martedì 2 febbraio 2016

Val-Dieu Grand Cru

L'abbazia cistercense di Val Dieu venne fondata nel 1216 ad Aubel (Pays de Herve, Belgio) da monaci provenienti dall’abbazia di Hocht, vicino a Maastricht; secondo la leggenda questa zona un tempo inabitata che oggi si trova a soli 25 chilometri a nord-est di Liegi era così ostile da essersi guadagnata il soprannome di “vallata del diavolo”. I monaci vi si stabilirono e, probabilmente per sfatare i cattivi presagi, la rinominarono Val-Dieu, ovvero “la valle di Dio”, nome che fu poi attribuito anche all’abbazia. La storia del monastero attraverso i secoli nella tumultuosa Europa centrale è la solita fatta di ampliamenti e distruzioni (1287, 1574 e 1683): nel diciottesimo secolo il suo massimo periodo di splendore terminato poi con la Rivoluzione Francese che lo “espropriò” obbligando i monaci all’esilio: Val-Dieu può comunque vantarsi di essere l’unico monastero belga sopravvissuto fisicamente alla Rivoluzione Francese. 
Fu l’abate Jacques Uls a riottenere il possesso del monastero che alla sua morte fu convertito in una fabbrica di lino ed in un convitto: nel 1840 gli edifici ormai in pessimo stato di conservazione furono acquistati dall’abate Burgers che vi si stabilì assieme ad altri tre monaci provenienti dall’abbazia di Bornem. I monaci sono rimasti a Val-Dieu sino alla fine del 2001, mentre dal primo gennaio 2012 negli ambienti del monastero abita  “una piccola comunità laica, guidata del rettore Schenkelaars Jean-Pierre, sotto la supervisione delle autorità ecclesiastiche regionali e in collaborazione con l’Ordine Cistercense”.  
Per quel che riguarda la produzione di birra, non si hanno notizie molto precise se non che la cessò con la Rivoluzione Francese e che i vecchi impianti di Val-Dieu furono definitivamente rottamati nel 1940 durante i lavori di restauro del monastero; dal 1975 al 1980 i monaci permisero (ingenuamente) al commerciante di bevande Corman di Battice l’utilizzo del proprio nome per realizzare la Tripel presso gli impianti della Brouwerij Van Honsebrouck, senza chiedere nulla in cambio. Secondo alcune fonti non si trattò altro che una rietichettatura della Brigand. Nel 1993 il distributore Joseph Piron di Aubel (dove si trova il monastero) firmò con i monaci un contratto per la realizzazione di una serie di birre a nome Val-Dieu impegnandosi a corrispondere una commissione; il problema era che nel frattempo Corman aveva ad insaputa dei monaci registrato il nome “Val-Dieu” e  Piron fu quindi costretto ad acquistarlo da lui. Le “nuove” Val-Dieu vennero inizialmente appaltate alla Brouwerii Van Steenberge fino a quando non entrò in funzione il nuovo birrificio di Piron, la  Brasserie d'Aubel , situato a pochi chilometri dall’abbazia. Sembra tuttavia che la Blond e la Brune fossero di qualità molto bassa, con una serie d’infezioni e di problemi che portarono il giovane birrificio al fallimento nel 1995. 
L’ultimo (e definitivo) tentativo di portare avanti il nome Val-Dieu è quello fatto nel 1997 dal commerciante di bevande Alain Pinckaers e dal socio Benoit Humblet, birraio proveniente dalla Kronenbourg; ai due venne l’intuizione di realizzare il birrificio in uno degli edifici del complesso cistercense. La produzione – che afferma di basarsi su ricette tramandate dall’ultimo abate di Val-Dieu – parte con Blond e Brune seguite nel 1998 dalla Tripel; se escludiamo i birrifici trappisti, Val-Dieu è di fatto a tutt’oggi l’unica abbazia in Belgio all’interno della quale viene ancora prodotta birra.  Dopo quasi vent’anni, Val-Dieu è ancora nelle mani di Alain Pinckaers e del nipote Michaël Pelsser;  il birraio Benoit Humblet se n'è invece andato ad aprire il microbirrificio  Bertinchamps a Gembloux e al monastero è arrivata la birraia Virginie Harzé assistita da Jonathan Petrenko. La produzione si attesta attorno ai 900.000 litri/anno, con Tripel e Grand-Cru a tirare le fila dell’export (30%).
Nel 2016 ricorrono gli ottocento anni dalla fondazione di Val-Dieu ed è giusto “celebrarli” con quella che è l’ammiraglia del monastero,  una robusta (10.5%) Belgian Strong Ale chiamata Grand Cru. Si veste con la “tonaca del frate” che in contro luce evidenzia intensi riflessi rosso rubino e ambrati; la schiuma è di un bianco appena sporcato di beige, abbastanza compatta e cremosa ed ha un’ottima persistenza.  Il naso è pulito è piuttosto ricco di “dark fruits” come prugna e uvetta, frutti di bosco, poi zucchero candito, mela rossa ed arancia candita; in sottofondo qualche nota vinosa e terrosa. Al palato è piuttosto corposa (medio-pieno) con una consistenza morbida, viscosa ed oleosa che è tuttavia mitigata da una carbonazione abbastanza sostenuta. E’ una birra che sin dai profumi non fa certo mistero di voler essere dolce, ed in bocca c’è tanta frutta sotto spirito a continuare il percorso intrapreso: uvetta, prugna, e frutti di bosco vengono affiancati da note di biscotto, forse liquirizia, zucchero candito e caramello ed una delicata speziatura.  E’ l’alcool, assieme ad una  leggera asprezza finale (uva, mela rossa) e ad un accenno amaro (terroso)  a bilanciare almeno in parte il (tanto) dolce, mentre i primi sorsi regalano anche una suggestione di tostato e di cioccolato. Complessivamente si sorseggia lentamente ma con buona frequenza, mentre l’alcool regala un morbido e diffuso calore che permette d’affrontare anche le più fredde serate dell’anno: spiccatamente dolce (tocca ripetermi) ma  non fuori controllo, molto appagante soprattutto se amate questa tipologia di birre. Mettetevi a sedere e prendetevela comoda, magari con una tavoletta di cioccolato fondente a portata di mano.
Formato: 75 cl., alc. 10.5%, scad. 04/2017, pagata 4.15 Euro (drink store, Belgio)

NOTA: la descrizione della birre è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglie, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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