Jolly Pumpkin Artisan Ales viene fondata nel luglio 2004 a Ann Arbor, Michigan, da Ron Jeffries e dalla moglie Laurie nei locali che un tempo ospitavano una banca. Appassionato homebrewer, Ron è poi diventato birraio nella metà degli anni ’90 lavorando all’interno dei brewpub di proprietà della famiglia Schelde; il suo vero “amore” brassicolo è però il Belgio, con le sue rustiche Farmhouse Ales, le Red Flanders, le Oud Bruin e le fermentazioni spontanee. E’ quello che lui vorrebbe bere, ma non è quello che i clienti si aspettano di trovare al brewpub. Il suo primo tentativo “professionale” è una Sour Ale alla frutta che realizza nel 1998 al Bonfire Bistro and Brewery di Northville, ora chiuso.
Spostatosi alla Grizzly Peak di Ann Arbor, Jeffries produce il suo primo “lambic” a fermentazione spontanea. Dopo una decina d’anni da dipendente, nel 2004 si mette in proprio e apre la Jolly Pumpkin; il debutto è col botto, con il primo lotto prodotto della Oro de Calabaza che prende l’oro nella categoria “Belgian and French Style Ale” al Great American Beer Festival. Nonostante il successo, i primi periodi sono tutt’altro che facili: le sour ales sono una nicchia nella nicchia della birra artigianale, e il birrificio si sente arrivare molte segnalazioni da clienti ineducati i quali lamentano di aver bevuto una birra acida, andata a male.
Il perché dell’originale nome Jolly Pumpkin è presto svelato: “tutti amano Halloween – spiega Ron – e la zucca sorridente che lo simboleggia; quel nome è come la birra, ci fa spuntare il sorriso”. E sul perché la maggior parte delle birre hanno nomi spagnoli, aggiunge: “amo i tropici, la loro vita rilassata e amo le leggende dei pirati (Jolly Roger). E questo mi riporta ad Halloween: ogni bambino vorrebbe travestirsi da pirata ed andare in giro a dire “dolcetto o scherzetto”?
Oggi Jolly Pumpkin fa parte della Northern United Brewing Company, una compagnia fondata da Jeffries assieme a Jon Carlson e Greg Lobdell, proprietari della Grizzly Peak, e a Mike Hall; sotto a questo ombrello ci sono le birre di Grizzly Peak e North Peak ed i distillati del marchio Civilized. Potete bere le Jolly Pumpkin nel ristorante-brewpub di Traverse City, al Jolly Pumpkin Café & Brewery di Ann Arbor, al birrificio di Dexter, nuova location di 6500 metri quadrati inaugurata a settembre 2014 e all'ultimo nato brewpub di Detroit.
La produzione di tutte le Jolly Pumpkin inizia con il mosto che viene trasferito in foudres di legno dove riceve il lievito della casa, pazientemente elaborato in quattro anni partendo dal Belgian Ale (WLP550) di White Labs. I batteri ed i lieviti selvaggi vengono introdotti attraverso il sistema di areazione che di notte fa circolare l’aria fresca proveniente dall’esterno sui fermentatori aperti; la birra viene poi trasferita in botte per la maturazione che può durare, a seconda dei casi, da alcune settimane a diversi anni: è qui avviene – se previsto – il dry-hopping.
La Bam Biere arriva nel 2005 e diventa con il tempo una delle birre di maggior successo di Jolly Pumpkin: è dedicata al cane di Ron, un Jack Russell che venne investito da un automobile mentre attraversava la strada. Si tratta secondo Ron Jeffries di una Farmhouse Ale “autentica”, ossia dalla gradazione alcolica molto contenuta in modo che potesse assere plausibilmente utilizzata dai contadini per dissetarsi durante il duro lavoro nei campi. L'etichetta dovrebbe essere opera di Adam Forman, autore di quasi tutte le Jolly Pumpkin.
