Tra i (non molti) birrifici italiani che sono partiti come Beer Firm per poi mettere in funzioni i propri impianti annoveriamo anche il molisano La Fucina, attivo dal 2012. Tre soci fondatori (Angelo Scacco, Dario di Pasquale e Gianluca Scarselli) un lustro circa di homebrewing alle spalle, ed un nome che richiama “il laboratorio del fabbro in cui venivano forgiati strumenti e utensili di ogni tipo. Col passare degli anni il termine la fucina è diventata nel linguaggio comune un vero e proprio laboratorio in cui operavano artigiani o addirittura alchimisti sempre intenti a sperimentare o a creare nuove leghe ed elementi. Proprio come le figure che popolavano le fucine medievali, noi nel nostro birrificio vogliamo cercare di rendere possibile ciò che sembra impossibile”.
Si pare con quattro birre: Mon Amour (Blanche), La Strana (al confine tra stout/porter/brown ale con aggiunta di caffè), Pellerossa (strong ale belga), Liberitutti (APA/IPA american style), alle quali si aggiunge la collaborativa Bside (APA), realizzata assieme ad altri due birrifici molisani, Kashmir e Sannita.
Il passaggio da Beer Firm a birrificio vero e proprio avviene in soli due anni: nemmeno un anno fa, il 7 settembre 2014, vengono inaugurati gli impianti in quel di Pescolanciano (Isernia). In loco rimane operativo anche il piccolo impianto pilota utilizzato per testare le ricette, che nell’idea dei soci dovrebbe diventare una sorta di “microbirrificio sociale” a disposizione di homebrewers o semplici curiosi che volessero tentare di produrre birra. Annesso al birrificio è anche stato realizzato un piccolo beershop dove poter acquistare non solo le birre de La Fucina ma anche di altri produttori, italiani ed esteri.
Il sito internet è attualmente in manutenzione e non offre molte informazioni, mi viene in soccorso l’immancabile pagina Facebook. Altre quattro birre originali se ne sono progressivamente aggiunte altre, come ad esempio l’American Pale Ale dal singolare nome “Bevi e Nun Rompe er Cxxxo” la Cardiopalma e le ultime due nate Rostro IV e ComunAle, quest’ultima prodotta per i locali di Pescolanciano. Molto belle le etichette – anche se non sono riuscito a scoprire l’autore: surreali, fantasiose ed oniriche.
Due sono le birre protagoniste del post di oggi col quale il birrificio debutta sul blog: un “doppio” appuntamento insolito ma non inusuale, dovuto alla necessità di aprire una seconda bottiglia per rimediare ad una prima piuttosto problematica.
Iniziamo da Liberitutti (6%), che Ratebeer classifica tra le IPA: l’etichetta fornisce un breve indizio sulla presenza di Simcoe e Magnum come luppoli utilizzati. Si presenta di color ambrato con riflessi ramati, ma il bicchiere si riempie immediatamente di una schiuma biancastra e pannosa che si forma copiosa costringendo ad attendere diversi minuti prima di riuscire a vuotare completamente la bottiglia nel bicchiere. L’aroma è di scarsa intensità, ed è forse un bene perché i profumi non sono particolarmente invitanti: la pulizia latita parecchio, ed in mezzo a degli strani sentori di terriccio umido, muschio e cantina si avverte qualche nota di solvente, di caramello e forse di agrumi. L’elevatissima carbonazione non aiuta a decifrare il gusto, che risulta comunque piuttosto sporco e privo di un senso compiuto; si passa da una leggera presenza di biscotto e caramello ad un amaro vegetale e resinoso opprimente, molto poco elegante e gradevole. La bevuta risulta completamente sbilanciata in questa direzione, con astringenza finale e con un ritorno di quella sensazione di cantina umida, quasi di muffa; bottiglia con evidentissimi problemi, meglio fermarsi qui.
Fa molto caldo e, insoddisfatto, decido di tentare di dissetarmi stappando la seconda bottiglia di La Fucina in frigorifero, Cardiopalma (5%): il suo vestito si colloca tra il dorato e l’arancio, sormontato da un bel cappello compatto di schiuma biancastra, fine e cremosa, dall’ottima persistenza. Al naso sentori di pera e floreali, di amaretto, qualche accenno di miele: l’intensità è discreta mentre sull’equilibrio, sulla pulizia e sulla finezza (vedi soprattutto gli esteri da lievito) c’è parecchio da lavorare. Anche questa birra è afflitta da un’esagerata quantità di bollicine che rendono davvero difficile la percezione dei sapori: ma dopo aver fatto stemperare un po’ la frizzantezza il gusto non migliora a causa della poca pulizia. Per un ABV del 5% la sensazione tattile è piuttosto pesante, nonostante il corpo medio-leggero: indovino quasi delle note di biscotto e di miele, di arancio (forse curacao?) ed una chiusura amara erbacea, astringente. Dovrebbe trattarsi di una Belgian Ale (fonte da prendere con le pinze, Untappd), io onestamente non sono riuscito a decifrarla.
Dispiace sempre dare impressioni negative (sopratutto per i soldi spesi) su un birrificio del quale avevo peraltro sentito anche parlare bene in giro: va bene la bottiglia sfortunata che comunque non dovrebbe esserci e che ogni tanto può capitare, ma qui sono due su due.
Costanza produttiva cercasi, disperatamente.
Nel dettaglio:
Liberitutti, formato 33 cl., alc. 6%, lotto 14-15/15, scad. 30/03/2016, pagata 3.40 Euro (foodstore, Italia)
Cardiopalma, formato 33 cl., alc. 5%, lotto 05/15, scad. 02/2016, pagata 3.40 Euro (foodstore, Italia)NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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