lunedì 29 febbraio 2016

CREW Republic: Munich Easy & Detox Session IPA

Di Crew Republic (Monaco di Baviera) ne avevo già parlato un paio di anni fa; fu lanciata come beerfirm nel 2012 dagli ex-homebrewer Mario Hanel e Timm Schingula, contagiati dalla craft beer revolution americana nel corso di una vacanza invernale sull'altro lato dell'oceano Atlantico. Alla birra di debutto Foundation Pale Ale se ne sono aggiunte altre che hanno sempre visto i luppoli americani come protagonisti senza disdegnare uno sguardo ad altri stili richiesti dal mercato come Imperial Stout o Barley Wine. Nell'avventura si sono imbarcati anche Jan Hrdlicka (marketing e design), Manuel Schulz (commerciale, e l'unico nato a Monaco) e soprattutto il birraio statunitense Richard Hodges, che ha rivisitato e poi messo in pratica le idee e le ricette casalinghe di Hanel e Schingula. Per un paio di anni le birre sono state realizzate presso la Hohenthanner Schlossbrauerei di Hohenthann ma, grazie all'ingresso di un nuovo socio che ha portato i mezzi finanziari necessari, a marzo 2015 sono finalmente divenuti operativi gli impianti di propri nella periferia a nord di Monaco, in Andreas-Danzer-Weg 30. Il birrificio non è ancora visitabile ma, da quanto mi dicono, è in programma l'apertura nel 2016 di un brewpub probabilmente in una zona meno periferica della città.  Non sono tuttavia riuscito a capire chi si occupi ora della produzione della birra, che nel 2015 ha toccato i 5000 ettolitri: Richard Hodges ha infatti lasciato a gennaio 2015 Crew Republic per andare ad aprire a Berlino il microbirrificio Berliner Berg. Questo sito cita un tale Erik come attuale responsabile produzione di Crew. 
Oggi appuntamento con due birre "leggere" e particolarmente adatte ai mesi più caldi dell'anno ma anche, secondo me, a chi ha sempre bevuto industriale e non ha grossa familiarità con gli stili "amari"  che la craft beer revolution ha cavalcato; o, se guardiamo alla tradizione bavarese, a chi ha sempre bevuto Helles o Weißbier. 
Partiamo con la Munich Easy (4.7%), nomen omen di una Golden Ale effettivamente facile da bere e di facile accessibilità anche ai profani del luppolo; l'etichetta segnala la presenza di malti Pilsener, Monaco, Caramello e un parterre di luppoli che include Tradition, Citra, Cascade, Comet ed Amarillo. Non c'è tuttavia nessuna ostentazione o voglia di mostrare i muscoli; la bottiglia in questione non è purtroppo fresca e la birra ha senz'altro perso un po' di smalto, ma s'intravede una bella ricetta improntata alla delicatezza e all'equilibrio, per condurre il bevitore industriale in un territorio migliore ma non in forte contrasto con quello a lui familiare. L'aroma, avaro di freschezza e fragranza, regala comunque un pulito e gradevole bouquet di agrumi (cedro, pompelmo, arancia) che va ad affiancare le note maltata di crosta di pane e cereali. Il gusto ricalca fedelmente quanto già annunciato al naso con il dolce familiare (pensate alle Helles di Monaco) della mollica di pane e del miele al quale s'affianca quello, delicatissimo, della polpa d'arancio e del mandarino: scorre veloce e facile come l'acqua senza tuttavia risultare sfuggente, chiudendo con una lieve ed elegante nota amarivante erbacea e leggermente agrumata. Discretamente secca e molto pulita, dorata e leggermente velata, è una birra che probabilmente non coglierà l'attenzione di chi cerca le spremute di luppolo ma è senz'altro una godibilissima alternativa dissetante e rinfrescante, da bere senza pensieri, ad una Helles.  
Lo step successivo è rappresentato dalla Session IPA chiamata Detox: bassa gradazione alcolica (3.4%) e quindi una shankbier da bere ad oltranza o per riprendersi dagli eccessi della serata appena conclusa. I malti sono gli stessi della Munich Easy, i luppoli sono Comet, Galaxy e Chinook. Il suo aspetto oscilla tra il dorato e l'arancio con un discreto cappello di schiuma bianca, cremosa e dalla buona persistenza. 
Anche questa bottiglia ha purtroppo qualche mese di troppo alle spalle e la freschezza dell'aroma (ipotizzo un'inevitabile dry-hopping) ne risente: la frutta fresca vira in direzione della marmellata d'arancia amara, mandarino, pompelmo. Il naso è gradevole ma è senz'altro meglio berla: la base maltata (crackers e miele) è piuttosto leggera, con il dolce della frutta tropicale ad affiancarla per sostenere la luppolatura. In verità l'amaro si fa un po' attendere, la bevuta è molto facile ed accessibile per 3/4, riproponendo quel concetto di "fruibilità" già espresso nella Munich Easy, E' solo in chiusura, e nel retrogusto, che l'amaro "zesty" ed erbaceo diventa protagonista della scena, senza voler strafare: delicato, gentile, ripulisce bene il palato rinfrescandolo e facendo subito venire voglia di bere un altro sorso.  Il compito di una session beer è quello d'accompagnarti per tutta la serata bicchiere dopo bicchiere, senza stancarti mai: per fare questo è ovviamente necessario che il livello d'amaro sia quello giusto, senza arrivare ad asfaltare o anestetizzare il palato. Caratteristiche che si ritrovano in questa Detox, capace di "disintossicare" anche i malati di luppolo pur alimentandone a piccole dosi la dipendenza: bottiglia un po' penalizzata dalla poca freschezza, mi piacerebbe riprovarla con poche settimane di vita alle spalle per apprezzarla al meglio. 
Due "gateway beers" interessanti - ripeto - soprattutto per chi non cerca estremismi o spremute di luppolo: facilità di bevuta ed equilibrio, nel rispetto del DNA tedesco, sono l'elemento prioritario sia che si preferisca il dolce (Munich Easy) sia che si abbia voglia di qualcosa di più amaro (Detox). In entrambi i casi, se avete un amico al quale volete far provare una cosiddetta "birra artigianale" queste due bottiglie potrebbero essere il chiavistello in grado di aprire la porta ad un mondo di sapori e di emozioni che la birra industriale raramente sa offrire. 
Nel dettaglio:
Munich Easy, formato 33 cl., alc. 4.7%, IBU 22, scad. 25/03/2016.
Detox, formato 33 cl., alc. 3.4%, IBU 32, scad. 26/05/2016.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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