Nel bicchiere è di un colore molto brillante che si colloca tra l’arancio ed il dorato; la schiuma è un po’ grossolana ed “indisciplinata”, dalla breve persistenza. Sono passati due anni dalla messa in bottiglia, i lieviti selvaggi sono “cresciuti” e fanno sentire la loro presenza al naso: acido lattico, yogurt, sudore, legno, cantina o granaio. Il carattere “funky” è “ingentilito” dalle note aspre della mela verde e della scorza di limone ed è addolcito dal dolce dell’ananas e da un lieve ricordo di frutta tropicale. E’ una birra nata per dissetare e la sensazione palatale è perfettamente adeguata: leggera, vivacemente carbonata, scorrevolezza pari a quella dell’acqua. La bevuta procede sui binari dell’aspro (limone, lime, mela acerba, uvaspina) e del lattico, contrastato da un leggerissimo e raffinato sottofondo dolce di frutta (ananas, pesca gialla) che a birra calda sconfina quasi nel miele; in mezzo s’intromette il carattere funky e legnoso, una punta d’aceto di mela con il risultato di una birra molto fruttata, secca e totalmente dissetante e rinfrescante, che chiude il suo percorso con l’amaro del lattico e della scorza di limone/lime. L’intensità è davvero notevole, se si pensa ad una gradazione alcolica (4.5%) da session beer: ideale per l’estate e, ritornando al concetto di “farmhouse ale autentica”, appropriata per dissetare i braccianti durante le lunghe giornate di lavoro nei campi.
Pulitissima, rustica ma non priva di una certa eleganza, non l’ho mai bevuta fresca ma a due anni di vita in bottiglia l’acidità e la componente "funky" è piuttosto evidente e marcata: sappiatelo (se non amate le “sour”) prima di pensare ad un acquisto. Ah, per chi volesse provale a replicarla tra le mure domestiche, segnalo questa pagina.
Formato: 75 cl., alc. 4.5%, lotto 376, imbott. 14/01/2014, 11.00 Euro (beershop, Italia)Nel bicchiere è di un colore molto brillante che si colloca tra l’arancio ed il dorato; la schiuma è un po’ grossolana ed “indisciplinata”, dalla breve persistenza. Sono passati due anni dalla messa in bottiglia, i lieviti selvaggi sono “cresciuti” e fanno sentire la loro presenza al naso: acido lattico, yogurt, sudore, legno, cantina o granaio. Il carattere “funky” è “ingentilito” dalle note aspre della mela verde e della scorza di limone ed è addolcito dal dolce dell’ananas e da un lieve ricordo di frutta tropicale. E’ una birra nata per dissetare e la sensazione palatale è perfettamente adeguata: leggera, vivacemente carbonata, scorrevolezza pari a quella dell’acqua. La bevuta procede sui binari dell’aspro (limone, lime, mela acerba, uvaspina) e del lattico, contrastato da un leggerissimo e raffinato sottofondo dolce di frutta (ananas, pesca gialla) che a birra calda sconfina quasi nel miele; in mezzo s’intromette il carattere funky e legnoso, una punta d’aceto di mela con il risultato di una birra molto fruttata, secca e totalmente dissetante e rinfrescante, che chiude il suo percorso con l’amaro del lattico e della scorza di limone/lime. L’intensità è davvero notevole, se si pensa ad una gradazione alcolica (4.5%) da session beer: ideale per l’estate e, ritornando al concetto di “farmhouse ale autentica”, appropriata per dissetare i braccianti durante le lunghe giornate di lavoro nei campi.
Pulitissima, rustica ma non priva di una certa eleganza, non l’ho mai bevuta fresca ma a due anni di vita in bottiglia l’acidità e la componente "funky" è piuttosto evidente e marcata: sappiatelo (se non amate le “sour”) prima di pensare ad un acquisto. Ah, per chi volesse provale a replicarla tra le mure domestiche, segnalo questa pagina.
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