Sono passati già otto anni da quel 2012 in cui la beerfirm CREW Republic cercava di portare una ventata di novità lanciando virtualmente una granata luppolata su Monaco di Baviera, città dominata dalla tradizione e dai sei marchi industriali che si spartiscono ogni anno il ricco parterre dell’Oktoberfest. Ve ne avevo parlato per la prima volta nel 2014 e le birre di Crew non ci hanno poi messo molto ad arrivare anche in Italia e negli altri paesi europei.
I due homebrewer, ma soprattutto giovani imprenditori Mario Hanel e Timm Schnigula si erano affidati per un po’ al birraio americano Richard Hodges per realizzare le proprie idee sugli impianti del birrificio Hohenthanner Schlossbrauerei ma sono stati rapidi a capire che lo status di beer-firm non sarebbe stato sostenibile per molto: poca birra disponibile ad elevati costi di produzione. Il colosso del luppolo Barth-Haas Group entrò in società con una quota minoritaria portando le risorse economiche necessarie per inaugurare nel 2015 il sito produttivo nel sobborgo di Unterschleissheim, una trentina di chilometri a nord dal centro di Monaco; nel 2017 è stata anche aperta la taproom, un po’ fuori mano per chi si trova in città ma raggiungibile da Marienplatz con una mezz’oretta di S1 seguita da una camminata a piedi di un chilometro e mezzo. In un paio d’anni la produzione è raddoppiata arrivando a 10.000 ettolitri l’anno anche e soprattutto grazie ad un accordo distributivo con la Global Drinks Partnership (San Miguel, Estrella): le Crew arrivarono in molti bar e anche sugli scaffali della grande distribuzione tedesca (Rewe, Edeka).
Ma Hanel e Schnigula hanno probabilmente coronato il loro sogno imprenditoriale nell’agosto del 2019 annunciando di aver ceduto una non specificata quota di minoranza (10%? 30%? 49%?) alla ZX Ventures di proprietà della multinazionale AB InBev; per il colosso belga, che già domina il mercato con i marchi Beck’s (nord) e Spaten/Franziskaner/Löwenbräu (Baviera), si trattava della prima acquisizione di un birrificio artigianale tedesco. La “partnership”, come si dice sempre in questa prima fase, è divenuta operativa ad ottobre e Crew ha già iniziato un programma di espansione volto ad aumentare la capacità produttiva da 12.000 a 25.000 ettolitri.
Crew Republic è stato indubbiamente un nome importante nella scena craft tedesca ed ha ispirato molti altri homebrewer/birrai/imprenditori: Drunken Sailor e Escalation 7:45 sono state tra le prime IPA e Double IPA tedesche a circolate a Monaco di Baviera. Quello che gli appassionati tedeschi rimproverano ad Hanel e Schnigula è di essersi ad un certo punto fermati pensando più a trovare dei partner commerciali che alla birra: del resto loro non sono mai stati birrai per professione. Nessuna NEIPA (per fortuna, qualcuno potrebbe dire), nessuna voglia di provare ad esempio a mettere in botte l’imperial stout della casa Roundhouse Kick. Pur dotato di un impianto proprio Crew non ha più voluto sperimentare e/o seguire le tendenze del mercato, cercando invece la sostenibilità dei volumi: come dargli torto?
In verità esiste una linea sperimentale nella gamma di Crew Republic, ed è quella contrassegnata dalla lettera “X” che identifica birre prodotte stagionalmente o occasionalmente. Ad inaugurarla nel 2013 fu il Barley Wine X 2.0 seguito dalla X 3.0 Sour Black (8.9%), dalla X 4.0 Witbier (4.4%) e dalla X 1.1 Wet Hop (5.8%): l’ultima arrivata (2020) è la X 10.4 Dry Hopped Lager. Il Barley Wine è stato prodotto quasi ogni anno per poi entrare in produzione abituale con il nome Rest In Peace (10.1%). In cantina avevo ancora qualche bottiglia della versione X 2.1 e della X 2.2: entrambe sono state prodotte sugli impianti della Hohenthanner Schlossbrauerei. Da quanto ne so la ricetta non è mai cambiata: malti Pilsner e Crystal, luppoli Herkules, Fuggles ed East Kent Golding. Vediamo come hanno retto alla prova del tempo in una mini verticale.
Il Barley Wine X 2.1 (novembre 2014) è di un bel color ambrato, velato ma ancora luminoso: la schiuma è invece modesta e grossolana. Caramello, melassa, ciliegia, uvetta e datteri: un aroma piuttosto dolce al quale l’ossidazione aggiunge piacevoli note marsalate ma anche di cartone bagnato. Il mouthfeel non mostra invece segni di cedimento: è un barley wine ancora carbonato e ben presente in bocca. La bevuta ripropone la dolcezza del caramello, dell’uvetta e dei datteri; ci sono note biscottate, di vino marsalato e, anche qui, qualche segno meno gradevole lasciato dal tempo. Dolce ma mai stucchevole, chiude un percorso bilanciato grazie al tenore alcolico e ad un tocco amaricante vegetale-terroso, con qualche timido accenno di tostato. Non c’è molta complessità o profondità in quello che credo fosse in origine un barley wine molto luppolato, ma è comunque una bevuta piacevole che ha tuttavia superato il suo picco migliore.
La versione X 2.2 è arrivata pressappoco un anno dopo (dicembre 2015) ma ha curiosamente una data di scadenza (2017) inferiore a quella della sorella maggiore (2019). Evidentemente alla Crew non si fidavano della tenuta nel tempo di una birra che si è invece rivelata essere una bella sorpresa.
Il suo colore ambrato è un po’ bruttino, piuttosto torbido e sporcato da piccole particelle di lievito in sospensione: la schiuma è invece compatta, cremosa e ha buona ritenzione. L'enorme differenza nel colore tra le due foto non inganni, è l'effetto della luce naturale e quella artificiale. L’aroma è ricco e marcatamente vinoso, con netti richiami ai passiti: albicocca disidratata, mela al forno, marmellata d’arancia, uvetta, ciliegia. Pulito, espressivo, intenso: un inizio col botto. Per accorgersi di qualche “frammento” di cartone bagnato bisogna davvero prestare molta attenzione. In bocca è sorprendentemente piena e morbida, oleosa, ancora potente nonostante i cinque anni passati dalla messa in bottiglia. Il gusto segue l’aroma ma non riesce a trasmettere le stesse emozioni e sensazioni positive, complice una minor ampiezza e profondità: caramello, uvetta, prugna, marmellata, vino passito. Nel finale l’amaro vegetale/terroso morde ancora un po’, l’alcool richiede attenzione ma non impegna più di tanto chi ha il bicchiere in mano. Bella sorpresa: un barley wine ancora potente e armonico, dal gran bel corpo e dal gran bel naso, se mi passate la comparazione anatomica. Una birra che in questo caso la cantina ha sicuramente valorizzato.
X 2.1 Barley Wine, formato 33 cl., alc. 9.8%, IBU 60, scad. 29/10/2019, pagata 2,58 € (beershop)
X 2.2 Barley Wine, formato 33 cl., alc. 10,5%, IBU 65, scad. 16/12/2017, pagati 3,17 € (beershop)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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