bevuta a metà agosto, ad un mese dalla messa in lattina, ma non avevo avuto l'occasione di farne una descrizione dettagliata sul blog: rimedio con un quasi due mesi di ritardo con una lattina  dello stesso lotto che ha questo punto ha quasi tre mesi di vita, mentre il birrificio ne pone la scadenza ad aprile 2017.  Nel bicchiere si presenta di color dorato, con sfumatura arancio e una testa di schiuma che rappresenta perfettamente la tradizione belga: generosa, cremosa e compatta, dall'ottima persistenza. 
L'incontro tra California e Belgio decreta un vincitore netto, al naso: è il Belgio, con la delicata speziatura del lievito, gli esteri fruttati (banana, arancia, frutta gialla) ed i canditi. Non trovo traccia di quella frutta tropicale che invece ricordo essere presente nella lattina bevuta lo scorso agosto; un peccato, in quanto il bouquet olfattivo, benché pulito, risulta meno complesso ed interessante di quello che dovrebbe essere. La sensazione palatale è morbida, il corpo è medio con le bollicine che si collocano esattamente a metà tra la vivacità della tradizione belga e la "tranquillità" di quella anglosassone. Al palato spiccano la crosta di pane, il dolce del miele e dei canditi (pesca, albicocca, arancia) con la banana piuttosto in sottofondo; l'intensità dei sapori è ottima, così come la facilità di bevuta in quanto l'alcool è molto ben nascosto, "alla belga".  Il dolce viene bilanciato da una buona secchezza, ma quello che manca in questa lattina è il contributo dei luppoli, che una Belgian IPA dovrebbero entrare in scena per poi assurgersi a indiscussi protagonisti del finale.  La loro presenza qui è molto sottotono, con una chiusura nella quale s'avvertono a malapena quelle note terrose e resinose che invece avevo sentito molto più distintamente nella lattina bevuta ad agosto. Il risultato è quasi paragonabile ad una Strong Ale belga, dolce ma ben attenuata; birra pulita  e godibile, ma per chi voleva bere una Belgian IPA il risultato lascia un po' (senza) amaro in bocca. 
Dal semplice confronto di queste due lattine ne emerge un decadimento piuttosto rapido della luppolatura: se volete assaggiarla, a questo punto vi consiglierei di attendere l'arrivo in Italia del prossimo lotto. Se invece vi accontentate di una Belgian Strong Ale, avete tempo sino al prossimo aprile 2017.
Formato: 33 cl., alc. 6.9%, IBU 77, imbott. 15/07/2016, scad. 11/04/2017, prezzo indicativo 3.30-4.50 Euro (Italia)

NOTA:  la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio della bottiglia in questione e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.