domenica 10 gennaio 2016

Omnipollo / Buxton: Yellow Belly Peanut Butter Biscuit Stout

"Yellow Belly" è un termine  che in inglese indica una persona priva di coraggio, un codardo. Yellow Belly è il nome scelto per una birra collaborativa prodotta dagli inglesi di Buxton Brewery e dalla beerfirm svedese Omnipollo. L'idea nasce a settembre 2014, nell'ambito del progetto Rainbow Collaboration promosso da Ryan Witter-Merithew di Siren Craft Brewery: coivolgere quattordici birrifici per produrre sette birre collaborative a rappresentare i sette colori dell'arcobaleno.
Colin Stronge di Buxton e Henok Fentie di Omnipollo scelgono il giallo, un colore che attribuiscono immediatamente alla codardia. L'ispirazione viene forse da Henok, il proprietario (di colore) della beerfirm svedese che rimane scioccato dal risultato di alcuni sondaggi politici effettuati nella sua nazione, secondo i quali il partito fascista Sverigedemokraterna potrebbe ottenere il 40% di consensi. In parallelo c'è anche la crescita in altri paesi europei di partiti estremisti come il British National Party, EDL, Dansk Folkeparti, Vlaams Belang, la Lega Nord, Fremsrittspartiet, Sannfinländarna, Alba Dorata. 
Sviluppato il concetto, al fido collaboratore di Omnipollo Karl Grandin spetta l'intuizione dell'artwork: bellissima la scelta di incartare la bottiglia in modo da rappresentare un cappuccio del Ku Klux Klan.
La sostanza parla di una massiccia (11%) imperial stout prodotta con "aromi" di arachidi e biscotti: quella che teoricamente è una collaborazione si rivela essere nel bicchiere in tutto e per tutto una Omnipollo. Il canovaccio è quello già visto con la Noa Pecan Mud Cake (prodotta con pecan e caramello) con una variazione degli ingredienti aggiunti. Quasi nera nel bicchiere (in controluce appare più un marrone scurisimo), con una piccola schiuma nocciola cremosa ed un po' grossolana, non molto persistente. L'aroma è dominato dal burro d'arachidi affiancato da profumi di biscotto e vaniglia, gianduia, lattosio, cioccolato al latte, crema alla nocciola; il dolce è tanto, secondo me troppo, ai limiti della stucchevolezza. 
C'è intensità ma manca eleganza e l'impressione è a tratti quella di annusare una barretta snack industriale piuttosto che una torta fatta in casa. Non si discosta di molto da questi binari il gusto: si continua sul versante dolce con abbondanza di arachidi e di zucchero, vaniglia e toffee, cioccolato al latte, biscotto, caffè latte. Sontuosa è la sensazione palatale: corpo medio, poche bollicine, una consistenza che oscilla tra "il masticabile" e "l'oleoso" con una morbidezza davvero vellutata, simile ad un frappé. 
Ma per questa volta vado controcorrente e non mi unisco al coro delle lodi che la Yellow Belly riceve sui vari siti di beer-rating: passata la sorpresa (e la bontà) dei primi due sorsi mi è davvero venuta voglia di passare a bere qualcos'altro. Più che un birra prodotta con aromi, mi è parsa una sorta di liquore dolce con in sottofondo un vago ricordo di birra, che rimane troppo nascosta e schiacciata dagli "aromi" aggiunti. L'alcool (11%) è forse sin troppo nascosto, riscaldando leggermente ma risultando incapace di stemperare del tutto la componente dolce; anche l'amaro finale dato dai luppoli e non dalla tostature fallisce nel ridare un po' di equilibrio a questa bevanda/birra. Una bottiglia molto cara (siamo nei dintorni dei 30 euro/litro) che - passati i primi sorsi - a mio parere non vale assolutamente il prezzo del biglietto: forse meglio tentare la sorte con la versione barricata in botti ex-Bourbon chiamata Yellow Belly Sundae.
Formato: 33 cl., alc. 11%, imbott. 14/09/2015, scad. 01/09/2019. 

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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