Franciacorta non fa certo rima con birra ma questo non ha impedito alla coppia Marco Sabatti e Chiara Bassoli di sceglierla come base operativa per il proprio birrificio Porta Bruciata, inaugurato nel 2015. Marco è l’addetto alla produzione che sfata il luogo comune “prima homebrewer, poi birraio”: appassionato di birra da lungo termine e socio CAMRA dal 1995, ha studiato la teoria al CERB di Perugia seguito da un periodo di pratica presso il birrificio Rurale di Desio. Per lui la mancanza di un background “casalingo” non è affatto un limite: ha potuto da subito abituarsi a lavorare su di un impianto professionale senza dover riprogettare su scala più ampia le ricette casalinghe. Porta Bruciata debutta con un impianto da 1000 litri e una piccola area dedicata alla vendita al dettaglio con la possibilità di fare anche qualche assaggio: il movimentato Outlet Franciacorta è quasi dietro l’angolo.
L'acronimo CAMRA è indicativo su quale sia la vera passione di Sabatti: è ovviamente la tradizione anglosassone e specificatamente nella sua evoluzione statunitense, ovvero quella generosamente luppolata. Non a caso il birrificio debutta con la IPA Orifiamma, con la Golden Ale Fanny e la White IPA Shantung. “La nostra provincia dal punto di vista brassicolo è storicamente stata succube dell’influenza austriaca, ne consegue che la birra per antonomasia a Brescia è sempre stata a bassa fermentazione, chiara, e dalle note maltate dominanti. Esattamente il contrario di quello che produciamo noi!”, ammette Marco. I nomi delle birre rievocano personaggi, luoghi o eventi storici legati alla città di Brescia, a partire dalla torre medievale fortificata della città chiamata proprio Porta Bruciata.
I riconoscimenti non tardano ad arrivare: all’edizione 2017 di Birra dell’Anno la IPA Orifiamma vince a sorpresa la propria categoria piazzandosi davanti ad Hammer e CR/AK, due big della scena italica. A conferma che non si è trattato di uno dei tanti exploit da concorso senza seguito ci sono i risultati ottenuti nel 2018: primo posto della Double IPA Larkin Street in categoria 13, che batte la Breaking Hops di MC77 e la Hattori Hanzo di Mukkeller, argento e bronzo nella categoria delle “Session IPA” con Shantung e Dusky Bay. Anche la manifestazione Birraio dell’Anno celebra Porta Bruciata, con il bel quinto posto ottenuto a gennaio 2019 e quindi riferita al 2018. Nel 2019 da Birra dell’Anno arriveranno altri due argenti luppolati (Shantung e Larkin Street) seguiti da uno nel 2020 (Shantung). Alla numerose birre luppolate Porta Bruciata ha poi affiancato anche un paio di belghe (la tripel Badessa e la saison Klokkenist, la bitter Red Oast, l’imperial stout Neymus e il barley wine Pegol.
Le birre.
Partiamo da La Pallata (5.6%), American Pale Ale caratterizzata da Ekuanot e Willamette che ha debuttato al Beer Attraction del 2016; la Pallata è una torre in mattoni di origine medievale che si trova nel centro storico di Brescia. Perfettamente dorata, leggermente velata, forma una bella testa di schiuma cremosa e compatta. Il naso è fresco e molto pulito, con spiccati profumi floreali e fruttati (arancia, ananas, melone e tropicale), accenni di panificato. Al palato scorre piuttosto bene ed è sostenuta da una buona carbonazione. La bevuta è perfettamente coerente con gli aromi, pulita, fresca e fragrante: pane e accenni di miele, un fruttato “educato” che richiama agrumi e tropicale, un finale secco con un amaro resinoso-vegetale di buona intensità e breve durata. L’alcool non è pervenuto e la bevibilità è eccellente: una di quella birre da bere per tutta la serata, senza neppure accorgersene. Ottima.
Nell’agosto del 2017 Marco Sabatti dichiarava di essere attratto “da tutti gli stili dove il luppolo ha un ruolo dominante. È altresì vero che siamo un po’ tradizionalisti, quindi vedo molto improbabile una nostra juicy: non credo che la torbidità possa essere un valore aggiunto in una IPA”. Il birrificio ha evidentemente cambiato idea ed ha voluto accontentare le richieste del mercato: lo scorso aprile, in un periodo poco fortunato per tutti, ha realizzato la sua prima NEIPA chiamata Halfway ad evocare l’omonimo faro nella baia di Casco nel Maine, New England, la regione degli Stati Uniti dove sono nate le cosiddette Juicy o Hazy IPA.
Con pub e locali chiusi il suo debutto non è potuto che avvenire a domicilio con il servizio delivery di bottiglie e fustini da cinque litri. La Halfway è anche la prima birra della Lighthouse Series credo destinata ad esplorare proprio questo (sotto)stile. Torbida per scelta, ha tuttavia un colore piuttosto spento e fangoso: onestamente ho visto di meglio. Bene invece la schiuma, che nella NEIPA è invece spesso vittima sacrificale: in questo caso è cremosa, abbastanza compatta ed ha buona persistenza. L’aroma non è esplosivo ma è alquanto gradevole e, nota di merito, alquanto pulito: arancia, pompelmo e ananas, in secondo piano mango, litchi e mandarino. Al palato è morbida e leggermente chewy, come richiesto dal protocollo NEIPA: il gusto non riesce tuttavia a replicare l’aroma, soprattutto per quel che riguarda definizione e pulizia. Il suo essere juicy si risolve in una sensazione generalizzata generale di agrumi e tropicale nel quale è difficile distinguere i singoli elementi. Il percorso si chiude con un amaro vegetale poco elegante e leggermente astringente che gratta un po’ in gola; l’alcool (7%) non si nasconde e anche su questo aspetto si potrebbe fare meglio. Inizia bene ma si perde un po’ per strada la prima NEIPA di Porta Bruciata: peccato non ritrovare in bocca le belle premesse aromatiche. Benché soddisfi la voglia di succo di frutta, i margini di miglioramento sono piuttosto ampi: avesse al palato anche solo il 50% di eleganza della Pallata!
Nel dettaglio:La Pallata, 5.6% ABV, lotto 20063, scad. 19/10/2020, prezzo indicativo 4.00 Euro (beershop)
Halfway, 7% ABV, lotto 20066G, scad. 20/10/2020, prezzo indicativo 5.00-6.00 euro (beershop)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio
Hai provato quelle di MC77 o Ritual Lab? Forse un pelino meno spinte sull'estremo del juicy ma ne guadagnano in finezza ed eleganza.
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