Il nome Chase Healey non dovrebbe suonare nuovo a qualsiasi appassionato: fu lui a fondare nel 2012 a Tulsa, Oklahoma, la beerfirm Prairie Artisan Ales per poi cederla nel 2016 allo stesso birrificio (Krebs) sui cui impianti produceva le birre. Il successo del marchio Prairie richiedeva investimenti e un impegno che Healey sentiva di non poter più sopportare: “volevo continuare a far birra, non gestire un numero sempre più grande di persone; volevo produrre birre acide e fermentazioni miste, birre invecchiate in legno ed era impossible farlo quando hai vincoli contrattuali e scadenze da rispettare, come Prairie. Inoltre nessuno voleva mettere in pericolo (contaminazione, ndr.) tutte quelle botti usate di bourbon che avevamo”. Qualcuno forse ricorderà che Healey aveva già provato a lanciare uno spin-off di Prairie nel 2014, quel progetto chiamato Brouwerij Okie che non riuscì però a decollare dopo aver prodotto un paio di lotti imbottigliando ed etichettando a mano.
Nell’estate del 2016 si aprono così le porte di American Solera in un piccolo fabbricato nella periferia ad ovest (1803 S. 49th West Avenue) di Tulsa nel quale sono stati stipati sedici fouders di legno: “non c’è quasi spazio per muoversi. Con questo nome volevo creare un marchio che celebrasse quello che cerco di ottenere. L’aggettivo American è forse un po’ forte, ma se penso ai birrai che ho incontrato in Scandinavia, Belgio e Germania… sono tutti fieri del loro paese. Volevo quindi dire a tutti che noi siamo orgogliosi di essere in un paese dove si producono attualmente alcune delle migliori birre al mondo”. Solera fa ovviamente riferimento al metodo usato per produrre vini fortificati e distillati: “utilizzo un blend di birra fresca e birra invecchiata per le mie birre. Riempio di continuo le botti più vecchie. Il punto era di fare qualcosa di diverso da quello che facevo con Prairie, altrimenti non avrebbe alcun senso. Sostituite le parole ‘sherry’ e ‘vino’ con ‘birra’ ed otterrete American Solera".
La nuova avventura di Healey inizia in un vecchio stabile che inizialmente non ha neppure l’autorizzazione per aprire la taproom: i beergeeks apprezzano e nel 2017 Ratebeer elegge American Solera come il nuovo miglior birrificio americano del 2016 e come secondo nuovo miglior birrificio al mondo. Per aumentare la produzione Healey prende in affitto uno dopo l’altro altri tre edifici adiacenti e se ne fa costruire un quarto: “devo solo capire come gestire la produzione. Con foeders e botti le possibilità di blend sono infinite: nei prossimi quattro mesi potrei far uscire una ventina di birre diverse, ma sarebbe troppo”. Arrivano le prime birre acide, le fermentazioni spontanee, le wild ales invecchiate in botti di vino con aggiunta di frutta.
Nell’estate del 2017 cambiano le leggi dell’Oklahoma e ai birrifici viene concesso di somministrare direttamente al pubblico, nei propri locali, anche birre con gradazione alcolica superiore al 4%: per l’occasione Healey inaugura un secondo piccolo locale a Tulsa chiamato SOBO (abbreviazione del quartiere South Boston). Dopo 12 mesi arriva l’annuncio dell’acquisto un vecchio edificio costruito un secolo fa nel quartiere di Kendall Whittier, 1300 metri quadri da ristrutturare e trasformare nella nuova casa di American Solera: i lavori sono andati un po’ oltre le previsioni e l’inaugurazione è avvenuta a settembre 2019. A pochi passi di distanza ci sono i birrifici Marshall's, Cabin Boys e OK Distilling: appena un po’ più in là gli edifici di Nothing's Left e Heirloom Rustic Ales vanno a completare quello che è già stato rinominato il nuovo Tulsa Brewing District.
La birra.
Non ho trovato praticamente nessuna informazione su questa Old Dishoom (8.5%), una delle prime birre (2016) uscite dagli impianti di American Solera: sappiamo solo che si tratta di una Old Ale invecchiata in botti di Sherry con aggiunta di un mix di diverse colture di brettanomiceti.
Il suo vestito è di color ambrato piuttosto carico, simile alla tonaca di frate: la schiuma è abbastanza compatta ed ha una discreta persistenza. I profumi di sherry sono in bella evidenza la naso, accompagnati da note legnose e di vaniglia, ribes, marasca e lampone, qualche accenno acetico. La bevuta risulta altrettanto variegata ma è forse meno compiuta: un’altalena che oscilla continuamente tra il dolce del caramello, dello sherry, dell’uvetta e della prugna disidratata e l’asprezza dei frutti rossi. Le due componenti non sono però del tutto integrate tra loro e l’impressione è di spostarsi continuamente da un estremo all’altro. Qualche accenno acetico di troppo mette ulteriormente in discussione la rotondità di una birra aspra e quasi rinfrescante che chiude poi il suo percorso con un finale caldo ed etilico, caratterizzato da una bella nota di tannini.
Dishoom pare essere una parola di origine indiana che risale agli anni ’70: la Bollywood cinematografica utilizzava questo termine per il rumore di una pallottola sparata in aria o di un colpo ben assestato (l’equivalente di “POW!”, “BAM!”). Non ci sono clamori in questa bottiglia ma il risultato è comunque godibile anche se non facilissimo da inquadrare.
Formato 37,5 cl., alc. 8.5%, lotto 2016, 12,00 EuroNOTA: Prezzi indicativi (beershop). La descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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