Tanto per cambiare torniamo virtualmente a Londra, probabilmente la città europea che al momento vanta la scena brassicola più attiva ed eccitante; oggi non parleremo di una nuova apertura, visto che il birrificio in questione, Brodie's, è attivo dal 2008, quando la maggior parte dei birrifici che oggi movimentano la scena londinese ancora non esisteva. Nel 2000 la famiglia Brodie acquista il pub King William IV nella (estrema) periferia nord-orientale di Londra; in un piccolo edificio - quasi un ripostiglio - dietro al pub entra in funzione il birrificio Sweet William, che rifornisce il pub ma è gestito da persone esterne alla famiglia Brodie, grazie ad un impianto da cinque barili progettato da Rob Jones del birrificio Dark Star. Il birrificio non ebbe vita lunga e chiuse i battenti dopo solo cinque anni, quando venne rilevato dai cugini James e Lizzie Brodie che riescono invece a riscuotere un buon successo. Con il tempo sono anche arrivate importanti collaborazioni con BrewDog, Dark Star, Steel City, Fanø e Mikkeller. Oltre al pub adiacente al birrificio (il King William IV), la famiglia Brodie gestisce altri due locali in posizione più centrale: l'Old Coffee House a Soho (Beak Street) e il The Cross Keys, vicino a Covent Garden. Un'occhiata all'elenco delle birre prodotte su Ratebeer può servire a farsi un'idea del profilo del birrificio; elenco molto vasto, con la tendenza a sperimentare ed a creare nuove ricette piuttosto che a concentrarsi su un nucleo di birre stabile, anche se James Brodie spiega che si tratta di una scelta quasi forzata, dovuta alla scarsa disponibilità di materie prime (soprattutto luppoli) che costringe il birraio a fare dei lievi cambiamenti alle ricette. Il birrificio da poco è passato ad usare un impianto da 15 barili (costruito su misura per entrare nel piccolo locale a disposizione) che ne aumenta la capacità produttiva, destinata comunque per lo più a rifornire i pub di proprietà.
Della vasta produzione Brodie's mi è capitata una bottiglia di Dalston, una Black IPA prodotta, tra gli altri, con il luppolo australiano Galaxy; è bottle conditioned e di colore marrone scuro con sfumature rossastre; si forma un generoso cappello di schiuma beige, cremosa e molto persistente. Nessuna indicazione né in etichetta né sul tappo riguardo alla data d'imbottigliamento o alla scadenza, ma per fortuna l'aroma è una chiara prova di una birra ancora fresca e con pochi mesi di vita alle spalle: elegante e pulito, sprigiona sentori di frutta fresca come pesca bianca, pompelmo, melone, ananas, frutti di bosco rossi (lampone, fragoline). In bocca è morbida e gradevole, con il giusto livello di bollicine ed un corpo medio. Convince un po' meno in bocca, dove c'è una netta prevalenza della componente "black" ed uno sbiadito ricordo di tutta quella fresca macedonia di frutta che aveva invece caratterizzato l'aroma. L'amaro è un mix non proprio azzeccato (secondo me) di note terrose, tostate e vegetali, che non brilla di eleganza e non splende di pulito, pur mantenendosi su un buon livello. E' una Black IPA che diventa un po' troppo monocorde, battendo sempre sul tasto dell'amaro terroso/tostato/vegetale senza nessuna pausa o sfumatura, rallentando la bevuta nonostante l'alcool (7%) sia molto bene nascosto. Le poche note fruttate (tropicale) che ci sono sembrano correre su un binario parallelo al resto, dando come risultato un birra che ha un'ottima intensità ma che rimane un po' slegata, finendo per lasciare - è proprio il caso di dirlo - con l'amaro in bocca.
Formato: 33 cl., alc. 7%, lotto e scadenza non riportati, pagata 3.51 Euro (beershop, Inghilterra).
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